giovedì 29 aprile 2010

Lo famo originale???? The Sally Lunn Buns- quelli veri. Oh yeah....

di Alessandra


sally lunn buns

Correva l'estate 1992- e il primo che chiede "dov'è che andava?" lo sbatto fuori da qui per sempre... Ecco, ho perso il filo.
Ricomincio.
Correva l'estate del 1992 quando, per tutta una serie di ragioni che non sto qui a ricordare (fidanzato bastardo incluso) decisi su due piedi di mandare a monte le vacanze con gli amici e di girarmi in lungo e in largo la Gran Bretagna, con mia madre. Se dieci anni prima, quando le ferie da sole erano un miraggio e le estati coi genitori una inevitabile condanna, mi avessero detto che mi sarei passata l'agosto dei miei 26 anni con mammina, minimo minimo mi sarei sparata in bocca. Invece, si trattò di un viaggio bellissimo, "al femminile" al punto giusto e "nostro"al punto giusto, come poteva esserlo un ripercorrere, da adulte e insieme, quelle che, per entrambe, erano state le tappe di una formazione umana, prima ancora che professionale e culturale.
Eravamo partite così, senza prenotazioni e itinerari, forti lei di un'esperienza da vendere, io di un'incavolatura da smaltire, alla ricerca dei tasselli mancanti di un Paese che credevamo di conoscere al km e che, neanche a dirlo, ci sorprese di nuovo, in lungo e in largo- dalla cattedrale di Exeter sotto il temporale alla linea ferroviaria Glasgow - Mahalaig, in un itinerario scandito da quadri, libri e sale da tè: Betty's a York, la chiesa di S. Nicola ad Aberdeen e, soprattutto, Sally Lunn a Bath.
Onestamente, non so se Internet già ci fosse, nel 1992; e, altrettanto onestamente, Bath non era ancora rientrata, nelle mie scorribande mangerecce nella perfida Albione. Altrimenti, mai nella vita mi sarei sognata di entrare con leggerezza in quello che, nel giro di qualche minuto, sarebbe stato destinato a diventare, per me, uno dei templi della gastronomia inglese, icona i tutte le bontà di OltreManica, tappa obbligata nel giro del mondo dei gourmand: perchè è da Sally Lunn che si mangiano i famosi Buns.
Che, con raro acume e con altrettanto raro spirito di inventiva, si chiamano nientemeno che Sally Lunn Buns e che, con adeguata fantasia, costituiscono l'asse portante dell'intero menu del locale, dall'antipasto al dolce. In pratica, cambia la farcitura, ma la base resta inevitabilmente la stessa.
A vederli, potrebbe prendervi un coccolone: nel senso che vi vengono serviti già farciti e tagliati in 4, all'epoca nella sola forma standard- quella da colazione per il reggimento, per rendere l'idea. Basta il primo morso, però, per riconciliarvi con tutto il resto, dalle calorie in poi- perchè, per quanto di pan brioche si tratti, questo ha qualcosa in più che lo rende straordinariamente mobido, umido e versatile, perfetto per il dolce così come per il salato.
E questo qualcosa in più, naturalmente, altro non è che la ricetta segreta.
Toglietevi dalla testa di recuperarla, perchè purtroppo non c'è. Parola della sottoscritta che la cerca dai primi mesi di vita del blog, spulciando siti internet, riviste di cucina, persino i taccuini storici delle ricette vintage: niente di niente. Anzi, le pochissime cose che ho trovato in rete sono delle bidonate solenni, con le taglie forti dei buns mortificati nelle forme delle brioches perchè così ci stanno, in foto, e con ingredienti e proporzioni che tutto fanno presagire, al gusto, fuorchè la delicata morbidezza dell'originale.
Lo dicevo a mia madre, l'altro giorno, pure in chiave lamentosa, " con tutto quello che gira in internet, porco cane, ora c'è pure la focaccia del nonno, possibile che di 'sta meraviglia non ci sia traccia" e stavo già per proporle di rassegnarci a tornarcene a Bath, quando lei mi ha interrotto e mi ha detto che la ricetta, noi, ce l'abbiamo.
Oh yeah.
Presa direttamente dal bancone del locale, nell'agosto del 1992.
Oh yeah 2
Perchè all'epoca ancora era pubblica.
Oh yeah 3
E, come se non bastasse, che il foglietto originale lo aveva dato a me.
Gli oh yeah si interrompono qui.
Perchè se volete avere la certezza matematica di perdere qualcosa, mettetelo su un foglietto e datelo alla sottoscritta. Non lo troverete mai più.
Però, siccome la mamma mi conosce bene, se ne era fatta una copia, conservata gelosamente insieme alle scatole (originali anch'esse) dei buns che portammo a casa, per consolare gli afflitti rimasti ad aspettarci.
Copiare gli ingredienti e metter su l'impasto è stato tutt'uno e vi lascio immaginare l'ansia dell'attesa, resa ancora più lunga da una lievitazione lenta , da una cottura "in crescendo", da tempi di raffreddamento obbligati, che se lo sformi da caldo ti si sbriciola in mano.
Alla fine, 'sto benedetto "primo morso" l'ho dato.
Ed era tutto talmente uguale, ma talmente uguale, ma talmente uguale a vent'anni fa che scommetterei tutto quello che volete che se questa non è la "The Original Recipe" poco ci manca. A voi va bene, ovviamente, per due motivi.
Il primo- che poi è il più importante- è che vi beccate una ricetta superlativa, da straporca figura, facilissima da fare e, almeno finora, diversissima dal "solito" pan brioche.
Il secondo- non meno trascurabile- è che ve la cavate con un post relativamente breve. Intendo dire che per una robina come la madeleine, Proust ci ha scritto qualcosa come la Recherche. Mentre qui sopra ce la sbrighiamo con un semplice oh yeah. Elevato alla enne, si intende...

SALLY LUNN BUNS

sally lunn buns

La "soffiata" dalle cucine di Sally Lunn non è andata oltre le dosi, che vi trascrivo in originale, con traduzione, conversione e modifiche. Per il procedimento, mi sono affidata al solito, vecchio modo per preparare la pasta brioche che, visto il risultato, ha funzionato alla grande

1/3 cup sugar (75 g)
1/3 cup butter (115 g)
1 1/2 tsp salt ( 1 cucchiaino e mezzo di sale fino)
1 cup scalded and cooled rich milk (250 ml, latte intero, scaldato e fatto raffreddare)
1/4 cup warm water (60 ml di acqua tiepida)
1 c. yeast ( qui, non si è capito: nel dubbio, una bustina di lievito secco)
3 eggs beated (leggermente sbattute, sul grosso)
4 cup flour, sifted (500 g di farina setacciata)

sally lunn buns

Ho fatto sciogliere il lievito nell'acqua tiepida, insieme ad un cucchiaino di zucchero e, appena son cominciate le bolle, ho aggiunto tutti gli altri ingredienti, latte tiepido incluso.
Ne ho ottenuto un impasto molto appiccicoso, tant'è che ho dovuto aggiungere 2 cucchiai di farina e lavorare molto: almeno 10 minuti con l'impastatrice. Il consiglio, come sempr,e è di procedere con cautela, quando si tratta di aggiungere i liquidi.
In ogni caso, alla fine, ho ottenuto un impasto meraviglioso, liscio e molto idratato.
Ho fatto lievitare fino al raddoppio: circa un'ora e mezza, come succede per gli impasti grassi.
Poi, ho abbattuto l'impasto, l' ho rimpastato a mano per altri 5 minuti e l' ho suddiviso in due stampi: l'ideale sarebbe stato lo stampo da panettone basso ma, in mancanza di quelli, ho usato uno stampo da soufflè (il più piccolo, quello in foto) e uno più grande da timballo. La misura giusta è la prima, tant'è che il bun stava perfettamente nella sua scatola, neanche a farlo apposta.
Seconda lievitazione, anche qui fino al raddoppio, e poi in forno: li ho infornati con il forno freddo e la temperatura programmata a 180 gradi, per mezz'ora, li ho lasciati raffreddare e poi li ho sformati.
Potete farcirli come volete- il classico è con burro fuso, salmone affumicato e aneto nella versione salata, panna e marmellata di fragole in quella dolce- perchè sono buoni in tutti i modi. L'unica critica, neanche a dirlo, è venuta dal marito, che li ha trovati troppo dolci. Nulla vi vieta di ridurre lo zucchero, ovviamente: però, in quel caso, non chiamateli Sally Lunn Buns...
buona giornata
Ale

English Version

SALLY LUNN BUNS

sally lunn buns



domenica 25 aprile 2010

Lemon Chess Pie


di Alessandra


lemon chess



Il primo che ride lo anniento.
Ma anche no: anche perchè, detto fra noi, se questo dolce non avesse avuto questo nome, col cavolo che lo avrei preso in considerazione. Solito flan al limone, avrei pensato, privandomi per altro di una rielaborazione goduriosa e robusta di un classico un po' abusato e sbiadito. E' chiaro, però, che in questo caso il gusto è passato in secondo piano, schiacciato da tutta una serie di battute più o meno penose, tutte raggruppabili sotto l'etichetta del "che cesso di torta".
Non ne è stata immune neppure la Dani che giusto ieri sera, mentre decidevamo la scaletta della settimana, è passata da una blanda perplessità (un flan? ma non ne hai appena messo uno?) al contenuto entusiasmo da ritratto di signora in un giardino che mai la abbandona (la torta cesso, sì,si, metti la torta cesso, bambineeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee, la ale ha fatto la torta cessooooooooooooooooooooooo). Per cui, insomma, oggi vi tocca.
Se non fosse perchè sono le otto di domenica mattina e ho buttato via metà nuttata in ginocchio davanti al forno a supplicare un impasto che di lievitare, proprio, no ne voleva sapere, vi sciorinerei un elenco infinito di nomi "stranieri" che da noi hanno significati e risonanze ben diverse rispetto alla loro patria d'origine. Su due piedi, mi viene in mente il mitico Trapattoni con Strunz o le contorsioni dei miei amici inglesi, nell'allora più fornito negozio di dischi di Genova, di fronte ad un LP dei Dik-Dik, per non contare le figuracce che ci hanno sempre accompagnato, nella -in quel caso, si- perfida Albione, ogni volta che chiedevamo un "piss of cake".
Vi dò licenza di uccid... ops, di supplire ai miei vuoti di memoria, mentre vado a schiarirmi le idee con il terzo caffè, certa che la squisita sensibilità che da sempre contraddistingue chi passa di qui non mancherà di brillare anche in questa occasione. In cambio, prometto un piatto di fumanti galushki (ma solo per i Genovesi: per il resto del mondo, sono meravigliosi gnocchi dell'Europa dell'Est)


LEMON CHESS PIE

lemon chess

Dicesi fantozzianamente "lemon chess" un dolce del Sud degli Stati Uniti, la cui caratteristica è quella di avere una base di pasta brisè. Quindi, poco dolce. Al pari della quasi totalità dei dolci anglosassoni, poi, è di una semplicità disarmante, visto che si tratta di mescolare insieme gli ingredienti, riempire il guscio ed infornare. Il risultato, come sempre, è sorprendente e, se vi piace il limone, è un'altra di quelle cose da "to do list", senza se e senza ma.

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per 8/10 persone

tortiera 24 cm
pasta brisèè
3 uova più un tuorlo
125 ml di latte
250 g di zucchero
50 g di fecola
55 g di burro pomata
il succo di mezzo limone
la scorza grattugiata di un limone
un cucchiaino di estratto di vaniglia
un cucchiaino di sale
un cucchiaino di essenza di limone (giammai!!!)

la ricetta originale dice di rivestire una teglia di pasta brisèe, di mescolare insieme tutti gli ingredienti e di far cuocere a 180 gradi per 45/50 minuti
Siccome siamo in presenza di un ripieno liquido, io ho fatto una cottura in bianco, di una decina di minuti.
Quindi: ho imburrato una tortiera e vi ho steso la pasta brisèe: la tortiera che vedete nella foto è troppo piccola, rispetto alle dosi. La torta, infatti, deve diventare più bassa: quindi, usate una teglia da 24 cm.
Dopodichè, ho coperto il fondo con un foglio di carta da forno, l'ho cosparso di fagioli secchi e ho fatto cuocere per 10 minuti a 180 gradi.
Nel frattempo, ho mescolato tutti gli altri ingredienti, in quest'ordine
- ingredienti solidi: fecola, sale, zucchero (setacciati)
-ingredienti liquidi: latte, uova, succo di limone (leggermente sbattuti )
li ho poi amalgamati, mescolando con una frusta (non devono rimanere grumi) e in ultimo ho aggiunto la scorze di limone e l'estratto di vaniglia.
Ho riempito il guscio di brisèe e ho infornato per 40 minuti: una volta cotta, la superficie sarà leggermente brunita e "tremula" solo al centro. Lasciate raffreddare e vedrete che acquisterà consistenza uniforme.
Se vedete che la superficie scurisce troppo, copritela con un foglio di alluminio, negli ultimi 10 minuti di cottura.
Si serve fredda, cosparsa di zucchero a velo. Gli Americani, impavidi, ci aggiungono pure la panna montata, ma io non ce l'ho fatta. Mi sono limitata a nappare con un cucchiaio di confettura di fragole, ma più per dar colore che per altro. Per me, è buona di suo, senza tante aggiunte.
Buona Domenica
Ale


English Version

LEMON CHESS PIE

lemon chess

giovedì 22 aprile 2010

Americano solido- Senza ghiaccio, ma con le bollicine...







La prima volta che ci siamo trovati di fronte all'Americano solido è stata da Moreno Cedroni, nell'ormai lontano 2006. Come dire, siamo partiti dall'originale, oltre che dal gradino più alto, e vi anticipo subito, se mai ce ne fosse bisogno, che per quanti tentativi si sia fatto per riprodurlo, non ci siamo neanche lontanissimamente avvicinati a quello che era stata l'apertura di una delle cene più spettacolari e divertenti che ci si sia mai concessi, a quei livelli. Alla fine, abbiamo desistito, accontendandoci della sola parte solida (l'originale si basa su tre consistenze): capovolgendo Jame Morrison, se la paragoniamo ci deprime, ma se la consideriamo, ci esalta abbastanza.



Chi invece si esalta del tutto sono i nostri amici, quando se lo trovano davanti. Il che significa che che cominciamo già bene, con sguardi spiritati, gridolini di giubilo e tutto quanto fa gravi segni di squilibrio mentale. In più, la fregatura di questi cubetti è che sono come le ciliegie anzi, se possibile, anche peggio: perchè le ciliegie non ubriacano, mentre questi sì- e pure di brutto.

Avrei un'anedottica infinita su quello che è accaduto in casa nostra negli ultimi anni- da ospiti brasati sul divano ad altri dispersi nelle retrovie, per non parlare di ciò che è uscito dalle nostre bocche, nonostante le lingue ispessite, tanto che io e Giulio ci ripromettiamo ogni volta di non prepararlo più.
E invece, ci ricaschiamo sempre.
E sabato scorso non ha fatto eccezione

Col senno di poi, la nube vulcanica è stata provvidenziale, perchè non voglio pensare a quale sarebbe stato il livello del concerto il giorno dopo. Per carità, come mi facevano notare i miei amici, per stendere una russa ci vuol altro: però, vista la immonda degenerazione della serata, fidatevi, è stato meglio così.

La colpa, però, è stata anche della forma: di solito, lo facciamo solidificare in un contenitore lungo e basso, per cui quando lo si sforma, non ha nulla di fascinoso. Stavolta, invece, ne abbiamo usato uno rotondo, dai borsi un po' scanalati e così, una volta messo sul piatto, non abbiamo resistito e lo abbiamo presentato direttamente così

americano solido


Nella mia idea, doveva essere un semplice divertissement: per quei disgraziati, invece, ha significato il via libera per magiarselo a fette, anzichè a cubetti.
Tempo un quarto d'ora, eravamo tutti allegri, dopo mezz'ora ridevamo come degli scemi e, dopo un'ora, non mi ricordo più. So solo che vedevo le parole che uscivano dalla mia bocca prima che riuscissi a riacchiapparle ed avevo immagini confuse di chi arraffava i bicchierini che sarebbero dovuti tornare in cucina, pieni fino all'orlo delle "briciole" della torta, chi veniva sorpreso con due cucchiaini e chi, non pago dell'indigestione, ne aggiungeva una cucchiaiata al piatto del dolce- e questo dopo averlo .... a sangue tutta la sera, perchè non c'era il ghiaccio.

americano solido


In compenso, però, abbiamo avuto le bollicine: perchè le due disgraziate under 18- a cui l'Americano è stato ovviamente interdetto- vale a dire la creatura e la figlia n.2, hanno avuto la bella pensata di aprire il mega puff in camera della figlia, con conseguente fuori uscita di tutte le palline elettrostatiche, trascinandole per ogni angolo della casa, al grido di "c'è la neve!!! c'è la neve!!!"- e questo da sobrie.

La prossima volta, vado di brut. Lo giuro

AMERICANO SOLIDO/O GIU' DI LI'

americano solido

Preparare un Americano con 200 g di Martini Rosso, 200 g di Bitter Campari e 100 ml di acqua. Ammollate 20 g di colla di pesce in acqua fredda e fatela sciogliere in poca acqua bollente, in una pentola capiente. Lasciar intiepidire e aggiungere l'Americano direttamente nella pentola, a poco a poco, mescolando con una frusta. Questo procedimento serve per evitare lo choc termico e la conseguente formazione di grumi. Mettete il cocktail in una vaschetta per alimenti, meglio se con i bordi bassi e lasciate in frigo per 24 ore. Servite tagliato a cubetti e guarnito con spicchi d'arancia.
Non rispondo di nulla
Ale

SOLID AMERICANO(COCKTAIL)

americano solido


quanto mi girano... p(R)alline al pistacchio, acqua di rosa e cioccolato bianco

di Alessandra
palline al pistacchio

Indovinate un po' con chi ce l'ho?
1. con Genova Parcheggi
2. con Genova Parcheggi
3. con Genova Parcheggi

Vi dico l'ultima, perchè possiate regolarvi. In tutti i sensi.
Ieri pomeriggio parcheggio la mini a 6 minuti a piedi dal posto dove devo andare e pago un'ora di parcheggio, per un totale di 2 euro. Sono le 15.07.
Parentesi: il fatto che non ci fosse un nanosecondo libero nei sei minuti di percorrenza non significa che nella zona si possa posteggiare impunemente: da noi, l'unico posto dove non paghi è a un metro da terra, ma guai a te se ti lamenti, perchè scattano subito i sostenitori di turno a dire che se così non fosse, non ci sarebbero posteggi, in città. Per cui, gira mezz'ora a vuoto, paga 2 euro per 60 minuti, fatti mezzo chilometro a piedi come minimo ogni volta- e , soprattutto, taci, perchè il diritto al mugugno non abita più qui. Chiusa parentesi.
Esco dallo studio dove dovevo andare alle 16.05: non corro, però, perchè mal che vada, se anche avessi il foglietto del pagamento scaduto, regolo sul posto e non se ne parla più. Anzi, già che ho la ventata d'ottimismo, mi spingo un po' più in là e arrivo nientemeno a pensare che non possa esistere un posteggiatore tanto bastardo da farti la segnalazione allo scadere dell'ultimo rintocco.
Ci azzecco a metà: il foglietto sul parabrezza, rilasciato alle 16.10, c'è. Del parcheggiatore, invece, neppure l'ombra.
Guardo l'ora e la traduco in Genovaparcheggense: sono le 16.13, ho 6 minuti di ritardo, con 20 cent. me la cavo
Inizio a smoccolare al terzo minuto, quando passo nell'isolato successivo e nella fascia oraria successiva (4o cent, I suppose), senza che si veda nessuno. L'argomento della tiritera è quello ormai consunto, che inizia con "già che ci fanno pagare, perchè almeno non ci mettono in condizione di farlo???" su cui però mi soffermo poco: alle 17.00 arrivano i mobilieri e devo essere a casa.
Ci arrivo un po' prima e scopro che posso pagare la differenza direttamente al parchometro, nella via dove abito. Che, per inciso, è un viale largo 20 metri e lungo un km, costeggiato da- azzardo- dieci palazzine, sui due lati, tutte munite di box e con un numero ridotto di inquilini, accessibile da una crosa strettissima e in cui, quindi, non c'è praticamente passaggio. E dove, naturalmente, paghiamo la tassa per parcheggiare
25 euro l'anno, la prima macchina, 300 la seconda
In ogni caso, ho il parcometro a un tiro di schioppo e leggo le istruzioni per pagare 'sta benedetta differenza, che ormai, per altro, è salita a quasi due euro: per il pagamento al parcometro, digitare il codice utilizzando la tastiera come quella del telefono cellulare.Per immettere le lettere, digitare fino a far apparire il carattere desiderato.
Niente da fare. Per quanto digiti, non posso procedere con le operazioni.
Rileggo le istruzioni, le seguo alla lettera, ma invano.
Salgo a casa come una furia e mi attacco al telefono.
" deve schiacciare il tasto arancione"- è la risposta.
Replico, chiedendo come faccio a capirlo, visto che, oltretutto, il suddetto parcometro sembra la tavola dei colori, con tutti i pulsanti che ha.
"signora, basta saper leggere"

palline al pistacchio

Alla fine, schiacciando l'arancione, si paga. Sono le 17.19, e ho in mano i due euro e 40 previsti (2 euro l'ora più 20 cent ogni 10 minuti). E invece no, sopresa: 4 euro e 40: perchè, udite udite, con non so quale nuova disposizione, entrata in vigore da non so quando, appena ritardi di un minuto, scatta la multa di due euro.
Capito?
Non è che tu possa regolare in loco, come prima, pagando un suolo pubblico oltretutto già gravato di ogni tipo di tasse. Nossignore. Hai osato non rispettare l'orario? Paghi il dovuto, più due euro di multa, per punizione.
Il problema è che, per quanto mi ci stia scervellando sopra, non ho ancora capito di che cosa dovrei (dovremmo) essere puniti. Nel caso di ieri, per esempio, ero in assoluta buona fede: prevedevo di sbrigarmela prima e se sono arrivata in ritardo di ben 6 minuti non è stato certo per colpa mia. Ma se anche decidessi di pagare un'ora e poi dovessi arrivare mezz'ora dopo, non vedo dove starebbe il problema: pagherei comunque, per tutto il tempo in cui ho usufruito del parcheggio, giusto? quindi, perchè multarmi? perchè trattarmi come un malintenzionato e un delinquente, umiliandomi nella mia dignità di cittadino, di Genovese e di persona?
Per carità, lo so bene che son solo due euro e, anzi, vi dirò di più: se la nostra amministrazione mi chiedesse di contribuire ogni giorno con due euro ad un qualsiasi progetto per migliorare la vivibilità della mia città, io lo farei volentieri. A patto che il progetto venisse attuato senza tante chiacchere e, sopratutto, senza nessuna conversazione intorno a un tavolo, come qui da noi si chiama il de profundis per qualsiasi inziativa sensata. Ma se i due euro sono il prezzo a cui si quotano la mia onestà, il mio senso civico, la mia fatica di amare una città resa ogni giorno più estranea e lontana, allora, se permettete, mi indigno, mi arrabbio, mi infurio e, perchè no?, mi preoccupo anche: perchè se questo è il prezzo a cui si svendono certi valori, non oso pensare a cosa potrà esserci dietro l'angolo. oltre al parcometro, naturalmente: quello, c'è già.


PRALINE DI PISTACCHIO
da La Pasticceria- Biblioteca di Repubblica- L'Espresso, vol. 4

palline di pistacchio alla rosa


300 g di pistacchi sgusciati
30 g di cioccolato bianco
20 g di mandorle macinate
1 cucchiaio di acqua di rose
1 cucchiaio di zucchero semolato

La ricetta prevede di pestare i pistacchi nel mortaio, aggiungendo via via acqua di rose, fino ad ottenere una massa morbida. Io ho fatto tutto nel frullatore, ovviamente. Dopodichè, si aggiunge il cioccolato bianco grattugiato, si amalgama il tutto ocn le mani e si formano tante palline (una ventina, con queste dosi) che vengono fatte rotolare nelle mandorle macinate. Un'ora in frigo, prima di servirle
Buon Appetito
Alessandra



lo famo normale??? mousse al cioccolato

di Alessandra
mousse al cioccolato
Mia mamma ha sempre raccontato che, quando io e mia sorella eravamo piccole, in occasione di un Natale avevamo ricevuto così tanti regali che lei e mio papà ne avevano fatto due file che, dai piedi dei nostri lettini , si snodavano per tutta la casa, fino ad arrivare a sotto l'albero. Tempo due ore, giocavamo con le scatole, i giocattoli dimenticati chissà dove, sotto gli sguardi attoniti dei nostri genitori a cui , come ebbero a dire infinite volte da allora, "avevamo voluto dir loro qualcosa". Che cosa, non l'ho ancora capito adesso, ma siccome non mi andava di rovinare l'effetto finale della narrazione, mi son sempre tenuta 'sti dubbi per me, godendomi il superfluo dei Natali successivi (Pasque, compleanni e onomastici inclusi)
Ieri pomeriggio, sono andata a far la spesa. Il frigo piangeva, la dispensa non era messa meglio, avevo pure un'ora libera, insomma, le condizioni per scatenare la "fudblogga"che c'è in me c'erano tutte. E così, ho iniziato a curiosare fra tutti i banchi, sfogliando mentalmente archivi e sacti testi, in attesa della folgorazione, avvenuta nientemeno che davanti a una montagna di patate novelle. Che, a casa mia, vogliono dire roast beef all'inglese. E così, in vile spregio della fava tonka e del grano arso, la cena di ieri è stata la roba più normale che mai abbia prodotto in questi ultimi anni- e meno che mai da quando ho il blog.
Non solo hanno mangiato tutto, senza storie- ma hanno anche lanciato spontanei peana verso il cielo: questa cottura della carne è perfetta (20 minuti a 200 gradi), queste patatine sono la fine del mondo (dritte in teglia, olio burro timo e sale), faccio un po' di puccetta con quest'ottimo pane (bianco) in ques'ottima salsina (il sugo naturale del roast beef). In più, ho riordinato la cucina nel tempo record di 5 minuti, senza neppure bisoogno di lavare per terra. Che anche a me, si voglia insegnare qualcosa??????
MOUSSE AL CIOCCOLATO
(senza tuorli)

mousse al cioccolato

da Cioccolato- Le Cordon Bleu
per 6 persone
140 g di buon cioccolato fondente
3 cucchiai di zucchero
2 chiare d'uovo
1 foglio e mezzo di colla di pesce
1 cucchiaio di caffè istantaneo
500 ml di panna

Due o tre cose sugli ingredienti
Per "buon cioccolato fondente" a casa mia si intende un cioccolato con una percentuale di 70-max 72%di cacao. Non al di sotto.
Il caffè è facoltativo: a noi non piace, quindi o la prepariamo liscia, oppure con del liquore (Cointreau, Whisky, meno spesso Rhum). Nulla vi vieta di aromatizzarla come volete, anche con le spezie (pepe bianco e cardamomo su tutte)
la gelatina si può omettere. Io la uso solo se la mousse mi serve per farcire qualche torta: in quel caso, ho bisogno di consistenze più stabili: altrimenti, no.
Gli albumi: anche tre e sempre montati con il metodo della meringa italiana

Metto il mio procedimento, con tante scuse a Monsieur Le Cordon Bleu
Con i 3 cucchiai di zucchero, preparo uno sciroppo: grosso modo con 100 ml d'acqua e faccio addensare. E' importante che sia ben denso, perchè sennò gli albumi si smontano
In contemporanea, sciolgo il cioccolato a bagnomaria
Poi monto la panna, che incorporo, a cucchiaiate, al cioccolato fuso, facendo attenzione a che non smonti
Monto benissimo gli albumi e poi, sempre montando, aggiungo lo sciroppo leggermente intiepidito, fino ad avere una meringa lucida. di nuovo, incorporo alla mousse.
Se devo aggiungere la gelatina, la faccio sciogliere in due cucchiai di panna liquida: lascio raffreddare e poi aggiungo al cioccolato fuso, mescolando bene.
Se uso un liquore per aromatizzare, uso quello come liquido per sciogliere la colla di pesce.
Qualche ora di riposo in frigo- ed è pronta
ciao
Ale

martedì 20 aprile 2010

DEL FUROR D'AVER LIBRI (APRILE)

 Libri comprati

Brendan O'Carroll Agnes Browne Mamma (requisito dalla figlia, già a pag. 100 e qualche cosa: giudizio: in quello di prima, c'erano storie serie, scritte in modo comico; qui ci sono storie comiche, scritte in modo comico. Pare che a pagina 100 si pianga, di più non ho carpito)
Fred Vargas: Prima di morire, addio- Einaudi, 16.50. Ambientato in Italia- o meglio, nella Città del Vaticano, senza Adamsberg ma con personaggi del tutto nuovi
Gianrico Carofiglio- Una notte a Bari- Laterza, 10,00 David Safier- L'orribile Karma della formica. Sperling &Kupfer, 17.90 Laurence Cossè, La libreria del buon romanzo, edizioni e/o, 18.00 Giuseppina Torregrossa, Il conto delle minne, 18.50 Hermann Koch, la Cena, Neri Pozza, 16,00 Christopher Isherwood, Un uomo solo, Adelphi, 16,00 Eva Cantarella, Sopporta Cuore- la scelta di Ulisse (Laterza, 10,00- per la creatura)

Su Mondadori, Laterza, Adelphi e qualche altra casa editrice c'è lo sconto del 25 %

Due note veloci
Sta per scadere il termine della lettura collettiva: l'ho spostato al 21 di aprile (Natale della Dani, estote parati) perchè martedì sono a Cremona e presumo di tornar tardi. Honni soit qui mal 'y pense, perchè lo slittamento della data non ha nulla a che vedere con il tardivo acquisto di Un Uomo Solo. E' che io mi riduco sempre all'ultimo e stavolta non ha fatto eccezione. Va da sè che non lo confesserò mai, neppure sotto tortura, e dirò semmai che l'ho fatto per non farmi tentare dalle domande con cui state tentando di carpirmi un giudizio- dalla posta privata a via venti settembre.
all'altra domanda che fate- e cioè il cosa faremo- provo a rispondere qui. Pensavo di fare così- e poi ditemi se siete d'accordo. Comincio io, ma con l'essenziale, ossia dicendo solo ciò che del libro mi ha colpito di più, in positivo o in negativo. Dieci righe in tutto, tanto per darmi un termine. E poi si va avanti. L'appuntamento è per le 20.00, così riusciamo ad arrivarci tutti, ma il post, naturalmente, non si chiude, anzi: lo mettiamo in HP, così da poter intervenire ogni volta che si vuole, con contributi, botte e risposte. Va da sè che, essendo la prima volta, sarà un esperimento: se va bene, ok, e sennò miglioreremo via via

Cosa sta andando bene sono invece i consigli e gli sconsigli, tanto che pensavo di pubblicarli di settimana in settimana, al mercoledì (così, abbiamo anche tappato la serata libera del blog: lunedì cartolina, martedì rece, mercoledì consigli&sconsigli, giovedì cartolina, venerdì del furor). Voi continuate così, che va benissimo. Anzi, sugli sconsigli siete perfetti....

Sto leggendo- a rilento, purtroppo, con immenso rammarico- Strane Creature di Tracy Chevallier. Cercherò di parlarvene meglio il prima possibile, ma è davvero un romanzo di gran classe. La mia copia ha pure la dedica dell'autrice, la qual cosa mi esalta ancora di più.

Besos
Ale

domenica 18 aprile 2010

Una serata...."vulcanica"....

di Alessandra

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Mi scuso con i lettori del solo blog, perchè questo post somiglia molto di più ad una niusletter: tanti fatti miei e pochissime ricette. E metto anche le mani avanti con "quelli della nius"- che intanto domani qualcosa di nuovo vi tocca comunque, perchè figuriamoci se qui si sta 24 ore senza che succeda niente di strano. Solo che quello che ci è capitato ieri non può aspettare fino a domani e io oggi mi sento un po' come il servo di Re Mida, che aveva svelato al canneto il segreto delle orecchie d'asino del suo padrone: in altre parole, bisogna che lo racconti....

zabaione al cointreau

Sintetizzo l'antefatto: una mia amica cura l'Ufficio Stampa di una importante Associazione musicale genovese e, durante un caffè, sentendo che la sera stessa deve accompagnare il concertista di turno al ristorante, non riesco a trattenere l'anima di P.R. che è in me (Pranzi & Rinfreschi) e mi aggiudico l'evento successivo: una pianista russa e un violoncellista coreano per un cocktail da me il sabato dopo.
Vale a dire ieri.
Naturalmente, inizio a carburare il giovedì ma, al sabato mattina, ci sono una spesa fatta, un menu semi preparato e un denutrito parterre di ospiti per una serata che si annuncia come lieve ma intensa, moderatamente mondana, disinvoltamente internescional, insomma, la classica serata perfetta.

palline di pistacchio alla rosa

La prima delle ferali notizie è arrivata dal parrucchiere: la pianista è bloccata a Londra dalla nube del vulcano. Il violoncellista, però, da buon orientale, arriva.
Che arrivi in treno, però, lo sappiamo alle cinque della sera, a due ore dall'inizio del cocktail, quando praticamente è tutto pronto. La mia amica è mortificata, ma di alternative non ce ne sono: l'ubi maior sono il concerto, la concentrazione, il riposo e, per quanto comodo sia il vagon lit della linea Saigon - Genova, due ore in più di sonno sono esiziali, in questi casi.

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Il tempo di spegnere il mio cellulare, ed il marito si era già attaccato al suo, reclutando le truppe cammellate dei Palati Fini che, dando prova di commovente fedeltà alla tovaglia, ora facevano brusche inversioni dalla via che li portava a cena dalla suocera, ora rinunciavano impavidi al riciclo avanzi con i vicini di casa, ora resistevano alle tentazioni del frigo pieno di yogurt allo 0,0000000001%di grassi e si presentavano tutti puntuali sulla soglia di casa nostra.

Fin qui, tutto normale. Cioè, non è proprio all'ordine del giorno che un cocktail venga cancellato all'ultimo momento ma, se ciò avviene, è altamente probabile che si recuperi qualche amico per tamponare il danno. Quello che normale non è, invece, è il timore- anzi, no: l'agghiacciante terrore- che avevo io, di fronte alle reazioni dei nostri amici al menu della serata.

mousse al cioccolato

Passo indietro. L'aulico titolo di Palati Fini appartiene ad una nobile et ristretta cerchia di amici che da anni si piegano a fare da cavia a tutti gli esperimenti culinari della sottoscritta. Non ho mai capito che cosa ci sia dietro a questa perseverante acquiescenza- se sincero amore per la buona tavola o sincera compassione per me- oppure appetiti insaziabili che li spingono ad ingozzarsi di tutto, alla faccia della minima funzionalità delle papille gustative: di fatto, però, ogni cena con loro significa in automatico qualche proposta innovativa dalla cucina. Che sia buona o cattiva, è secondario. L'importante è che sia nuova.

Se non chè, vista la nazionalità degli ospiti, ieri sera c'erano pizzette e trofie al pesto.
Un'ignominia.
E come se ciò non bastasse, le trofie erano comprate e- ignominia delle ingominie- il pesto PURE.
Praticamente, mi sarei giocata la carriera in due mosse. Pizzetta/Troffia al pesto/ Scacco matto.

americano solido

La prima ad arrivare, neanche a dirlo, è stata la Cecilia. Che, neanche a dirlo due, è entrata, è andata dritta in cucina, si è tolta la giacca e si è assisa sullo sgabello, non prima di aver addentato una delle pizzette pronte ad entrare nel forno.
"che schifo!!!"
Ci siamo: detto da lei, che è una specie di Packman vivente, equivale a una condanna senza appello.
"sono fredde!!!"
Gliene passo una calda e, quando arriva alla terza, senza proferir parola, inizio a pensare che, se ben mimetizzate con il resto degi appetizers, le pizzette riesco ad imboscarle. Anche perchè nel frattempo la Cecilia attacca la quinta e se gli ospiti ritardano, magari riesce pure a farsele fuori tutte.
Il problema è il piatto caldo. Quello, non lo mimetizzo per niente. Non ho alternative, non ho altri ingredienti, non ho le forze per cucinare daccapo qualcosa di nuovo. Però, penso, non sono mica Palati Fini per niente. Cioè, intendo dire: anche a loro, di mangiarsi le solite trofie al pesto, cosa vuoi che gliene possa importare? Con tutte le altre cose che ci sono...
Glelo dico
" Sentite, prima di aprire le danze: io di là ho tre chili di trofie del pastaio, ma le avevo prese solo per gli ospiti, capito, una russa, un coreano, mica potevamo fargli i blinis o le polpette di granchio, giusto? solo che non so se sia il caso di buttarle, cosa dite, lasciamo stare?"
Silenzio
"Fra l'altro, c'è un'insalata di farro strepitosa, tutta con prodotti del territorio, una figata immensa, poi il farro riempie, a volte è anche un piatto unico...."
Silenzio. Tacciono pure le taglie 38/40.
" Non so... dite voi...."
Dal fondo, il primo assist
" Magari ne buttiamo due per i bambini..."
"Ma fai anche tre, guarda..."
"Anche quattro..."
Due chili. E, quel che è peggio, che si sono infilati tutti in quel buchetto che altrove si chiama coriandolo e a casa mia si chiama cucina, per controllare che le buttassi davvero. E le scolassi al punto giusto. E le condissi come si deve. Fingendo di chiacchierare dei massimi sistemi, ovviamente: " come avrai letto nell'ultimo articolo di... un po' più di sale....d'altronde, con questa crisi, gli scenari non son poi mica tanto... secondo me son cotte... che poi bisogna vedere la maestra... senti , Ale, piglia un po' 'sto Parmigiano e mettilo in tavola con la grattugia, su, che c'abbiam fame..."
Superfluo aggiungere che non sia avanzato nulla, scarpetta nel pesto compresa. L'unica che, fedele alla linea, si è astenuta, è stata mia sorella. Che però si è fatta fuori una cinquantina di pizzette, bontà sua....

Il resto, nei prossimi giorni
ciao
Ale



venerdì 16 aprile 2010

sformati di gamberi e capesante in salsa di zafferano




sformato capesante gamberi

Se mi guardo indietro non ho pentimenti. Dovessi ricominciare, farei esattamente tutto quello che ho fatto. Tutto. Mi risposerei anche. Con un'altra, naturalmente.(Raimondo Vianello)

Io, si sa, sono una laudator temporis acti. Se così non fosse, non mi sarei presa una deprezzatissima e disprezzatissima laurea in lettere antiche, non amerei la Storia in modo così viscerale e non starei a rimpiangere gli echi delle musiche finite e a voler preservare i miei ricordi dalla foga del tempo che fugge.
E' per questo che ogni tanto rispolvero le ricette di famiglia, metto in moto il carillon di mia nonna, mi danno l'anima a spiegare a mia figlia e a mio nipote la lezione del passato e, sempre più spesso, mi sento estranea ad un presente che non mi appartiene e ad un futuro che mi fa paura.
Ed è per questo che stasera piango Raimondo Vianello. Lo piango come attore, come personaggio e come uomo: perchè era un comico sopraffino, un caratterista geniale, una persona per bene. Ma soprattutto lo piango come ultimo rappresentante di un intrattenimento garbato, che sapeva graffiare senza mai scadere nella volgarità, fulmineo nelle battute senza essere mai sopra le righe, intriso di una cultura disinvolta, mai ostentata e sempre coniugata nelle forme della signorilità e della misura.
Per me era l'ultimo argine rimasto a trattenere una volgarità ormai divenuta misura di tutte le cose, un'ignoranza crassa esibita come un vanto e questo circo di nani, ballerine, adulatori e vanesi che da tempo si è impadronito della nostra televisione, tanto più urlata quanto più vuota.
Mi fermo qui, perchè non amo la retorica e neppure i piagnistei: in fondo, abbiamo quello che ci meritiamo e tanto basta. E tuttavia, sapere che se ne è andato anche lui, mi fa davvero tristezza. Tutto qui.

SFORMATO DI GAMBERI E CAPESANTE IN SALSA DI ZAFFERANO



sformato capesante gamberi

La ricetta proviene da un blog francese di cui ho perso le tracce: ne trascrissi le dosi su un foglietto, al volo, in una traduzione per giunta sgarruppata, tanto che qualche dubbio sulla corrispondenza con l'originale mi viene. Ciononostante, resta uno dei miei antipasti preferiti, tanto che le foto che vedete risalgono ad un po' di tempo fa, quando avevo bisogno di una "liscia porca figura". Era anche finito in fondo alla dispensa del blog e chissà quanto sarebbe rimasto lì se ieri Giulia non avesse pubblicato una salsa allo zafferano che ricorda molto da vicino quella in abbinamento a questo sformato. E' una ricetta che fa scena ma molti facile da preparare, con il pregio di poter essere surgelata- da cruda, ovviamente- e preparata in anticipo, con l'avvertenza di non aggiungere le uova, se non al momento della cottura. Le dosi della salsa sono abbondanti e, a meno che non vogliate affogarci gli sformati, ve ne avanzerà un po', quel tanto che serve per condire una pasta veloce, magari passata anche al forno

sformato capesante gamberi


per 6 persone
375 g di gamberi (o mazzancolle)
250 g di capesante
1 uovo intero e un tuorlo
125 g di ricotta
2 cucchiai di succo di limone (io uso la scorza grattugiata di un limone)
125 ml di panna
aggiunta mia: prezzemolo

per la salsa allo zafferano
30 g di burro
30 g di farina
185 ml di brodo di pollo (ecco, questa per me è un'eresia: io uso il brodo di pesce, direttamente con gli scarti dei gamberi)
125 ml di panna
zafferano in pistilli ( sennò una bustina)
erba cipollina per decorare (io non la metto, c'è il prezzemolo negli sformati)

sformato capesante e gamberi

Si inizia pulendo i gamberi e le capesante: per queste ultime, è necessario lasciare il corallo. Sentite, fuori dai denti: io le capesante fresche non le sto a comprare, per questa preparazione. E' tutto cotto e "contaminato" e , oltre a non valerne la pena dal punto di vista economico, sarebbe un mezzo delitto sprecarle così. Ho un "pusher" di fiducia, che me le procura surgelate, con il loro corallo e per me sono perfette.
Mettete da parte gli scarti dei gamberi (ricordate di togliere le teste) e fate un fumetto di pesce, con acqua, prezzemolo, limone e un po' di sale.
Tritate finemente le capesante e i gamberi, ambedue crudi e incorporateli al resto degli altri ingredienti, mescolando bene
Imburrate 6/8 stampini monoporzione e infornate a 180 gradi per 30 minuti o fino a quando saranno belli gonfi e dorati. Potete anche cuocerli a bagnomaria: nel qual caso, aumentate i tempi di cottura.

Per la salsa, si parte da un roux al quale si aggiunge il brodo, come per fare una bechamelle. Quindi fate fondere il burro, unitevi la farina, mescolate bene fino a quando i due composti si amalgamano e, a fiamma bassa, incorporate il brodo a poco a poco, semre mescolando. Portate a bollore, aggiungete lo zafferano e aggiustate di sale e pepe. Togliete la pentola dal fuoco e aggiungete la panna.

Componete il piatto.
Lasciate intiepidire gli sformati, prima di sformarli (perdonate il pessimo italiano: "farli fuoriuscire dagli stampi" non mi piaceva, "stamparli" mi sa che non va bene)
Riportate la salsa sul fuoco, fin quasi a bollore e nappatevi lo sformato.
Buon appetito
Ale

mercoledì 14 aprile 2010

Focaccia alla genovese- quella vera, senza tante storie

di Alessandra


focaccia

Fra tutte le ricette della storia della gastronomia italiana, quelle su cui si discute di più sono le cosiddette ricette della tradizione. Se mai ce ne fosse stato bisogno, ne ho avuto la conferma quest'estate, durante la lavorazione al libro, quando, fra foglieti e sacti testi, spuntavano fuori beghe secolari fra città e città o fra quartiere e quartiere, per rivendicare la paternità di questo o di quell'altro piatto. Una specie di "questione omerica" gastronomica, che si è poi declinata in varie forme, da quelle più ufficiali delle Confraternite a quelle più domestiche, ma non per questo meno agguerrite, delle infinite versioni "di casa", che finiscono sempre con la convinzione che "come mia nonna, non la fa nessuno"
La Focaccia alla genovese non fa eccezione, anzi: trattandosi del prodotto più tipico della nostra città, assieme al pesto, ha goduto di una attenzione tutta speciale da parte di gastronomi e non, ciascuno dei quali ha dato o ha scelto una propria versione. E così, sebbene la ricetta sia una sola, sotto "focaccia alla genovese" circola praticamente di tutto e lascio immaginare lo sciopun che ci prende quando vediamo fregiarsi di questo Titolo focacce alte mezzo metro, con un fondo secco e una superficie asciutta.


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Ovviamente, nemmeno io faccio eccezione, essendo anch'io depositaria della ricetta di famiglia. Che, altrettanto ovviamente, deriva dai nonni, anzi, da mio nonno paterno. Con la non trascurabile differenza, però, che mio nonno faceva il fornaio- ed era pure bravo: tanto che, al pari della paternità della focaccia, era conteso da parecchi forni della città, alcuni dei quali ubicati proprio nei carugi, che di Genova sono il cuore pulsante e la parte più viva. Gli altri bambini compravano la focaccia al banco, mia sorella ed io finivamo dritte nelle retrovie, da dove uscivamo con la parte migliore- la più calda e, ahinoi, la più unta, cosparsa della pennellata aggiuntiva che, secondo mio nonno, costituiva il valore aggiunto ad una meraviglia assoluta.
La ricetta che segue, quindi, è quella che circolava nei forni di cinquant'anni fa. Uso volutamente il passato, perchè purtroppo sono in pochi, a Genova, i posti dove ancora si possa comprare la focaccia di una volta. Prova ne è la foto che avete visto qui sopra, che non riproduce la focaccia preparata in casa mia, ma quella comprata dal fornaio della zona. Della focaccia uscita dal nostro forno, infatti, non sono rimaste neppure le briciole, e questo nel giro di un nano secondo: la Dani, che ha curato il reportage della nostra, mi è testimone, visto che lei per prima si è macchiata di un simile oltraggio al blog, infilandosene in bocca mezzo metro, continuando a ripetere "non posso, sono a dieta". Tornando alla focaccia comprata, le differenze saltano subito agli occhi: intanto è più alta, poi è più soffice, poi è più asciutta e, buon ultimo, parecchio molliccia, nonostante una passata sotto il grill per renderla un po' più friabile. Potete rendervene conto da soli, in ogni caso.
Questa è la versione del fornaio sotto casa


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e questa è la mia
focaccia


molto più vicina a quella tradizionale e, vi assicuro, molto più buona.
Passando alla ricetta, le dosi sono quelle di una pasta da pane arricchita con olio: la differenza è data non tanto dalla lievitazione, quanto dalla lavorazione, che è poi quella che la rende così tipica e così riconoscibile, a prima vista e ai primi morsi
Vi dò le dosi standard per mezzo chilo di farina, ma tenete conto che per una teglia normale (grosso modo delle misure della placca del forno) ne basterebbero circa tre etti. Di solito, con 500 g di farina, io faccio una focaccia e tre focaccine, le marinare, che però sono un'altra storia e quindi un altro post.
Ancora una cosa sulla farina: non ho mai saputo quale farina usasse mio nonno, perchè lui si serviva direttamente dal mulino e di sicuro la "forza" era diversa da quelle che troviamo in circolazione. Di norma, io faccio metà 00 e metà manitoba, ma anche con la 0 viene benissimo.

Eccovi le dosi

500 g di farina
250 g di acqua (circa: la aggiungete poco a poco, fino a quando l'impasto diventa elastico. Deve comunque rimanere un po' umido, esattamente come la pasta da pane. Per lavorarlo, intanto, basterà mettere un po' di farina sulla spianatoia)
20 g di lievito fresco (anche qui: potete metterne di meno: in quel caso, allungherete i tempi di lievitazione, esattamente come per la pizza)
2 o 3 cucchiai di olio EVO ( potete anche ometterli- e fra poco capirete il perchè: io, comunque, preferisco aggiungerli)
sale
poi
olio EVO- almemno mezzo bicchiere
sale grosso
acqua

Fate sciogliere il lievito in poca acqua tiepida e, quando avrà iniziato a fare le bolle, aggiungete la farina. Iniziate ad impastare (io faccio tutto nell'impastatrice) , aggiungendo l'acqua a poco a poco e, in ultimo, l'olio e il sale. Fate lievitare almeno due ore, dopodichè ungete bene di olio una teglia e stendetevi l'impasto, dopo averlo abbattuto e lavorato sulla spianatoia per 5 o 6 minuti, a mezzo cm di spessore, ma anche meno: questo è importantissimo, perchè una delle caratteristiche della nostra focaccia è proprio quella di non essere alta, pur rimandendo morbida. Fate lievitare almeno un'altra ora, poi riprendete la teglia e, con la punta delle dita, fate tante fossette, come nella foto.

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alla fine, otterrete questo risultato


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dopodichè, versate una piccola manciata di sale grosso sulla superficie della focaccia e, in ultimo, copritela d'acqua fredda.


focaccia

questo è un altro sei segreti: la focaccia alla genovese, infatti, ha un fondo umido e chiaro che ha lo stesso aspetto e la stessa consistenza delle fossette della superficie, una volta cotte. Questo è dovuto proprio alla cottura in acqua. A me fanno un po' ridere Giorgio Locatelli e i suoi seguaci, quando parlano di focaccia in salamoia come della scoperta del secolo e anzi, mi stupisce che non ci sia stato nessuno, dico nessuno, che sia intervenuto a dire che, veramente, a Genova la focaccia si fa così da tempo immemorabile. Mi fermo qui, perchè sennò attacco a parlare di lecchinismo e dintorni, però, credetemi, nihil novi.
Le Simili, invece, dicono di fare questa emulsione con 6 cucchiai di acqua e 6 cucchiai di olio- per giunta partendo da dosi doppie rispetto a quelle che ho indicato qui. Troppo poco liquido, mi dispiace.
Il problema è quanta acqua si deve mettere: non tanta da coprirla del tutto, non così poca da coprirne solo la superficie. L'ideale sarebbe che l'acqua bagnasse il fondo e si depositasse solo nelle fossette.

focaccia

sul perchè del "niente olio" ci arriviamo fra poco
Infornate al massimo della temperatura del vostro forno. L'unica differenza nel risultato finale fra la focaccia di casa nostra e quella di mio nonno sta qui- e non possiamo farci niente. Comunque, il mio forno ha una modalità pizza a 260 gradi, che poi sono 240 effettivi e a questa temperatura servono circa 13- 15 minuti di cottura.
Appena la focaccia comincia a scurire (grosso modo dopo una decina di minuti) la tirate fuori dal forno e la spennellate abbondantemente di olio. Lavorate velocissimamente (io appoggio la teglia direttamente sul portellone del forno) e rinfornate subito. Lasciate passare due minuti e ripetete l'operazione. Se la focaccia non brunisce troppo, fatelo una terza volta, fate un ultimo rapido passaggio in forno e sfornate definitivamente. Dovrà presentarsi grosso modo così (anche meno brunita: io stavo a chiecchierare con la Dani e ho perso l'attimo).

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Il fondo, comunque, dovrà essere questo:

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E lo spessore questo qui.


focaccia

e si taglia così

focaccia

e si mangia appena il calore lo consente. Ovviamente è ottima anche fredda.

Regge bene la congelazione e bastano pochi minuti nel forno per farle riprendere la fragranza.

Buon appetito a tutti

Alessandra

lunedì 12 aprile 2010

DEL FUROR D'AVER LIBRI (aprile)

 

...che figata avere un blog...


... e sapete perché??? Perche, da quando ho deciso di tenere un diario pubblico delle mie letture, non sono mai stata tanto precisa ed ordinata come adesso.
Intanto, finalmente, scrivo due righe su quello che leggo. E' una cosa che avrei sempre voluto fare ed anzi, nei miei sogni, le annotazioni sarebbero dovute essere sulla prima pagina del libro- quella bianca, per intenderci. Oppure su tanti bei quadernetti (sono una grafomane incallita: datemi un quaderno e vi trascriverò il mondo) o sulle agende vuote degli anni passati. Nei fatti, non ci sono mai riuscita- e l'avere una specie di archivio con ben 36 (trentasei) "rece" non sarà certo il massimo della vita, ma in certi casi anche sì
Poi, riesco a tener ordine nelle letture multiple. E qui mi sa che tocchiamo un tasto dolente o meglio-una specie di mal comune, visto che di tutti i lettori che conosco, sono pochissimi quelli che leggono un libro per volta. Non so da cosa dipenda per gli altri, ma nel mio caso è la risultante della compresenza di due fattori. la solita voglia di leggere, da una parte, e il non aver sotto mano il libro che sto leggendo in quel momento. Visto che sono una smemorata cronica, ho libri a metà praticamente ovunque, in una sorta di mappatura dell'"Alessandra è stata qui" che va dall'ufficio alla casa di campagna, al sedile posteriore dell'auto fino a quelli sparpagliati per tutta la casa, per le volte in cui il libro sul comodino è ovunque, tranne che al suo posto. ovviamente, il blog non ha posto fine a questo vizio, ma, almeno, mi permette di tenerlo sotto controllo. Ho dichiarato pubblicamente che stavo leggendo Il Lupo Rosso della Marklund e ora sono passata ad Ammanniti, senza aver finito il precedente? Bene, io l'ho detto, voi lo sapete e questo per me significa che prima o poi qualcuno potrà chiedermi notizie del volume disperso...
Infine, il Traguardo dei Traguardi: riesco a non metter piede in libreria fino a quando non ho finito di leggere i libri del mese precedente. Finora, è successo fra Febbraio e Marzo e sta succedendo fra Marzo e Aprile. Prima di cantare vittoria, aspetto di vedere cosa succederà nei prossimi mesi. Se però doveste vedere i Santini di Menuturistico in giro per luoghi miracolosi, beh, sappiate che il trend è rimasto invariato, savasandir


Dove invece non riesco ancora a tener ordine è nei consigli di lettura: ne trovo dappertutto, fra le risposte alle nius, le mail all'indirizzo del blog, sotto le varie rece o i vari furori, insomma, un gran casino. La cosa mi dispiace parecchio, perchè il bello di questo spazio è proprio questo mettere in circolo i nostri gusti, le nostre passioni, le nostre informazioni e il fatto che io mi perda la materia prima è quanto di più deludente possa esserci.
Così, mi è venuta l'idea di radunare in un'unica pagina tutti i vostri consigli, rendendola però sempre aggiornabile, direttamente da voi. Sulla sinistra, in HomePage, troverete un banner intitolato "Consigli e Sconsigli": basta cliccare sulla foto e scrivere nei commenti il titolo del libro che vorreste che si leggesse.
In questo modo, non solo io riesco a tenere tutto in ordine, ma la lista è pubblica- quindi, chiunque passi di qui può attingere a piene mani ai consigli di lettura.
Non solo due : in omaggio alla perfidia di chi scrive, c'è pure la sezione sconsigli, altrettanto utile della precedente
Non solo tre: se volete scrivere anche voi una breve rece sul libro che volete consigliare o sconsigliare, siete liberissimi di farlo, anzi: sarebbe una gran figata se lo faceste.
Cosa ne dite, vi piace l'idea????
Buona serata
Ale

Truffle Cake- Donna Hay


truffle cake- delia smith

Questo dolce è pensato per due nostre amiche: la prima è la Genny G. di Al Cibo Commestibile, che per festeggiare il suo primo compleanno ha organizzato un bel contest sulle torte "da candeline" e questa è talmente lipidinosa che ci è sembrata la più adatta : non solo all'occasione, ma anche al festeggiato, uno dei blog più belli fra quelli in cui ci siamo imbattute finora.

L'altra è la Muscaria, che condivide con me due passioni. Una è quella per cui da oggi e per i prossimi sei mesi gireremo con una carogna sulle spalle che scemerà solo con la prossima atroce vendetta sul campo (il Ferraris, ovviamente, quello che non si tocca)
La seconda è l'amore viscerale per Anthony Bourdain e il suo modo di intendere la cucina. Proprio ieri, Muscaria ha pubblicato un post dedicato a Kitchen Confidential, il romanzo autobiografico che ha sancito la classica svolta nella carriera dello chef, proiettandolo dai palcoscenici della gastronomia internazionale a quelli, altrettanto planetari, della letteratura e della narrativa in genere. Si tratta di uno dei libri che io amo di più, in assoluto, come ben sanno alcune delle lettrici di MT, incidentalmente anche mie amiche, che, poveracce, non godono neppure del tempo di sfasciarlo dall'incarto, incalzate come sono dai miei "devi leggerlo assolutamente" et similia. Muscaria ce lo racconta benissimo, centrando subito il punto: e cioè, che la cucina vera- quella degli chef per davvero, nei ristoranti per davvero, con i clienti per davvero- non è roba per donnicciole. La strada per diventare un cuoco è di quelle che spezzano le reni, con un sudore ed un sangue che sono tutto fuorchè metafora, raccontati per giunta con un ritmo che corrisponde al fervore del dietro le quinte e che pertanto toglie il fiato, fra parolacce, doppi sensi, slang e la sfrontata, irriverente, geniale originalità di chi, questo mestiere, può e vuole farlo sul serio.
Tutto il resto è Donna Hay: ossia la cucina come noi ci illudiamo che sia. Ricette confortanti , cucine linde ed ariose, corredi da tavola color pastello e brillanti posate d'argento sulle tovagliette della colazione, il tutto immortalato da foto tutte ugualmente bellissime e tutte ugualmente uguali, sfondi bianchi/set sfumati/piatti sospesi nel nulla.
Alzi la mano chi ancora ci crede: alle cucine sempre pulite, ai piani cottura sempre in ordine, alle dispense con tutti i barattolini perfettamente chiusi e alle tovaglie che escono dagli armadi senza fare una piega. Io, per esempio, lo so- e se mai aveste qualche dubbio, venite pure a dare un'occhiata da me, che ve li fugo subito.
Però, tant'è, ogni tanto ci casco. Mi metto lì, apro uno dei suoi libri e mente una parte di me si chiede se c'era da buttar via un simile fottìo di denaro per la ricetta della torta margherita o del Pan di Spagna, tutto il resto è già partito per altri lidi, dove le case sono tutte ville, i poggioli son tutti prati, i mariti e i figli sono tutti modelli e il Genoa vince tutti i derby per 5 a zero....


Torta Tartufata

da Donna Hay, I Classici- Vol. 2

truffle cake- delia smith

P.S. Mai letta traduzione peggiore. Per un istante, sono stata tentata di risparmiarvela, poi l'istinto naturale che c'è in me ha avuto la meglio.... in fondo, comunque, ci sono i codici per decifrarla..

70 g di farina
2 cucchiai di cacao
75 g di zucchero semolato
4 uova
80 g di burro fuso
per il ripieno
450 g di cioccolato findente di copertura
500 ml di panna liquida
6 tuorli
75 g di zucchero semolato


Scaldate il forno a 180 gradi
Setacciate tre volte la farina e il cacao e tenete da parte. Lavorate lo zucchero e le uova per 8-10 minuti o finchè il composto è chiaro e denso e triplicato di volume. Unite delicatamente la farina ed il cacao, poi il burro. Foderate di carta da forno la base di uno stampo a cerniera di 20 cm. Versate il composto e cuocete per 25 minuti, o finchè non si stacca dalle pareti dello stampo. Fate raffreddare nello stampo.
Durante la cottura, preparate il ripieno. Fondete il cioccolato e la panna in una pentola su fuoco basso, finchè il composto è liscio. Mettete i tuorli e lo zucchero in una ciotola resistente al calore appoggiata su una pentola d'acqua in leggera ebollizione e sbattete per 6 minuti o finchè il composto è denso e cremoso. Unite il composto al cioccolato a quello con le uova e sbattete per 6 minuti o finchè è freddo. Mettete in frigo per 30 minuti
Per mettere assieme il dolce, sformate la torta e tagliatela in due in senso orizzontale. Rimettete il fondo nello stampo e versateci sopra metà del ripieno. Chiudete con l'altro strato di torta e coprite con il ripieno rimasto. Mettete in frigorifero per 5 ore o finchè si solidifica.
Per servire, avvolgete lo stampo con un canovaccio tiepido che aiuterà a sformare il dolce. Sformatelo con attenzione e usate una spatola calda per lisciare il bordo. Per 10-12

truffle cake- delia smith

Se siete sopravvissuti a questa agghiacciate traduzione, ora vi racconto come ho fatto io. La base, è un pan di Spagna al cioccolato, con l'aggiunta di un po' di burro. Quindi, la procedura è sempre quella: montare le uova e lo zucchero fino a quando il composto non sarà quadruplicato di volume.
Il ripieno, invece, è una ricchissima mousse al cioccolato. Il procedimento standard è diverso da quello descritto: bisognerebbe prima montare i tuorli con lo zucchero, poi aggiungere il cioccolato fuso ed infine la panna montata: altrimenti, la mousse perde in cremosità. Purtroppo, mi son voluta fidare e ho seguito alla lettera le indicazioni: però, confrontando i due risultati, la farcitura della Donna era molto più spumosa di questa. Quindi, datemi retta e seguite il procedimento solito. Infine, sciogliete un foglio di colla di pesce nella mousse (io ho scaldato 50 ml di panna liquida, ho sciolto la gelatina, ho lasciato raffreddare e ho aggiunto al composto): servirà per sostenere meglio la crema.
Per farcirla, anche qui, solito sistema: doppio foglio di carta da forno sotto il piatto da portata e voluttuose spatolate di crema. Quella della spatola calda è una follia: al massimo, la immergete in acqua tiepida per lavorare meglio, ma la mousse è comunque molto mrbida e si lavora benissimo anche senza trucchi
Un'ultima cosa: la preparazione di questo dolce ha ridotto la mia cucina in uno stato pietoso. Se avessi dovuto preparare il rancio per un reggimento, i miei pensili ne sarebbero usciti più puliti. Va da sè che il gioco valga la candela, perchè il prodotto finale è uno spettacolo, senza mezzi termini. Ma se la cucina della Delia ha retto anche a questa prova, giuro, ma giuro ma giuro che con lei non ci gioco più.
Buon appetito
Ale

truffle cake- delia smith

venerdì 9 aprile 2010

Candied Kumquat Tiramisu



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Di solito, non scopiazziamo ricette da altri blog, parola per parola. Un po' per principio, un po' per fantasia.
A meno che non ci si imbatta in una roba come questa,...

CANDIED KUMQUAT TIRAMISU

per i kumquat canditi
450 g di kumquat
250 g di zucchero
250 ml di acqua

per i savoiardi
3 uova grandi, separate*
90 g di zucchero
1 cucchiaino di estratto di vaniglia**
90 g di farina
zucchero a velo per la copertura

* prima modifica: un albume in più
** seconda modifica: i semini di mezzo bacello di vaniglia

per la bagna
200 ml di succo d'arancio
100 ml di sciroppo di kumquat (è quello che avanza dall'operazione di canditura)
1 bel cucchiaio di Grand Marnier (o Cointreau)


per lo Zabaione

2 tuorli grandi
3 cucchiai di zucchero
100 ml di Grand Marnier
mezzo cucchiaino di scorza di kumquat finemente grattugiata

per la crema chantilly al Kumquat
(dosi orignali)
150 ml di latte intero
115 g di zucchero
1 cucchiaio di farina
un pizzico di sale
1 tuorlo, grande
1/2 cucchiaino di estratto di vaniglia
1/2 cucchiaino di scorza di kumquat grattugiata
poche gocce di olio d'arancia o di mandarino
250 ml di panna

Noi abbiamo seguito questa ricetta, con l'eccezione del burro, che è stato omesso

La crema al mascarpone

2 cucchiai di succo di limone
250 g di mascarpone
1 foglio di colla di pesce
50 ml di latte o panna

kumquat canditi per decorare

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Preparare i savoiardi
Montare i bianchi a neve e aggiungere un terzo dello zucchero.
Montare i tuorli con i due terzi dello zucchero. Aggiungere i semi di vaniglia e la farina setacciata. Incorporare alla massa dei tuorli gli albumi montati, con la massima attenzione per evitare che si smontino.
Sempre con la massima attenzione, versare il composto in una sac à poche (bocchetta larga) e, su una teglia da biscotti rivestita di carta da forno, fate dei bastoncini, di 8-10 cm. Spolverizzarli con zucchero a velo e lasciarli riposare per 5 minuti: lo zucchero diventerà perlato o sembrerà bagnato e brillante. Spolverizzarli di nuovo con lo zucchero e poi, con le mani bagnate, spruzzateli d'acqua. In forno a 200 gradi per 7-8 min (io qui ho abbassato parecchio: 170 per 10-15 mmin, controllandoli spesso)
N.B. rispetto a quelli che si acquistano, sono meno gonfi.

Preparare i Kumquat canditi.
In un casseruolino col fondo spesso versare l'acqua e lo zucchero. Mescolare bene e mettere sul fuoco, a fiamma media, fino ad ebollizione. Abbassare la fiamma e far ridurre il liquido, fino a fargli assumere la densità di uno sciroppo.
Nel frattempo, lavate e asgiugate i mandarini cinesi e tagliateli a fette non troppo sottili. Quando lo sciroppo di zucchero sarà pronto, versarteveli e, a fiamma bassissima, fateli candire, mescolandoli gentilmente ogni tanto: la ricetta dice di lasciarli lì per mezz'ora, i nostri erano pronti dopo venti minuti, anche meno. Scolateli con una schiumarola, in una vaschetta della cuki (rettangolare, col bordo basso). Ricopriteli con lo sciroppo di zucchero, tenendone da parte un po' per la bagna.

Preparare la chantilly, secondo questo procedimento

Preparare lo zabaione
Montare i tuorli con lo zucchero, fino a quando saranno belli gonfi . Aggiungere a poco a poco il liquore, sempre montando e poi trasferire il tutto in un bagnomaria: mescolate sempre con la frusta per una decina di minuti, fino a quando il composto sarà triplicato di volume, bianco e spumoso.

Preparare la crema al mascarpone, secondo questo procedimento
Unire le tre creme

Preparate la bagna, assemblando tutti gli ingredienti e diluendoli con acqua, quanto basta per bagnare tutti i savoiardi


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Assemblaggio del dolce
Calcolate 36 savoiardi.
Prendete uno stampo da plum cake e rivestitelo di pellicola trasparente.
Disponete sul fondo uno strato di fette di kumquat candito, leggermente sovrapposte.
Disporvi sopra i savoiardi imbevuti di sciroppo, per lungo, rompendoli se è il caso e distribuirvi un abbondante strato di crema, livellandolo con una spatola.
Altro strato, savoiardi e crema e, questa volta, uno strato di kumquait canditi.
Chiudete con uno strato di savoiardi, ripiegate la pellicola in modo da richiuderla sul dolce e mettete in frigo per almeno 6 ore.
Al momento di servire, sformate il dolce su un piatto da portata e decoratelo con le fettine di kumquat candite eventualmente rimaste.

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N.B. le foto che vedete si riferiscono a 4 mini porzioni. Abbiamo dovuto adattare le misure dei savoiardi alle dimensioni ridotte degli stampi e chi ci ha rimesso è stata la disposizione ordinata. Se però usate il classico stampo da plum cake, non vi succederà nulla di tutto questo.
Buon Appetito
Ale&Dani