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Antefatto: domenica scorsa, nel corso di una estenuante maratona di shopping, affrontata stoicamente dalla sottoscritta in Armani tacco 8, capello sciolto e tubino astringente modello tunica di Deianira, mio marito ha deciso di rinnovare l'abbigliamento sportivo, nel mega store dell'ultimo piano del centro commerciale giapponese più famoso di Orchard Rd. Mentre la Van Pelt era impegnata ad addomesticare un costume da bagno di taglia nipponica nel camerino delle signore, il di lei marito ha provveduto agli acquisti che ha poi regolamente pagato alla cassa,con tanto di ritiro della merce bellamente impacchettata in carta di riso con ideogrammi e fiori di loto. Il lunedì sera, la sorpresa: mancano due paia di calzoncini Reebok, che risultano nello scontrino, ma non sono nella borsa. E quindi, il martedì mattina, si va a reclamare il maltolto- rigorosamente in ballerine.
Questo è l'antefatto, sintetizzato per necessità
Quello che segue, invece,è la cronaca minuziosa del più assurdo faccia a faccia con un servizio clienti che mi sia mai capitato, in una vita che,alla voce"assurdità",è parecchio affollata.
Di mio, ci sono gli aggettivi, gli avverbi e l'interrogativo sovrano del "che ci faccio qui?".
Ma tutto il resto è oggettivamente, sinceramente, assurdamente vero.
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"I casi sono due" elaboro mentalmente mentre fendo zaffate di caldo per il centro di Singapore. "O hanno realizzato subito l'errore- e allora i calzoncini sono stati messi da parte, in attesa del reclamo, o non se ne sono accorti-e allora amen, staremo più attenti la prossima volta. Tu limitati ai fatti-e poi vediamo"
I fatti vengono condensati in un sobrio discorsetto, alla signorina del customer service che, con gentilezza,mi chiede di aspettare e di ripeterli al suo diretto superiore.
Obbedisco, aspetto e ripeto.
Sempre sobria, concisa, convincente.
Il superiore annuisce, il che mi fa sperare che la missione sia andata a buon fine-e invece no.
C'è un altro superiore.
Al quale devo ripetere di nuovo tutto quanto, meglio se con le stesse parole, perché quando uso "assente" al posto di "mancante" un'ondata di panico si diffonde nei sottoposti, che attaccano a confabulare, in giapponese stretto.
Torno alla versione ufficiale e la ripeto, a mo' di tabellina, fino a quando, finalmente, si arriva al superiore responsabile dell'inferiore addetto alla vendita dei calzoncini.
Il quale viene convocato, arriva, si inchina, mi guarda e mi chiede di dirgli che cosa sia successo.
Io ormai sono in modalità mantra,per cui ripeto tutta la storia e, vivaddio, il commesso si illumina.
E mi dice che sì, si ricorda benissimo tutto.
Di un signore europeo con la moglie, che ha comprato i calzoncini e poi non li ha ritirati.
"Ma ora la moglie c'è e possiamo sistemare tutto", esclamo,gioiosa.
E improvvida.
Anzi: sprovveduta, inesperta e pure gnurante.
Perchè qui in Oriente, non basta riconoscere un errore.
Prima di metterci rimedio, bisogna emendarlo.
Con una cerimonia di scuse che inizia con quella che a te pare una contrita mortificazione-ma poi sfocia in una apologia del commesso ,volta a far capire che sì, l'errore c'è stato, sì il colpevole è stato individuato, ma la colpa non è da una parte sola.
Perchè "il malito della signolaaahh"- indice puntato sulla sottoscritta-'sti benedetti calzoncini li ha scelti, ma non li ha presi, capito? E se "il malito della signolaaaahh"- indice sempre più vicino- non ha preso i calzoncini,come poteva,il povero commesso, capire che li avrebbe voluti comprare? E qui inizia una pantomima bell'e buona, con il commesso nei panni di mio marito, con tanto di dialoghi surreali ('libok buona malca, laaahhh? "tu plendele due e pagale uno, solo pel oggi, bella giolnata, laaahhh?), al termine della quale la certezza matematica che la sottoscritta ha sposato un deficiente è stata condivisa con tutto il personale e sta quasi per trasformarsi in pietà.
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Raccolgo quel che resta della mia dignità e provo a ricondurre la discussione nei termini di un discorso ragionevole: va bene che il malito della signolaaah non brilla in senso pratico, va bene che abbiamo sbagliato noi, va bene che ora sono io che chiedo scusa-e pure da venti minuti buoni: ma visto che i calzoncini son qui e risulta che li abbiamo pagaati, posso una buona volta prenderli o no?
Posso.
Certo che posso.
Tu pagale, tu plendele.
Tu pagale, tu plendele.
Ma prima, qualche domanda.
Tipo perche la signolaaahh ha lasciato che il di lei marito commettesse un'azione del genere. dov'ero, cosa facevo, perchè non l'ho fermato, insomma.
Questa la so-e vado sicura: la signolahh non c'era, perchè stava nel camerino.
A misurarsi il costume
Quello a quadretti, marca Arena,modello Ippopotamo di fantasia, registrato alla voce numero 4 dello scontrino fiscale emesso nella data di domenica scorsa.
Me li dai,ora, 'sti calzoncini?
No.
Prima, la domanda numero due- colore dei calzoncini.
La logica mi indurrebbe a rispondere che non posso saperlo,di che colore erano, visto che non ho assistito alla scena. Ma qualcosa mi dice che oggi, per la logica, non è giornata,per cui tiro a indovinare
"Neri"
No, sbagliato
Non è giornata neanche per le botte di chiulo
Ritento
"Blu"
Neanche blu.
Chiedo l'aiuto da casa e chiamo mio marito
"blu scuro"-e ci aggiudichiamo anche la seconda domanda.
Ormai sono in partita, vada con la terza
"che taglia?"
Ok, facile, questa la so
XL,rispondo, sicura.
Silenzio.
XXL? azzardo,incerta
Altro silenzio.
Dopodichè, l'inimmaginabile.
il commesso mima le dimensioni di mio marito, dalla cintola in giù.
Chiedendomi di stabilire se possono corrispondere alla XL o alla XXL.
Dietro, sui fianchi, davanti.
E davanti a tutti, ovviamente, visto che ormai attorno a noi abbiamo la folla delle grandi occasioni.
Esprimo il desiderio di sparire dalla faccia della terra,rantolo XXL e,miracolosamente, passo il round.
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Ultima scena, alla cassa prima dell'uscita
Lo scontrino è stato ribattuto, i calzoncini sono stati impacchettati, il commesso mi sorride, soddisfatto e io sono in una sorta di nirvana, per cui amo tutti (marito escluso).
Allungo la mano per afferrare la borsa e, inattesa, implacabile, ineffabile, l'ultima richiesta.
"Posso vedele foto del malito della signolaaahh?"
Per sicurezza, aggiungeNe ha mimato camminata, cadenza, inflessione della voce e parti basse.
Ma, tant'è, non siamo ancora sicuri al 100%
E i calzoncini hanno bisogno del 100%, per passare di mano.
Accendo il telefono e cerco la foto- che, ovviamente, non ho.
Mi collego a internet,cerco su FB, niente.
Gatti, brodaglie da food market dei bassifondi, "io amo il gasp", proklami politici in una prosa che farebbe inorridire i bimbiminkia di tutto il pianeta-ma di foto sue nemmeno l'ombra.
Vado sul profilo- e si blocca l'applicazione
Il commesso aspetta, senza fare una piega.
Ritento- niente.
E allora, disperata, ritelefono a mio marito e gli dico quello che mai, nella mia vita, avrei pensato di dover dire.
A nessuno, per la verità, ma a mio marito meno che mai
Gli chiedo di farsi un selfie.
Possibilmente senza sghignazzare.
E quello, una tantum, obbedisce.
Naturalmente, invano.
Possibilmente senza sghignazzare.
E quello, una tantum, obbedisce.
Naturalmente, invano.
Sintetizzo: il selfie arriva nel momento in cui il cellulare si sblocca, mostrandomi questa foto qui
che è quella che giro al commesso, ridotta a uno straccio e senza più un briciolo di dignità. In cambio, ottengo un profluvio di inchini, unaserie di sguardi compassionevoli e, vivaddio, 'sti belin di calzoncini che, per la cronaca, sono ancora nella borsa, visto che da allora,il malito della signolaaah, ha pensato di avere altre priorità.
Ferma restando quella di mandare la moglie a far figuracce al posto suo,dall'una e dall'altra parte del mondo...