domenica 21 giugno 2009

Coconut bread ( il plum cake della cecilia)


di Alessandra

cocco bread

Quello che segue è un post datato, che risale al 7 gennaio di quest'anno, quando Genova si è svegliata coperta dalla classica coltre di neve. Il che potrebbe far sollevare il sopracciglio anche al più ben disposto di voi, perché va bene che non c'è più la mezza stagione, va bene che facciamo prima ad aspettare Godot che tre giorni di fila di bel tempo, va bene che anche il bucato di ieri sera è andato a farsi benedire, sotto l'ultimo dei temporali, ma inaugurare l'inizio dell'estate con un memoir della nevicata del 2009 , forse, è un po' troppo.
In verità, però, la neve non c'entra : o meglio, all'epoca era stata la fonte di una serie di ispirazioni culinaria fra cui il mitico plum cake del sottotitolo, ma oggi non ha più nessun senso, anzi: anch'io, come tutti, ho voglia di sole, di vacanze, di aria aperta.
Tuttavia, non posso fare a meno di inserirlo qui ed ora, per il semplice fatto che è da qualche tempo che mi accorgo che a questo blog manca un pezzo e che questo pezzo si chiama Cecilia. Che, nel tourbillon di amicizie della mia vita, è quella che resiste impavida da oltre vent'anni, secondo me perché è l'unica dotata di un seppur minimo bagaglio di doti intellettuali tali da poter riuscire ad apprezzare le mie altissime virtù, secondo lei perché è l'unica che ancora riesca a sopportarmi.
Quindi, siccome questo blog è un diario quotidiano della mia vita, e siccome una bella fetta di quest'ultima la condivido con lei, mi tocca presentarvela, attraverso uno dei ritratti più sublimi che mai siano usciti da questa penna, e non capsico perché, dopo averlo letto, mia figlia mi abbia tenuto i musi per una settimana ( la Cecilia è da anni sulla vetta dell'Olimpo personale della creatura e non accenna a schiodarsi da lì) e sia stata inversata come un guanto da mio marito, perché pare che non sia così che si trattano le amiche. A conferma di quello che dicevo sopra, la protagonista, per contro, ci ha riso alle lacrime, al punto che ancor oggi, a distanza di mesi, quando le ho preannunciato che sarebbe uscita dall'anonimato delle persone reali per diventare un personaggio di questo blog, ha convenuto che migliore presentazione di questa non ci potrebbe essere. Anzi, ha anche aggiunto di metterci il sonoro....

Stamattina ci siamo svegliati sotto la neve. O meglio: voi vi sarete svegliati, perché io sono stata tutta la notte in piedi, a saltellare per casa, un po' per il freddo e un po' per l'eccitazione che ogni volta mi prende quando nevica. Può essere che sia una sintomatologia grave, di sicuro è congenita e non curabile, visto che ce l'ho praticamente dalla nascita, l'ho trasmessa alla figlia e con gli anni peggiora: è che la neve, per me, esalta il lato più bello della parte domestica della mia vita, dai plaid della nonna con un bel libro giallo, fino alle tazze fumanti di cioccoalta calda. Da accompagnarsi, rigorosamente, con un dolce antico, di tradizione, di quelli che, già dalla preparazione, ti riportano indietro nel tempo, a quando queste cose le facevano la nonna e la mamma e tu, al massimo, potevi sperare di pulire la pentola o di avere un pezzetto di pasta cruda, in attesa che fosse tutto pronto. Una torta di mele, una crostata con la marmellata di prugne, un ciambellone soffice da prima colazione, per intenderci. Oppure un bel plum cake, come questo qui, preparato con la ricetta della prima land lady ( che sarà morta e sepolta da vent'anni, mi sa), un trionfo di canditi, di uvetta e di burro, uscito fragrante dal forno giusto ieri pomeriggio e che sembrava quasi aspettasse la neve, per essere mangiato.
Quasi.
Già, perché fra l'operazione di sforno e la nevicata, è arrivata la Cecilia.
Che, per i due o tre che non lo sapessero, è la mia segretaria lionisitica- o meglio: l'incarnazione dell'idea platonica della segretaria: efficiente, puntuale, misurata in tutto...
In tutto, tranne che negli appetiti.
Mai vista persona mangiare di più, giuro: e questo a discapito dell'aspetto da "così piccola e fragile" per cui nessuno, vedendola, si immaginerebbe che dietro quelle fattezze preraffaellite e sotto quei chili di maglioni si nasconda uno stomaco senza fondo, da fare invidia ad intere colonie di struzzi.
E' evidente che parlo a ragion veduta, forte delle decine di cene che l'hanno vista arrivare in rigoroso anticipo, con il solo intento di abbuffarsi prima dell'arrivo degli ospiti. Presentandosi sistematicamente con un " che cosa c'è da mangiare???" e finendo ogni volta per scegliere ora il bigné che tiene in piedi la montagna di profiterol, ora la tartina faticosamente incastrata in mezzo al piatto, ora rovinando tutti gli effetti artistici studiati per giorni dalla sottoscritta e realizzati con sudore, fatica e lacrime.
E sorvolo sulla volta che, con l'intento di aiutarmi, si è fatta fuori tre quarti ( 3/4) del gelato che sarebbe dovuto servire a riempire un panettone da un chilo, sotto gli sguardi atterriti delle mie amiche che ancora non la conosncevano e che non osavano dirmi che, per ogni cucchiaio che finiva al posto giusto, ce n'erano tre che si ingollava beatamente giù dal gargarozzo...
Ieri, ovviamente, non è stata da meno: giulio non aveva ancora finito di tagliare la prima fetta che già era sotto con la mano, "su, su, muoviti che c'ho fame", e poi un'altra e poi un'altra ancora, fino alla completa sazietà. dopodiché, cosa pensate che abbia fatto? Che mi abbia ringraziato, per averle dato la merenda? Che abbia fatto una novena alla befana, per aver avuto in sorte un'amica come me, che son vent'anni che la sostiene, tipo punto di ristoro ai raduni degli Alpini? Che abbia detto, " complimenti, che buono, mi dai la ricetta?"
nossignori: prima si è fatta un garbato ruttino di gradimento che le vetrerie di casa hanno tintinnato per mezz'ora, dopodiché, guardandomi con fare accusatorio, ha sentenziato che c'era troppo burro e infine, non paga di quanto già non avesse fatto, ha iniziato a tirar fuori metri di rotolini di ciccia dalla cintura dei calzoni, dicendomi che adesso, per colpa mia, si sarebbe dovuta fare gli straordinari in palestra e un guardaroba nuovo. Il tutto, ovviamente, sorseggiando una pinta di camomilla- perchè il tè- guai al mondo- le sta indigesto...


COCONUT BREAD

cocco bread




300 g di farina
70 di burro
150 di farina di cocco
300 di zuchero
2 uova
2 cucchiaini di cannella
200 ml di latte
una stecca di vaniglia
2 cucchiaini di lievito

Far bollire il latte e mettere in infusione i semi di vaniglia.
Far fondere il burro e lasciar raffreddare.
Quando latte e burro sono a temperatura ambiente, versare tutti gli ingredienti nel robot da cucina e mescolare bene il composto: dovrà rimanere piuttosto liquido e un po' grumoso, a causa della farina di cocco.
Imburrare e infarnare uno stampo da plum cake da un litro e mettere inn forno caldo a 180 gradi, modallità statica, per 50 minuti. Se dovesse scurire troppo in superficie, cuocete gli ultimi dieci minuti coprendo lo stampo con carta stagnola.
Rispetto ai plum cake tradizionali, che partono da una base di 4/4, questo è molto più leggero: solo 70 g di burro e 2 uova, per un totale di almeno quindici fette di dolce...
Perfetto così, ma anche con banane fresche ( io le odio e non lo farò mai, ma la morte sua mi sa che sia quella) oppure con altra frutta a picere. Se preferite che si senta di più il cocco, dimezzate la cannella o toglietela del tutto.
Va da sè che il plum cake del post fosse quello very british, ma stavolta mi son messa a vento: la stiamo aspettando da un momento all'altro ( la Cecilia, si intende) e non sia mai che mi accusi di averle rovinato la prova costume...
buon appetito
alessandra