venerdì 20 ottobre 2017
CHAI BRULÉE TARTS (TORTINE ALLA CRÈME BRULÉE AL CHAI)
Post interminabile, perchè Ottolenghi parla più di me :)
Per cui mi tocca gioco forza essere breve e sintetizzare velocemente le premesse
1. Per me Sweet è il libro delle grandi furbate: dopo la Crème Caramel, tocca a queste tartellette brulée l'onore di essere oggetto di un trucco che da un lato permette di poterle preparare anche all'ultimo minuto, dall'altro ci evita il rischio del fondo crudo. E tutto grazie all'uovo di Colombo, che non è un ingrediente ma il metodo di assemblaggio, tutto "a cotto".
2. La ricetta riesce ed è perfetta. L'unica raccomandazione, a mani giunte e in ginocchio, è di non prendere sottogamba i pur chiari avvertimenti dell'autore quando dice di caramellare la superficie delle tartellette con un cannello, evitando il grill perchè altrimenti si bruciano i bordi. Io alla fine sono ricorsa alla Voce Amica delle Starbookers e ho trovato una terza via che è quella che suggerisco nelle note, in fondo, agli sprovvisti dell'attrezzatura che, mai come in questo caso, è fondamentale per la buona riuscita della ricetta (si, ne ho bruciate un bel po')
3. il guscio che racchiude la crema è presentato come una Flaky Pastry mentre in realtà è una Pie Pastry. La differenza sostanziale, a farla molto breve, è che la prima è sfogliata e la seconda no, il che lascia intendere un errore di editing, visto che il procedimento è decisamente diverso.
Tutto il resto, nella ricetta, QUI
martedì 3 ottobre 2017
TORTA SBRICIOLATA ALLA CREMA DI MARIA GRAMMATICO
Il mio primo incontro con la signora Grammatico risale alla prima volta che sono stata ad Erice. Avevo 15 anni, ero in gita scolastica ed avevo appena sperimentato con successo che se ci si metteva di traverso alle pietre lisce delle ripide stradine della città vecchia, appena lavate da un temporale, ci si faceva male. Era una giovane Van Pelt tutta sbucciata e dolorante quella che era entrata nella pasticceria di Maria Grammatico, ma era bastata la vista del bancone, con tutto quel ben di Dio, a restituirmi, se non la voglia di vivere, almeno quella di mangiare.
Il rito del regalo alla famiglia era stato la scusa per farmi un assaggio di tutto: genovesi, cannoli, paste di mandorle di ogni forma ed aroma, per poi cedere su delle coppette di marzapane, ripiene di una crema al liquore e all'uvetta e rivestite di cioccolato. 24, ne avevo prese, portandole come trofeo per tutto il resto della gita, fino all'imbarco verso casa.
Ai tempi c'erano i traghetti Tirrenia. Una roba che, ad ogni onda, uno si augurava di ncontrare un iceberg e di farla finita, qui e subito, da tanto erano penose quelle traversate. Per noi cresciuti a Love Boat, il battesimo del mare sui traghetti che ci portavano alle isole era quanto di più frustrante potesse capitarci. E passi l'isola del Giglio che, bene o male, era li. Ma sulla Sardegna e sulla Sicilia gravava sempre la nube della traversata, per affrontare la quale ci si preparava con scorte di Xamamina, cerotti da piazzare nei posti più impensati, panini alle acciughe e tutta una serie di rimedi tanto variopinti quanto inefficaci, almeno per noi.
L'unica cosa che mi dava l'illusione di stare meglio, per me, era mangiare.
E quella notte, non fece eccezione. Tutti e 24 i dolcetti di Maria Grammatico finirono inesorabilmente nel mio stomaco e - udite udite- lì rimasero, assieme al fermo proposito di tornare, solo per loro. Non fosse altro che per placare l'ira dei familiari, rimasti a mani vuote....
Superfluo dire che, le volte in cui sono tornata, mi sono anche dedicata a dell'altro. I dolcetti ci sono ancora ma, in tutta sincerità, non li ho mai trovati così buoni come la prima volta. In compenso, ho apprezzato tutto il resto, ivi comprese quelle Genovesi che, ai tempi, non mi avevano cosi colpito. La crema pasticcera, in particolare, mi strappa via l'anima. e così, quando Anna ha proposto di onorare la GN della Sbrisolona con una carrellata delle sbriciolate più famose, riservandomi nientemeno che la versione con "quella" crema, non ho potuto dire di no. In barba a 4 giorni di viaggio, a un jet lag della malora, a due caviglie che al confronto gli elefanti sono le gemelle Kessler e a una sfilza di lavatrici da fare. E a un frigo che piange, a cui devo l'aggiunta della panna perché il mezzo litro di latte necessario non c'era. Ma il risultato valeva il sacrificio :)
per uno stampo da 20 cm di diametro
per la sbriciolata
200 g di farina
100 g di zucchero
100 g di burro freddo a tocchetti
1 cucchiaino di lievito
la scorza grattugiata di mezzo limone non trattato
per la crema pasticcera di Maria Grammatico
2 tuorli
100 g di zucchero
40 g di fecola
500 ml di latte fresco intero
(nel mio caso, 250 ml di latte, 250 ml di panna fresca liquida)
la scorza grattugiata di mezza arancia
la scorza grattugiata di mezzo limone
per la crema pasticcera
Montate 2 tuorli con 100 g di zucchero, in una terrina
Sciogliete 40 g di fecola in 250 ml di latte e versate il composto sulla montata di uova.
Aggiungete 250 ml di panna liquida, mescolate delicatamente, poi versate tutto in una casseruola e fate cuocere a fuoco dolce per 10-12 minuti, fino a quando la crema si sarà addensata, mescolando sempre.
Verso fine cottura, aggiungente le scorze grattugiate di mezzo limone e mezza arancia non trattate.
Trasferite la crema in una terrina di vetro, immersa in una terrina più grande, piena a metà di ghiaccio o di acqua gelata e mescolate ancora, per uno o due minuti. Coprite la superficie con un foglio di pellicola trasparente e fate raffreddare a temperatura ambiente
per la sbriciolata
Setacciate 200 g di farina per dolci in una ampia terrina e incorporatevi , nell'ordine, 100 g di zucchero semolato, 1 cucchiaino di lievito, la scorza grattugiata di mezzo limone non trattato e 100 g di burro freddo a dadini. Lavorate sempre e solo con la punta delle dita, fino a quando il composto formerà tante briciole fini.
composizione
imburrate il fondo e i bordi dello stampo e rivestitelo con carta da forno. Lasciatela sbordare leggermente: vi aiuterà a sformare la torta
versate metà del composto sbriciolato sul fondo e compattatelo con le mani.
Aggiungete la crema pasticcera fredda, poca alla volta. Versatela al centro e poi allargatela con un cucchiaio, fino a mezzo cm dal bordo.
Ricoprite con il resto delle briciole, senza compattarle. Versatele proprio a pioggia, una manciata per volta, andando via via a coprire tutti i buchi
in forno
a 160°C, modalità statica, fino a quando la superficie sarà leggermente dorata. Nel mio forno, una quarantina di minuti.
Fate raffreddare completamente la Sbriciolata, prima di sformarla e di servirla
domenica 1 ottobre 2017
sabato 9 settembre 2017
CROSTATA MERINGATA AL LIMONE PER IL CALENDARIO DEL CIBO
Nella mia precedente vita, quella della professione importante e prestigiosa, dovevo rilasciare qualche intervista, ogni tanto . Il meno possibile era la regola che, in quel caso, coincideva anche con la mia volontà personale, specialmente dopo aver visto con che disinvoltura parole scelte con attenzione e soppesate con cautela venivano stravolte e distorte, alla ricerca del titolo da prima pagina o della conferma a versioni preconfezionate. Alla fine, questi appuntamenti con la stampa avevano la stessa allegria di una seduta dal dentista, visto che, in entrambi i casi, la bocca la dovevi aprire per dovere e non vedevi l'ora di chiuderla e di scappartene via
Solo una volta, dieci anni fa, mi accordai per una intervista rilassante. L'occasione non aveva nulla a che vedere con il mio lavoro ma nasceva da una iniziativa benefica, una scuola di cucina (la mia) che aveva organizzato un pranzo per raccogliere fondi per una missione in Africa. La notizia era che, in mezzo ai generi di prima necessità, erano comprese anche le maglie di calcio del Genoa per la squadra dei ragazzini del villaggio e questo aveva innescato una specie di derby cittadino, con alcuni calciatori dell'altra squadra (Cassano su tutti, generoso e disponibile come nessuno) che avevano offerto le loro maglie per un'asta benenfica. A farla breve, in città se ne parlava e quindi mi era toccata l'intervista. Una chiacchierata tranquilla, finalmente, in cui a fare da protagonista sarebbe stato il cibo e non antipatie ataviche contro l'istituzione che rappresentavo, quando slacciavo il grembiule e indossavo il tailleur. E tranquilla si rivelò, questa chiacchierata, almeno fino all'ultima domanda, quando mi venne chiesto quale fosse il mio piatto preferito.
Erano gli anni delle prime ribalte televisive degli chef veramente famosi e con mio marito scorrazzavamo su e giù per l'Europa a provare menu stellati, con esperienze gastronomiche che ricorderemo per tutta la vita. Ero fresca di cucine molecolari, di nuove interpretazioni di territori, di sapori che aprivano al palato un mondo fino ad allora inimmaginabile, di giochi di consistenze divertenti ed emozionanti... eppure, l'unica cosa che mi veniva in mente era la crostata di mia nonna.
La risposta non aveva soddisfatto neppure il mio interlocutore che, dopo un quarto d'ora speso a tenere a bada i ricordi di quando voleva fare il reporter di guerra e si ritrovava a parlare con una casalinga disperata, si aspettava almeno un piatto lungo tre righe, pieno di vezzeggiativi e altre amenità. Ma niente: più lui incalzava, più la mia mente si inchiodava a quella pasta frolla, a quella marmellata bruciacchiata sui bordi, a quelle griglie imperfette che toccavano a noi bambini, obolo da pagare in cambio della prima fetta di quella bontà. 
E crostata fu alla fine-e da quel momento, per me, lo fu per sempre. Recuperai la ricetta di mia nonna e a quella restai fedele, in secula seculorum, a dispetto dei corsi, dei libri, degli scambi con amiche esperte e cosi via. E' il sapore dell'infanzia, quello che fa la differenza e che, nelle altre ricette, non c'è.
E crostata fu alla fine-e da quel momento, per me, lo fu per sempre. Recuperai la ricetta di mia nonna e a quella restai fedele, in secula seculorum, a dispetto dei corsi, dei libri, degli scambi con amiche esperte e cosi via. E' il sapore dell'infanzia, quello che fa la differenza e che, nelle altre ricette, non c'è.
L'unica eccezione è costituita dalla Crostata Meringata al Limone.
E' un tormentone costante, perchè non c'è volta in cui non mi imbatta in una ricetta nuova che non corra subito in cucina a provarla. Anche qui, la ragione è la stessa: dalla nonna crescevo con merende della tradizione, con la mamma assaggiavo le cose più strane ed esotiche che, allora, erano una crostata con il lemon curd e uno strato molliccio di meringa sopra. Neanche a dirlo, come mia mamma non la fa nessuno e il sapore della memoria non c'entra: la signora è viva e vegeta e ogni volta che cucina mi inchioda serenamente ai miei limiti, di figlia appassionata ma meno talentuosa, per non parlare dei contrappunti di mia figlia, che vanno da un condivisibile "come la nonna, nessuno mai" fino all'altrettanto condivisibile ma meno confortante "te, comunque,non c'è pericolo, eh, mamma....".
La ricetta di mia madre, ve lo dico subito, è tutta nelle sue dita. Nelle manciatine, nei pizzichi, nell'un po' di questo e un po' di quello che sono l'apice della frustrazione, mia e sua, al momento di ricreare il piatto del giorno prima. Pazienza, sia chiaro, perchè intanto qualsiasi cosa tirerà fuori da questa improvvisazione costante sarà senz'altro una meraviglia. Però mamma, due righe, mentre cucini, una tantum, magari....
Anyway, oggi si cade in piedi perchè, per celebrare degnamente la Giornata Nazionale della Crostata, ho scelto la versione di Knam. Pasticcere straniero ormai italianizzato che interpreta un dessert straniero, ormai italianizzato. Che l'incontro sia felice lo potete intuire dagli ingredienti e dal procedimento, visto che Knam è rimasto uno dei pochi addetti del settore che ancora la fa facile (un monumento, solo per questo). E facile lo è davvero, con un risultato che tradisce la semplicità dell'esecuzione. Una porca figura a tutto tondo, insomma, con cui festeggio assieme ad altre 14 amiche una delle giornate più dolci dell'anno!
La ricetta è qui
La ricetta è qui
domenica 13 agosto 2017
MELANZANINE RIPIENE ALLA GENOVESE (della mamma e della suocera)
Mio marito è di quelli che "mia mamma lo fa meglio".
Oggi, non me la prendo più e non solo perchè in effetti la bravura di mia suocera in cucina è fuori discussione, ma anche e soprattutto perchè la vedo così mortificata, ogni volta che si trova di fronte alla raffinata sensibilità di suo figlio, che laddove una moglie normale terrebbe i musi per una settimana, io finisco per lasciar correre.
Prima, invece, ci rimanevo malissimo. Anche perchè, con la grazia da elefante che lo contraddistingue, non è che certi paragoni fossero riservati ai momenti di intimità, quando non ci avrebbe sentito nessuno e magari, con tutto il tatto di questo mondo, si sarebbe potuto iniziare ad affrontare l'argomento. No, no: qui, il parere veniva espresso quando gli veniva in mente, vale a dire all'assaggio del piatto. E pazienza se, tutt'intorno c'erano venti amici che lo guardavano con tanto d'occhi: "se mia mamma lo fa meglio, perchè devo tacere"?
Quando eravamo ancora ben al di là dallo sposarci, c'era l'usanza che, al termine della partita di calcetto con i colleghi, lui venisse a cena da me: abitavo a due passi dal campo (ora ci stiamo di fronte, sia chiaro) e rifocillavo le spoglie del guerriero con quello che riuscivo a preparare per quell'ora, dallo spuntino di "quasi" mezzanotte in poi. Se non che, una sera, mi erano rimasti due carciofi meravigliosi e così, spinta dall'estro del momento, gli avevo proposto di fare un risotto. E lui, di rimando, aveva detto la frase magica:
"Mia mamma, non lo fa mai".
Da qui in poi, togliete i freni alla vostra fantasia e immaginate con che cura ho preparato quel risotto: ho pulito i carciofi con lo spilucchino di ceramica, ho vegliato sulla cipolla che stufava, ho fatto tostare il riso col cronometro alla mano, ho pure scongelato il brodo "for special occasions", il tutto con un "ma quando mi capita più?" che giganteggiava nel fumetto sopra la mia testa.
Alla fine, l'ho servito, in trepidante attesa.
Il primo piatto, lo ha mangiato in silenzio.
Il secondo, pure.
Dopodichè, ha preso la risottiera e ha iniziato a raschiarne il fondo, con un gesto che, in altri contesti, mi avrebbe fatto inorridire ma che in quel momento era musica per le mie orecchie, una sorta di rumorosa ma eloquente attestazione di bravura, il lasciapassare per le cuoche che contano sul serio.
E quindi, vi lascio immaginare la staffilata che mi ha tirato quando, già con la risottiera in una mano e l'altra già sullo sportello della lavastoviglie, il marito ha emesso il suo definitivo vedretto:
"mia nonnal lo faceva meglio"
Lo dico sempre, lo ripeto anche qui. Sapevo di non avere un temperamento violento e da allora ne ho avuto la conferma, perchè la risottiera è finita in lavastoviglie, e non in un ufficio della squadra omicidi, con l'etichetta di "Arma del delitto"....
martedì 30 maggio 2017
TARTARE DI FINOCCHI E ARANCE CON GRANITA DI TAGGIASCHE
Intanto, perche' qui dove vivo io le stagioni come le vostre non ci sono.
C'el' la stagione delle piogge e la stagione secca.
Quella dei temporali e quella del "questo non e' caldo... e' l'anticamera dell'inferno"
Quello del clima umido e del "qualcuno mi dica dove spengo il phon"
E poi c'e' la stagione dei mango e quella dei pomelo, la stagione dei durian e quella dei rambutan, quella dei dragon fruit e dei kumquat, come si impara facendo la spesa.
Ma primavera-estate-autunno-inverno scordatevele, se non sulla carta.
E scordatevi pure di trovare i finocchi.
Li cerco come la pipina da anni, ormai e i pochi che ho trovato erano talmente rinsecchiti nell'aspetto e talmente gonfiati nel prezzo che di comprarli non mi diceva il cuore.
Finche' domenica, nel mio giro al Tekka Market, li ho individuati, nell'equivalente del Cartier italiano.
Ed e' stato amore a prima vista.
Il problema era cucinarli
Perche' a me piacciono anche crudi, ma cotti li preferisco.
A differenza di mio marito, che cotti li aborre.
"E chissenefrega", ho detto, "per una volta che compro qualcosa per me... li cuocio e morta li"
Solo che, mentre pensavo alle ricette di casa, nell'ora di metropolitana che mi separa dal mondo civile, mi venivano in mente solo ricette pesanti: o gratinati, sotto dita spesse di bechamelle, o sformati, con qualche salsa di accompagnamento oppure in robe ancora piu' complicate che a 33 gradi costanti, proprio no.
Ma c'e' il Club del 27 a cui chiedere aiuto, no? E loro, di sicuro avranno la soluzione, no?
E poi uno si chiede a cosa servono le amiche :)
Anyway, alla fine e' venuto fuori questo antipasto qui...
TARTARE DI FINOCCHI E ARANCE ALL'ARANCIA E CIPOLLA ROSSA
CON CITRONETTE AL LIME E TABASCO
E GRANITA DI OLIVE TAGGIASCHE AI SEMI ESSICCATI DI FINOCCHIETTO E SCORZA D'ARANCIA
Per la granita: la sera prima, fate bollire 200 ml di acqua e lasciate in infusione fino al raffreddamento la scorza di una arancia non trattata e un cucchiano da caffe' colmo di fiori di finocchietto essiccati. Questi sono la vera prelibatezza del piatto e vi ci vuole Valentina come pusher, perche' non so altrimenti dove si riescano a trovare. Nei prossimi giorni ve ne parlo meglio, perche' preparo delle sable che stanno andando a ruba e potrebbero essere una buona risorsa anche per voi.
Quando l'acqua e' fredda, filtrate e trasferite nella vaschetta dei cubetti di ghiaccio. Mettete in freezer e andate a dormire
Il piatto della foto richiede 10 minuti 10 di preparazione- e non scherzo. La parte piu' lunga e' tagliare le verdure e pelare l'arancia al vivo.
Le dosi sono di un finocchio medio, una cipolla media, una arancia grossa- o due medie, per due persone.
E comunque: mondate un finocchio e lo private delle due foglie esterne piu' dure. Non buttate via niente, neanche i gambi e la barba, perche' potete utilizzarli per un brod fenomenale (arrivera' anche questo, giurin giuretto). Tagliatelo a cubetti piccoli. Mondate la cipolla e tagliatela grossolanamente. Pelate l'arancia al vivo e tagliatela a dadini, raccogliendo il succo nell'insalatiera dove condirete la tartare. Mescolate bene tutti gli ingredienti e teneteli da parte.
Per la citronette, emulsionate 2 cucchiai di olio extravergine leggero con il succo di un lime piccolo (i miei sono piccoli, morbidi e dolci...), qualche goccia di Tabasco, sale e pepe bianco. Condite la tartare e regolatela un po', a seconda di quello che manca (nel mio caso, ho dovuto aggiungere un po' di piccante
Compattatela bene in un coppapasta, schiacciando col cucchiaino e lasciatela il forma, il tempo di preparare la granita.
Denocciolate una decina di olive taggiasche e frullatele insieme a 4 cubetti di ghiaccio, in un frullatore piccolo. Assaggiate e aggiustate di aromi (arancia e finocchietto). Io l'ho messa in un bicchierino ma non va bene, all'assaggio e' risultata troppo "forte" nel sapore. spargendola un po' ne; piatto, invece, era perfetta. Per cui fatene cadere qualche mucchietto qua e la', togliete il coppapasta, spolverate con il finocchietto e la scorza di arancia e portate immediatamente in tavola.
sabato 27 maggio 2017
FATTOUSH LIBANESE PER IL CLUB DEL 27
Son dieci giorni che mangio Fattoush.
Il primo e' stato dieci giorno fa, quando ho deciso di preparare questa insalata per il club del 27. L'ultimo mezz'ora fa, mentre ripulivo il set, infilando il protagonista in una mezza pita.
Adesso son qui con la cipolla rossa che mi tiene ancora compagnia, che guardo queste foto e mi chiedo quand'e' che riusciro' a fare mezzo scatto decente, fra pioggia e cappa di umidita' e luce tremenda dell'Equatore.
Quanto meno, pero', ho fatto una buona insalata :)
Il Fattoush e' una sepcie di panzanella libanese: c'e' la pita, al posto del pane sciapo e la menta al posto del basilico, ma per il resto il concetto quello e'. Esattamente come quel migliaio sono le ricette assolutamente uniche-et-originali che circolano: qui ho imparato a farne uno con la melassa di melograno, mentre questa e' una ricetta piu' basica, ma ugualmente ben connotata, con il Sumac che sposta l'asse del Mediterraneo decisamente verso il Medioriente. Mio marito l'ha mangiata in entrambe le versioni, in silenzio tutte e due le volte (il che significa che rimuginava invano sui possibili difetti) e tanto basti. Se avete in mente una cena in terrazza, con hummus e falafel, aggiungeteci questa e farete tutti felici.
FATTOUSH LIBANESE
di Michela Ghiorzi
dal blog Beteavon.it
da Insalata da Tiffany
2 pomodori maturi
1 cetriolo medio non pelato
un cuore di lattuga romana
15 foglie di prezzemolo
15 foglie di menta
1 pita (si puo' sostituire con due fette di pane pugliese)
per la citronette
6 cucchiai di olio extravergine di oliva
succo di limone a piacere (da 1/2 a 1 limone)
2 piccoli spicchi di aglio fresco
1 chucchiaino di sumac in polvere piu' qualche pizzico da mettere sull'insalata
Tagliate la pita a strisciolini e tostatela in forno per pochi minuti, sotto il grill badando a che non bruci. Riducetela in pezzetti piu' piccoli. Mondate e lavate tutte le verdure
-tagliate la lattuga a striscioline piuttosto larghe
-tritate grossolanamente prezzemolo e menta
-tagliate a cubetti regolari il pomodoro e il cetriolo.
per la citronette
sbucciate l'aglio e riducetelo in pasta al mortaio, con il sale. Aggiungete tutti gli altri ingredienti ed emulsionate con una frusta.
Versate l'insalata nell'insalatiera e conditela con meta' della citronette. Unite la pita e il resto del condimento. Mescolate e lasciate riposare 10 minuti prima di servire, spolverando con altro sumac.
Che cos'e', che cosa facciamo, perche' lo facciamo- e' tutto qui
martedì 2 maggio 2017
DOMATES DOLMASI... (VERDURE RIPIENE PERSIANE) per il CLUB DEL 27
Che sono in ritardo rispetto alle consegne non ve lo sto neanche a dire.
Il bello de Il Club del 27 e' pubblicare tutti il 27 di ogni mese, in un bal casino corale e contagioso e io sto mese annaspo come mai prima d'ora.
Colpa di tutto e stavolta anche di una errata sottovalutazione della spesa: perche' visto che il Tema del Mese da rifare ha solo ricette a base di riso, figurati se non trovo il riso qui a Sing Sing.
La domanda spontanea, forse, sarebbe : com'e' che non hai delle scorte di riso, li' a Sing Sing. Perche' in effetti il riso e' una di quelle robe che nella dispensa ci stanno di diritto, pure in piu' tipologie, di forma, provenienza, colore. E la risposta e' che figuriamoci se non ce l'ho. Non c'e' volta che non torni da casa con due kg di Carnaroli, uno di Arborio, uno di Roma, per quando viene la nostaglia da risotto, da timballo, da riso-latte come lo faceva la nonna. Ma il locale, quello che stivava gli scaffali della dispensa genovese, quello manca. Basmati, jasmine, thai etc, non pervenuto. Perche' quello, a Singapore, te lo mangi fuori, in quegli Hawker market in cui mio marito trascorre tutte le pause pranzo e in cui pure io mi avventuro con piacere, serate con gli amici comprese. Perche' devo perdere due ore a preparare un riso bollito che trovo di fronte a casa, a meno di 20 centesimi alla scodella?
E quindi, a farla breve, il riso che serviva per questa ricetta, manca.
E allora, lo si va a comprare.
Fiduciosi, ottimisti e felici,fino a quando ci si imbatte in quello che qui a Singapore si intende per "fatti mandare dalla mamma a prendere il riso"
insomma, per farvela breve, alla fine mi sono dovuta arrangiare con l'unico pacco da 2,5 kg che ho trovato, una roba da gourmand che ho pagato un occhio della testa (e neppure a mandorla) e che ovviamente era di quelli che non cuociono mai. Nonostante mezz'ora di precottura in casseruola, e dopo la mezz'ora di forno era ancora al dente, ma questo non ha inficiato la straordinaria bonta' di questi Dolmasi. Un po' lunghi da preparare- forse- ma facilissimi e buoni buoni buoni come di piu' non si puo'.
Ingredienti
8 pomodori grandi (3 nel mio caso)
4 peperoni verdi (3 e non verdi, perche' qui sono tanto piccanti... ma la prossima volta provo)
2 cucchiaini di zucchero semolato (1)
1 limone tagliati in spicchi (1, l'ho lasciato:)
Olio extravergine di oliva
4 peperoni verdi (3 e non verdi, perche' qui sono tanto piccanti... ma la prossima volta provo)
2 cucchiaini di zucchero semolato (1)
1 limone tagliati in spicchi (1, l'ho lasciato:)
Olio extravergine di oliva
Per il Ripieno di Bulgur
75g di Bulgur grana grossa (introvabile a sing sing, ho usato della quinoa)
1 pomodoro
2 cipollotti freschi (gambi verdi inclusi)
1 cucchiaio di foglie di menta
2 cipollotti freschi (gambi verdi inclusi)
1 cucchiaio di foglie di menta
1 cucchiaio di prezzemolo fresco
½ cucchiaio di pasta di peperoncino
1 cucchiaino di menta essiccata
1 cucchiaino di cumino in polvere
3 cucchiai di olio extra vergine di oliva
sale e pepe nero di mulinello
Per il Ripieno di Riso
3 cucchiai di uva passa
1 pomodoro grande maturo
3 cucchiai di olio extra vergine di oliva
1 cipolla dorata media, pelata
2 spicchi di aglio
120g di riso bianco a chicco lungo
1 cucchiaino di menta essiccata
1 cucchiaino di origano essiccato (non l'ho messo, il mio viene dall'Italia ed 'e potentissimo..)
1 cucchiaino di pimento in polvere
1 cucchiaino di cumino
½ cucchiaino di cannella
3 cucchiai di pinoli
sale e pepe nero di mulinello
Tagliate le sommità dei pomodori e dei peperoni tenendole da parte.
Passare un piccolo coltello affilato all’interno dei pomodori facendo attenzione a non intaccare la pelle. estrarre la polpa, tritarla finemente e metterla in una ciotola.
Passare un piccolo coltello affilato all’interno dei pomodori facendo attenzione a non intaccare la pelle. estrarre la polpa, tritarla finemente e metterla in una ciotola.
Cospargere di zucchero l’interno dei pomodori e metterli da parte.
Private i peperoni dei semi e filamenti interni con un piccolo coltello a lama affilata e metterli da parte.
Preriscaldate il forno a 180°C in modalità statica.
Per il ripieno di Bulgur.
Sistemare il bulgur in una ciotola ampia piena di acqua e lasciarlo riposare per trenta minuti, fino a che non inizierà a gonfiarsi e ad ammorbidirsi. Scolatelo e posizionarlo su uno strofinaccio di mussola di cotone pulito, unendo gli angoli e strizzandolo il più possibile. Unire il bulgur alla polpa di pomodoro messa da parte, unire i cipollotti fatti a pezzettini, la menta fresca e il prezzemolo sminuzzati finemente, la pasta di peperoncino e le spezie secche. Condire generosamente con sale, pepe ed olio mescolando bene.
Sciacquate i pomodori sotto acqua corrente per eliminare le tracce di zucchero e asciugateli con carta assorbente, tamponandoli. Riempiteli quasi fino in cima, facendo attenzione a non esagerare con il ripieno.
Sistemare i pomodori ripieni di Bulgur su una teglia dai bordi alti coperta di carta forno.
Per il ripieno di Riso.
Lasciare l’uva passa in ammollo in una ciotolina di acqua calda per circa 30 minuti.
Utilizzando una grattugia a maglia larga, grattugiate il pomodoro raccogliendo la polpa in una ciotola.
Scaldare l’olio in un tegame, e far soffriggere la cipolla e l’aglio tritati finemente, per 5 minuti, a fiamma media, fino a che non saranno ammorbiditi. versare quindi il riso, la menta, l’origano, il pimento, il cumino e la cannella in polvere facendo rosolare tutto per 3 minuti.
Unire il pomodoro grattugiato e continuare la cottura, mescolando continuamente.
Togliete il tegame dal fuoco, aggiungete l’uva passa scolata, i pinoli, e condire generosamente con sale e pepe nero di mulinello.
Trasferire il composto in una ciotola e lasciarlo riposare per circa 10 minuti.
Riempite i peperoni non esagerando con il ripieno e sistemarli nella teglia insieme ai pomodori.
Coprire pomodori e peperoni con le sommità che avete tenuto da parte e disporre tra gli uni e gli altri (pomodori e peperoni) degli spicchi di limone, aggiungendo in teglia un po’ di acqua e versando un filo d’olio sulle verdure.
Cuocere per circa 1 ora, fino a che le verdure non saranno tenere.
Servire tiepide o fredde.
martedì 11 aprile 2017
VELLUTATA DI ASPARAGI CON BIGNE' ALLA FONDUTA DI PARMIGIANO PER IL CALENDARIO DEL CIBO ITALIANO
Classica ricetta da porca figura, al pari di tutte le vellutate con un twist.
In origine, avrei voluto accompagnarla con delle quenelle di ricotta e maggiorana ma poi, visto che non ho trovato la ricotta (e non so fare le quenelle) mi sono rivolta ai piu' rassicuranti bigne'
Quelli della foto sono una taglia extra- large rispetto agli originali, ma questi erano rimasti, dopo una cena in cui ho salvato a stento anche l'avanzo che vedete raffigurato, perche' si sa che i miei ospiti sono tutti a dieta.
Prima di varcare la soglia di casa nostra.
Gli asparagi che trovo comunemente qui sono quelli thai, sottili sottili e di qualche cm piu' corti dei nostri. Sanno di asparago poco saporito, ma considerato che la maggior parte dei vegetali, a Singapore, "sa di coriandolo", ci accontentiamo. Tuttavia, anche se tendenzialmente mi sforzo di cucinare italiano con ingredienti locali, su questi mi sono arresa. Vanno benissimo nei cosiddetti "stir- fry", ossia tutte quelle preparazioni saltate nel wok, la tecnica base della cucina di strada singaporiana: cuociono in un attimo e mantengono una croccantezza che con i nostri ci sognamo. Ma per tutte le preparazioni tipiche nostre, specie quelle che partono dalla lessatura, non sono adatti.
Per fortuna, gli asparagi devono piacere parecchio alla comunita' expat, perche' sono un prodotto che si trova facilmente, anche nei supermercati locali.
Arrivano a costare un dollaro l'uno, per l'assurda abitudine tutta singaporiana di vendere frutta e verdura a pezzo e non a peso.
Ma, in compenso, non sanno di niente.
Pero', in foto, vengono bene...
Per la cronaca: non ho immolato 15 dollari di asparagi in una vellutata.
Prima, ci ho fatto un risotto. E poi, con la parte meno dura dei gambi, la vellutata della foto, utilizzando gli asparagi thai come punte, per la decorazione. Le ho lessate in pentola, come per fare una zuppa, secondo uno dei due metodi che vi spiego ora, contribuendo in questo modo alla GN del Calendario del Cibo, dedicata oggi proprio a questo prodotto.
Tips & Tricks
Mondare gli asparagi: come tutti gli ortaggi che soffrono al contatto con l'acqua, anche gli asparagi hanno bisogno di un po' di attenzione nei preliminari. Sostanzialmente, si tratta di eliminare le parti piu' dure del gambo con un coltello e di raschiare via con un pelapatate la parte esterna fibrosa. Di solito, questo procedimento interessa la meta' inferiore dell'asparago: la parte da eliminare e' quella bianca, di solito anche la piu' terrosa, quella da raschiare e' la parte piu' larga. Comunque, son cose che si valutano a occhio. L'importante e' che manteniate il piu' possibile la stessa altezza, quando tagliate, e che non vi accaniate contro di loro, quando li pelate. State mondando verdure, non temperando matite...
Lavare gli asparagi: il meno possibile. Il che non significa mangiare terra ma, come dicevo prima, portarsi avanti coi lavori. Le parti terrose piu' antipatiche di solito sono nella parte inferiore, quella piu' dura, che quindi si elimina. Altri residui possono essere eliminati con la pelatura. Le ultime tracce possono essere cancellate da una passata con una pezzuola pulita e umida. Dopodiche', passateli velocemente sotto l'acqua corrente e scolateli in un colapasta.
Legare gi asparagi: c'e' chi lo fa e, in effetti, ha senso, specie se non avete una asparagiera, perche' in questo modo potete mantenerli dritti con piu' facilita'. Il consiglio vale ancora di piu' se dovete cuocerne tanti: due mazzi is megl' che uan.
Lessare gli asparagi e' facilissimo, se si ha una asparagiera, vale a dire una pentola cilindrica, alta e stretta, a volte munita di cestello, altre volte di coperchio forato per permettere la fuoriuscita del vapore che si forma in cottura. Si riempie questa pentola per poco meno di 3/4 di acqua, si porta ad ebollizione, si sala leggermente (anche no: dipende dai vostri gusti. Io, un po' di sale lo metto sempre) e poi si calano dentro gli asparagi, precedentemente mondati e sciacquati rapidamente sotto l'acqua del rubinetto. Lasciate la fiamma alta, fino alla ripresa del bollore, poi mettete il coperchio e riducete il calore, a livello medio.
Senza asparagiera, potete fare cosi.
Se avete una pentola alta e stretta, chiamatela asparagiera -e comportatevi come se lo fosse. Magari legate gli asparagi, per evitare che qualcuno scivoli mollemente nell'acqua, durante la cottura (tranquilli: succedera') e proseguite come descritto piu' sopra, se avete un coperchio adatto. Altrimenti, preparatene uno con la carta da forno, non piatto ma bombato, in modo che gli asparagi non vengano schiacciati e il vapore possa propagarsi bene. Le pentole per cuocere gli spaghetti sono perfette.
Se invece avete solo pentole larghe, fate cosi:tagliate gli asparagi un po' piu' in alto di quanto avreste fatto (non preoccupatevi dello spreco, perche' si cuoce tutto), legateli con uno spago e metteteli in pentola, assieme agli scarti che insaporiranno l'acqua di cottura e che poi finiranno comunque nel vostro piatto. Fate il coperchio come sopra e portate a cottura.
L'essenziale - lo avrete capito- e' che le punte non vengano mai a contatto con l'acqua, ma cuociano a vapore. C'e una tale differenza fra la consistenza del gambo (tenace, duro, fibroso) e quella della punta (tenera e quasi senza fibre) che un calore uniforme e aggressivo come quello della lessatura farebbe solo disastri: o gambo crudo e punta cotta, o gambo cotto e punta spappolata, In questo modo, invece, i gambi ricevono il trattamento d'urto di cui hanno bisogno, le punte quello soft e il risultato e' un asparago che si scioglie in bocca, da cima a fondo.
I tempi di cottura: variano, a seconda del tipo di asparago e della loro dimensione. Un trucco che ho imparato in Inghilterra (patria di grandi consumatori di questo ortaggio) e' quello di controllare il gambo e non la punta. Si testa la cottura con uno stuzzicadenti e se questo penetra nell'asparago, ci siamo. Da qui ad averlo fatto, pero', ce ne passa. Di solito, controllo dopo un quarto d'ora e dove non arriva l'occhio, arrivano le dita. Se le punte son dure, proseguite. Attenti a non esagerare con la cottura. L'asparago crudo e' immangiabile, ma quello troppo cotto ha lo stesso appeal delle verdurine dell'ospedale. Tanto vale farsi quelle.
Scolare gli asparagi: e' un altro passaggio fondamentale. O sollevate il cestello dell'asparagiera oppure recuperate gli asparagi delicatamente (se sono legati, potete anche farlo con le mani, protette ovviamente da guanti da forno, altrimenti usate una pinza o una schiumarola, ma sempre facendo attenzione a non romperli) e li lasciate un po' a scolare nello scolapasta.
Dopodiche', fate voi.
Per me sono straordinari conditi solo con un velo di burro fusto, tanto Parmigiano appena grattugiato e una spolverata di pepe bianco, come contorno a uova in camicia. I due minuti supplementari di gratinatura in forno possono avere la temepratura dell'Inferno, ma il sapore del Paradiso.
Gli Inglesi li mangiano freddi, con la maionese o la salsa olandese oppure con una porcata sublime, a base di panna spessa, condita con sale, pepe, una puntina di zucchero e un cucchiaino di limone. I Francesi li addobbano con un trito di prezzemolo, accompagnati da patatine novelle: un trucco che noi non conosciamo, a proposito, e' proprio quello di far cuocere delle patate novelle nella stessa acqua degli asparagi; queste ci guadagneranno in sapore e contraccambieranno il favore aiutando gli ortaggi a stare su, senza scivolare sul fondo.
Questo tipo di cottura vale per tutte le preparazioni che prevedono che gli asparagi vengano serviti interi. Se dovete frullarli in una vellutata, invece, non e' il caso di prendere tutte queste misure. Basta lessarli in acqua o in brodo e il gioco e' fatto. Non so se sia una regola, ma di solito io faccio queste creme con le parti meno tenere del gambo: il che significa, nella pratica, che se la domenica si mangia il risotto con gli asparagi, il lunedi si va di minestra. Ma nulla vi vieta di partire da un bel mazzo di asparagi interi e prepararli cosi:
Mondate e lavate gli asparagi come descritto piu' sopra e tagliateli a pezzetti regolari, di circa 3 cm ciascuno. Tenete le punte da parte.
Sbucciate una grossa patata e lavatela bene. Tagliatela a pezzi e mettetela in una ampia casseruola, coperta di acqua leggermente salata. Portate a bollore e aggiungete gli asparagi. Fate cuocere per circa 15 minuti, aggiungendo le punte negli ultimi 5 minuti. Appena queste sono tenere, prelevatene un po' per la decorazione e frullate tutto il resto, fino ad ottenere una crema molto densa
Rimettetela sul fuoco, allungando con 300 ml di latte: regolate di sale.
Poco prima di servire, mettete nuovamente la vellutata sul fuoco e allungate con 150 ml di panna fresca da montare. Scaldate fino a un secondo prima che spicchi il bollore, regolate di sale e servite.
Come dicevo all'inizio, avrei voluto accompagnare questa crema con delle quenelle di ricotta, insaporita con un po' di sale e maggiorana. E magari anche della scorzette di limone candite. Poi non ho trovato la ricotta e ho virato su bigne' ripieni di una bechamelle al Parmigiano. Niente di speciale, ma sono andati giu' come ciliegie, a conferma di come a volte le cose piu' terra terra intercettino i gusti di tutti.
La ricetta domani, che senno' non la finisco piu'.
mercoledì 5 aprile 2017
I MAGNIFICI 4- HUMMUS E DIP DI CASA MIA
Fra le tante cose che sono cambiate da quando stiamo qui, una riguarda il modo di ricevere. Che resta magari un po' formale, perche' comunque son della generazione che fa coincidei i piatti di carta con la bestemmia in chiesa, pero' e notevolemente mutato, rispetto a tre anni fa.
La causa prima e' il rapporto complicato che i Singaporiani hanno con la lavastoviglie.
Che, tendenzialmente, nelle case non c'e'
"E' per gli animali", spiego a mio marito, reduce dal secondo giorno di perlustrazione alla ricerca della nostra prima casa qui
"Belinate" liquida lui
" No, no, mi han detto che dai tubi viene su di tutto. Colpa dei rimasugli di cibo, degli odori etc"
"Belinate, Ale, su... cercati una cucina con una lavastoviglie e chiudiamola li"
"Ma me lo han detto le mie amiche"
"Cambia amiche"
Questo, accadeva a pochi giorni dal mio primo sbarco a Sing Sing, quando ancora eravam increduli, ignari e bisognosi di prendere le misure della nostra nuova "casa".
Dopo tre anni, l'incredulita' e' passata, l'ignoranza pure, le misure le abbiamo prese.
E abbiamo pure una lavastoviglie, da gennaio.
Che ancora non abbiamo avuto il coraggio di accendere.
Perche' anche sulle "belinate" abbiamo dovuto cambiare idea...
Il secondo motivo e' il clima.
Le cucine singaporiane sono per tradizione riservate alle donne di servizio- che quindi possono sciogliersi dal sudore, basta che poi abbiano l'accortezza di ripulire. L'aria condizionata, in altre parole, non esiste. Neanche esiste la possibilita' di avere spifferi o correnti. E neanche esistono le cucine. Non c'e' spazio per nulla, il concetto stesso di un tavolo in cucina non esiste (neanche ora che di cucine ne ho due e la seconda e' talmente grand ee bella che me la sognavo anche in Italia), non esiste la funzionalita' propria di chi ha bisogno di uno scolapiatti, di un posto dove appendere i mestoli (non si possono fare buchi, nelle case, ma questo ve lo racconto un altro giorno), gli strofinacci e via dicendo.
Il terzo motivo sono gli ospiti
Io non so cosa ci sia successo, ma e' praticamente impossibile stare al di sotto delle otto persone e anche questa e' una rarita'. L'ultima volta ho smesso di contare a 21 - e la cena prevedeva un "risotto". Le virgolette sono di rito, visto quello che ho portato in tavola, ma resta il fatto che essendo qui tutto easy, dire all'ultimo minuto "vengo anch'io" non implica per niente rispondere "no tu no"
Esattamente come e' da maleducati chiedere di quantificare l'espressione "con la famiglia".
Uno porta il vino, l'altro la famiglia- e va bene cosi
Il quarto motivo e' il vino
In quel mix di protezionismo e liberalismo che e' il governo della Repubblica di Singapore, dove non puo' il divieto arriva il prezzo. Ho fotografato una confezione regalo di Tavernello (giuro) venduta a 79 dollari (giuro giuro)- e da qui traete tutte le vostre considerazioni. Una cena seduta, che inizia con delle bollicine e prosegue con almeno tre bottiglie diverse, come era la regola a casa nostra in Italia, qui non esiste. Aggiungiamoci anche i divieti almentari dei nostri nuovi amici (molti dei quali musulmani) ed ecco spiegata l'abbondanza di acque colorate e profumate, accanto ai Negroni che mio marito si ostina a preparare, indefesso, col distillato del Masonshire.
Di conseguenza, siamo diventati tutti easy, pure noi.
Riceviamo gli ospiti scalzi (guai a tenere le scarpe in casa, qui), freschi dell'ennesima doccia veloce con cui si dice definitivamente addio a quel che resta della piega di due ore prima, siamo tutti rigorosamente in piedi e "mangiare" diventa un assaggiare serie infinite di stuzzichini, spesso abbinati in modo strampalato, perche' da un'Italiana si vuole la pizza e poco importa se nel forno hai un timballo di tortellini che, magari, richiederebbe un antipasto leggero.
E comunque, levatevelo dalla testa- che il timballo di tortellini non lo fo.
In compenso, faccio una esagerazione di salsette come quelle che vedete nella foto: hummus, pate', tapenade, rillettes, tutto quello che puo' essere ridotto ad una consistenza spalmabie va immediatamente incontro al suo destino.
Ci metto un secondo, non sporco granche', li posso preparare in aticipo, in frigo si conservano per settimane e, buon ultimo, piacciono a tutti.
Serve altro?
Quello che vedete nella foto e' un Hummus di Peperoni.
Propriamente e' hummus tutto quello che parte da ceci e sesamo, per cui su questo blog ogni volta che sentirere questo nome, correte a rifornirvi degli uni e dell'altro, perche' la base per me e' sempre quella.
Parlo di sesamo e non di tahini perche' qui gli unici deficienti che si fanno infinocchiare con l'Organic Sesam Spreadable Cream a 15 dollari la confezione piccola siamo state io e la miliardaria salutista del condominio di sopra. Tutti gli altri se la fanno in casa e visto quanto e' facile ora faccio pure io.
Per cui partiamo coi preliminari
SALSA TAHINI FATTA IN CASA
Semi di sesamo bianco non tostati
olio di semi, quanto basta
Fate tostare i semi di sesamo in padella, senza nessun condimento. Fiamma medio alta, agitando di tanto in tanto perche' non brucino. Sono pronti quando sentirete il loro profumo spandersi per la cucina. Trasferiteli in un frullatore e frullateli fini fini, aggiungedo l'olio goccia a goccia, come per fare una maionese, fino ad ottenere una salsa cremosa e densa.
Si conscerva in un barattolo di vetro ben chiuso, coperta da un dito di olio, per due settimane, come minimo.
I ceci per l'hummus per me sono quelli in scatola.
Se ho voglia, tolgo la pellicina esterna, pero'... vale come attenuante?
HUMMUS DI PEPERONI ROSSI
Due peperoni rossi medi o uno grande
1 scatola di ceci
2 cucchiai di tahini
2 cucchiai di acqua di conservazione dei ceci
2-3 spicchi d'aglio (il mio, qui, non sa di niente, quindi devo sempre abbondare)
olio (io sempre extravergine, ma non ci andrebbe), q.b.
paprika e sale, q.b.
Accendete il forno a 200 gradi, modalita' statica
Rivestite bene una teglia rettangolare con carta di alluminio.
Lavate i peperoni, asciugateli e metteteli interi nella teglia.
Infornate per circa 20 minuti, verificando la cottura dopo i primi 15 minuti: i peperoni dovranno essere abbrustoliti in superficie e molli.
Spellateli e privateli dei semi
Se volete usare il metodo delle nonne, infilateli appena sfornati in un sacchetto di carta da pane o in un sacchetto di plastica per alimenti (quelli per congelare sono perfetti) e chiudete bene. Lasciateli raffreddare li dentro: grazie al vapore, vi sara' facilissimo privarli della pelle.
Io non lo faccio mai, perche' son sempre di corsa: se pero' sono ben cotti, la pelle si raggrinzsce e si ammorbidisce e viene via velocemente.
Mettetei nel frullatore con tutti gli altri ingredienti tranne l'olio e l'acqua e riducete in crema. Emulsionate poi con acqua e olio (in quest'ordine), per renderlo spumoso.
Aggiustate di paprika e di sale alla fine.
HUMMUS DI CAROTE
Ricetta di Diana Henry, che trovate qui
TAPENADE DI POMODORI SECCHI
Ricetta di Mauro e Sandra Vacchi, che trovate qui
Su questa, mi limito ad aggiungere due cose
- la prima e' che siccome centellino le olive, faccio questa tapenade senza l'ingrediente principale, per cui avrebbe piu' senso parlare di pate'
- la seconda e' che ci impazziscono tutti gli stranieri, a qualsiasi latitudine.
Ho visto cose che voi umani, insomma- e le ho viste davanti a questo pate'
Non-so-come-chiamarlo-GANOUSH
le ricette di Babaganoush sono tante e tali che pure una mente lombrosiana come la mia ha rinunciato alla classificazione. So solo che ci vanno le melanzane- e tanto sentimento.
E so solo che ogni volta che lo faccio, per quanto triplichi o quadrupli le dosi standard, e' sempre poco. E il numero degli ospiti non conta...
Ricetta senza dosi
Prendete due belle melanzane lunghe e carnose, tagliatele in due, salatele e mettetele in forno, con la meta' aperta rivolta verso l'alto seguendo il procedimento descritto per i peperoni. Una volta fuori dal forno, recuperate la polpa con un cucchiaino: sara' diventata morbidissima e verra' via facilmente.
Frullatela con 2 spicchi d'aglio, dei fiocchi di peperoncino, un bel pizzico di origano, due cucchiai di yogurt bianco assolutamente non magro e tanto olio quanto serve per ottenere una salsa cremosa. Aggiustate di sale e di altri aromi e buon appetito!
Alessandra
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