Se, arrivati alla veneranda età di 43 anni, con più titoli di studio che capelli in testa ed una professione che comunque vi impone un aggiornamento costante, avete ancora voglia di leggere un saggio, i casi sono due: o siete malati, oppure vi siete schiariti le idee negli anni e sapete bene che cosa volere da certe letture.
Io mi illudo di stare nel gruppo de "la seconda che hai detto", nel senso che l'unico ambito in cui procedo con sicurezza è quello delle aspettative che nutro sui libri: e così, se da un giallo mi attendo tensione narrativa e rigore nel plot e ricerco, in un romanzo storico, un efficace dosaggio fra realtà e fantasia, dalla saggistica mi aspetto essenzialmente due cose: in primis, che al termine della lettura, le mie conoscenze sull'argomento siano aumentate, e per giunta in maniera proporzionale alle pagine lette; poi, che l'esposizione sia sorretta da uno stile che sappia prendere ugualmente le distanze e dagli eccessi emotivi del romanzesco, e dai toni soporiferi di certa manualistica accademica, in confronto alla quale il bromuro è un pericoloso eccitante.
Io mi illudo di stare nel gruppo de "la seconda che hai detto", nel senso che l'unico ambito in cui procedo con sicurezza è quello delle aspettative che nutro sui libri: e così, se da un giallo mi attendo tensione narrativa e rigore nel plot e ricerco, in un romanzo storico, un efficace dosaggio fra realtà e fantasia, dalla saggistica mi aspetto essenzialmente due cose: in primis, che al termine della lettura, le mie conoscenze sull'argomento siano aumentate, e per giunta in maniera proporzionale alle pagine lette; poi, che l'esposizione sia sorretta da uno stile che sappia prendere ugualmente le distanze e dagli eccessi emotivi del romanzesco, e dai toni soporiferi di certa manualistica accademica, in confronto alla quale il bromuro è un pericoloso eccitante.
"Cosa nostra- storia della mafia siciliana" di John Dickie soddisfa entrambi i requistiti, a cominciare da un titolo diretto ma esaustivo, nella sua secchezza, e a seguire con un resoconto storico accurato, documentato e scientifico ( se avete dei dubbi, date un'occhiata agli indici), contraddistinto da una scrittura agile, fluida, padrona dei ritmi narrativi come solo un romanzo - un buon romanzo- può avere.
La scelta dell'impostazione cronologica come prospettiva di studio del fenomeno mafioso si rivela anzitutto felicissima: sarà che appartengo alla scuola tradizionale e quando insegnavo chiedevo pure le date ( un mezzo sacrilegio, al giorno d'oggi, che confesso di aver commesso più e più volte, oltretutto senza mai pentirmi, nè delle date nè dei gran 3 che si beccavano quelli che non le sapevano), ma a me non dispiace un trattato che si snoda per tappe successive, in un percorso che, mettendo giocoforza in evidenza le dinamiche di causa e di effetto, permette di cogliere l'evoluzione dell'argomento trattato, dal "prima" al "poi".
Il "prima" in questo caso, è l'Italia postunitaria, vero propulsore di un fenomeno rimasto fino ad allora in una fase embrionale , in sostituzione di uno Stato che non c'era, e che ora trova nelle anomalie dello Stato che c'è la linfa vitale per crescere e svilupparsi a dismisura; il "poi" è tutto il resto, dai chiaro scuri dell'età giolittina ai toni vividi dei conflitti sociali, dai Fasci al Fascismo , dall'espatrio in America allo sbarco in Sicilia, assieme agli alleati, più forte e più potente che mai, decisa a lasciare un solco profondo - una ferita profonda- nei governi degli anni a venire, accomunati tutti dalla costante del lassaiz faire, qui declinata in tute le forme, dallo scandalo dell'indifferenza alla vergogna di una più o meno sfacciata connivenza.
A dominare nella narrazione, però, non sono i fatti, ma i personaggi- ed è questa un'altra felice anomalia di questo saggio, nel quale gli eventi sono filtrati dall'azione e dalla riflessione di "attori", fissati tutti in ritratti vividi e calzanti, pur nella varietà dei ruoli che ricoprono: ed è qui che si coglie il passaggio dalla trattatistica al romanzo, in questo "farsi" di una vicenda che è primariamente dramma, nell'accezione originaria del termine. Buoni, cattivi, protagonisti e comparse, madri coraggio e uomini d'onore, magistrati coraggiosi e politici corrotti, tutti sfilano l'uno dietro l'altro sotto gli occhi di un lettore sempre più interessato, emozionato, coinvolto.
L'inevitabile paragone con Gomorra regge fino a un certo punto- e non è tanto per la diversità della struttura del testo o dell'argomento o della scrittura, quanto piuttosto per lo sguardo differente con cui gli autori osservano i due fenomeni: Saviane denuncia, Dixie descrive- e lo fa con l'atteggiamento distaccato ed un po' incredulo che da sempre gli inglesi sono soliti assumere quando parlano di noi Italiani. Che se è sempre irritante, qualche volta, però, è giustificato. E, se si possono muovere alcune obiezioni all'autore (su certi giudizi politici, per esempio, o sulla fastidiosa impressione che, nell'affrontare temi di stringente attualità, lanci il sasso e nasconda la mano, e in un guanto un po' untuoso, per giunta), di fronte ad altre affermazioni non resta che chinare la fronte , sconsolati: perché è vero che, per troppi anni, la piaga della mafia è stata trattata con indifferenza , sostenendo che " non fanno che ammazzarsi fra di loro"; è vero che "si ha spesso l'impressione che, in Italia, invece della nave dello Stato ci sia una flottiglia di barche, ciascuna delle quali segue una sua propria carta nautica e gareggia con le altre per l'accesso ai venti più favorevoli; e tuttavia, ciascuna ha paura di restare isolata dal resto della flottiglia"; ed infine, è vero che " imputazioni ufficiali di legami con la mafia, sia pure soggette a verifica, e per quanto infondate possano alla fine rivelarsi, stroncherebbero una candidatura in qualsiasi altro Paese europeo" tranne che da noi.
Il libro, diciamocelo onestamente, potrebbe chiudersi qui, sul fotogramma di un'Italia inquinata alle radici, sotto il profilo etico, prima ancora che democratico: dixie, però, preferisce cercare un altro finale, ricordando la recente riscossa della gente di Sicilia, nata sulle ceneri di martiri della verità e della coscienza civile, e per questo coraggiosa e commovente e tenace. Se un lieto fine ci potrà mai essere, questo è affidato alla nuova sensibilità di un popolo troppo spesso umiliato e offeso, sfruttato all'inverosimile, calpestato nei più elementari diritti di dignità personale e che oggi ha trovato la forza di dire basta, riaffermando con fermezza il vero significato dell'onore: che non è l'abusata e distorta ragione che per ogni mafioso legittima ogni loro nefandezza, ma è il sentimento che proviene dalla consapevolezza del rispetto di sè stessi e della propria coscienza.
John Dickie
Cosa Nostra- Storia della Mafia siciliana
Editori Laterza, p. 534
12.00 euro
Il "prima" in questo caso, è l'Italia postunitaria, vero propulsore di un fenomeno rimasto fino ad allora in una fase embrionale , in sostituzione di uno Stato che non c'era, e che ora trova nelle anomalie dello Stato che c'è la linfa vitale per crescere e svilupparsi a dismisura; il "poi" è tutto il resto, dai chiaro scuri dell'età giolittina ai toni vividi dei conflitti sociali, dai Fasci al Fascismo , dall'espatrio in America allo sbarco in Sicilia, assieme agli alleati, più forte e più potente che mai, decisa a lasciare un solco profondo - una ferita profonda- nei governi degli anni a venire, accomunati tutti dalla costante del lassaiz faire, qui declinata in tute le forme, dallo scandalo dell'indifferenza alla vergogna di una più o meno sfacciata connivenza.
A dominare nella narrazione, però, non sono i fatti, ma i personaggi- ed è questa un'altra felice anomalia di questo saggio, nel quale gli eventi sono filtrati dall'azione e dalla riflessione di "attori", fissati tutti in ritratti vividi e calzanti, pur nella varietà dei ruoli che ricoprono: ed è qui che si coglie il passaggio dalla trattatistica al romanzo, in questo "farsi" di una vicenda che è primariamente dramma, nell'accezione originaria del termine. Buoni, cattivi, protagonisti e comparse, madri coraggio e uomini d'onore, magistrati coraggiosi e politici corrotti, tutti sfilano l'uno dietro l'altro sotto gli occhi di un lettore sempre più interessato, emozionato, coinvolto.
L'inevitabile paragone con Gomorra regge fino a un certo punto- e non è tanto per la diversità della struttura del testo o dell'argomento o della scrittura, quanto piuttosto per lo sguardo differente con cui gli autori osservano i due fenomeni: Saviane denuncia, Dixie descrive- e lo fa con l'atteggiamento distaccato ed un po' incredulo che da sempre gli inglesi sono soliti assumere quando parlano di noi Italiani. Che se è sempre irritante, qualche volta, però, è giustificato. E, se si possono muovere alcune obiezioni all'autore (su certi giudizi politici, per esempio, o sulla fastidiosa impressione che, nell'affrontare temi di stringente attualità, lanci il sasso e nasconda la mano, e in un guanto un po' untuoso, per giunta), di fronte ad altre affermazioni non resta che chinare la fronte , sconsolati: perché è vero che, per troppi anni, la piaga della mafia è stata trattata con indifferenza , sostenendo che " non fanno che ammazzarsi fra di loro"; è vero che "si ha spesso l'impressione che, in Italia, invece della nave dello Stato ci sia una flottiglia di barche, ciascuna delle quali segue una sua propria carta nautica e gareggia con le altre per l'accesso ai venti più favorevoli; e tuttavia, ciascuna ha paura di restare isolata dal resto della flottiglia"; ed infine, è vero che " imputazioni ufficiali di legami con la mafia, sia pure soggette a verifica, e per quanto infondate possano alla fine rivelarsi, stroncherebbero una candidatura in qualsiasi altro Paese europeo" tranne che da noi.
Il libro, diciamocelo onestamente, potrebbe chiudersi qui, sul fotogramma di un'Italia inquinata alle radici, sotto il profilo etico, prima ancora che democratico: dixie, però, preferisce cercare un altro finale, ricordando la recente riscossa della gente di Sicilia, nata sulle ceneri di martiri della verità e della coscienza civile, e per questo coraggiosa e commovente e tenace. Se un lieto fine ci potrà mai essere, questo è affidato alla nuova sensibilità di un popolo troppo spesso umiliato e offeso, sfruttato all'inverosimile, calpestato nei più elementari diritti di dignità personale e che oggi ha trovato la forza di dire basta, riaffermando con fermezza il vero significato dell'onore: che non è l'abusata e distorta ragione che per ogni mafioso legittima ogni loro nefandezza, ma è il sentimento che proviene dalla consapevolezza del rispetto di sè stessi e della propria coscienza.
John Dickie
Cosa Nostra- Storia della Mafia siciliana
Editori Laterza, p. 534
12.00 euro