Franco Battiato- Cuccuruccucu Paloma (da La Voce del Padrone, 1981)
Uno dei pregi univeralmente riconosciuti a mio marito...
No, ricomincio.
IL pregio universalmente riconosicuto a mio marito, laddove l'uiversalmente comprende la sottoscritta, la creatura, i suoceri per esperienza diretta, la mamma Van Pelt per sentito dire e Sir Winston perchè se non si adegua non mangia, è quel figo spaziale del suo socio di Madrid.
Che del figo spaziale ha tutto, pure una moglie simpatica da far paura, con cui si è sviluppata un'intesa fenomenale, di quelle che non han bisogno di parole, grazie alla quale vedermi e infilarmi in un tour di shopping sfrenato, fra la Gran Via e tutti gli Outlet dei dintorni, compreso quello della biancheria per la casa appena entrati in Portogallo è praticamente tutt'uno.
(E se qualcuno avesse da sindacare sul mio personale concetto di "dintorni", ricordatevi che sono pur sempre la madre di una convinta che la distribuzione delle località sulla carta geografica segua un ordine alfabetico; ragion per cui, tutto quello cheè cataolgabile alla voce "shopping" è "nei dintorni" per definizione)
Tornando al socio di mio marito, è un concentrato di tutti i pregi, dalla A di Aplomb (il mio spagnolo deve averlo messo in più di una situazione di imbarazzo, sempre risolta con una classe degna della Real Casa) alla Z di "Zenzo dell'umorismo", passando per tutte le altre lettere dell'alfabeto, JKXY e W comprese.
L'unico difetto, quello che ce lo rende umano, è legato ai suoi gusti in fatto di cibo.
Che sono raffinatissimi ed esclusivissimi, sia chiaro: ma contemplano, ahimè, una altrettanto esclusiva passione per due sole cucine, quella spagnola e quella italiana.
Il che, tradotto nella pratica, significa una cosa sola: che si mangia spagnolo, quando si è in Spagna- e si mangia italiano, quando si è altrove.
Laddove "altrove" va inteso nello stesso senso con cui io intendo "dintorni": praticamente, dovunque.
Mio marito che, per contro, è uno strenuo assertore del centimetro zero, le ha provate tutte, per convertirlo alle cucine locali- ma invano: che siano in Cina come in Germania, in Olanda come in India, l'imperativo è uno solo: cercare un ristorante italiao e ordinare un menu completo, dalla Pizza al Salami al Tiramisu.
Va da sè che la regola ferrea non preveda eccezioni, meno che mai per la mia amatissima perfida Albione che, in qanto a credibilità in campo gastronomico, è sommersa da una valanga di stereotipi duri a morire. E neppure valgono i buoni uffici della sottoscritta che si spertica ogni volta nelle lodi della sana cucina britannica e delle nuove frontiere della critica e pure degli stellati col menu scontatissimo, "che qui ce li possiamo permettere, eddai Juan, che ti costa provare una volta?"
E fu così che andammo da LocatelliVedi alla voce: chi è causa del suo mal...
PS
Mio marito ancora non me la perdona, la cena da Locatelli, a Londra. Per fortuna poi l'ho portato da Nobu e allora ha avuto da arrabbiarsi per quello :-): ma fino a quel momento, ogni occasione era buona per rinfacciarmi "quella volta che". Colpa di una serie di scelte infelici che finirono per cozzare contro aspettative forse un po' troppo elevate e contro un risotto all'Amarone ordinato dalla moglie che era roba da commozione e che gli ho fatto annusare solo da lontano.
E comunque, eravamo o non eravamo lì solo per la focaccia?
FOCACCIA DI GIORGIO LOCATELLI
Per i due o tre che ancora non lo sapessero, la "focaccia locatelli" era stato un tormentone sul web nel 2010 o giù di lì. Me lo ricordo, perchè era venuta fuori nello stesso periodo in cui io mi ero decisa a tirar fuori la ricetta di famiglia della focaccia genovese, con la cottura in salamoia e subito dopo era stato tutto un proliferare di "focacce Locatelli" che inneggiavano alla dirompente novità della cottura in acqua e sale.
Roba da farmi venire la bava alla bocca- e non certo per l'acquolina.
Morale: avevo comprato il libro da cui proveniva la ricetta, ero andata alla pagina che la riportava, l'avevo eseguita alla lettera- e l'avevo buttata via.
"Cibo da mucche" era stato il verdetto, di fronte all'inverosimile dispendio di tempo e di energie che mi ci erano voluti per mandar giù il primo boccone. A cui non ne avevano fatti seguito altri, almeno fino a quando non me la ritrovai davanti, tiepida, soffice e con tutte le lusinghe dell'"appena sfornato", pure dalle mani del suo creatore.
Potevo esimermi dall'assaggiarla?
Al quinto boccone, ingolfata come una mongolfiera, stavo chiedendomi come avrei fatto a smettere: perchè era vero che quella focaccia non aveva nulla a che fare con la nostra, era troppo alta per i miei gusti e troppo morbida per poter giocare in tutti i ruoli, come invece capita con quella genovese: però, diamine, anche questa era buona. Sapida, soffice, sontuosa, mi verrebbe da dire- e tutta diversa da quella che avevo preparato io.
Ragion per cui, l'ho rifatta.Con qualche modifica, naturalmente.
Ma alla fine,ci sono riuscita.
Ed è quindi nel momento meno indicato, quando ormai il tormentone è finito, la Focaccia Locatelli è passata di moda e la sottoscritta ha venticinque lettori per davvero (e guai al ventiseiesimo, perchè sennò sbaracco di nuovo tutto) che pubblico la versione riveduta e corretta, quella che mi permette di sfornare una focaccia perennemente da porca figura.
Ma non ditelo a nessuno...
per uno stampo rotondo del diametro di 30 cm
250 g di farina 00
250 g di Manitoba
5 g di lievito di birra secco
10 g di sale
per la salamoia
65 ml di acqua
65 ml di olio extravergine di oliva
25 g di sale grosso
In una ciotola piuttosto ampia versate le farine e il lievito e, a poco a poco, l'acqua, incorporandola con un cucchiaio. A metà della lavorazione, aggiungete il sale e proseguite, lavorand il meno possibile e mai con le mani. Quando avrete incorporato tutta l'acqua, aggiungete l'olio e poi lasciate riposare, coperto con un canovaccio, per 10 minuti. Trascorso questo tempo, versate il composto in una teglia unta con un cucchiaio di olio (preso dai 65 ml della quantità prevista per la salamoia) e lasciate riposare per altri 10 minuti. Stendetelo poi con le nocche delle dita, delicatamente, in modo che rivesta completamente il fondo dello stampo e lasciate riposare per mezz'ora. Trascorso questo temp, fate i buchi sulla superficie (il metodo della focaccia genovese è perfetto) e versatevi sopra la salamoia, ottenuta mescolando l'acqua, l'olio e il sale cospargetevi il sale grosso e irrorate con la miscela di olio e acqua. Infornate a 220°C per 20-25 minuti: quando è dorata, è pronta.
- solitamente, uso il lievito secco. Se volete usare quello fresco, o lo sbriciolate finemente sulla farina oppure lo sciogliete in pochissima acqua, presa dalla quantità del totale.
- come avete visto, nella ricetta originale è indicata una quantità d'acqua piuttosto bassa, che si adatta meglio agli impasti di pane e non di focaccia: chi l'ha preparata, negli anni, come questa cialtrona qui :-), lo dice subito, di aumentare i liquidi e guai a non farlo, pena l'effetto mappazzone. Se poi avete un minimo di dimestichezza con questi impasti, aumentate fino a 320 ml, aggiungendo l'ultimo quantitativo poco alla volta: resterete sorpresi dalla morbidezza finale
- il "non impasto" appartiene alla filosofia di Lahey, il cosiddetto inventore del "no- knead bread": l'agomento è riservato alle prossime puntate, perchè se no non la finiamo più. Qui basti solo tranquillizzarvi: cucchiaio di legno, ciotola ampia, tempi di lavorazione minimi -e tranquilli che riesce.
- i tempi di lavorazione a casa mia non sono tassativi: visto che aumento le dosi di liquido e visto che son del partito degli infedeli alla marca di farina (le cambio come la biancheria), ogni volta si ricomincia: tendenzialmente, però, vale la regola del "minimo": appena l'acqua è minimamente assorbita (non c'è la "pozzetta" sul fondo della terrina), piantatela lì
- i tempi di lievitazione dipendono dal tempo atmosferico. Quelli indicati sono quelli minimi, ma non vi nascondo che qualche volta ho barato: grosso modo, appena iniziano a formarsi le bolle, passo alla fase successiva
- dove invece baro spudoratamente è nel passaggio in teglia: Locatelli non lo ice, ma stendere un impasto lievitato, anche se poco, è sempre un'operazione zen, laddove zen sta per il quartiere di Palermo: tiri da una parte- e si accorcia dall'altra e smoccolare non serve. Bisogna solo armarsi di pazienza e aspettare: tiri da una parte, si accorcia dall'altra, aspetti qualche minuto e pareggi il tutto. Calcolate un quarto d'ora, di media.
- l'altra mia modifica riguarda il sale della salamoia: se lo si scioglie nell'emulsione di acqua e olio, come da ricetta, vien fuori una focaccia un po' troppo salata. Se ivece lo cospargete prima, questo andrà a depositarsi sui buchetti, creando un effetto finale molto simile a quello della focaccia genovese, almeno nel grado di sapidità. Per il resto, è tutta diversa.
Giorgio Locatelli- Made In Italy. Food & Stories.