mercoledì 15 aprile 2015

E' ufficiale: An Old Fashioned Lady in Singapore


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Mettiamola così: non avevo più nulla da dire, con questo nuovo blog, aperto più solo per recuperare le millanta ricette sparse per il web, e quest' ultima tranvata di una vita che sembrava giunta al capolinea degli obiettivi dà un nuovo senso a una presenza sul web sempre meno convinta. 
Già, perchè un diario ci vuole, qui dall'altra parte del mondo, un po' per fissare tutto, ma proprio tutto quello che capita, in una città lontana anni luce dal nostro stile di vita- e un po' per celia e unpo' per non morir: perchè sapere che, almeno per i primi tempi, ieri sarà uguale a oggi e oggi sarà uguale a domani è cosa fortemente ansiogena, almeno per la sottoscritta. 
E dunque, cominciamo.
E cominciamo dal più classico degli inizi, ovvero il "che ci fate lì?" che  è la domanda più ricorrente che mi sento porre, da quando abbiamo deciso di trasferirci a Singapore
 


Tutto ebbe inizio alla fine dello scorso ottobre- il 2014, pochi mesi fa- e con un congresso di non ho capito bene cosa, in cui mio marito doveva fare una relazione. 
Su cosa, non lo so neanche adesso, ma francamente non è che mi sia mai importato molto: se accompagno l'ingegnere nei viaggi di lavoro, l'unico parametro da considerare è quanto riuscirò a fare da sola, senza di lui. E visto che Singapore sembrava rientrare a pieno titolo nell'elenco dei luoghi per donne -single-con- marito- ingegnere, ho pronunciato il fatidico "vengo anch'io". 
Avesse detto "no, tu no", il consorte, non saremmo qui. 
Invece, è andata che siamo partiti, siamo arrivati, ci siamo intontiti per il jet lag, mi sono stordita di frappuccini e dim sum e quando avevo finalmente deciso che "ok, Singapore è bellissima, ma non fa per me", è arrivata la bomba. 
"Mi hanno offerto un lavoro, qui"
Ora, immaginatevi la scena. 
Sfondo anonimo di camera di hotel, categoria "no smoking, no escort", con valigie spalancate sul letto da due giorni, modalità "la mia casa aspietta ammé", e la Van Pelt con una cofana di capelli da 95% di umidità costante, un incrocio fra Napo Orso Capo e Branduardi prima maniera, che alza lo sguardo dal condizionatore al quale è stata avvinta tutto il giorno, chiamandolo Hitchcliff e sognando le brume del Masonshire, solo per dire: 
" e tu hai accettato,vero?"
ATTENDERE CHE FINISCA IL RACCONTO, PRIMA DI COMMENTARE CHE NON SONO NORMALE

Vien fuori che no, non ha accettato, perché non ha i requisiti. Quali requisiti, non si sa-perchè nemmeno li ha chiesti. 
Non è adatto-e basta.
Ora, se c'è una cosa che mi banda in bestia è rinunciare a priori. 
Le uniche rinunce ammesse, nel mio decalogo, riguardano quello che nonti piace, quello che ti fa fare brutta figura e quello che fa ingrassare. 
Per tutto il resto, ci si prova, specie se, come nel caso in questione, non c'è niente da perdere e se si è dotati di un cervello al cubo, a seppur minima compensazione di tutto il resto, dalla diplomazia al senso dell'ordine. 
E quindi, per la prima e finora unica volta nella storia, il gentile popolo di Sing Sing ha assistito ad una puntata in trasferta della famosa telenovela "Albaro come Secondigliano", un po' come quando era venuto Ridge a Portofino, per Biutiful- con la piccola differenza che il mascellone della sottoscritta non era immobile in posa statica,  ma dava fiato a pieni polmoni a tutte le sue teorie. 
Il viaggio di ritorno ci ha visti silenziosi e indifferenti. 
Idem, nei giorni successivi al rientro. 
E poi, ho smesso di pensarci, fino alla metà di novembre, quando trovo sul tavolo della cucina una serie di fogli, smarcati con delle crocette, a penna. 



"Sai, quel lavoro a Singapore?... ecco, mi han mandato i requisiti... e le voci smarcate, son quelli che ho"
Con tutta che amo i cimiteri, mai così tante croci mi hanno riempito di gioia. 
E quindi, vai con gli "wow, che bello, ma che figata, ma che opportunità, ma come sono contenta, che finalmente si parte anche noi, ancora qualche anno e andiamo, il tempo di far finire gli studi alla Carola, io arrivo al minimo dei contributi e..."
No. 
Mi sbaglio. 
Non è "ancora qualche anno". 
E' domani, o meglio oggi, o meglio subito. 
Si parte il 6 gennaio -e siamo al 27 di novembre e all'improvviso mi rendo conto dell'enormità della cosa. 
La mia casa, il mio lavoro, la mia carriera, le mie cose-devo rinunciare a tutto. 
E non oso affrontare la parte più dolorosa, quella degli affetti, di una mamma e una sorella che uno scherzo del destino ha legato in maniera inaspettata- e mia figlia, il cui "io non vengo" ha il sapore amaro  di una morte annunciata. 



Per farvela breve, da ieri sono qui- definitiva. 

Ho raggiunto mio marito per tre settimane a gennaio, il tempo di trovar casa, fare finta di arredarla e metterlo in condizione di avere un posto dove tornare alla sera (per le mogli degli ingegneri, ogni spiegazione è superflua, per le altre è inutile), sono tornata ai primi di febbraio, ho chiuso la nostra casa, ammassato il suo contenuto in un altro appartamento e mi son trasferita da mia madre, con la figlia e il gatto. Al momento, lavoro ancora (come un'ossessa: vorrei concluderò tutto il possibile, prima dell'addio), ma con l'autunno chiuderò anche quella a cui avevo pensato come  ad una certezza, nella mia vita, e che invece si è rivelata l'ennesima parentesi. Mia figlia andrà avanti e indietro, i miei suoceri sono già stati qui, nelle settimane in cui non c'ero e stiamo organizzando un Natale all'Equatore, con un elenco di invitati che inizia e non finisce, da cui mancano solo Boldi e De Sica, per essere al completo. 


E quello che succederà, nel mezzo, ve lo racconterò da qui. Ricette varie comprese.