E' l'ultimo giorno, ma siccome l'aereo parte in serata, facciamo finta di niente e ci dedichiamo alla solita maratona, che intanto domani è domenica e il tempo per riposare lo troviamo lì. Il programma prevede un'escursione a Nowa Huta, il sobborgo di Cracovia voluto dal Partito Comunista come modello di una città ideale e che oggi è meta di tour divertentissimi, a bordo di Trabant o di pulmini dell'ex regime e l'appuntamento finale, come le star, a bere la vodka al Lenin bar. Io sono straesaltata e già mi vedo immortalata in foto cult sulla portiera dell'auto che fu il simbolo del PCI dei tempi che furono, ma il marito non è della stessa idea. E siccome non ci sono taxi nei paraggi, in una Cracovia che dà il buongiorno al sabato mattina in una veste per noi nuova, con le strade semivuote e le serrande dei negozi ancora abbassate, capitoliamo e prendiamo un tram.
Chissà perchè, di Nowa Huta ci eravamo fatti un'idea tutta diversa- vale a dire, di un piccolo e brutto quartiere operaio, sorto ai margini della grandiosa acciaieria (Huta, appunto) da cui il sobborgo prende il nome. Niente di più sbagliato. Immaginatevi una sorta di grand boulevard declinato in chiave comunista, moltiplicatelo per dieci ed ecco che avrete un quadro molto più simile all'originale di quanto non fosse il nostro.
D'altro canto, ci sta: nelle intenzioni degli urbanisti del regime, Nowa Huta sarebbe dovuta essere l'ennesima riproposizione della città ideale, in versione mignon. E quindi, grandi viali, contornati da spazi verdi curatissimi, con tanto di laghetti e piste per il jogging e la bicicletta, enormi architetture ibride fra lo stile austero del comunismo e quello più lieve del rinascimento polacco, scelto come espressione più tipica della città di Cracovia, l'immensa acciaieria (oggi dismessa ed assorbita dall'ente del turismo per farne un distaccamento ed un museo sulle attività che un tempo vi si svolgevano), e poi negozi, supermercati e bar, a corredare di tutto quello che poteva essere utile alla realizzazione di una utopia urbana. Ma c'era davvero proprio tutto?
In realtà, no. Mancava una chiesa. Il che, per una città come Cracovia, che di chiese ne possiede ben 144, suonava come una nota stonata. Per quanto si lamentassero, però, i nuovi abitanti del quartiere non riuscivano ad aver ragione delle loro richieste. Il regime, infatti, era inflessibile: vi diamo la casa vicino al posto di lavoro, strade ariose, viali immensi, tutto quello che vi serve per essere felici qui sulla terra- e voi vi lamentate, perchè aspirate ad una cosa inutile come essere felici in cielo? - era la replica abituale alle loro richieste, nella speranza che, prima o poi, queste pretese moleste cessassero, una volta per tutte. Ma non avevano fatto i conti con il designato parroco di Nowa Huta, un giovane dallo sguardo fiero e dalla tempra d'acciaio, che en passant di nome faceva Karol e di cognome Wojtyla, il quale tanto bregò, sia in veste di semplice sacerdote, prima, sia come arcivescovo di Cracovia, poi, che alla fine non solo la chiesa ci fu, ma fu pure proporzionata al resto degli edifici del quartiere. Grande, bella e ariosa. E, contrariamente al resto, sempre piena. Tanto che oggi fa persino un po' effetto, in un quartiere che manca di vitalità, con la presenza della fabbrica vuota che incombe un po' dappertutto, trovare la chiesa piena di fedeli in adorazione, con tutta che non è neppure domenica e non ci sono festività religiose in calendario.
Alzi la mano il primo che ha proposto la divisione fra “turisti” e “viaggiatori”. Così, gli dico chiaro e tondo quello che penso di questa emerita boiata, che ha trasformato un'occupazione privilegiata come il viaggiare in una sorta di rincorsa per equipararsi al più insulso e stereotipato dei modelli di questi ultimi anni. Se scegli una meta che non sia di altro continente, parti minimamente organizzato, avendo idea non dico di dove dormirai (orrore degli orrori) ma di che cosa vedrai, se viaggi armata di Michelin e non di Lonely Planet e soprattutto se pensi di non usare mezzi pubblici locali, meglio se pulmini sgarrupati con posto riservato fra la contadina dello Yucatan che porta le formaggette al mercato e l'ex corriere boliviano che rammenta i tempi che furono offrendoti un po' di vecchia roba buona, allora sei spacciato: finisci irrimediabilmente nella categoria del “turista”, il che, per certa gente, equivale alla peggiore delle ignominie. Parlo a ragion veduta, visto che fra poco mi toccheranno i racconti di viaggio degli amici avventurosi, quelli che si son programmati la vita al nano secondo (mi laureo-trovo lavoro-compro casa-mi sposo- me la godo un po'- faccio il primo figlio etc etc) e che concentrano nelle tre settimane di ferie l'intera fornitura annuale di emozioni. Mi aspetto una serie di emerite cavolate, dal “contatto con la cultura locale” alla perlustrazione di tutti i bagni della zona, perchè se magari non esiste un dio capace di risistemare le cose, quanto meno c'è Montezuma che si ricorda di loro. Per non parlare degli sguardi di commiserazione che mi vengono lanciati ogni volta, quando sentono che siamo andati in Europa e pure in macchina e non abbiamo preso neanche un tram. Stavolta, però, faremo eccezione. Perchè un cavolo di tram lo abbiamo preso, ma per girare a Nowa Huta non serve, a meno che non ci si rassegni a buttar via mezz'ora alla fermata, senza sapere cosa arriverà e dove ti porterà. E così, ce ne stiamo ciondolanti su una panchina semi divelta, con un sole a picco sulle nostre teste, senza che si scorga un'anima viva e, quel che è peggio, senza che si fermi il tempo: perchè entro mezzogiorno dobbiamo essere in centro, per l'apertura del Polittico della Cattedrale e caschi il mondo se me lo perdo.
Alla fine, riusciamo miracolosamente a fare tutto: con il primo tram che passa ci portiamo ad un parcheggio di taxi e da lì arriviamo alla Chiesa di Giovanni Paolo II e poi in centro. In mezzo, tentiamo di imbastire una conversazione con il tassista che, appena sente che siamo Italiani, comincia con la solita trafila.
“Milano?”, butta lì, ma si vede che del nostro Paese conosce poco e niente
“No, Genova”, facciamo noi, con scarso successo.
Non la conosce, infatti, il che basta a dare la stura all'elenco delle meraviglie della nostra città, dai monumenti ai personaggi famosi: il Porto, la Lanterna, l'Acquario e il Genoa lo lasciano indifferenti, ma quando arriviamo a Colombo, si apre uno spiraglio. Attendiamo fiduciosi e alla fine vede la luce
“Berluscona! Bunga Bunga!”
A proposito delle Lonely Planet di cui sopra: la Guida di Cracovia fa schifo, senza se e senza ma. Scarna, imprecisa, inesatta (certi indirizzi dobbiamo trovarli ancora adesso) e per giunta lacunosa, priva com'è delle informazioni principali, tipo gli orari di apertura e di chiusura delle attrazioni all'interno dei monumenti della città, il che, visto che qui si paga col sistema delle scatole cinesi e la biglietteria è una sola, è un dato fondamentale, molto più di quanto lo sia l'elenco di tutte le gallerie d'arte contemporanea e post moderna nella riqualificata periferia. Ma, si sa, noi siam turisti...
La cattedrale di s. Maria è il simbolo indiscusso della città di Cracovia. Sorge su un lato dell'immensa piazza, subito dopo il Fondaco dei Tessuti, ma non c'è rischio che passi inosservata, con le sue torri asimmetriche che sono la sua principale peculiarità. Neanche a dirlo, esiste leggenda incorporata, con tanto di storia alla Romolo e Remo, visto che le torri furono costruite da due fratelli, l'uno dei quali uccise l'altro, una volta resosi conto del pasticcio combinato. A conferma della verità storica insita in questo racconto, c'è pure l'arma del delitto, un coltellaccio appeso all'ingresso del Fondaco, a conferma di come certe cose non abbiano confini- e il detto “parenti-serpenti” meno che mai.
Leggende a parte, è probabile che le diverse altezze delle torri si spieghino con le diverse funzioni a cui erano destinate- di avvistamento l'una e di campanile l'altra. E' proprio su quest'ultima che, allo scoccare di ogni ora, viene suonato l'hejnal, una melodia ripetuta per quattro volte, una per ogni lato della torre e che si interrompe bruscamente, ogni volta. Dovrebbe ricordare l'infelice sorte di una sentinella uccisa dai Tartari nel 1241 proprio mentre stava suonando l'allarme, ocn questa melodia, e per gli abitanti di Cracovia ha un'importanza tutta particolare. I suonatori sono assunti a spese del Comune, con regolare bando e si alternano sulla torre durante le 24 ore del giorno e della notte, per non privare la città della voce più commovente del suo passato.
Per quanto sia bella da vedere, all'esterno, è oltre la soglia del portale d'ingresso che la cattedrale vi riserverà le maggiori sorprese, lasciandovi del tutto senza fiato. Anticipo subito che una delle sue principali attrattive è lo straordinario polittico che funge da pala di altare, aperto solo dalle 11.50 fino alle 16.00. Munitevi di biglietto nell'adiacente biglietteria e cercate un posto in prima fila, anche per non perdervi il cerimoniale di apertura, con tanto di suora nerboruta che fa tutto da sola, dall'invito alla preghiera durante l'apertura del polittico, alla bassa manovalanza, maneggiando ante da un quintale ciascuna come se fossero bastoncini dello shangai.
Sì è fatta l'ora di pranzo e ci concediamo l'ultimo pasto in una “latteria”, locali tipici di Cracovia, esistenti sin dalla notte dei tempi e lasciati inalterati anche dal regime comunista, che ne aveva anzi apprezzato la semplicità degli arredi e la robustezza del menu, tutti piatti di sana e robusta tradizione locale, preparati espressi per gli appetiti degli operai e degli studenti, da sempre avventori di questi luoghi. Con la scusa che è l'ultima volta, ci rimpinziamo da scoppiare di pirogie, zuppe e salsicce, tanto che, un'ora dopo, arranchiamo infelici per le vie della città vecchia, alla ricerca delle ultime cose da vedere.
Le strade sono sbarrate da una tappa del Giro di Polonia che si corre proprio nella Piazza e così inganniamo l'attesa tornando a passeggiare nel Castello, alla ricerca di questo drago sputa fuoco che scopriamo essere l'ennesima attrattiva a pagamento. La figlia, fortunatamente, non è più una bambina e quindi risparmiamo questa manciata di zloti per spenderne il decuplo in gioielli di ambra, che costano davvero pochissimo. Peccato che, al momento di pagare, io mi accorga che il prezzo della collana che mi sono scelta ha un 1 davanti: balbetto qualcosa alla cassiera, che all'improvviso dimentica l'inglese fluente con cui fino a poco fa ci ha illustrato tutte le meraviglie esposte nelle vetrine e che ora mi parla in polacco stretto, mentre la carta di credito viene inesorabilmente ingoiata nella fessura dell'infernale macchinetta. Ma è quella del marito e fra un po' è l'anniversario e più la guardo e più mi convinco che in qualsiasi modo abbiamo fatto un affare: perchè c'è qualcosa di impagabile che va sotto il nome di ricordi- e se questi rimandano a una città ricca di meraviglie come quelle che ci ha riservato Cracovia in questi giorni, lo sono ancora di più.
(segue)