sabato 30 maggio 2009

i numeri primi - e chi ce li ha per davvero....

di Alessandra

Stavolta, giuro, non ci ero cascata. Anzi, avevo resisito alla stragrande: nessuna concessione alle centinaia di sguardi languidi e obliqui che ammiccavano, moltiplicati alla enne, dalle vetrine delle librerie, nessuna debolezza di fronte agli osannanti commenti della critica, nessun cedimento, se non un'aria di commiserazione, davanti agli stupiti " ma come, non lo hai letto??" che mi hanno perseguitato per tutta l'estate. Anche l'annunciata vittoria dello Strega non solo non mi aveva smosso di un millimetro, ma anzi, aveva semmai reso più forte il mio proposito che "la solitudine dei numeri primi" non avrebbe varcato la soglia di casa mia. Troppe fanfare per un'opera prima, troppe parate da grandi occasioni, troppo bello il titolo, troppo bella la copertina, troppo bello lui, insomma: puzza di bidone lontano un miglio.
Ho resistito fino alla settimana scorsa, quando me ne sono ritrovata una copia sulla mia scrivania in ufficio- mossa strategica di una collega tenace e determinata, ricorsa all'extrema ratio una volta constatato che parlare di questo libro con me o con un muro avrebbe prodotto la stessa soddisfazione.
E' finita che l'ho letto e- udite udite- sono pure arrivata fino in fondo: la qual cosa colloca di diritto quest'opera nell'ambita classifica dei libri così e così, trattandosi indubbiamente di un pregio, visto che, espletati finalmente tutti i doveri in materia libresca, posso finalmente concedermi alla lettura solo come ad un piacere- e se il libro non è buono, come avrebbe detto il buon manfredi, che piacere è???
A scanso di equivoci, i pregi di La solitudine dei numeri primi si fermano qui. Nel senso che oltre un tenue interesse per la trama, non c'è altro. O meglio: manca tutto il resto, a cominciare dalle qualità essenziali per cui un romanzo è un romanzo e non un trattato scientifico, un sunto di psicologia spicciola, una lista della spesa.
E' tutta l'estate che sento parlare di "grande intuizione", di "titolo geniale", di "impostazione grafica accattivante" e robe del genere, come se fossero queste le qualità da perseguire nella stesura di una storia, dimenticando invece completamente che un romanzo è fatto anzitutto dalla scrittura, dalla tensione narrativa, dal ritmo dei dialoghi e -soprattutto- dall'introspezione dei personaggi, in un dosaggio calibrato - di tempi, di stacchi, di tinte- che qui, purtroppo, non c'è.
La scrittura, anzitutto, è piatta: nessuna increspatura sul piano del racconto, nessun affondo nell'analisi dei personaggi, nessuno stacco verso l'alto. I dialoghi sono una mezza presa in giro (stamattina sono buona), tutti modulati sulla gamma del "sì" e del "no", senza neppure lasciare spazio ai "forse " e ai "perché", onde evitare di oltrepassare la soglia della assertività tipica del trattato e sprofondare nella inquietante, immensa, emozionante, tormentata varietà dell'intelligenza del dubbio. Anche le scelte lessicali si appiattiscono sul resto, creando così l'impressione di un moto rettilineo uniforme che, se è coerente con la formazione scientifica dell'autore, non giova affatto alla componente emozionale del romanzo. Che, infatti, non c'è. In pratica, è tutto un susseguirsi di storie tragiche, di incidenti, di traumi, di abbandoni, di autodistruzioni reciproche che scorre via liscio come l'acqua, una macabra lista della spesa, appunto, che si spunta con lo stesso coinvolgimento con cui si mettono le varie cose nel carrello, da tanta è la prevedibilità degli eventi.
Se dunque alla fine si resta con l'amaro in bocca, non è per merito di Paolo Giordano,ma per il dispiacere di aver visto sprecate tutte queste intuizioni in un prodotto di così scarso livello. Per amor di metafora, è come affidare l'incarico di fare una torta con la farina del mulino, le uova della gallina dalle piume d'oro, il burro della malga del nonno di Heidi e altre prelibatezze a uno che magari ne conosce a menadito la composizione chimica e calorica, ma che, all'atto pratico, sbaglia dosi, tecnica di assemblaggio e tempi di cottura.
Se mai non fossi stata sufficientemente convinta di questo giudizio, me lo ha confermato la lettura successiva- o meglio: quella all'interno della quale si è inserita La Solitudine : io leggo stile matrioska, un libro dentro l'altro- vale a dire L'amore non guasta, di Jonathan Coe. Ora, che io ami Coe di un amore viscerale, assoluto, potente e passionale è cosa nota e non è il caso che vi tedi ulteriormente, tessendone il peana. Però, mai come questa volta ho avuto la certezza di trovarmi di fronte ad uno dei pochi veri grandi della letteratura contemporanea, seppure leggendo un'opera che non eguaglia le altre sue più famose: potenza della lettura parallela di due opere contrapposte per valore letterario, che ha permesso un progressivo disvelamento dei pregi dell'una e dei difetti dell'altra, in modo naturale, quasi involontario, mi verrebbe da dire, e per questo più implacabile ed impietoso.
Giordano parte da primi attori a cui non si può non voler bene: sono due vittime della vita, del tutto incolpevoli, che non hanno saputo trovare altra reazione se non quella di farsi del male, con un autolesionismo lucido, implacabile e feroce e che, quando la vita dà loro l'occasione di unire le loro solitudini, non sanno farlo, bloccati come sono da quel numero che di solito si inframmezza ai numeri primi e che qui è metafora dell'incapacità di vivere. In altri termini, Giordano muove da una materia ruffiana, per cui il lettore ha già la lacrima in tasca alla seconda pagina e la tranquillità di sapere già da che parte stare, visti i colpi di accetta con cui l'autore scolpisce i suoi personaggi, tutti i buoni di qua e i cattivi dall'altra parte. il punto di arrivo, però, è deludente, nel senso che il massimo della carica emotiva si registra nelle prime pagine, quando cioè ci si affeziona per forza ai due protagonisti, e poi scema via via in una calma piatta, ucciso dai difetti di cui sopra.
Coe cominica invece da comparse, persone che non hanno nulla per cui valga la pena di scrivere un romanzo e che, anzi, a dire il vero, sono pure un po' antipatiche, presentate da subito nei loro difetti più fastidiosi, più imbarazzanti, più odiosi. le loro storie sono fatte di responsabilità personali, di rifiuti consapevoli, di compromessi calcolati ed è impossibile, all'inizio, affezionarsi a qualcuno di loro, da tanto sfuggono a qualunque stereotipo, buono o cattivo che sia. Il bene e il male sono concetti esorbitanti, inarrivabili per la mediocrità di certe vite e, per giunta, sono nascosti, miscelati, inquinati l'uno nell'altro e per quanto le vicende siano semplici e la narrazione distaccata si percepisce da subito che di tranquillizzante, qui dentro, non c'è nulla. Ed è qui che si innescano le emozioni- e sono una reazione a cetena, in un continuo crescendo, al termine del quale i personaggi non sono più figure sbiadite e sfocate, ma emblemi dell'ingiustizia sociale dell'imperscrutabilità del destino, del male di vivere. Come si sia potuti arrivare a sentirsi così- scossi, amareggiati, turbati- partendo da mosse in apparenza innocue è un mistero che ogni volta mi affascina e di cui Coe conosce a menadito ogni segreto, visto che lo padroneggia con tale maestria. Ed è in questo che sta il suo pregio: nel saperti prendere alle spalle, con un andamento lento, nevrotico, a tratti anche un po' allucinato, sorretto da una scrittura minimale e potente al tempo stesso, sempre trattenuta sul filo della tensione da un'ironia tagliente e dolorosa che ti illude di mantenere le distanze, mentre in realtà ti spinge dritto al centro della vicenda. E non c'è bisogno di artifici, di operazioni editoriali, di bagarre pubblicitarie, di streghe e maghi e formule algebriche: basta solo averci dei numeri, quelli veri.
a mercoledì
alessandra

venerdì 29 maggio 2009

Armiamoci e partiamo....Tarte aux cerises et chocolat


di Alessandra


tarte aux cerises et chocolat

Io sono una che fa il tifo. Si, lo so che detto così è poco elegante, che fa tanto curva nord e che alla mia età starebbe meglio dire "che si schiera", ma a me questa è un'espressione che proprio non piace. Mi sa tanto di "politically correct", di strategico - meglio: di tattico- di mosse studiate a tavolino nell'attesa di entrare in gioco, al momento giusto, con la parte giusta. Io non sono per niente così: sono una specie di mediano di sfondamento, tutta cuore e viscere, che si emoziona e si esalta e si innamora, e coinvolge e trascina e travolge, e finché non si arriva fino in fondo, non c'è verso che mi dia una calmata. Faccio il tifo per un sacco di cose, ogni giorno: e se, a lungo andare, riconosco che ci sono alcuni punti fermi ( la libertà, per esempio, declinata in tutte le forme, dai diritti personali giù giù fino al significato del nome di mia figlia, o la giustizia, del rispetto della quale ho finito per farne una professione, o il Genoa, la sola bandiera sotto la quale mi riconosca sempre e comunque), è anche vero che ogni volta c'è ancora qualcosa per cui valga la pena di mettersi l'elmetto e partire in quarta, sia che si tratti dell'ennesima gabella iniqua del nostro Comune o dell'ultima discussione davanti alla macchinetta del caffè.

ciliegie

E' da ieri per esempio, che faccio il tifo per questa torta- e lo faccio con la stessa visceralità (stavolta, è proprio il caso di dirlo), con cui sostengo le altre cause; la ricetta proviene da uno dei milioni di libri che compro, sfoglio, riempio di "uuhhhh, aaaahhh, iiihhhhh" e promesse varie (questa la facciamo per tizio, quell'altra per caio) e poi finisco immancabilmente per dimenticare su qualche scaffale, sommerso dagli acquisti compulsivi dei giorni successivi. Il testo in questione è "Cioccolato, nuove armonie" di Rosalba Gioffrè, ed. Giunti, che cito solo per chiederle scusa delle numerose modifiche da me apportate all'originale, sicuramente migliore di questa tarte. Che però è una roba mai vista, un tripudio dei sensi, l'idea platonica della goduria somma, come si vede dalla prima foto, quella con lo sbuffo di cioccolato che cola denso e voluttuoso dalla crema frangipane e per cui so che siete già lì, fra lo sbavante e il maledicente, a dirmi che non è nè l'ora nè la stagione per indurvi in queste tentazioni. A parte che alla mia età, di tentazioni mi son rimaste queste e ben poche altre, l'ora è quella giusta (qui sono le 6.26, abbiamo una giornata intera per smaltire le calorie) e la stagione anche, perché se non le mangiamo adesso, le ciliegie, quando lo si fa più???? quindi, armatevi e partite e cominciate subito....

TARTE AUX CERISES ET CHOCOLAT

tarte aux cerises et chocolat

per la frolla
300 g di farina 00
200 g di burro
100 g di zucchero
1 tuorlo
scorza grattugiata di limone ( poca)

per la crema frangipane al cioccolato
120 g di burro morbido
150 g di farina di mandorle ( o mandolre tritate finissime, con un cucchiaio di zucchero)
2 uova intere
1 cucchiaio di cacao amaro
20 g di farina
150 g di zucchero a velo (è preferibile, perché vi fa risparmiare un po' di tempo nelle operazioni di montaggio, ma non è fondamentale)

400 g di ciliegie (il plurale è all'antica, chiedo venia, ma un'altra delle minoranze per cui faccio il tifo è la grammatica italiana)
100 g di cioccolato fondente

Si inizia dalla frolla, che si prepara impastando velocemente tutti gli ingredienti: la si stende in uno stampo da crostata e la si lascia riposare in frigo per un'oretta. Poi si fa una prima cottura in bianco, in forno statico a 170-180 gradi, per dieci minuti.
Nel frattempo, si grattugia il cioccolato e si snocciolano le ciliegie
Si prepara poi la crema frangipane, montando bene il burro con lo zucchero: per "bene" si intende, di solito, che i granelli dello zucchero semolato non si dovrebbero sentire più. Con lo zucchero a velo si fa prima. Si incorporano poi le due uova, una dopo l'altra, sempre montando con le fruste e in ultimo la farina di mandorle, la farina bianca e il cacao: l'aggiunta delle farine va fatta mescolando con un cucchiaio.
Si prende il guscio di frolla e si cosparge il fondo di cioccolato tritato; poi, vi si adagiano le ciliegie snocciolate e si versa su tutto la frangipane, livellandola bene con una spatola. Di nuovo in forno, alla stessa temepratura di prima, per mezz'ora.
Teoricamente, bisognerebbe lasciarla raffreddare e poi glassarla con qualche filo di cioccolato fuso, fatto scendere dal cono di carta forno. Per me, è stata già una fatica erculea aspettare che si raffreddasse per poterla sformare ( appena esce dal forno è molto molle, ma non vi preoccupate, la frangipane fa così, si consolida dopo), figuriamoci se stavo a perder tempo con le decorazioni. Perfetta per la colazione, il tè delle cinque, il fine pasto, la merenda, lo spuntino di mezzanotte, la pausa caffé e qualsiasi altra occasione ci sia per potersela mangiare.
Per inciso, io e la Dani abbiamo rischiato la morte (siamo entrambe allergiche alle ciliegie), ma per voi questo e altro...
buona giornata

alessandra





Questa ricetta partecipa alla raccolta " Ma com'è rossa la ciliegia", indetta da Rosso di Sera

http://rossa-di-sera.blogspot.com/2009/05/ma-come-rossa-la-ciliegia-parte-la.html




mercoledì 27 maggio 2009

tartare di tonno con pomodorini capperi e basilico



TARTARE 2

Della miriade di test che circolano oggi su FB,l 'unico che non farò mai è quello che indaga sulla persona che ti manca di più. Il motivo è semplicissimo e non ha nulla di sentimentale o di intimo, anche perché le mie carenze affettive o me le tengo per me o me le risolvo in altro modo (e l'alto numero della produzione dolciaria di questo blog potrebbe già essere un valido indizio). L'unica ragione per cui non farò quel test, dicevo, è perché so già la risposta, nel senso che la persona che davvero mi manca in modo lacerante, di cui avverto l'assenza con accenti di sincera disperazione e per riavere la quale sarei disposta a fare quasi qualsiasi cosa, è l'omino della pompa di benzina.


A Genova, praticamente, è una razza estinta: esclusa la Erg, nella quale non ci si mette piede per ragioni di fede, ne esistono solo due riserve, una a Tommaseo, l'altra in viale Brigate Partigiane, nelle quali però gli omini sono visibili sono in certi orari che, manco a dirlo, non coincidono quasi mai con i miei. Se poi si aggiunge che per me la benzina è un rimedio per la tosse delle automobili,- leggasi: finché la Micra non si mette ad avanzare a balzelloni, col cavolo che le do da bere- ecco che la cosa assume contorni inquietanti.

"Vai al self service" , direte voi. Troppo semplice, rispondo io. Perché se c'è un luogo che inibisce ogni mia facoltà, interrompendo i già tenui collegamenti fra arti e neuroni, quella è proprio la piattaforma dei benzinai, diventata, da qualche tempo, lo scenario preferito per dar prova della mia innata imbranataggine. Le volte in cui mi sono annaffiata i piedi di benzina, per esempio, non si contano più. E neppure quelle in cui mi sono avvolta nella pompa, stile Laocoonte, alla ricerca dello sportello del serbatoio che mai una volta che sia dalla parte giusta. Senza contare quando son partita con il tappo sul tetto della macchina (almeno 3 volte) o i casi di furtivo abbandono della pompa sul tetto del distributore, all'ennesimo vano tentativo di incastrarlo in quel maledetto affare (almeno 2) o la volta in cui poco ci mancava che venissi presa ad ombrellate dalla tipa al cui distributore avevo osato attingere io, dopo che a pagare era stata lei....




Potete quindi immaginare con che umore, oggi, ho imboccato la rampa del primo self service a tiro, una volta resami conto che il mirino della macchina di mio padre era del tutto appassito e che l'alternativa a tirar dritto anche stavolta era dover spingere fino a casa. Siccome sono una vera signora, sono uscita dalla macchina smoccolando sottovoce e ho continuato imperterrita, a mano a mano che si ripeteva il solito copione del qual è la pompa, dov'è lo sportello, di che colore la devo fare, e come si apre 'sto coso, e il tappo dove lo metto, il tutto intervallato da invocazioni accorate all'omino della benzina. Che, all'improvviso, mi è apparso di fianco. Un omino piccolo piccolo, che non aveva nessuna tuta, nessun cappellino, nessun distintivo, ma che poteva essere la reincarnazione di Mr Furio Baden Powell, vista l'alacrità con cui aveva deciso che il momento della buona azione quotidiana era arrivato e che bisognava metterla a punto come si deve. Da lì in poi, è stata tutta un'escalation di esortazioni, tutte intervallate da un crescendo di 'su, su': " su, su, prenda la pompa, su su apra lo sportellino, ma non così, ma come si fa, su su ora sviti il tappo, e faccia piano, che non è mica un giocattolo, e scusi, su su , metta i soldi lì dentro e com'è che non ci entrano e sfido io, guardi come sono spiegazzati, su su li lisci bene, sfido poi che non entrano, ma non ha altro da attorcigliare, lei?"
Giuro che la tentazione di rispondergli che potevo sempre provare con la pompa di benzina, da attorcigliare attorno al suo collo, ce l'ho avuta. E penso che sia stata così forte che sia trapelato qualcosa , perché il tipo mi ha girato le spalle e se ne è andato via senza salutare, lasciandomi con venti euro perfettamente stirati in mano e un "su su, che modi" divertito a mezz'aria. Però, mi è tornato il buonumore e, già che c'ero, ho fatto pure il pieno...

tartare di tonno con pomodorini, capperi e basilico


TARTARE

Per 500 g di filetto di tonno freschissimo e tagliato al coltello servono
250 g di pomodorini sodi
50 g di capperi di pantelleria
2 spicchi d'aglio
una bella manciata di foglie di basilico
olio EVO
limone
sale

Si prepara un concassè di pomodori che si mette a scolare in un colino, in modo da dar via bene tutta l'acqua. Si sciacquano i capperi e si tritano grossolanamente. Si sminuzzano le foglie di basilico e si traglia l'aglio a fettine sottili. Si uniscono tutti gli ingredienti al tonno, senza condimento, e si ripone in frigo, in un recipiente coperto, fino a poco prima di servire, quando lo si condisce con olio e sale. Al momento di impiattare, aggiungere pochissime gocce di limone, facendo attenzione a che il tonno "non cuocia".

martedì 26 maggio 2009

l' importante è comunicare- spaghetti alla bottarga con nocciole

spaghetti bottarga e nocciole (ingr)

Ora io mi chiedo: com'è che due che da anni hanno come sport preferito quello di rincorrersi nei vari traslochi e che chiacchierano senza ritegno ovunque e comunque e che per questo decidono di mettere su un blog di cucina insieme-perché sai che figata, così vicine, come essere nella stessa cucina, ci divertiremo un mondo... bene, dicevo, com'è che 'ste due, in barba alle porte confinanti e ai potenti mezzi di comunicazione (da FB al balcone) riescono a produrre, nello stesso giorno e alla stessa ora, la stessa ricetta????
e meno male che mi è venuto in mente di dare un'occhiatina preliminare, giusto per vedere se c'era qualcosa di nuovo: perché altrimenti sarei partita secca con la storia della bottarga, e dell'amica vacanziera e del segreto dello spaghetto svelato e chi glielo avrebbe spiegato, ai venticinque lettori della blogsfera, che siamo proprio così sul serio, mica lo facciamo apposta???



e però ora mi chiedo: cosa ne faccio di tutto 'sto ben di dio? e no, perché buttare la roba è un delitto, come avrebbe detto mia nonna, e buttare la roba da mangiare lo è ancora di più. E no nmi importa se è virtuale o meno: l'impegno ce l'abbiamo messo, ecchediamine., e quello era reale. E le foto, poi, per noi che il professionismo non abita qui, vuoi mettere che fatica, fra obiettivi mal chiusi, luci sbagliate , inquadrature sbilenche e quand'è che si mangia e quand'è che la finisci con 'sto blog???

Insomma, a farla breve, io la ricetta ve la metto lo stesso, con tanto di commenti e riflessioni a margine. e mentre ci pensate un po' su, vado ad attaccarmi al campanello della porta accanto, che non sia mai che domani ci venga un'altra botta di originalità...

SPAGHETTI ALLA BOTTARGA E NOCCIOLE


spaghetti bottarga e nocciole

per 4 persone
200 g di spaghetti integrali
50 g di nocciole
una cipolla piccola (meglio se rossa)
bottarga (la mia è quella di Favignana, va bene qualsiasi tipo, purché di ottima qualità)
succo e scorza di un limone
prezzemolo
olio EVO
sale



Mettere su l'acqua per la pasta

Tritare finemente la cipolla e farla appassire in tre cucchiai di olio EVO. da parte, in una cassaruola dal fondo spesso, far tostare le nocciole per qualche minuto, poi tritarle grossolanamente.
Lessare gli spaghetti molto al dente, scolarli, tenendo da parte due mestoli d'acqua e portarli a completa cottura nella padella dove si è fatta stufare la cipolla, aiutandosi con l'acqua tenuta da parte. Aggiungere le nocciole e mescolare bene; in ultimo, grattugiare abbondantemente la bottarga, aggiungere una grattugiata di scorza di limone e tanto prezzemolo.
Mescolare direttamente nella padella e impiattare, spruzzando qualche goccia di limone e aggiungendo un'ulteriore grattugiata di bottarga.
A me, l'idea di abbinare bottarga e nocciola piace tantissimo: il risultato, però, è così e così, nel senso che è un po' "piatto": ma se scopro la "x" no mi tiene più nessuno: cosa dite, mi aiutate???


Buona notte
alessandra

lunedì 25 maggio 2009

chi trova due amiche...insalata di avocado, mele e arachidi

di Alessandra




Andiamo con ordine: chi trova un'amica, SPENDE un tesoro: specialmente se l'amica in questione è un'altra come te, con tanto di blog, passione culinaria e lacrima facile di fronte agli stampini azzurri a forma di trifoglio. E specialmente se, dopo aver letto il tuo, di blog, ha pietà dei tuoi lai e ti propone di trasformare un elegante aperitivo di mezza sera, fra due eleganti signore di mezza età, in una forsennata corsa all'Ikea, a raccattare le ultime offerte, in preda ad una sorta di horror vacui per l'ultimo millimetro quadrato del pensile in alto a sinistra, che forse, se stringo tutto il resto, lì ci sta.
Per inciso, mai sortita poteva capitare in un momento più felice per me : non solo la creatura giaceva simil malata dai nonni, ma, quel che più importa, il marito era impegnato nella consueta missione bisettimanale della sostituzione del disertore di turno della partita del lunedì. La qual cosa, in casa mia, ha un unico significato: via libera.
E così, mi sono data alla pazza gioia, comprando assolutamente di tutto, in una gara a chi riempiva di più il carrello, con tanto di gridolini estatici e di patetiche rincorse verso gli ultimi esemplari rimasti sugli scaffali. Abbiamo rastrellato tutto, senza pietà, in un tripudio di sacchetti gialli, matite di legno, blocchetti segna cose. il culmine lo abbiamo toccato nel reparto bambini, quando, in preda al delirio, abbiamo iniziato a togliere metaforicamente di bocca ai piccoli clienti decine di pentolini colorati, "perfetti per il catering", e il culmine del culmine lo ha toccato quell'altra disgraziata quando ha interrotto sul nascere ogni recriminazione di un gruppo di madri fra il basito e il contrariato, dicendo che lei, a casa, era piena di figli che la aspettavano ed evocando strazianti immagini in puro stile rondinino pascoliano.

Ho fatto le scale carica come un mulo, con tre sacchetti ikea da una parte e borsa e chiavi dall'altra, pregustando le tre ore di tempo che mi restavano per riuscire ad occultare comodamente il malloppo, prima del rientro del marito. Il quale, ovviamente, era in casa: anzi, ad essere precisi, era proprio sulla soglia, pronto per uscire, dopo aver fatto un salto veloce a cambiarsi.
Non intendo turbare in alcun modo la consueta aulicità dei contenuti del blog con basse narrazioni di quel che è successo dopo: vi basti sapere che sono stata graziata dall'urgenza della partita e che ho trascorso le tre ore successive a inandiare quello che di più simile ad una cena "vera" e non da food bloggers, potessi preparare.
Ed è qui che è intervenuta in soccorso l'altra amica, o meglio: mi sono venute in soccorso le sue meravigliose sarde in saor, che tanto avevano mandato in estasi i nostri ospiti, giorni prima, e che troneggiavano, belle incellofanate, nel ripiano nobile del frigo, pronte a salvarmi la serata e l'umore e tutto quanto il resto. E dopo due giorni erano così buone, ma così buone, ma così buone che hanno contagiato anche il marito, stranamente ben disposto verso gli apri-pista che vedete qui sotto e di cui mi sbrigo a darvi la ricetta, prima che mi dimentichi che cosa ho improvvisato con gli avanzi dei giorni scorsi....

MELITZANOSALATI E GUACAMOLE



per la melitzanosalati
2 melanzane lunghe, possibilmente panciute
2 spicchi d'aglio
peperoncino
sale
olio

Mettere le melanzane in forno ( l'ideale sarebbe farle abbrustolire su una gratella, ma in mancanza di cavalli trottano gli asini, come si dice a Genova..) e farle cuocere a 200 gradi fino a quando saranno tenere ( almeno mezz'ora). Svuotarle della polpa con un cucchiaio, condire quest'ultima con due spicchi d'aglio sminuzzati finemente, sale e un po' di peperoncino e frullare, fino ad ottenere una crema morbida. Aggiungere poi olio leggero 8 sempre EVO, ovviamente) montando come per la maionese

Guacamole veloce
1 avocado maturo
semi di coriandolo
1 cipollina tritata
il succo di un lime
qualche goccia di tabasco
sale
Svuotare con un cucchiaio l'avocado, bagnarne la polpa con il succo di lime, perché non annerisca e schiacciarla bene con una forchetta. Aggiungere gli altri ingredienti e, se piace, qualche goccia di tequila.

Insalata di Avocado, Mele rosse, Arachidi



Praticamente, è tutta nel titolo. bisogna avere l'accortezza di bagnare sempre con del succo di limone o di lime l'avocado e le mele (io li ho anche tagliati con il coltello di ceramica, che ritarda l'ossidazione) e poi condire con olio leggero , sale e un po' di coriandolo. In frigo fino al momento di servire.
Buona notte
alessandra

domenica 24 maggio 2009

a volte si avverano...panna cotta al margarita

di Alessandra






Quella che segue, è una bella storia, con tanti personaggi, un po' di suspance e il colpo di scena finale. Lo sfondo è il magico mondo dei food bloggers, con le loro foto, più o meno ritoccate, le loro ricette, più o meno strampalate, le loro amicizie, più o meno sincere, e i loro concorsi, più o meno seguiti. Il concorso di cui parla questa storia, però, non ha nulla a che vedere con gli altri: era il Concorso per eccellenza, quello con la C maiuscola, quello indetto dal pasticcere più in voga del momento, il cui giudizio avrebbe garantito imperitura fama al vincitore, con estasi culinarie annesse.

Si sono mossi in massa, per partecipare, ed il parterre era di quelli da far paura: non mancava nessuno, dei bravi , all'appello, ma la rosa dei "vincitori annunciati" era comunque ristretta a pochi nomi- i più grandi, i più spettacolari, i più irraggiungibili.





Ha vinto uno sconosciuto, con una ricetta che è un inno alla cucina "per diletto", quella che ha per ingredienti il divertimento, la leggerezza, l'ironia, e per sottofondo le risate degli amici, il tintinnio dei bicchieri, il tirar tardi sui divani, fra massimi sistemi da sondare e fondi di bottiglia da scolare. Nessuna ansia da prestazione, nessuna concessione a "lo famo strano", nessun personalismo, nessuna sviolinata, nessuna delle cose, insomma, che mi hanno sempre tenuta lontana da certe interpretazioni culinarie, decisa come sono a difendere il mio modo di cucinare, giocoso e conviviale, da altre velleità.



Un clic sul blog del vinicitore l'ho dato, ovviamente, curiosa come ero di vedere che faccia avesse e come scrivesse uno che, in materia, la pensa come me: e, udite udite, scopro che è un genovese, come me, che è genoano sfegatato, come me, e che ha avuto fra i suoi maestri un grande della scuola genovese, con cui ho condiviso, per scelta e convinzione, un pezzo importante della mia storia professionale e che, se mai sapesse di essere citato in due blog di cucina, alzerebbe forse un sopracciglio, fra il dubbioso e il divertito.







La ricetta della foto è una rielaborazione, in chiave mostruosamente sotto tono, di quella che ha vinto il concorso: l'originale lo potete leggere qui mentre qui ci sono i risultati del "dopo la cura" del grande Santin, che spero possa accettare la gratitudine di una food blogger imbranata e claudicante, che si ostina ancora a credere che i bravi trionfino e che i meriti vengano premiati.

e però, almeno qualche volta, succede...


PANNA COTTA AL MARGARITA



per 20 bicchierini
1 litro di panna fresca
4 hg di zucchero
2 bicchierini di tequila
il succo di 2 lime
6 g di colla di pesce
fleur del sel



Si inizia preparando uno sciroppo di zucchero: si mette sul fuoco in un casseruolino dal fondo spesso lo zucchero con 600 ml di acqua e si lascia bollire a fuoco basso, fino a quando si addenza. Poi si aggiunge il succo di lime, filtrato e la tequila.
Nel frattempo, si scalda la panna in un altra casseruola e, poco prima che prenda il bollore, vi si scioglie la colla di pesce, precedentemente ammollata in acqua fredda e strizzata.
Si filtra il tutto e si aggiunge lo sciroppo di lime. Si mescola bene, si assaggia ( passaggio obbligatorio: è qui che si decide il tasso alcolico del dolce!!), si agginge, se il caso, un po' di tequila e si versa nei bicchierini.
in frigo a raffreddare per almeno 4 ore.
Prima di servire, si aggiunge un pizzico di fleur de sel in superficie, assieme ad una grattugiata di scorza di lime.
Se decidete di presentare questo dolce in coppe più grandi, nulla vi vieta di inumidirle ai bordi e di farvi aderire il sale, per rendere ancora meglio l'effetto cocktail.
Buona serata

alessandra
Grazie al suggerimento di Virginia, abbiamo pensato di partecipare a questo gustosissimo concorso con la nostra ricetta della panna cotta al margarita.... con quale risultato, si vedrà!!
Per ora siamo soddisfattissime della vostra attenzione.
Grazie a tutte
Alessandra e Daniela




venerdì 22 maggio 2009

VENT'ANNI DOPO- SMOOTHIE ALLA FRAGOLA

di Alessandra






Una delle poche cose belle delle trasferte di lavoro è fare il tragitto dall'ufficio alla meta con la mia segretaria: e anche se dall'esterno, sembriamo due forsennate che chiacchierano ininterrottamente, in realtà ci stiamo solo aggiornando, concentrando in due o tre ore di viaggio quello che non ci è consentito di fare in ufficio , dove le priorità si chiamano firme da mettere, quesiti da stilare, telefonate da smaltire. E' in questi frangenti che scopro, ogni volta, che il segreto di una collaborazione che funziona sta in una sintonia che va oltre l'andare d'accordo o l'essere sincronizzate sui ritmi di produzione, ma deriva da radici più profonde, ben piantate in un terreno di esperienze comuni, che un po' ci hanno esaltato, un po' ci hanno depresso, ma che hanno concorso tutte a fare di noi le donne che siamo.
La parte più divertente è quando si scivola nei ricordi di vent'anni prima, quando eravamo belle, magre, toniche, uscivamo di casa all'ora in cui oggi andiamo a letto e per addormentarci contavamo stuoli di pretendenti in carne ed ossa, invece che montagne di bucato da stirare. Un trionfo di vitalità, esaltazione, divertimento, spensieratezza, scandito ovviamente dalla musica di quei tempi, tutta giocata sull'infinita gamma delle qualità maschili che andavano dal "super superman" di miguelbosiana memoria fino ad un altrettanto inquietante "macho macho man", passando per i più raffinati "handy", " piano" e "mr tambourine". Il tutto affrontato con un entusiasmo senza pari, condito da curiosità, incoscienza e un pizzico di trasgressione, di quello che " a vent'anni è tutto ancora intero", tanto per capirci.


Farei un torto alla verità se dicessi che vent'anni dopo l'entusiasmo non c'è più, perché direi una bugia grossa come una casa: la voglia di "buttarci" c'è sempre e il fascino del "dietro l'angolo" ci attira ancora. Il problema è che son cambiati gli argomenti, ed è questo che rende tutto drammaticamente diverso. Se prima ci si aggiornava su posti trendy, discoteche da battezzare o ragazzi da farci conoscere assolutamente, adesso è solo un parlare di colonne vertebrali che scricchiolano, vestiti che non entrano, caffè senza zucchero e gallette di riso e anche le lampade a raggi UVA che un tempo servivano a rimetterci in pista dopo dieci minuti ,sono diventate ora un toccasana per la cervicale.
Il clou lo abbiamo toccato l'altro ieri a Pavia quando, dopo un crescendo di fastidi-disturbi- dolori acuti-malattie mortali, appena scese dall'auto ci siamo fiondate dritte in una farmacia, elencando pedissequamente alla commessa tutta la litania dei mali che ci affliggevano, con tanto di facce da funerale e ricorso alla mimica per i sintomi più difficili. Ce ne siamo uscite da lì con in tasca il Rimedium Omnium Malorum, una specie di Soluzione Finale a tutti i dolori, garantitaci dal farmacista come efficacissima e perfetta per il nostro caso. Eravamo così felici che per un attimo- ma solo per un attimo- abbiamo accantonato le nostre angosce e ci siamo concesse una leggera seconda colazione, tanto per tirarci su, a base di cornetti ripieni e paste alla crema - che intanto cosa vuoi che ci succeda, ora che abbiamo la cura... Ed è stato con un'espressione di attesa, speranza e trepidazione che abbiamo aperto il pacchettino, pronte a ricevere la panacea universale, la raddrizza -colonne, cancella-colite, brucia-grassi e stira-camicie, quella che ci avrebbe riconciliato con noi stesse e col mondo, pronte ad affrontare la vita con il sorriso dei vent'anni....



Il sorriso ci è rimasto, sia chiaro, anche se è diventato meno radioso, un po' più storto, un po' più fisso- l'anticamera della paresi, insomma. "Spasmo man" era il nome della medicina, alla faccia dell'energia, della baldanza, dell'adrenalina e dei super superman dei nostri vent'anni....
e per fortuna che il senso dell'umorismo è rimasto ancora intero, perché sennò un bel tuffo nel Ticino non ce lo avrebbe tolto nessuno...
Ricetta veloce, fresca, leggera, che vent'anni fa si sarebbe chiamata frullato di fragole e yogurt, ma oggi si è americanizzata in

SMOOTHIE ALLA FRAGOLA E KIWI



per 4 persone
250 g di fragole
125 g di yogurt bianco ( va bene anche quello dolcificato con lo zucchero d'uva)
poco ghiaccio per frullare

Pulire e mondare le fragole, metterle in un frullatore con il resto degli ingredienti e frullare bene, fino ad ottenere una purea liscia. Mettere in frigo per almeno tre ore. Servire freddo, volendo con dei pezzetti di frutta fresca, a piacere.
Buon fine settimana
alessandra



mezze maniche con capesante, fave e zafferano

di Alesssandra




Era da una settimana che avevo voglia di un risotto con le fave e, per una ragione o per l'altra, non riuscivo mai a prepararlo: ora perché il marito è intollerante al riso e quindi bisogna andarci piano, ora perché alla creatura le fave non piacciono e quindi bisogna lavorare su due fuochi , con di qua il risotto vergine e di là quello contaminato, ora per tutta una serie di priorità, non ultima quella dei tagliolini al limone, per cui si rimandava sempre al giorno dopo.

Siccome le fave, però, non hanno pazienza più di tanto e cominciavano a scarseggiare, l'altro giorno ho fatto un blitz al Mercato Orientale, della serie "oggi o mai più" e ho fatto una spesa mirata- fave, capesante, porri, tutto insomma. E quando finalmente è arrivato il momento di mettermi ai fornelli, ho deciso che tanto valeva prepararlo con tutti i crismi, a partire dal soffritto di mezz'ora e per finire con la spellatura delle fave, passando per il brodo di pesce insaporito con lo zafferano.
E quando finalmente era tutto pronto, mi sono accorta che mancava il riso.
Cioè: avevo il Patna, il Venere, il Basmati, il Roma, persino un inquietante avanzo di "riso per risotti orientali", ma nessuna traccia di Carnaroli, o di Arborio o di qualsiasi altro chicco che non fosse destinato a squagliarsi in una minestrina collosa nel giro di due minuti.
Giuro che i miei 5 secondi di sconforto ce li ho avuti- facciamo anche dieci, va'. Ma siccome la necessità aguzza l'ingegno, ho trovato soccorso in un avanzo di mezze maniche, cotto per metà a mo' di pastasciutta e per metà a mo' di risotto (mi piangeva il cuore a non utilizzare il porro stufato per venti minuti...) ed è venuta fuori una delle paste migliori che mai siano state prodotte in questa cucina: cotta al punto giusto, ben legata e con un fondo di cremosità dovuto al metodo di cottura, che le altre paste asciutte difficilmente raggiungono.
Ecco qui la ricetta

MEZZE MANICHE CON CAPESANTE, FAVE E ZAFFERANO



per 4 persone
320 g di mezze maniche
1 porro
olio extravergine di oliva
brodo di pesce
zafferano
20 capesante
600 g di di fave (da sbucciare)
martini dry
sale
peperoncino ( facoltativo)

In una casseruola capiente, o in una risottiera far stufare il porro in poco olio, portando a cottura aggiungendo mestoli d'acqua, a fuoco basso e a recipiente coperto, per almeno una quindicina di minuti.
Nel frattempo, far sbollentare le fave, sbucciate, per qualche minuto in acqua bollente non salata; appena tiepide, togliere la pellicina esterna.
Mettere su l'acqua come per una normale pastasciutta e, quando bolle, salarla e buttarvi le mezze maniche
Nel frattempo, togliere le capesante dalla conchiglia, prendere solo i frutti e farli insaporire nel porro, a fuoco alto, per qualche minuto. Salare e bagnare con mezzo bicchiere di Martini dry e far evaporare
Dopo sei minuti di cottura della pasta, scolarla e metterla nella risottiera con il porro e le capesante, mescolare bene e terminare la cottura a mo' di risotto, aggiungendo tre mestoli di brodo caldo di pesce, nel quale avrete fatto sciogliere una o due bustine di zafferano (dipende dal tipo: se colora molto, va bene una. Io uso i pistilli, ne ho messo un cucchiaino).
Portare a cottura, a recipiente scoperto, mescolando di tanto in tanto, aggiungendo eventualmente altro brodo, se vedete che asciuga troppo.
In ultimo, aggiungete le fave, mescolate ancora in modo da legare bene il piatto e servite.
Secondo mio marito, ci starebbe bene anche un po' di peperoncino: può aver ragione (stamattina son magnanima), ma solo se in minime quantità, altrimenti il piatto si snatura.
Buona giornata




mercoledì 20 maggio 2009

i sondaggi di menu turistico e gli shortbreads ai semi di papavero




no, dico: potevamo restare indietro? dopo che ci abbiamo messo solo un mese per capire che bisognava avere il contatore, dopo che abbiamo imparato prima ad usare l'html e poi a realizzare che è meglio che non tocchiamo niente (Dimitriiii!!!), dopo che ci siamo pure fatta qualche amica nel meraviglioso mondo della blogsfera, dopo questo ed altro e ancora di più, potevamo esimerci dal fare anche noi un sondaggio???? NOOOOOO, è la risposta in coro che già sento salire dalle vostre bocche, certo che no! e così, dopo aver a lungo meditato sui massimi sistemi, abbiamo deciso che la domanda di partenza, su cui dovete esprimere le vostre preferenze è la seguente:

Se fisso una trasferta il 21 maggio a Pavia, quando si sa che scoppia un caldo fottuto-e là di più- quando qui cominciano a spuntare dei teneri pungiglioni che sbattono le ali e fanno zzzz zzzz- e là sono già sputnik- e per giunta colloco il grosso del lavoro fra le 10 e le 13.30, in un ufficio senza aria condizionata e con l'obbligo di tenere le finestre chiuse, che maniman c'è la fuga di notizie, è perché:
1.penso che le date sulle agende siano cornicette per adulti;
2.l'hammam costa troppo;
3.sono l'unico esemplare che ancora creda nell'esistenza della mezza stagione
4. sono completamente, profondamente, irrimediabilmente deficiente

E mentre meditate sulla risposta, vi offro questi deliziosi shortbreads, che sono quanto di più godurioso esista al mondo, qui riproposti in versione "svuota -dispensa", sottotitolo "mannaggia a me quando compro le spezie a chili"


SHORTBREADS AI SEMI DI PAPAVERO

per una trentina di biscotti
200 g di burro fuso
80 g di zucchero a velo
300 g di farina 00
scorza di un limone e qualche goccia di succo
1 cucchiaio colmo di semi di papavero

con le fruste elettriche, montare il burro fuso con lo zucchero fino a quando si otterrà una cremina densa: a quel punto aggiungere la farina e tuti gli altri ingredienti. impastare velocemente, se il caso inumidendo l'impasto bagnandovi le mani con acqua fredda, e stenderlo con un mattrello su un foglio di carta da forno, dando la forma di un rettangolo, altro circa un cm. Mettere il foglio con l'impasto su una teglia da biscotti e infornare a 160 gradi per 30 minuti. Qualche minuto prima che sia cotto, sfornare e, con un coltello, incidetrel'impasto con tanti tagli perpendicolari, in modo da formare tanti rettangolini , delle misure che vedete in foto(di solito, me ne vengono due in altezza e una quindicina in larghezza). Rimettere in forno per pochi minuti.
E' essenziale perché i biscotti si mantengano morbidi che vengano sfornati quando la pasta è ancora chara, senza farla biscottare in nessun modo.
Lasciar raffreddare, poi tagliare lungo le linee, formando i biscotti, procedendo con cura: la pasta è friabilissima e rischia di rompersi.
Quando sono freddi, glassarli con una glassa ottenuta incorporando a 100 g di zucchero poche gocche d'acqua.
il giorno dopo - se resistete- sono ancora più buoni
a dopodomani
alessandra

lunedì 18 maggio 2009

Le eredità irresistibili e i gamberoni al tè


Il ricordo più lieto che ho del corso di Ebraico ai tempi dell'Università è legato al clima surreale e divertito che si avvertiva quando, prendendo in mano la Bibbia ed iniziando a leggere dal fondo, esordivamo tutti con " in principio". La cosa ci sembrava così buffa che, un po'alla volta, avevamo preso tutti ad attaccare la lettura così, con buona pace del professore che, una volta riscontrata la vanità dei suoi sforzi di ricondurci a quel minimo di decoro che la sacralità del testo imponeva, si era serenamente rassegnato all'imperscrutabilità del Fato che, per quell'anno, gli aveva riservato una classe di emeriti imbecilli.
L'episodio mi è tornato in mente mentre leggevo L'irresistibile eredità di Wilberforce, opera secunda di Paul Torday, acclamata dalla critica come "semplicemente meravigliosa", " da leggere assolutamente", " un puro gioiello", capace niente meno di infrangere la maledizione che vuole i secondi "parti" meno brillanti dei "primi". Anche il risvolto della copertina sembrava promettere bene: "non sono un alcolizzato: ho la passione per il Bordeaux, tutto qui" risuonava alle mie orecchie come una sorta di "apriti sesamo" che mi avrebbe schiuso le porte di quel trionfo di sensorialità e di godimento allo stato puro che è il mondo del vino.
Se avete un po' di dimestichezza con le quarte di copertina (leggasi: se vi siete già presi almeno tre bidoni solenni, fidandovi delle recensioni sul restro del libro), sapete già che le aspettative per cui avete sborsato a cuor leggero 17.50 euro sono andate miseramente deluse: dissipato il fumo negli occhi delle prime pagine, ci si trova di fronte ad un romanzo che , del romanzo, ha solo il nome: scarsissima l'introspezione psicologica dei personaggi, debole la trama, piatta la scrittura, solo a tratti ( per altro brevi e scoordinati) in sintonia con la materia trattata.
L'unico motivo per cui l'irresistibile eredità di Wilberforce non finisce dritto nella pattumiera virtuale dei libri da buttare è per la trovata dell'impianto narrativo- che è quella che mi ha fatto venire in mente le lezioni di Ebraico, tanto per "chiudere il cerchio": nel senso che la vicenda inizia dalla fine e procede a ritroso, seguendo uno schema cronologico inverso dal quale l'autore non deraglia mai, neppure per concedere al lettore uno straccio di epilogo finale, una postfazione, qualcosa insomma che risollevi dallo sconforto che ti prende quando arrivi all'ultima pagina e ti rendi conto che sapevi già tutto (e, peggio ancora, che quello che sapevi non ti piaceva per niente).
Quindi, se amate il post moderno ma non osate ancora avventurarvi per i sentieri criptici e insidiosi di De Lillo, questo libro fa per voi. E se invece siete amanti di una letteratura tradizionale, che abbia un inizio e una fine (non necessariamente lieta) collocate al punto giusto, lasciate perdere e convogliate la stessa cifra in qualcosa che va all'indietro pure lui, ma lascia ben altro retrogusto...

GAMBERONI AL TE' E ALLO ZENZERO


per 4 persone
16 gamberoni ( o 24 mazzancolle, come quelle che vedete nella foto)
tè verde leggero
un pezzo di zenzero fresco ( circa 10 g)
brodo di pesce
olio EVO.
riso venere per accompagnare

Pulire bene i gamberi, togliere il carapace e il filo nero e farli marinare per due ore nel tè, in cui avrete grattugiato lo zenzero.
Nel frattempo, preparate il riso pilaf: prendete un recipiente che possa andare in forno e fatevi stufare mezza cipolla tritata, come per un normale risotto. aggiungete il riso ( circa due tazze piccole), fate tostare e poi bagnate con del brodo 8 meglio se di pesce), in quantità doppia rispetto al riso. il riso deve essere completamente coperto. togliete dal fuoco e sigillate il recipiente con della carta stagnola, poi infornate a 180 gradi per 18-20 minuti: è pronto quando il brodo è stato completamente assorbito dal riso. Togliete l'alluminio e sgranate con una forchetta.
Togliete i gamberi dalla marinata e fateli saltare velocemente in padella, salandoli leggermente.
Servite in piatti indivicuali, disponendo i gamberi su un letto di riso e portando il resto a parte
Buon appetito
alessandra

venerdì 15 maggio 2009

Moscardini alla san gennaro




Ricetta di un vecchio numero di Sale e Pepe, prontamente adottata in famiglia per ovvi motivi e riesumata ieri a pranzo, in occasione dell'estremo supplizio a cui l'omonimo del Santo si è votato, accompagnandomi all'Ikea. Che, per inciso, era chiusa a metà e, toh! combinazione! proprio nella metà che interessava a me. Ma siccome pare che in certi casi i risultati siano secondari, rispetto alla correttezza dei procedimenti, qui ci sentiamo in onore di santità e tanto vale farci commemorare subito, come si deve...

Moscardini alla San Gennaro



per 4 persone
800 g di moscardini piccoli ( oppure tagliati a listarelle)
3 spicchi d'aglio
1 peperoncino fresco
4 cucchiai di olio EVO
1 cucchiaio di pangrattato
brodo di pesce
prezzemolo
sale


Pulire benissimo i moscardini: eliminate il contenuto della sacca, togliete il becco e asciugateli. Fate scaldare l'olio in una larga padella, aggiungetevi l'aglio schiacciato e il peperoncino e fate insaporire bene. Aggiungete poi i moscardini,salateli, fateli cuocere a fuoco vivo per pochi minuti e poi bagnate con due mestoli di brodo, coprite con un coperchio, abbassate la fiamma e portate a cottura: sono pronti quando saranno teneri ( e qui dipende dalla qualità del moscardino: normalmente, una ventina di minuti). Quando sono pronti, versate in padella il pangrattato e mescolate bene. Proseguite la cottura per altri cinque minuti. Servite cosparsi di prezzemolo tritato
Buona serata

alessandra

Tarte aux noix, roquefort et miel


ISTRUZIONI PER L'USO DI QUESTO POST: per leggerlo per intero, andate in fondo e cliccate su "leggi tutto". Non chiedetemi perché, è già abbastanza penoso così....

A scanso di equivoci: ora che faccio la blogger, mi uniformo al trend ( va bene così???) e discetto di pic nic al pari di tutte le riviste-siti-blogs che si rispettino e anzi, se volete, mi allargo pure e vi racconto di quella volta che ad Ascott con Filippo e la Betta etc etc.
Ma se devo essere sincera, e sincera fino in fondo, dovrei starmene ben ben zitta e passare subito alla descrizione della ricetta: perché io, di pic nic, ne ho fatti pochissimi- e quei pochi sono stati un disastro. Temporali improvvisi, mareggiate stile tsunami, apparecchiature incollate al catrame della spiaggia, per finire con gli incidenti diplomatici con i vari gatti dei vicini, pronti a trasformarsi, da sornioni che erano, in agguerritissimi Garfield appena intuivano manovre mangerecce nel giardino di fronte.



Poi, però, mi sono imbattuta in questo blog francese, Eryn et sa folle cuisine ( " come mettere i link ai blog" è l'argomento della prossima lezione....) e non ho resistito...
Strettamente parlando, questa tarte non è una novità, trattandosi della trita rielaborazione della solita combinata formaggio- noci- mile -pere. Nihil novi, direbbero gli antichi, se non fosse per una serie di trovate- da una inconsueta brisèe con le noci fino alle strane reazioni chimiche per cui il miele del ripieno si deposita sul fondo, formando un doppio strato , molto scenografico- che mi hanno convinto a provarla.
Anche la "prova assaggio" è stata brillantemente superata, salvo un unico neo: se mangiata in grandi quantità, fa venir sete. Come la maggior parte delle cose salate, direte voi, aggiungendo che infatti non vanno mangiate in grande quantità.
Ma qui, da quando si fa la blogger, o si rimpinzano i vicini ( alternativa neanche tanto peregrina: le autrici abitano di fianco... ) o si mangia quello che si produce. A maggior ragione se è gustoso, fragrante, equilibrato come questa tarte, che ce la possiamo anche mangiare tutta, dai, tanto non c'è altro, non è mica come la porcata di ieri, cosa vuoi che ci succeda...
Ci è successo ( anzi: MI è successo, il marito è rimasto indenne) che, subito dopo, siamo andati a sentirci un concerto in una chiesa nel posto più imbriccato del mondo, dove l'unico locale- la società di mutuo soccorso- chiude i battenti alle sette di sera; e dove avrei dovuto tenere un discorso ( " di-scor-so" " di-scor- so"!!!!) nell'intervallo fra un tempo e l'altro. E avevo una lingua che sembrava una ciabatta e la bocca secca in puro stile "tè nel deserto", solo che il tè non c'era e neanche un goccio d'acqua, se non quella che scendeva dal cielo ( le goccioline "ti-rovino-la-piega, avete presente??) mentre cercavo invano soccorso.
E' finita che ho fatto un intervento pregnante, esaustivo, in certi tratti sofferto, ma soprattutto BREVE, con una testa modello palombaro e un nervoso che non vi dico ( accidenti a me e all'ideona del blog), davanti a mezza platea che sghignazzava e all'altra che si chiedeva da cosa mi venisse, all'improvviso, il dono della sintesi...
La risposta è qui sotto e, al di là degli effetti collaterali, è davvero eccezionale

TARTE AL ROQUEFORT E MIELE CON BRISEE ALLE NOCI



Per la brisée alle noci
250 g di farina
80 g di burro fuso e raffreddato
80 g di acqua fredda
60 g di noci tritate grossolanamente
sale

Note mie: non ho fatto fondere il burro, ma l'ho impastato da morbido. Inoltre, ci va più acqua, almeno 20 cl : dovete ottenere una pasta elastica, più simile ad una pasta al vino o all'olio che non ad una brisèe. L'ho subito stesa nella tortiera e l'ho fatta riposare solo il tempo di preparare il ripieno

Per il ripieno
2 uova grosse
150 g di roquefort
200 ml di panna
40 g di farina
15 g di miele
pepe
sale ( ma attenzione: se il roquefort è salato, è meglio ometterlo)

Si sbattono le uova con la panna, come per fare una frittata, si aggiunge il roquefort sbriciolato, si mescola bene e, in ultimo, la farina setacciata: la quantità è modica e non c'è rischio di grumi. Un bel cucchiaio di miele ( io ho usato un millefiori, e pure del supermercato, perché temevo una prevalenza del dolce sul salato e direi che mi è andata bene), pepe e, se il caso, sale

Versate il ripieno nella tortiera e in forno a 175 gradi per 35 minuti ( gli ultimi 5 con un foglio di stagnola sulla sommità della tarte, per evitare che brunisca).
Le pere sono di contorno - una composta o un chutney sarebbe l'ideale.

Il giorno dopo è infinitamente più buona.

alessandra

mercoledì 13 maggio 2009

TERRINA DI ZUCCHINI ALLA MENTA CON RICOTTA PROFUMATA AL LIMONE


 

La giornata di ieri ha vinto l'ambito titolo di " Madre di Tutte le Giornate Nevrasteniche del 2009", battendo di larga misura tutto quello che c'è stato prima e, sulla fiducia, anche quello che verrà dopo. Tutto ciò, ha comportato due importanti conseguenze:

1. per rabbonirmi, stamattina mio marito mi porta all'Ikea, che per me è l'anticamera del Paradiso, mentre per lui significa andar dritto all'inferno, senza passare dal via. Si presume quindi che, nella personale classifica del consorte, l'ambito titolo di cui sopra possa toccare alla giornata di oggi. In altri termini: se vi capita di incontrarci, in questo fine settimana, tirate dritti...
2. contrariamente al solito, anziché degenerare in una fame ossessivo-compulsiva, il nervoso di ieri mi ha chiuso lo stomaco.

Il che costituisce una sorta di sacrilegio, perché per cena c'era l'idea platonica del piatto light, zero grassi, zero calorie, zero sensi di colpa, che mi avrebbe riconciliato con la bilancia e con la dieta. Il marito, che, come sapete, è un fine psicologo, ha deciso di condividere con me questo disagio esistenziale e si è fatto fuori una padellata di gamberoni e di calamari e mezza vaschetta di gelato, più il cordiale del dopocena. Come aperitivo, però, ha assaggiato una terrina, prima con fare circospetto (per lui, tutto ciò che è dietetico è mortale),e poi con aria via via più convinta, fino a commentare, sorpreso, che era proprio buono.

Io, per contro, ne ero sicurissima, e senza scomodare né le mie abilità culinarie (pari a zero, quando ho il nervoso), né la difficoltà di esecuzione del piatto ( pari a zero pure quella): è che quando si mettono insieme zucchine dell'orto, la menta del balcone , la ricotta del caseificio pugliese e limoni di Cartier, hai voglia a tirar fuori qualcosa che non sia meno che buono... o sbaglio????

Terrina di zucchine alla menta con ricotta profumata al limone



Molto liberamente tratta da Pic Nic, di Isabelle Brancq - Lepage, Guido Tommasi Editore)
per 4 persone
3 o 4 zucchine (dipende dalla grossezza: calcolatene un po' meno di una di dimensioni medie per monoporzione)
400 g di ricotta
2 g di colla di pesce
10 cl di latte
6-7 foglioline di menta
la scorza di un limone non trattato
olio EVO
sale
pepe bianco
Far bollire per qualche minuto un pentolino d'acqua con le foglioline di menta. Pulite le zucchine, tagliatele a rondelle e mettetele in una padella, con un filo di olio. salate, fate insaporire e portate a cottura con l'acqua alla menta, filtrata ( o anche no). Non devono stufare: appena sentite che sono cotte, levatele dal fuoco, scolatele dall'eventuale liquido di cottura e lasciatele raffreddare.
Ammorbidite la colla di pesce in acqua fredda e fatela sciogliere nel latte, messo in un pentolino e scaldato. Mescolate bene fuori dal fuoco, fino al completo scioglimento. Lasciate intiepidire e poi aggiungete, direttamente nel pentolino, due o tre cucchiai di ricotta, amalgamando bene. Incorporate il tutto al resto della ricotta, insaporite con sale, pepe bianco e la scorza del limone grattugiata ( lasciatene un po' da parte per la decorazione) e componete le mini terrine in questo modo:
strato di zucchine (un unico stato, ma con le rondelle leggermente sovrapposte, in modo che ce ne stiano un po' di più) e strato di ricotta (un cm circa di altezza) e così via, fino alla cima: chiudete con uno strato di zucchine.
Coprite con pellicola trasparente e mettete in frigo per tre ore.
Si servono a temperatura ambiente, con una grattugiata di scorza di limone e qualche fogliolina di menta fresca.
buona giornata

lunedì 11 maggio 2009

la porcata di mia suocera- semifreddo meringato al croccante di sesamo....





Da sabato scorso, siamo ufficialmente entrati nella settimana dei festeggiamenti per il genetliaco della creatura, celebrando, l'11 maggio, una tradizione che si ripete implacabile da 14 anni, in barba a impegni di lavoro, problemi familiari, brandelli di tempo libero ( libero???) e feste della mamma, che passano immancabilmente in ultimissimo piano, per far spazio ad un tourbillon di eventi, il cui clou è rappresentato dalla festa con le amiche.
La creatura ci pensa dal 12 maggio successivo, quando io sono ancora lì a raccattare i resti (della festa e miei) e lei attacca con progetti più o meno strampalati e fattibili, che costituiscono una sorta di inquietante leit motif per tutto il resto dell'anno.
Stavolta, è toccato al pigiama party, per cui ci siamo ritrovate in casa una cinquina di adolescenti urlanti e ridanciane, che hanno invaso l'appartamento di scarpe a fiorellini, magliette a righe e jeans stretti in fondo ( Deo gratias!!! vita alta e a sigaretta.... Chiunque sia il Santo che si occupa di moda per le ragazzine, grazie dal profondo del cuore), in un crescendo di gridolini ed urletti che mi ha fatto ritornare indietro di trent'anni, quando al posto loro c'eravamo io e le mie amiche, ugualmente distratte, ugualmente disordinate, meravigliosamente ingenue e pulite come mia figlia e le sue amiche. Pure mio marito, che si è rinchiuso due giorni in volontaria prigionia nello studio, con tanto di guinzaglio e museruola, non ha potuto fare a meno di sorridere ( vabbè, mi sono un po' allargata: più che altro, era un ghigno), meravigliandosi di come si accontentassero di poco- a discapito di quanto si legge sui giornali e si vede in giro. Poi, però, si è inciampato in un calzino viola col pizzo, nel corridoio, ed ha subito cambiato idea...
Ovviamente, ho cucinato per ore, nonostante mi fossi ripromessa di non stare a fare grandi cose, perché intanto, a quest'età, ci vuol tutta che si accorgano di avere qualcosa nel piatto. Altrettanto ovviamente, non è rimasto nulla, nonostante la solita " gara delle nonne" a chi fa il dolce più buono per la nipotina.
La palma va alla suocera, quest'anno, che ha confezionato il semifreddo che vedete in foto, che ha subito scalato la hit delle porcate più immonde piazzandosi di diritto al primo posto , quello a cui spetta il titolo di "porcata assoluta": avete presente, quando, al primo assaggio, quando ancora il collegamento fra papille gustative e neuroni è in funzione, vi rendete conto che "sì, effettivamente è buono, ma forse è un po' troppo calorico" e, subito dopo, iniziate a ingozzarvi in modo convulso, usando il cucchiaino come arma da attacchi esterni, noncuranti delle richieste degli altri commensali, che ne reclamano un po' anche per loro e meditando a come fare a sottrarvi agli sguardi indiscreti al momento della slurpata finale????
Non lo avete presente????
E allora, dovete proprio provare questa roba qua...



Semifreddo meringato al croccante di sesamo e marroni



per 6 persone
tempo di preparazione 45 minuti
tempo di cottura 8 minuti

200 g di meringhe
6 dl di panna fresca
1 bustina di vanillina*
100 g di croccante al sesamo
70 g di marroni canditi
60 g di zucchero a velo
rum


* non stiamo tanto a fare i sofistici, come dicono a Zena: ve l'ho già detto, che con questo dolce qui non andiamo tanto per il sottile. Se preferite, i semi di un baccello di vaniglia, comunque

Tritare grossolanamente il croccante, sminuzzare i marron glacè e sbriciolare le meringhe. Spennellare uno stampo di rum. Montate la panna e unitevi la vanillina e lo zucchero a velo. Incorporate delicatamente i marroni, il croccante, le meringhe, versate tutto nello stampo, ricoprite con pellicola trasparente e poi in freezer per almeno tre ore.

Tutto qui: semplicissimo, velocissimo, facilissimo. L'unica difficoltà è resistergli....





P.S. quando le ragazzine se ne sono andate via ( figlia compresa: è andata a farsi festeggiare ancora un po' dai miei), mi sono sentita improvvisamente orgogliosa del genere femminile tutto: le camere erano abbastanza in ordine, non sono state organizzate partite di pallone nel salotto e, quando ho aperto la porta della stanza dove dormivano tutte insieme, sono riuscita ad arravare alla finestra senza svenire sulla soglia. Cosa che con i ragazzini non succede. Lo dico con tutto l'affetto del mondo, perché sono l'orgogliosissima zia di un nipote quasi coetaneo di mia figlia ( ma infinitamente più sveglio) ma è innegabile che le differenze si vedano già a questa età. E così, ho iniziato ad elencarle tutte al marito, facendogli notare i vantaggi della figlia femmina: perché se avessimo un maschio, col cavolo che avrei potuto risistemare le scarpe abbandonate per casa arrivando con il naso all'altezza della suola; con il maschio, col cavolo che avremmo potuto lasciare in giro cristalli e computer; con il maschio, col cavolo che avremmo chiuso la porta della nostra camera da letto ( abbiamo sacrificato pure quella!!!) alle dieci, per non pensarci più fino al mattino.. e sarei andata aventi all'infinito, se mio marito non mi avesse zittito, torvo, replicando che col maschio, COL CAVOLO CHE AVREMMO FATTO IL PIGIAMA PARTY... e mi sa che stavolta, mi tocchi dargli ragione....
buona giornata
alessandra