sabato 12 gennaio 2013

DECADENT CHOCOLATE ALMOND CAKE per lo Starbook di Gennaio 2013





Partiamo dalla ricetta, per una volta, perchè si tratta di un dolce "importante", che ha bisogno di un po' di attenzione. Il "giro" dalle altre Starbookers vi permetterà di intuire il giudizio che ci siamo fatte di questo libro, ma se proprio non potete fare a meno del mio, ci vediamo all'ora del tè ;-) per parlarne meglio.  Per ora, invece, soffermiamoci su questa Decadent Chocolate Cake , che è davvero una "signora" torta al cioccolato.
L'autrice sottolinea che questa torta, che in seguito venne resa famosa da Julia Child, era conosciuta in Europa da anni e preparata abitualmente dalle cuoche, dabbasso. Per il confronto fra le due versioni, rimando al prossimo mercoledì, visto che ancora una volta mi è toccato sacrificarmi per voi.



Rispetto alla versione del libro, la forma è diversa. L'originale prevede che sia una torta piatta e rotonda, come tutte quelle senza lievito: la consistenza è molto simile alla tenerina (altro prossimamente su questi schermi,ormai mi son lanciata sulla strada del martirio) e quindi andrebbe servita direttamente in teglia o sformata appena fatta raffreddare. Io, invece, me la son dimenticata nello stampo tutta la notte e quando si è trattato di sistemarla sul piatto di portata, maldestra come sono, ne ho rovinato il bordo. Siccome era anche la mattina di Natale e avevo tutti a casa, c'era pure un certo stess da prestazione, a complicare le cose: per cui, avevo deciso di non servire un bel niente e di mettere da parte il dolce, per una colazione inter nos. E' stato mentre lo sistemavo in un contenitore concavo che mi è venuta l'illuminazione e ho pensato di fare un simil pudding: e così, ho nuovamente svuotato il contenitore, l'ho rivestito di pellicola trasparente, l'ho riempito con i pezzi della torta, pressando bene con le mani in modo da compattare il tutto, senza lasciare spazi vuoti e l'ho messo in frigo per un po'. Basta poco, anche mezz'ora: il tempo di prendere la forma. Poco prima dell'arrivo degli ospiti, ho sformato il pudding su un piatto da portata rivestito da due fogli di carta da forno leggermente sovrapposti al centro, l'ho glassato, l'ho decorato (era Natale, semel in anno licet), ho tirato via dai lati la carta da forno (trucco per non far sporcare il piatto di portata) e ho rimesso in frigo. Mezz'ora a temperatura ambiente, prima di servire. E anche se era Natale, sembrava la fine del mondo :-)
 DECADENT CHOCOLATE ALMOND CAKE
with Sour Cream Icing

per 6-8 persone

per la torta
4 once (circa 120 g) di ottimo cioccolato fondente, sciolto
2 cucchiai di caffè macinato*
113 g di burro morbido, tagliato a cubetti
220 g di zucchero  ( 1 cup)
3 uova (tuorli e albumi)
1 cucchiaino di sale
60 g di farina di mandorle (1/2 cup)
1/2 cucchiaino di estratto di mandorla
75 g di farina 00, setacciata (1/2 cup)

per la glassa
8 once (circa 220 g) di ottimo cioccolato fondente, a pezzetti
1 cucchiaino di polvere di caffè espresso*
circa 300 g di panna acida (1 1/2 cup)
170 g di golden syrup
1 cucchiaino di sale
1 cucchiaino di estratto di vaniglia



Preriscaldare il forno a 180 gradi. Imburrare e infarinare uno stamppo rotondo di 20- 22 cm di diametro
Far sciogliere caffè e cioccolato a bagnomaria, mescolando bene. Montare il burro a crema con lo zucchero per qualche minuto, fino ad avere un composto soffice e spumoso. 
Da parte, sbattere i tuorli con l'estratto di vaniglia e aggiungerli al composto di burro e zucchero: amalgamare bene
Montare gli albumi con il sale 
Versare il cioccolato fuso intiepidito nel composto di burro e uova, mescolare bene e unirvi la farina di mandorle e l'estratto di mandorle. Immediatamente aggiungervi un quarto degli albumi a neve e incorporarli con delicatezza. Unire poi un po' di farina, setacciata, incorporarla all'impasto e procedere così, alternando albumi e farina, fino all'esaurimento di entrambi gli ingredienti. 
Versare l'impasto nello stampo, poi far cuocere in forno preriscaldato per 25- 30 minuti. La torta è pronta quando uno stuzzicadenti infilato al centro uscirà senza residui di impasto intorno. 
Lasciar raffreddare la torta per 15 minuti nello stampo, poi sformarla con delicatellza su una grata. Lasciarla completamente raffreddare, per 1 o 2 ore, dopodichè glassarla
Per la glassa
Far sciogliere a bagnomaria il caffè e il cioccolato, sempre mescolando. Togliere dal fuoco e lasciare intiepidire.
In una terrina, mecolare la panna acida, il corn syrup, il sale e l'estratto di vaniglia. Aggiungervi a poco a poco il cioccolato, sempre mescolando, fino ad ottenere una glassa liscia e lucida. Farla raffreddare in frigo, non più di 25 minuti, dopodichè spatolarla sulla torta e decorare con mandorle a lamelle 
Note mie
Come dicevo all'inizio, si tratta di una torta soffice, senza lievito e con poca farina: di conseguenza, è fondamentale incorporare aria durante la lavorazione. L'autrice non monta i tuorli, ma parte dalla lavorazione del burro, esattamentecome si fa col quattro quarti, altro dolce che tradizionalmente non prevede lievito. 
Ciò che è essenziale, oltre al montaggio, è setacciare la farina, anche tre volte e montare il giusto gli albumi: non troppo, perchè sennò smontano, quando li unite al composto, non troppo poco: appena potete girare la ciotola senza che gli albumi cadano, ci siamo. 
Per quanto riguarda le dosi, sono in cup e in once: ergo, non sono precisissime. Ma con questa conversione "allegra" il dolce riesce. 
Sul fronte degli ingredienti, il primo caffè, quello dell'impasto, è il caffè istantaneo (per loro, granulated coffee); quello della glassa è il nostro caffè vero (espresso coffee). In entrambi i casi, è tanto: io ho ridotto della metà e si sentiva parecchio. Però, a noi i dolci al caffè non fanno impazzire, quindi può essere dipeso anche da una questione di gusti. Il coniglio, comunque, è di iniziare con poco, poi assaggiare e vedere. 
La cottura è ok: il forno va in modalità statica, nel mio son bastati 25 minuti. 
Quello che l'autrice non dice è che sarebbe meglio rivestire la torta di carta da forno, prima di versare lo tampo: altrimenti, sformarla può essere più complicato del previsto. 
Per quanto concerne gli ingredienti della glassa, potete sostituire il corn syrup con 2 cucchiai di miele millefiori, belli pieni. Invece, è del tutto insostituibile la panna acida: il concetto è molto simile a quello di questa torta di Nigella e la vera differenza la fa proprio questo ingrediente. 
Per fare in casa la panna acida
100 ml di yogurt compatto, bianco, non zuccherato (quello greco è l'ideale)
100 ml di panna fresca liquida
un cucchiaino di succo di limone
Mescolare tutti gli ingredienti e far riposare a temperatura ambiente per 24 ore. 
E ora, passiamo alle Starbookers, che questo mese hanno preparato per voi
Le considerazioni finali sul libro, invece, oggi pomeriggio, che l'ufficio incombe. 
A dopo
Ale

lunedì 7 gennaio 2013

Tarquin Hall- Vish Puri

Ovvero: come cascarci di nuovo.
Precisiamo. Il povero Vish Puri c'entra solo fino a un certo punto, perché la sua parte, a suo modo, la fa: meglio nel finale che per il resto del libro, ma alla fine si resta comunque desiderosi di sapere chi sarà il colpevole e questo, per un libro giallo, è già un bel merito.
Il problema, ancora una volta, sono i recensori- e, nel caso in questione, TuttoLibri di LaStampa che sta alla sottoscritta come la stella polare ai naviganti. Per cui, quando ho letto che l'otto settembre sarebbe uscito un romanzo con un nuovo personaggio, un investigatore indiano amante della buona cucina e del metodo d'indagine classico, come si poteva intuire sin dal titolo, da buona gialllista orfana di cotanti Padri ho iniziato a fare il conto alla rovescia dei giorni che mi separavano dalla fatidica data. E quando questa è arrivata, puntuale come un orologio, me ne sono completamente scordata.
L'ho recuperato qualche settimana fa, nella consueta pausa pranzo in libreria, ed ho iniziato a leggerlo tutta speranzosa, zittendo le consuete richieste della creatura perché , se è vero che in casa nostra vige l' Ubi Minor, Omnia cessant, qualche volta anche no. E quindi, che mi lasciasse in pace, a godermi 'sto po'po' di capolavoro.
Siccome saprete già com'è finita, passo subito ad elencarvi quelli che per me sono stati i punti deboli del romanzo

1. il primo è la mancanza della tensione narrativa: a costo di essere noiosa, questo è uno degli elementi fondamentali di un giallo, se non addirittura il più importante. A titolo di esempio, tanto per citare nomi illustri, non sempre le trame della zia Agatha o di Rex Stout o di Ellery Queen filano via lisce come l'olio: si tratta naturalmente di eccezioni, ma è indiscutibile che ci siano state. Tuttavia, la magistrale tensione narrativa della scrittura ha supplito alle pecche del plot, sì da far chiudere un occhio su queste ultime. Nella storia di Vish Puri, invece, succede il contrario: la trama tene, la scrittura no. Questo per colpa del continuo intersecarsi di vicende parallele ma estranee alla principale che di fatto "divertono" il lettore, nel senso che lo distraggono di continuo, per giunta interrompendosi non sul più bello, come qualsiasi telenovela insegna, ma in un modo talmente casuale che se proprio non si cade nella noia, quanto meno la si sfiora, e pure più volte

2. accanto alla mancanza di tensione narrativa, mancano anche i tempi comici:l'autore ha l' ambizione di coniugare il plot del giallo classico con la verve comica, in un connubio che, se felice, porta a risultati a dir poco esilaranti- e Donald Westlake ne è l'esempio più alto. Qui, invece, si scade subito nel patetico, con battute infelici che, non essendo sorrette da quell'abile crescendo che prelude alla risata, si ammosciano tristemente in veri e propri flop

3. la vera occasione perduta del libro è però l'ambientazione: il romanzo si svolge nell'India dei nostri giorni, in una società dove gli atavici contrasti sono portati al'estremo dall'adesione alle nuove regole del mercato, ispirate a logiche tanto spregiudicate quanto opposte ad un pensare comune, stratificatosi in una cultura millenaria: un argomento, quindi, di estremo interesse e d uno scenario che avrebbe potuto offrire milioni di spunti, anche di natura sociale. Non c'è dubbio che Tarquin Hall - che prima di questo libro faceva il giornalista esperto in reportage sull'Africa e l'Asia- conosca la realtà indiana e descriva in modo preciso la svolta di questi anni. Tuttavia, resta in superficie, senza penetrare nelle ferite che cambiamenti così repentini e su binari così estranei al sentire comune hanno inferto al popolo indiano. Il suo racconto, cioè, non oltrepassa i limiti di un banale resoconto, quale si riscontra spesso in osservatori esterni, strutturalmente incapaci di sintonizzarsi sulla mentalità, le credenze, le abitudini di vita di una cultura ricchissima e complessa come quella indiana.

4. Infine, la nota più triste è l'ambizione di parodiare ora Poirot ora Nero Wolfe, senza capire che non è un paio di baffi o una incontenibile golosità che possono esaurire l'analogia con tali maestri. Senza contare che anche questi due dettagli stonano con i loro modelli illustri: dei baffi di Vish Puri si parla nelle prime pagine del libro, per poi dimenticarsene completamente, evocando per contrasto la cura maniacale che Poirot ha dei suoi e che costuisce un tratto peculiare del personaggio; e Nero Wolfe è tutto fuorché goloso: la raffinatezza della sua profonda cultura gastronomica che ha fatto dei suoi libri una sorta di trattato della cucina che non sfigura accanto ai testi classici, e soprattutto la straordinaria abilità descrittiva di Stout, grazie alla quale il lettore percepisce profumi inebrianti e sapori squisiti, in un magistrale connubio fra tecniche sopraffine ed equilibrio degli ingredienti, non può essere svilito nel crasso appetito dell'investigatore indiano, che si fionda nelle bettole e divora cibo di strada.

Tuttavia, qualche elemento positivo il libro ce l'ha ed è per questo che ci sono speranze che l'autore possa crescere, sviluppando i suoi pregi: il netto miglioramento nel finale, per esempio, dove si scopre con piacevole stupore che la capacità di risvegliare l'attenzione dell'autore e soprattutto di mantenderla desta c'è, eccome; il plot narrativo che regge benissimo, senza nessuna smagliatura, pur discostandosi dai modelli a cui dichiaratamente si ispira; infine, seppure appena abbozzato, il quadretto dei rapporti interfamiliari con la moglie e con la madre , che costituisce un momento felice della narrazione,insieme al tratteggio psicologico di alcuni personaggi, spesso marginali.
E' a tutto questo insieme di pregi che si deve l'inclusione del romanzo nell'ambita classifica dei libri così e così, insieme ad un invito a leggerlo (meglio se preso in prestito in biblioteca o da qualche amico, destinando i 18,50 euro del prezzo di copertina ad altre letture): se non altro, per non perdere il gusto di discuterne qui.
Buona domenica
Alessandra

Camilla Lackberg- La Principessa di ghiaccio


I legge di Raravis :
Quando una qualunque casalinga, di qualsiasi parte del mondo, si alza dal letto, di solito prepara la colazione, riordina le camere, mette su una lavatrice.
Eccezione alla I legge di Raravis:
Se è una casalinga svedese, scrive un libro giallo.


Credetemi: ci ho provato.
Ho provato ad abbassare le aspettative, ad illudermi che quello che avevo fra le mani fosse un libro giallo, a convincermi che se era al secondo posto nella classifica del best sellers in Italia c'erano milioni di validi motivi e che semmai ero io ad essere quella troppo esigente, troppo cattiva o troppo snob.
Non ce l'ho fatta.
E, quel che è peggio, non sono neanche riuscita a scrvere una rece degna di questo nome: e mentre stavo già disperando, di fronte al tanto strazio ed al mio spirto anelo, venne una man dal cielo e zac! mi è venuta l'ideona: anzichè dannarmi l'anima qui sopra, lascio la Parola a Lei, la Signora Camilla Lackberg, faccia paffuta e braccia rubate al marketing - stando alla terza di copertina- nota al mondo intero per aver scalato le classifiche di vendita con La Principessa del Ghiaccio e per aver provocato un moto perpetuo alla bonanima dell'Agatha Christie- detta "la trottola", da quanto ormai si rivolta nella tomba...


Vi sintetizzo la trama, in poche righe: la protagonista, che si chiama Erica, è una biografa di successo, a cui capita in sorte di trovare il cadavere della migliore amica d'infanzia. Siccome siamo in un paese a nord della Svezia, che si regge sull'industria delle aringhe, ed è pieno inverno, il cadavere della vittima è ovviamente surgelato: non a caso, il titolo del libro è "La Principessa di Ghiaccio". Se il cadavere fosse stato quello di un uomo, avremmo avuto "Il Capitan Findus".

Siccome la ragazza è stanca di raccontar storie che hanno come protagoniste altre donne e non lei, decide di approfittare della richiesta dei genitori della vittima, che la pregano di scrivere un articolo sulla figlia scomparsa, per dare una svolta alla sua carriera e votarsi alla true story . E così, si mette ad indagare, scombina la quiete del paesino, tira fuori scheletri da vecchi armadi, rovina famiglie, trova l'ammmore e con lui viene a capo dell'inghippo che, per la cronaca, si capisce grosso modo a pag. 50, appena finiscono le manfrine.

Anche il lettore più benevolo, converrà con me che siamo di fronte ad una trama banale, con meccanismi narrativi erosi dal troppo uso ed un'ambientazione che sublima alla massima potenza il de ja vu ( tanto per dirne una: indovinate un po' dove si trova il cadavere della vittima???? ). Ma è qui che si vede il genio dell'artista, il tocco di uno stile inconfondibile, il sottile passaggio dall'intelletto all'intuizione che fa sì che una materia antica risorga nello splendore di vesti nuove, tutte tempestate di preziosi, di brillanti e-ahinoi- di vere e proprie perle...


Ascelle/Pulizia personale

Assieme alle mutande, sono il topos ricorrente dell'intera storia. In quasi 500 pagine di sudate, sotto la neve e sotto le lenzuola, la doccia viene nominata una sola volta, quasi che una tradizione millenaria di saune et affini possa essere cancellata con un colpo di spugna- unico, oltretutto

"Sentendo di avere gli occhi cisposi, Erica si affrettò ad andare in bagno a darsi una lavata alla faccia. Si mise gli stessi vestiti del giorno prima, si diede una veloca spazzolata e una passatina di mascara" (p. 78)
"la prova abiti e lo stress emotivo l'avevano fatta sudare sotto le ascelle. Con un profondo sospiro, si diede di nuovo una lavata" (p. 250)
"in bagno, si lavò sotto le ascelle e mentalmente ringraziò di essersi depilata la mattina mentre si faceva la doccia" (p. 194)

In compenso, però, viene indicato un metodo alternativo per provvedere all'igiene personale, per quanto esposto a non trascurabili rischi...

"la spalatura della neve lo aveva fatto sudare fino alle mutande, così cercò di sollevare un po' il tessuto della camicia per farsi un po' d'aria" (p. 336)

Disturbi vari

In un thriller d'azione, fatto anche di momenti di concitazione e di violenza, l'unico personaggio che riporta un danno dalla cintola in su è una bambina. Per il resto, sembra di stare in una puntata di Elisir dedicata ai disturbi della terza età:

" La neve doveva appena essere caduta sulla città, perchè la coltre bianca copriva ancora l'erba. In genere, a Stoccolma bastavano un paio di giorni perchè si trasformasse in una poltiglia grigiastra. Dopo aver appoggiato i guanti su una panchina, ci si sedette sopra. Con la cistite non c'è da scherzare, ed era l'ultima cosa di cui aveva bisogno in quel momento" (p. 104)


"Il banco era duro e scomodo ed Erica cominciò ad avvertire un fastidioso dolore alla zona lombare. Per fortuna, la cerimonia si concluse abbastanza rapidamente" (p. 107)

"Come su appuntamento il suo stomaco si fece sentire (p.25)"
" Il suo stomaco protestò" (p. 49)

Vista l'insistenza, è probabile che ci fosse anche qualcun soro, a ben pensarci...


Candele


Rappresentano il passo successivo ai disturbi della terza età- e difatti l'autrice le dissemina ovunque: riscaldano l'ambiente, lo profumano, lo rendono seducente ed intrigante, con le loro luci soffuse e, addirittura, migliorano la bellezza femminile. A patto che il malcapitato di turno non sia scaramantico e abbia un debole per il fascino ala Morticia...

" non c'era niente che giovasse all'aspetto di una donna come la luce delle candele, aveva letto da qualche parte, e così ne aveva accese in abbondanza" (p. 255)

Abbigliamento

Se, fino ad oggi, eravate fra quelli che guardavano alla moda svedese dall'alto in basso, beh, è giunto il momento di ricredervi: perchè in Svezia le griffe internazionali, non solo si indossano, ma addirittura si fondono...

"era vestito casual, con dei Chinoise perfettamente stirati e una camicia azzurra Ralph Laurent" (p. 40)

Etichetta


Se vesti Ralf Lorànt non puoi certo permetterti di non conoscere le buone maniere, anzi. E se scrivi di gente che veste Ralf Lorànt, devi armarti di santa pazienza per spiegare alla plebaglia dei tuoi lettori che nei quartieri alti si fa così. Ecchissenefrega se a voi la mamma vi ha sempre detto di comportarvi all'esatto opposto: ce l'avete il Ralf Lorànt, voi? Nooooo? E allora, zitti e prendete appunti

" lottò invano, per cercare una posizione comoda sul divano bellissimo ma spartano. Alla fine, si sistemò sul bordo e bevve cauta il caffè, servito in minuscole tazzine. Avvetrtì un fremito al mignolo, ma resistette all'impulso di sollevarlo: quelle tazzine sembravano fatte apposta, ma sospettava che sarebbe parso un gesto più caricaturale che spontaneo" (p. 41)

Se fino a ieri pensavate che salutare qualcuno con due baci sulla guancia fosse un gesto naturale e spontaneo, beh, sappiate che vi siete sbagliati. Qui c'è tutto un rituale, fatto di mossette, finte, assalti e affondi che al confronto il Manuale del Perfetto Schermidore è un testo di Statica. Ed è solo dopo che lo avrete appreso alla perfezione, che potrete ritenere conclusa la vostra arrampicata alla scala sociale: d'altronde, non è mica un caso che Dracula fosse un conte...

" Birgit ed Henrik si salutarono avvicinando le guance e baciando l'aria, dopodichè toccò a Erica ricevere lo stesso trattamento. Non era affatto abituata a quella usanza ed era un tantino preoccupata di cominciare dal lato sbagliato. Invece, superò elegantemente la prova" (p. 80)

"Quando Erica tese la mano, Nelly la ignorò e avvicinò invece il viso al suo, baciando l'aria ai lati delle guance. Erica questa volta sapeva da quale ato partire e si sentì quasi mondana" (p. 134)

E infine, ogni volta che siete state prese da impulsi omicidi quando i vostri figli hanno sciorbettato il brodo, macchiandovi la tovaglia e la coscienza, non avete fatto altro che rivelare le vostre origini bassamente plebee, miei cari. Se foste nati nei quartieri alti, infatti, vi sareste comportati in ben altro modo:

"la conversazione scorreva lenta ma cordiale. Nelle lunghe pause si sentivano solo il ticchettio regolare di un orologio e il loro educato sorseggiare il tè bollente che era stato servito" (p. 128)

Su, su, un bel ruttino....


Calzini

E' inutile che ci si giri tanto intorno: è l'arma della sorpresa, quella che fa lo "scrittore di gialli". E se qualcuno la usa celandola in un sapiente dosaggio dei tempi e qualcun altro nascondendola dietro la tensione della suspence, la Camilla la incarna nel calzino che, da capo negletto e deprimente di tutti gli armadi del mondo (Germania esclusa), si sublima nell'incarnazione dell'intelligenza e delle virtù amatorie di Patrick

"prese mentalmente nota del fatto che neve più scarpe basse significava calzini sgradevolmente bagnati" (p. 344) "la cosa peggiore fu accorgersi che aveva ancora ai piedi i calzini... difficile essere un dio del sesso con dei calzettoni di spugna bianchi marcati U.S. Tanumshede ai piedi" (p. 271)

A questo punto, fatemi la cortesia di non iniziare a dire che se uno è tanto sveglio, col cavolo che gira in mocassini e calzini nella neve e che se mai c'è un modo per riuscire a resistere a George Clooney è quello di pensarlo nudo dalla caviglia in su perchè non possiamo farci riconoscere ogni volta, insomma: forse che non si è capito già dalla prima pagina, che siamo di fronte alla "nuova Agatha Christie dalla Svezia????

Mutande

Sono le vere, uniche, incontrastate protagoniste della storia, declinate in tutte le forme, dal perzioma, allo slip bianco di pizzo, alla mutandona della nonna rinforzata, nessun modello escluso: quando si dice mutatis mutandis...


"si guardò intorno nella stanza per accertarsi che non ci fossero mutande usate in giro. Una sloggi da tutti i giorni avrebbe fatto passare la voglia a qualunque uomo" (p. 250)

"il primo dilemma si era presentato dopo la doccia, quando, non diversamente da Bridget Jones, la sue eroina preferita, si era trovata ad affrontare la scelta delle mutande. Meglio optare per un bel perizoma di pizzo, nella remota eventualità che lei e Patrick finissero a letto?Oppure per le orrende mutande rinforzate per comprimere pancia e sedere, che avrebbero considerevolmente aumentato le probabilità che succedesse qualcosa? Era una scelta difficile ma, tenendo conto della prorompenza della pancia, dopo aver poonderato a lungo, preferì la variante rinforzata. Sopra, ci finì un paio di calze contenitive: in altre parole, artiglieria pesante " (249)


Reggiseni/Scollature

Potevano mancare? certo che no...

"Erica si accorse che lo sguardo del cognato era sceso verso la sua scollatura e si strinse istintivamente nella giacca. Lui percepì quel gesto, cosa che la irritò. Non voleva mostrargli di essere in qualche modo condizionata da lui" (p. 103)

Il primo che dice che voleva solo mostrargli le tette, è bannato da menuturistico, per sempre

" il chiletto che si era equamente suddiviso tra i due seni, faceva sì che dalla scollatura del vestito, si intravvedesse una fessura non male. Certo, un po' aiutata da un push -up, ma tali ausili erano ormai diffusissimi. Quello che indossava, tra l'altro, era dell'ultima generazione, con il gel nelle coppe, il che conferiva al petto un dondolio molto naturale. Una chiara dimostrazione dei successi della scienza al servizio dell'essere umano" (p. 250)

Ve l'immaginate la scena?
" che modello di wonderbra preferisce, signora? Il "Galileo" o il "Focault"?
"mi dia il Focault: col Galileo, "eppur si muove"....

"si protese in avanti per prendergli il piatto e ne approfittò per chinarsi un tantino più del necessario; tanto valeva giocare tutte le carte che aveva a disposizione. A giudicare dall'espressione di Patrick, quello che aveva appena calato era un bel tris d'assi. Le 500 corone pagate per il Wonderbra erano state ben spese" (p. 257)

Quando si dice "chi più spende..."

Romanticherie


Se non c'è un pizzico di romanticismo, che storia d'amore è?
Lo sanno bene i golosi dei baci perugina, i discepoli di Federico Moccia, le estremità congelate dei Valerio Scanu. Poteva non saperlo la Camilla?

"Patrick cominciò a slacciarle i bottoni della camicetta con sguardo interrogativo. Lei gli diede il suo tacito assenso sbottonandogli la camicia. D'un tratto, si rese conto che la biancheria che aveva scelto non era quella che avrebbe preferito mostrare a Patrick la prima volta... il problema era come sfilarsi calze contenitive e mutande rinforzate senza che lui le vedesse. Si tirò su all'improvviso "Scusami, devo andare un attimo in bagno" (p. 264)

L'uomo è i suoi bisogni- Ludwig Feuerbach
"maldestri e incerti su cosa piacesse o non piacesse all'altro, non si sentivano sufficientemente sicuri per domandarlo e così con piccoli suoni gutturali indicavano cosa funzionava e cosa invece doveva essere aggiustato" (p. 265)

Dall'homo erectus all'homo idraulicus- Charles Darwin


"pur sospettando di avere un alito orrendo, Patrick non potè fare a meno di protendersi in avanti e baciarla" (p. 267)

"io ce l'ho profumato"- Mental

"si baciarono teneramente. Dopo un attimo, però, lo stomaco di Patrick brontolò tanto forte che lo presero come un invito a portare i sacchi in cucina"

prima di lanciare al galoppo la vostra fantasia, i sacchetti sono quelli del supermercato


Sesso e Ammore

"lo guardò. Lui la stava osservando molto intensamente e sotto il suo sguardo si sentì scaldare tutta. Qualcosa scattò. un istante di intensità assoluta. Prima che Erica si rendesse conto di quanto le stava accadendo, Patrick era accanto a lei. Dopo un attimo di esitazione, le premette le labbra suelle sue...il corpo fi attraversato da una specie di scossa elettrica" (p. 264).

La vittima è la Principessa di Ghiaccio
L'investigatrice è la stufetta.

"la prima volta non fu straordinaria, come invece si legge nei romanzi d'amore...la seconda volta andò però decisamente meglio e la terza risultò del tutto accettabile. La quarta andò molto bene. La quinta fu fantastica... si addormentò con il sorriso sulle labbra" (pp. 265-266).

Ditemi che era una paresi, vi prego...

"Gli scompigliò i capelli con la mano e lui lo interpretò come un segnale. Si gettò su di lei e la inchiodò al divano" (p. 449)

Dall'homo idraulicus all'homo faber.


Similitudini ardite

" Erica si sentiva come se avesse afferrato una ramazza mentale" (p. 295)

SE SOLO QUALCUNO OSA FARE IL BENCHE' MINIMO COMMENTO...etc etc etc

Battutone

... anche perchè alle malizie argute e alle blande allusioni ci pensa già l'inefabile Camilla...
"E nella vita, cosa fa? Non dirmi che è un artigiano, ti prego. Sarei invidiosissima. Ho sempre sognato il vero sesso artigianale"
"No, non fa l'artigiano. Fa il poliziotto, se proprio vuoi saperlo"
"Il poliziotto, caspita! un uomo dotato di sfollagente, in altre parole... beh, mica male neanche quello.." (p. 378)


E infine, a degna conclusione di siffatto capolavoro, anche La Pricipessa di Ghiaccio non si sottrae alla sua missione di dare al mondo il suo messaggio: e lo fa con una riflessione profonda, originale, da donna sensibile che non dimentica tutte le donne ed anzi ha per loro calde parole di speranza:

"sicuramente, era una vita che non mangiava per mantenere la linea imposta dalla moda, senza però rendersi conto che l'esilità, che può risultare gradevole quando è accompagnata dalla naturale morbidezza della gioventù, non ha lo stesso effetto una volta che l'età ha lasciato i suoi segni" (p. 116)

Grazie di esistere
Alessandra

Del furor d'aver libri...Glauser, Gimenez Bartlètt e Ali


Tre libri, stasera: e non perchè sia stata presa da una insana voglia di smaltire gli arretrati, quanto per il denominatore comune che li lega, pur nella loro diversità. Per puro caso, li ho letti quasi uno di seguito all'altro e il confronto è stato, gioco forza, inevitabile, segnando per giunta un confine ben marcato fra chi ha vinto la sfida, chi c'è riuscito a metà e chi, invece, è naufragato nella sua presunzione, in un folle volo verso uno dei cimenti più ardui per chi voglia scrivere un romanzo: vale a dire, la padronanza di una materia composita, variegata e in apparenza sconnessa, quale è appunto quella scelta da ciascun autore come argomento della propria storia. E' una sfida "alta", di quelle che mettono a nudo le tue capacità e i tuoi limiti, tanto che sono molti gli autori che preferiscono non raccogliere il guanto. I tre che seguono lo hanno fatto con esiti che a me sono parsi differenti, l'uno dall'altro, a conferma della difficoltà dell'impresa e dell'alto valore della posta in gioco


F. Glauser, Il Tè delle Tre Vecchie Signore

Ci credete se vi dico che non so ancora se questo libro mi è piaciuto o no? Quello che so per certo è che, pur essendo stato di difficile lettura, non mi ha mai fatto venire voglia di abbandonarlo: il che è cosa buona, indizio della percezione di un'opera degna di essere letta, da una parte, e della scarsissima preparazione letteraria della sottoscritta, dall'altra. Eppure, erano anni che desideravo comprarlo, attratta com'ero dal titolo e dalla casa editrice, in assoluto quella che preferisco per la raffinatezza delle scelte, la capacità di scoprire talenti e di proporre vere e proprie chicche, altrimenti destinate a giacere nei cassetti di chissà quanti altri editori. Ed è proprio per festeggiare il suo quarantesimo compleanno che la Sellerio ha deciso di ripubblicare i venti titoli più emblematici della sua storia, da Sciascia a Camilleri, a cui va il merito di aver risollevato dal rischio di fallimento i coniugi Sellerio, consentendo ai mitici libretti blu di tornare a riempire gli scaffali delle librerie.
Glauser, dicevamo: un autore svizzero, considerato il padre del giallo elvetico, riscoperto a seguito del grande successo di Durenmatt, di cui fu il maestro e dal quale, però, venne oscurato. Non a caso Sciascia, sul risvolto di copertina, fa notare l'anomalia e cerca subito di metterci una pezza , ricorrendo al consunto paragone con Simenon e con Maigret che, mai come in questo caso, è fuori luogo. "Il tè delle tre vecchie signore", infatti, è una divertente e datatissima storia di spionaggio, nei toni ingenui e un po' enfatici che tanto affascinavano il pubblico degli anni '30, che vede qui soddisfatte tutte le sue aspettative: personaggi surreali che celano la loro vera identità chiamandosi "numero 72" piuttosto che "colonnello," ambientazioni che spaziano dalla sontuosa dimora del politico inglese al rifugio spartano della spia russa, la prorompente presenza della magia nera, una rutilante storia d'amore, l'eroina con i pantaloni e i capelli alla maschietto, gli affondi nella nuova scienza della psichiatria e, a far da filo conduttore, una serie di cadaveri disseminati qua e là. Insomma, un'accozzaglia di argomenti che sembrano la traduzione in prosa di quei gabinetti delle meraviglie che appagavano le smanie di collezionismo in voga qualche secolo fa, nei quali i pezzi di pregio finivano per essere confusi fra paccottiglie e cianfrusagli di ogni genere. In tutta onestà, non escludo di aver completamente sbagliato approccio alla lettura, convinta com'ero che si trattasse di un giallo di impianto classico: anzi, a ripensarci, sono certa che se lo avessi letto con uno spirito diverso, meno imbrigliato nelle aspettative di genere, me lo sarei goduta infinitamente di più, magagne o non magagne. Quasi quasi lo rileggo, cosa dite?


Alicia Gimenez- Bartlett, Riti di morte

Ancora la Sellerio, ancora un'altra operazione editoriale: dopo Camilleri e Carofiglio, tocca ad Alicia Gimenez - Bartlétt l'onore di veder ripubblicati i suoi romanzi in volumi unici che raccolgono, a gruppi di tre e in ordine cronologico, l'opera omnia di questa autrice spagnola, nota in tutta Europa per aver creato una delle coppie investigative più strampalate e simpatiche della storia del giallo, vale a dire l'ispettrice (ispettore??) Pedra Delicado e il suo vice, Fermin Garzòn. A proposito di questo libro, qualche giorno fa vi dicevo che la prima volta che lo avevo letto, non mi era piaciuto granchè o meglio: non mi aveva fatto "nè caldo nè freddo", come si suol dire. Oggi, invece, lo trovo un bellissimo romanzo, prima ancora che un bellissimo giallo, tanto che fatico a parlarne in poche righe, tali e tanti sono gli spunti su cui si potrebbe riflettere e discutere. La spina dorsale è un'indagine poliziesca: Barcellona è tenuta sotto scacco da un violentatore seriale, che marchia le sue vittime con una sorta di fiore e che, nel giro di poco tempo, getta la città nel panico. Al caso viene affidata l'ispettrice Pedra Delicado, che da poco è entrata in Polizia dando una brusca virata alla sua vita, rinunciando al prestigio di uno studio legale ed agli agi di una borghesissima vita matrimoniale per immergersi in una realtà meno patinata ma più vera, nella quale può finalmente riconoscersi e ritrovarsi. Finita dritta a scartabellare in archivio, Pedra viene recuperata come tappabuchi per l'indagine (nel suo commissariato sono tutti o malati o in ferie) e, a completare l'opera, le viene assegnato come vice Fermin Garzòn, un poliziotto alle soglie della pensione, una sorta di manovale delle forze dell'ordine, solo, sensibile e rassegnato a non chiedere nulla alla vita. Che i due, all'inizio, facciano scintille è tutto nelle premesse, che si sviluppano in un rapporto prima di reciproca tolleranza e poi di progressiva conoscenza, fino a trovare un punto d'incontro fra la scorza ruvida di Pedra e la sommessa rassegnazione di Fermin, secondo un copione consolidato ma che, sotto la penna della Gimenez- Bartlett, non scade mai nel banale o nel ripetitivo. Nulla, a dire il vero, è banale e ripetitivo, in questo romanzo- non i personaggi, non l'angolazione con cui si narra la storia e non la Barcellona in cui tutto si svolge, colta a tal punto in ogni sua sfaccettatura da svestire i panni statici del semplice scenario per diventare una sorta di basso continuo, capace di modularsi in modo così naturale sui personaggi e sulle situazioni da costituire essa stessa un personaggio vivo ed essenziale alla storia.
Definire Riti di Morte un romanzo giallo sarebbe sbagliato: non riduttivo, non fuorviante- sbagliato e basta. L'indagine, infatti, è solo una voce di una partitura più ampia, che l'autrice sa dirigere con sicurezza e con maestria, alternando al ritmo incalzante dell'azione quello pacato della riflessione e passando disinvoltamente dal piano della narrazione dei fatti a quello dell'introspezione dei pensieri. Il tutto, senza mai sbagliare un attacco, con un dosaggio dei tempi assolutamente perfetto, dove ogni elemento trova un proprio spazio dove esprimersi al meglio e fino in fondo.
La seconda avventura è sul comodino....


Monica Ali, In the Kitchen

Comincia bene e finisce malissimo, questo romanzo pretenzioso, ambientato in una Londra moderna, multietnica, lacerata da contraddizioni sempre più drammatiche, la cui trama si stempera in una serie di rivoli tanto verbosi quanto inutili. Dalla prima metà in poi, mi sono chiesta che fine avesse fatto l'editor, visto che, se mai c'era bisogno di usare le forbici, era proprio in questo caso. Con 200 pagine di meno, sarebbe stata tutt'altra lettura, posto che vi piacciano i de ja vu e i dolori stereotipati di ex giovani capaci solo di piagnucolarsi addosso. Così, invece, resta un'opera noiosa, dispersiva, faticosa, il cui unico pregio è un macroscopico debito ad Anthony Bourdain- da Kitchen Confidential ad Un Osso in Gola- il che dimostra, ancora una volta, che a misurarsi con dei giganti ci si perde sempre e che la presunzione non paga. Quanto meno qui sopra.

Buona serata
Alessandra

Michael Zadoorian- In Viaggio Contromano (The Leisure Seeker)


" Poche storie, Ella e John hanno deciso: partiranno. Chi se ne frega dei divieti e delle ansie dei figli, al diavolo medici, paramedici, rompiscatole che ti ammorbano a suon di esami, prescrizioni, precauzioni. Ella ha più problemi sanitari di un Paese del Terzo mondo, John non ricorda come si chiama sua moglie, ma insieme fanno "una persona intera". Di cose grandiose se ne possono fare anche all'ultimo round. Anche dopo una vita che non ha nulla di straordinario. E allora? Si parte e stop. In barba a ogni cautela, ogni pallosa ragionevolezza, a ottant'anni suonati, Ella e John balzano sul loro camper- un vecchio Leisure Seeker- e attraversano l'America da Est a Ovest. Partendo da Detroit, puntano dritti a Diseyland, lungo la mitica Route 66. Un vero e proprio viaggio contromano a base di cocktail vietati, hippies irriducibili, diapositiva all'alba, malviventi messi in fuga. Un inno alla Strada, un caleidoscopio di personaggi strepitosi e cittadine fantasma, ansie sogni paure: quello che è stato, che si è amato, quel che è qui ora e più non sarà...perchè la vita è profondamente nostra, teneramente, drammaticamente grande, fino all'ultimo chilometro"

Questa è la quarta di copertina più bella che io abbia mai letto
E questo è il libro più tenero e commovente e delicato che io abbia mai letto in questi ultimi anni.
E' un inno all'amore, all'anticonformismo, al coraggio che ha come eroi due sposi ottantenni, decisi a sfidare tutto- la famiglia, la salute le regole del buon vivere civile che li vorrebbero a casa, inchiodati a due letti di ospedale- pur di riprendersi in mano quel poco che resta loro da vivere. Lo fanno percorrendo una strada, la celeberrima Route 66, che in questo caso si spoglia di ogni valenza mitica per diventare la delicata metafora di una vita vissuta insieme, condivisa chilometro per chilometro, passo dopo passo e che Ella e John intendono ripercorre insieme, fino al capolinea. Ed al capolinea arrivano davvero, attraverso una serie di avventure in cui mai erano finiti prima e in cui mai avrebbero pensato di incappare, in un viaggio che permette loro di recuperare la bellezza di un rapporto inquinato dalle ingerenze esterne e che, in tal senso, è contromano. E' Ella che parla, raccontando in presa diretta- e lo fa nei modi e nei toni della compagna di una vita: ora bruschi, ora affettuosi, ora venati di compassione, ora vibranti per le momentanee arrabbiature, ma sempre intrisi di una intimità profonda, spontanea, vissuta, che diventa uno dei tanti fili conduttori di questo romanzo.
Se avete genitori che per anni hanno condiviso impegni, fatiche responsabilità e sacrifici e che ora, con i figli sistemati e le preoccupazioni dietro le spalle, possono e vogliono tornare a vivere l'uno per l'altro, amandosi in un modo nuovo, fatto di indulgenza, tenerezza e malinconia, non date loro In Viaggio Contromano: probabilmente, non reggerebbero le emozioni di questa storia. Ma se invece avete ancora tanto tempo da trascorrere insieme, e volete scommettere sul vostro futuro, lungo una strada che, per quantò potrà essere affollata, è e resterà per sempre la vostra, allora questo è il libro che fa per voi.
Buona serata
Alessandra

Niccolò Ammaniti- Che la Festa Cominci


Ok, faccio outing: fino a pochi giorni fa, non avevo mai letto niente di Ammanniti. Non che la cosa mi abbia lasciato indifferente, tutt'altro: fra i miei amici, non ce n'è uno che si perda l'ultima sua uscita, tutti trovano Io non ho paura un capolavoro assoluto, c'è pure il cultore che cita a memoria "ti prendo e ti porto via" , il tutto con grande disagio da parte mia, visto che vengo giocoforza tagliata fuori dai loro discorsi. Tuttavia, per quanto mi sia ripromessa, ad ogni giro in libreria, di leggere almeno un romanzo di questo autore, non l'ho mai fatto-almeno fino a questa volta, complice un regalo del libraio che, senza tanti giri di parole, ha infilato una copia di "Che la festa cominci" nelle mie borse della spesa.
Mio marito lo ha letto per primo e, da fine critico letterario quale è, lo ha definito una sonora boiata. Il che, di solito, corrisponde ad un giudizio entusiastico da parte mia. Cosa che si è puntualmente verificata, fino alla prima metà. Dopodichè, il diluvio.
Ma andiamo con ordine
Il romanzo è diviso in tre parti, che fungono da introduzione, prologo ed epilogo, secondo la migliore tradizione letteraria. Tanto la trama quanto la narrazione procedono su binari paralleli: da una parte, c'è un gruppo di borgatari frustrati ed inetti, che hanno trovato in un satanismo di periferia lo sfogo alle loro insoddisfazioni; dall'altra, lo scrittore di successo, che succhia le ultime gocce di una popolarità sempre più esangue, legata ad un unico libro fortunato - il best seller- e ad un programma televisivo che ne ha consacrato l'immagine di intellettuale bello, cattivo e di sinistra. A far da scenario a questi personaggi, troviamo due sfondi adeguati, che fanno risaltare in modo impietoso le loro caratteristiche - il desiderio di affrancarsi da una vita grigia ed umiliante con un gesto eroico, per Saverio Moneta, la brama di ritrovare i palcoscenici che gli competono per Francesco Ciba, sfruttando ogni possibile trucco mediatico.
Fin qui, come dicevo, tutto bene, anzi: tutto benissimo. Ammaniti ha una penna felicissima, una notevole padronanza dei tempi e dei dialoghi, uno sguardo acuto e senza pietà, sorretto da uno stile asciutto, capace di far ridere e riflettere nello stesso tempo.
I problemi cominciano invece con la seconda parte, che è il punto di convergenza della narrazione, dove i protagonisti si incontrano e dove dovrebbe svolgersi il momento clou dell'azione, vale a dire l'uccisione della pop star colpevole di aver ripudiato il satanismo per convertirsi ala religione cristiana. Lo scenario è Villa Ada, acquistata dal losco arricchito di turno, che inaugura la sua nuova residenza con una festa che, nelle sue intenzioni, deve essere quanto di più spettacolare si sia mai visto, l'atto finale di un riscatto sociale che sa di vendetta e di tronfia vanità. Qualcosa va storto e l'evento si trasforma in una bolgia infernale - quasi nel senso letterale del termine- dove violenza, splatter, horror e pulp si susseguono incessantemente, fino al collasso della catastrofe finale.
Le intenzioni dell'autore, a questo punto, sono fin troppo smaccate: la sua satira dei vizi della nostra società dovrebbe assumere le forme deliranti del surrealismo, in una sorta di traduzione letteraria dei quadri di Hieronymus Bosch, dalla fantasia allegorica ed inquietante. Ma qui Ammaniti pecca di hybris, rivelandosi del tutto incapace di padroneggiare la materia: il surreale scade nell'irreale e, da qui, nel fine a se stesso, nello sconclusionato e, infine, nella noia.
E' un vero peccato, perchè l'idea di partenza è quasi geniale e i personaggi riscattano la loro immagine stereotipata rappresentando una galleria completa dei molti vizi e delle poche virtù della società odierna. Però manca la zampata finale, nonostante le occasioni per entrare a gamba tesa siano molte ed anche ben congegnate. Il che svilisce anche la sorpresa dell'epilogo, che sfuma in un romanzo abbozzato, irrisolto, irresoluto: insomma, un'occasione mancata
alla prossima
ale

Christopher Isherwood- Un Uomo Solo


Un Uomo Solo è un libro triste. Triste come può esserlo un libro che parla di un lutto, di un vivere sempre più stanco e affaticato, di un bagaglio di esperienze di cui si avverte il peso, man mano che ci si accorge della loro vanità. Non si diventa più saggi, ma soltanto più stupidi, svela al suo giovane alunno il vecchio professore, icona di una solitudine che Isherwood decide di raccontare con il bisturi, anzichè con la penna: la incide, la spolpa, la scarnifica, con lo sguardo lucido ed implacabile di chi vuole e sa andare fino in fondo, a tutti i costi.
E così, la solitudine di George va oltre il dato esistenziale della sua vedovanza, per diventare l'espressione di un rifiuto a tutto tondo che è poi il filo rosso che lega la storia e il suo protagonista al suo autore.
Come Isherwood, infatti, George è un omosessuale nell'America dei primi anni '60, emarginato da una società avvelenata dal conformismo, che si schiude cauta alla novità per ritrarsi impaurita di fronte alla diversità. E il vecchio professore non fa eccezione: è il diverso, l'uomo cattivo, quello che spaventa i bambini e che nessuno invita ai barbecue della domenica. Tuttavia, come Isherwood, anche George non si riconosce nei valori e nei parametri dell'ambiente in cui vive e che affronta, ogni giorno, assumendo la maschera del rispettabile professore che tutti si aspettano che sia. Emarginazione ed alienazione diventano quindi i due modi in cui si declina il dramma della solitudine di quest'uomo, sin dalle prime battute del racconto della giornata narrata nel romanzo: la casa in cui vive, isolata dalle altre e separata dalla strada da un ponte, è metafora del suo essere ai margini, mentre il luogo da cui egli osserva la vita del quartiere- la tazza del gabinetto- è la cifra del disprezzo del suo sguardo sul mondo.
E così, le 24 ore del giorno si srotolano in un moto sussultorio, con la solitudine a fare da basso continuo e tutto il resto a far da contrappunto- ora la rabbia, ora il dolore, ora il disincanto, ora gli accenti intimi e struggenti di una malinconia che si incarna nella quotidianità degli oggetti- in una partitura che Isherwood dirige con un distacco sofferto e, a tratti eccessivo. La paura di oltrepassare il limite della narrazione, per farsi travolgere da un vissuto di dolore e rabbia, c'è e si sente e mostra la corda laddove la ragione prevale sul cuore: ma quando invece è quest'ultimo a prendere il sopravvento, in questo magistrale equilibrio fra una materia che palpita ed uno stile che raggela, mantenersi impassibili è davvero difficile. Non foss'altro che per la grande lezione di stile.
A voi
Ale

Fred Vargas- Prima di morire , addio


Ho smesso di darmi i pizzicotti, pregando che si trattasse di un incubo, solo quando ho appreso la rassicurante notizia che l'ultima pubblicazione della Vargas targata Einaudi altro non è se non il terzo romanzo, in ordine cronologico, di un' autrice che, sino ad oggi, ci aveva abituato a ben di meglio. Fino a quel momento, però, avevo seriamente temuto che avessimo perso pure lei, come già era successo con la Cornwell e con altre scrittrici di successo, la cui vena letteraria è caduta sotto i colpi di contratti micidiali che, in cambio di un libro l'anno, promettevano sonanti dobloni. Invece no, per fortuna: è solo la solita casa editrice che, perseguendo nella sua scellerata operazione di pescare a caso fra le pubblicazioni della Vargas, ha dato alle stampe questo Prima di Morire, Addio, giocando nuovamente sul fraintendimento dell'"ultima uscita".
Di fraintendimenti, poi, ce ne sono molti altri, a cominciare dalla copertina- che ritrae la tonaca di un Porporato- e per finire con l'insistenza dell'ambientazione del romanzo in Vaticano, quasi che una signora scrittrice come Fred Vargas avesse bisogno del traino delle evocazioni di Dan Browne&Co per poter invogliare i lettori all'acquisto dei suoi libri.
Non a caso, il Vaticano resta sullo sfondo, relegato ad un ruolo di semplice scenario, essenzialmente strumentale al rafforzamento della trama e del profilo dei personaggi: e se mai di scandalo c'è traccia, questa va ricercata più nelle morbide pieghe di segreti dal sapore rinascimentale, evocati sin dalle prime pagine con il furto dei disegni di Michelangelo,che non nella spietata freddezza da intrigo internazionale a cui ci si è abituati, da qualche tempo.
Un furto di un disegno del Buonarroti è dunque il punto di partenza di questa indagine, che si dipana ben presto su tre fronti: quello della polizia italiana, chiamata a fare il proprio dovere, quello di un investigatore francese, cooptato per insabbiare la verità e, infine, quello dei tre Imperatori, Tiberio, Claude e Nerone, tre ragazzi francesi che studiano a Roma e che, dietro i loro soprannomi, nascondono di tutto- qualità, debolezze e segreti.
Ovvio il paragone dei Tre imperatori con i tre Evangelisti (Chi è morto alzi la mano che, se non vado errata, è il romanzo che segna l'esordio di questi ultimi è del 1995, un anno dopo la pubblicazione di Prima di morire, addio), meno ovvi quelli dell'investigatore francese e di Laura con Adamsberg e Camille: la critica ce li ha tirati dentro, perchè non sene poteva fare a meno, ma le affinità, se mai ci sono, restano sbiadite, sullo sfondo.
Ciononostante, la Fred Vargas che conosciamo e che amiamo è di là da venire, sia nella trama che nei personaggi che nello stile: scontata la prima, poco credibili i secondi, privo di tensione l'ultimo. Gli equilibrismi sul filo sottile con cui la scrittrice ci ha conquistato qui appaiono solo a tratti e l'immagine è proprio quella di un atleta che affina la propria arte attraverso errori e cadute. Il che, se da un lato ci dà la misura della straordinaria capacità narrativa della Vargas quando è in forma, dall'altro ci lascia un retrogusto di insoddisfazione, un morso a un frutto acerbo, in mezzo ad altri già del tutto maturi.
Ve lo presto...:-)
ciao
Ale



Brendan O'Carroll- Agnes Browne Mamma


Come da copione, mia figlia lo ha letto prima di me. E, come da copione, si è chiusa in camera per tre ore, nel corso delle quali gli unici segni di vita al di là della porta sono stati il fruscio delle pagine e le improvvise risate. Per cena, neanche a dirlo, abbiamo avuto Agnes Browne come ospite, e con lei Marion e Mark e Cathy e i gemelli e le porte dei pub che si schiudono ogni giorno sui colori e sul vociare del Jarro. "Però, è diverso, da Agnes Browne Ragazza: lì, c'erano scene tristi, raccontate in modo comico, qui, ci son scene comiche, raccontate in modo comico", è stato il giudizio conclusivo che ha sancito il passaggio del testimone e che, passate le perplessità iniziali, mi ha trovato, alla fine, del tutto d'accordo.
Agnes Browne Mamma è il primo romanzo della saga di Agnes Browne, che ci presenta una Agnes trentacinquenne, fresca vedova di un marito ubriacone e violento e adorabile madre di sette figli, a cui le avversità della vita non hanno tolto nè la bellezza, nè il sorriso. Con lei c'è Marion, l'amica dell'infazia e, tutt'intorno, decine e decine di comparse che spennellano di colori accesi il vivido sfondo del povero e malfamato quartiere di Dublino, talmente connaturato alla storia da essere un protagonista di prim'ordine delle vicende, prima ancora che il teatro ove esse si svolgono.
La trama è un susseguirsi di tanti brevi racconti, ben concatenati l'uno all'altro e con una fortissima predominanza del comico, sia nei toni che nelle situazioni ,che, se da un lato strappa sonore risate al lettore, dall'altro rappresenta il limite ad una narrazione più piena e coinvolgente, lasciando a metà un lavoro altrimenti ben fatto.
Se non avessi letto prima Agnes Browne Ragazza, probabilmente non sarei rimasta delusa dalla lettura di questo libro. E, altrettanto probabilmente, avrei atteso con impazienza l'uscita dei romanzi successivi, catapultandomi in libreria per essere la prima a comprarli e la prima a leggerli Ma sicuramente non mi sarei resa conto della grandezza di O'Carroll come romanziere. Lo avrei solo intuito, a sprazzi, perchè è indubbio che la stoffa si veda anche qui: ma l'impressione generale è che, in questa sua fatica, l'autore non avesse ancora piena consapevolezza delle proprie capacità narrative. Lo dimostrano, per esempio, i ritratti appena abbozzati dei personaggi, Agnes compresa, un debolissimo scavo psicologico e, su tutto, l'ansia di mantenere costante il registro della comicità, quasi che fosse una sorta di coperta di Linus letteraria, a cui affidare le proprie insicurezze e le proprie paure.
Nulla a che vedere con la consapevolezza artistica dell'ultimo romanzo, dove tutti i personaggi sono figure ben delineate, indimenticabili, potenti, dove la trama è retta da una struttura solida e manifesta e dove la vis comica si eleva al grado della tensione etica. E' qui che O'Carroll si riconosce artista di tutto rispetto e, di par suo, si concede il lusso di un romanzo vero, che abbraccia una storia a tutto tondo, dove si piange, si ride, si soffre e si gioisce. Ed è proprio qui, nel confronto con una materia così variegata, che il tratto inconfondibile della comicità dello stile dell'autore va oltre la semplice risata per modularsi sui toni ora accesi della condanna, ora amari della rassegnazione, ora pungenti dell'ironia, in accordo con una trama più ampia e profonda: le scene tristi raccontate in modo comico, insomma, che segnano il punto di arrivo di un percorso di cui Agnes Browne Mamma costituisce l'inizio, un po' incerto e malfermo. E tuttavia, io lo consiglierei, questo libro: per la freschezza, il brio, la fulmineità della battuta, la felicità di certi spunti, la vividezza degli ambienti, che fanno chiudere un occhio su ritratti a volte sbiaditi o ingenuità troppo smaccate.
Alla prossima
alessandra


Sotto l'ombrellone- rece sparse


Non sono titoli "freschi freschi" perchè, complice questo luglio da dimenticare, non solo non sono riuscita a fare un salto in libreria, ma neppure ho attaccato la solita pila sul comodino. Nello stesso tempo, complice questo luglio etc etc, sono rimasta spaventosamente indietro con le recensioni: per cui, approfittiamo delle vacanze per smaltire gli arretrati, anche considerato che, tolto un titolo o due a cui magari dedicherò più spazio, per il resto si tratta di letture leggere, così da ombrellone che di più non si può.



1. D. Safier, L'orribile kharma della formica- Sperling& Kupfer, 19 euro. L'unica nota positiva delle recensioni arretrate è che, nel frattempo, di questo libro è uscita l'edizione economica in brossura. Il che mi solleva- e di molto- considerato che il prezzo eccessivo era la vera remora che mi tratteneva dal consigliarvelo. Al solito, quando ci si imbatte in libri leggeri, che sono tutt'altro che dei capolavori e che, con ogni probabilità, lasceranno il segno solo nel conto in banca dell'autore, la domanda che si pone è se e quanto valga la pena di spendere una cifra considerevole per trascorrere due ore di tempo senza pensare a nulla. La drastica riduzione del prezzo di copertina mi libera da questo empasse, grazie al cielo: perchè L'orribile Kharma della formica è un libro leggero ma gradevole, che rielabora l'antico tema della metamorfosi in chiave moderna, dosando in modo calibrato l'ironia e il sarcasmo, l'umorismo e la comicità e, buon ultimo, un tocco di commozione. L'autore è uno sceneggiatore televisivo, qui alla sua opera prima, nella quale confluisce, come ovvio,parte della sua esperienza lavorativa. La protagonista è infatti una anchorwoman in carriera che, davanti alla realizzazione personale, è pronta a calpestare tutto, a cominciare dagli affetti del marito e della figlia. Un incidente la condannerà a reincarnarsi in una formica e da lì a risalire nella scala della redenzione fino al mancato colpo di scena finale, che è la parte davvero deludente di tutto il libro, vista la scontatezza e la disarmante banalità del trionfo dei buoni sentimenti. Per carità: se così non fosse, questo non sarebbe nè un best seller nè un libro "da ombrellone": però, ad esser buoni, si poteva fare di più- e questo con buona pace delle sperticate recensioni positive che su questo titolo si sono sprecate. In ogni caso, due ore di puro relax sono assicurate e qualche risata, di sicuro, vi scappa.

2. Brendan O'Carroll, I marmocchi di Agnes- Agnes Browne nonna: secondo me, O'Carroll scrive a libri alterni: uno buono, uno cattivo, per intenderci. E quindi, se Agnes Browne mamma era così e così, I marmocchi di Agnes è delizioso, mentre lo stesso non si può dire di Agnes Browne nonna (il peggiore della serie, a mio parere), che però prelude a quel piccolo capolavoro che è Agnes Browne Ragazza. Per il resto, è difficile aggiungere qualcosa di nuovo a quello che ormai si è già detto qui sopra, fra rece e commenti: indipendentemente dal valore artistico dei romanzi di questa saga, Brendan O'Carroll resta uno degli scrittori più vivaci di questi ultimi anni, non fosse altro per la capacità dimostrata nel farci affezionare ad Agnes e alla sua sgarruppata famiglia, amici e colleghi annessi. E, di questi tempi, scusate se è poco...

3. A. Camilleri, La caccia al tesoro: non ho mai fatto mistero di non amare gli ultimi romanzi di Montalbano- e le ultime produzioni di Camilleri in genere, troppo esposte alle sollecitazioni di un mercato contaminato da mode e produzioni televisive. Stavolta, però, devo ricredermi e lo faccio con l'immenso piacere di chi ritrova un vecchio amico, che credeva di aver perso per sempre. Neanche a dirlo, il romanzo è uscito malconcio dagli strali della critica: non gli si perdona ora l''aperto ammiccamento alle trasposizioni televisive ("già pronto per una sceneggiatura", secondo alcuni), ora l'inconsistenza della trama, ora la discesa nel pulp e nell'horror, generi alieni alla nostra tradizione in generale e al commissario Montalbano in particolare. Sì e no, mi verrebbe da replicare: perchè ormai sono anni che la prosa di Camilleri paga lo scotto alla produzione televisiva e da sempre, nei suoi romanzi, i meccanismi del giallo classico sono secondi- se non terzi o quarti- alla scrittura e alla caratterizzazione dei personaggi. Meravigliarsene ora, dopo decenni di esaltazione acritica e incondizionata, suona un po' fuori luogo: intanto perchè, come si diceva, non è una novità; e poi perchè se mai c'è una storia, fra quelle edite in questi ultmi anni, in cui tali difetti risultano attenuati in favore di una prosa che ha recuperato i toni felici di un tempo, è proprio questa. E pazienza per il finale pulp, dove il povero Montalbano sta come i cavoli a merenda: a questo Camilleri, si può perdonare qualunque cosa. A patto che continui di nuovo così.

4. Johanne Harris, Vino Patate e Mele Rosse- eccheppalle questo libro, si può dire? lento, noioso, sfacciatamente commerciale e inifinitamente banale. L'unica novità è che il narratore è una bottiglia di vino, ma l'espediente narrativo, che avrebbe potuto dare la stura (è proprio il caso di dirlo) a prospettive di straniamento ardite e forse necessarie per rinnovare una materia abusata come questa, muore sul nascere, rivelando la pochezza di una scrittice sopravvalutata, che stavolta, per giunta, confeziona una storia già sentita e già letta. Anzi, se mai questo libro ha un pregio, è quello di far venir voglia di rileggersi Un'ottima annata di Peter Maye: che un capolavoro non è, ma che al confronto di questo, lo sembra, eccome.

Alle prossime
Ale