giovedì 23 aprile 2009

SFORMATO DI BASILICO CON CREMA DI BURRATA E SORBETTO DI POMODORO


Comunicato stampa: oggi, dopo quindici giorni esatti dalla nascita di questo blog, si è verificato il primo ammutinamento ufficiale del marito della sottoscritta che, al grido di " voglio mangiare sul serio" si è trasferito armi e bagagli dalla suocera. Che, per inciso, è mia madre. La quale, ovviamente, invece di ricordargli che gli ha tirato su una cuoca provetta, che come cucina lei non lo fa nessuno e che i soffi di tartufo e le trasparenze al sale di maldon sono una sciccheria che gli altri se la sognano, in puro stile "madonna della misericordia" ha spalancato le porte della dispensa al suo genero preferito, dando il via ad una specie di rave party culinario, a base di volgarissimi carboidrati e di desuete ricette di famiglia.
In attesa che tornino ( il plurale è d'obbligo, perché naturalmente, in barba ad una inappetenza cronica, basta prendere in giro la mamma e la creatura è capace di trasformarsi in una specie di Gargantua in All Stars a fumetti), cerco conforto fra queste pagine virtuali, proponendovi la ricetta che è stata la causa di cotanta crisi, che a mio parere avrebbe meritato come minimo una standing ovation, anziché uno scocciato " ok, buona, e ora cominciamo a mangiare".
Non è di esecuzione rapidissima ( il sorbetto ha bisogno di riposo in freezer), ma è facile, buona e pure patriottica, visto l'abbinamento dei colori. L'unica raccomandazione è la scelta delle materie prime, che devono essere di ottima, ottimissima qualità. E' un ricco antipasto, ma nulla vi vieta di servirlo come piatto caldo in un buffet ( sempre che non abbiate mio marito fra gli invitati, ovviamente...)

SFORMATO DI BASILICO CON CREMA DI BURRATA E SORBETTO DI POMODORO



Ingredienti per 6 persone

per lo sformato:

1 mazzo di basilico ( di Prà, sarebbe l'ideale, ma basta che abbia le foglioline piccole e va bene tutto); 3 cucchiai di Parmigiano Reggiano grattugiato; 50 g di burro; 50 g di farina; mezzo litro di latte; 2 uova; burro per gli stampini; sale; (facoltativi: aglio e pinoli, se volete dare un sapore che ricorda di più il pesto)


per il sorbetto al pomodoro
200 g di salsa di pomodoro; una falda di peperone rosso; 1 cipollotto; 50 g di zucchero; 100 g di acqua; il succo di 1 lime; qualche goccia di tabasco; 1 cucchiaio di aceto bianco; sale ( facoltativo: paprika)

per la crema di burrata
1 burrata (250 g circa); 50 ml di latte
 
Si inizia, di necessità, dal sorbetto, preparando anzitutto uno sciroppo con l'acqua e lo zucchero. Usate una casseruola dal fondo spesso, mescolate bene i due ingredienti a freddo e poi mettete sul fuoco, a fiamma bassa, mescolando sempre: fate bollire per tre minuti e spegnete il fuoco.
Frullate il peperone con il cipollotto, unitelo alla passata di pomodoro e conditela con il sale, l'aceto, il succo del lime e il tabasco. Mescolate bene e aggiungete la salsa allo sciroppo di zucchero: dopo aver amalgamato gli ingredienti, aggiustate di sale , se è il caso ( non lo è: è un agrodolce, quindi il controbilanciamento è dato dall'acido dell'aceto e dal dolce dello zucchero) e versate in un contenitore dai bordi bassi, in modo che il liquido sia profondo un dito. Mettete in freezer e dopo circa mezz'ora, mescolatelo con una forchetta; ripetete l'operazione per altre tre volte, a mezz'ora di distanza l'una dall'altra. Poi lasciate in freezer fino al momento dell'uso


Per la crema di burrata, basta frullare insieme i due ingredienti, senza né salare, né pepare ( la burrata, se è buona, è già saporita di suo)


Infine, per gli sformatini, partite da una bechamelle preparata con 50 g di burro, 50 di farina e 500 ml di latte: deve risultare densa ( e se non lo fosse, non preoccupatevi: basta che la facciate riposare un po' e si addensa subito, con queste dosi). Tritate il basilico con il parmigiano, (eventualmente anche con i pinoli e con l'aglio) e aggiungetelo alla bechamelle. infine, aggiungete le due uova intere, una per volta. Aggiustate di sale ( e questa volta, mi sa che ci vuole...)



Accendete il forno a 180 gradi
Imburrate 6 stampini monodose ( quelli di alluminio vanno benissimo9 e versatevi il composto, riempendoli per tre quarti, poi infornate.
I tempi di cottura variano a seconda delle modalità del vostro forno: dai 30 ai 40 minuti se ventilato, dai 40 ai 50 se statico. Comunque, sono pronti quando gonfiano e bruniscono un po' in superficie.

Per la composizione del piatto, potete ispirarvi all'estro della sottoscritta oppure variare a vostro piacere- che intanto il gusto non cambia...
buon appetito
alessandra


domenica 19 aprile 2009

Goodwin che vai. J. Goodwin, L'albero dei Giannizzeri

 
 
 

 
 
Avrò avuto sì e no dieci anni- quando ancora leggevo di nascosto i libri gialli che mia madre e mia nonna, gialliste incallite, mi avevano tassativamente proibito, terrorizzate dall'idea che 'prendessi il vizio'- beh, dicevo, avrò avuto sì e no dieci anni quando mi sono innamorata follemente di Archie Goodwin. Che fosse vero amore e non una semplice infatuazione letteraria lo si poteva dedurre da una serie di sintomi inequivocabili: imparavo a memoria le sue battute, nei giochi con le amiche mi chiamavo lilirouan ed ero addirittura riuscita a superare l'innata avversione per il latte, riuscendo a trangugiarne qualche sorso di fila, nella ferrea convinzione che mi sarei dovuta preparare a piccole dosi, per essere pronta per l'incontro con quello vero. Da lì in poi, il criterio di selezione di tutti i malcapitati di sesso maschile che mi capitavano a tiro si basava sul grado di somiglianza con l'amato Archie- sottile ironia,battuta pronta, grande abilità nel ballo e fascino da vendere. Sapevo, ovviamente, che sarebbe stata una strada lunga, anche perché la mia immaginazione associava tali qualità ad uno sguardo magnetico e ad addominali da tartaruga e non c'era verso di farle cambiare visione, ma ero convinta che, alla fine, i miei sforzi sarebbero stati premiati e avrei finalmente impalmato quanto di più archiegoodwiniano offrisse il mercato.
Fu così che sposai nero wolfe- o meglio: quanto di più nerowolfiano offrisse il mercato, in materia di intelligenza sociale e girovita.Grugniti al posto delle battute pronte, sarcasmo al posto dell'ironia, manicaretti al posto del latte ( secondo mio marito, è letale cenare con un cappuccino), camicie gialle e orchidee a profusione. Ma, dopo avere speso un po' di tempo a cercare di capire come mai trovassi infinitamente più divertente passare il mio tempo a far progetti con una specie di pachiderma ingrugnito, anziché con un ballerino charmant, decisi che non era il caso di approfondire e chiusi lì il discorso, per sempre.
Cioè, per sempre.... per sempre fino all'altro ieri quando, nella mia solita ronda da Feltrinelli, mi imbatto in un libro scritto da tale "goodwin". Vederlo e comprarlo è statto tutt'uno- e che bella sorpresa, leggerlo! Tutto d'un fiato, nonostante le descrizioni e gli intrighi, non sempre facili da dipanare.
Dunque, a scando di equivoci, Goodwin è l'autore e l'unico punto in comune con Archie è che anche Yashim- questo è il nome del protagonista-è un investigatore. Solo che è turco, vive in una modesta stanza piena di libri e tappeti in un vicolo di Istanbul, dipende dal sultano e dalla valide e, quel che più conta, è eunuco. Tuttavia, al pari del capo di Archie, anche Yashim ama cucinare ed il libro èpieno di ricette, profumi, sapori che non ti abbadonano anche dopo che lo hai terminato. I giallisti doc non perdoneranno al creatore del personaggio un plot troppo intricato, forse un po' inverosimile, trattato con scarso rispetto per le regole del genere- e se proprio devo giudicare da giallista doc, non posso che concordare con loro. Ma se amate le ricostruzioni storiche affidate alla vivacità della vita quotidiana, se avete sognato su Istanbul, se vi perdete in una scrittura che solletica i sensi, allora questo libro fa per voi.
"Era stata una mattinata difficile. Yashim andò all'hammam, dove lo insaponarono e lo massaggiarono e rimase a lungo nella stanza calda prima di tornare a casa con indosso gli abiti freschi di bucato. Finalmente, dopo aver valutato la questione sotto ogni aspetto, nel tentativo di individuare una pista, si rivolse a quella che gli appariva, da sempre, l'alternativa migliore.
Come fai a trovare tre uomini in una cttà medievale decadente e nebbiosa di due milioni di abitanti?
Non ci provi neanche.
Ti metti a cucinare"
buona serata

le ceneri di angela

 

 
Mio padre ha fatto la fame. Prima, durante e dopo la guerra. Colpa di un padre scapestrato, di una madre solo pronta a farsi compatire, di una famiglia come tante, allora, in un'epoca in cui il quarto comandamento veniva declinato sopra ogni cosa- botte, umiliazioni, sacrifici e sfruttamenti. Io e mia sorella, per contro, siamo figlie del boom economico, di quegli anni Sessanta ottimisti e riformisti, di un benessere collettivo, di un'epoca che ha portato a ritenere come diritti acquisiti quelli che, solo trent'anni prima, erano lussi da signori. Siamo nate in una clinica, abbiamo frequentato le scuole private più esclusive, non abbiamo mai dubitato che non saremmo arrivate alla laurea, con la stessa sicurezza con cui non dubitavamo che avremmo fatto le ferie, avremmo avuto il motorino, avremmo preso la patente. Intorno a noi c'era un mondo dorato, lo stesso che vedevamo nelle case dei nostri cugini, dei nostri amici, dei nostri compagni di scuola. L'unico affondo nella miseria era a Natale, quando, dopo il pranzo, mio padre cominciava a ricordare la sua infanzia. Il punto di partenza era sempre lo stesso- ora è Natale tutti i giorni, una volta, invece...- ma dove si sarebbe finiti, nessuno lo sapeva. Erano storie corali, con papà che cominciava e i nonni e i suoi fratelli dietro, a rinfrescargli la memoria, ad aggiungere particolari, a ricordare nomi e strade e visi e luoghi, e noi che stavamo a sentire, rapiti, da bambini, scocciati, da ragazzi, inteneriti e arrabbiati da adulti, mentre ci passavano davanti storie di miseria, di sopportazione, di soprusi, tutte accomunate dal disperato imperativo di dover sopravvivere, giorno dopo giorno. Non credo che saremmo riusciti a resistere a tanto dolore, però, se non fosse stato per il tono con cui venivano raccontate queste storie: la misura, la leggerezza, l'ironia e, soprattutto, lo sguardo pulito e senza malizia che avevano allora, quando, bambini, scappavano dalle bacchettate del maestro di scuola per andare a raccogliere i muscoli alla diga, o si attaccavano ai camion per farsi trainare con le biciclette, o si soffiavano sulle mani ghiacciate dal rigore del freddo del mattino, quando, prima della scuola, portavano in equilibrio sulla testa brioche calde da distribuire alle varie latterie- e guai ad assaggiarne una. Lo stesso sguardo- nostalgico, innocente, ironico- l'ho ritrovato leggendo “le Ceneri di Angela”, il libro più famoso di Frank Mc Court, che racconta la sua triste infanzia irlandese: “ naturalmente, è stata un'infanzia infelice, perché sennò non ci sarebbe gusto. Ma un'infanzia infelice irlandese è peggio di una infanzia infelice qualunque e un'infanzia infelice irlandese e cattolica è peggio ancora”. Prima di rendermi conto di avere in mano un capolavoro, ero già tornata indietro, ai pranzi di Natale e alle briciole sulla tovaglia di Fiandra, con papà che raccontava e gli zii che gli andavano dietro, e non c'erano più confini fra un'infanzia irlandese ed una italiana, e non perché i bambini siano gli stessi dovunque, ma perché identica era la stessa lezione di dignità di questi racconti. Una dignità che resiste agli assalti della miseria e dell'ignoranza, della superstizione e della crudeltà, una dignità che arriva dritta al cuore con fitte dolorose e pungenti, così come pungenti e dolorosi sono i tanti perché che si levano dalle pagine del libro – perché a loro, perché questa miseria, perché questa ingiustizia. La risposta è contenuta in ogni pagina del libro, sin dalle prime righe ma, come nei libri gialli, ci si arriva alla fine, commossi e inteneriti dalle vicende del piccolo Frank e del microcosmo che gli gira intorno- ed è una risposta piena di speranza, di fiducia nella bontà e nella solidarietà, in valori che travalicano tempi e luoghi e che sovvertono i parametri tradizionali, insegnandoti che miseria e povertà non sono sempre sinonimi, che la nobiltà d'animo è davvero ciò che conta di più e che ogni tanto,in un'epoca dove la letteratura è violentata nella grammatica, nei contenuti, nello stile, spuntano ancora dei grandi capolavori.

Ditelo con i fiori








L'altro ieri la creatura si è persa in centro, mentre era andata a fare shopping con un adulto a cui l'avevo affidata. Sorvolo sul perché e il percome- a tutela dei miserevoli resti del mio sistema nervoso-ma vi garantisco che i miei 5 minuti di paura li ho provati, eccome. Lei era senza cellulare e senza soldi ( li aveva lasciati nella giacca, in custodia alla persona con cui era prima di entrare in camerino a provarsi un paio di jeans) e c'è stata una frazione di secondo in cui io sono davvero andata in tilt. Per fortuna, mia figlia ha più buon senso di quanto sua madre gliene riconosca normalmente , perché nel giro di pochissimo mi ha telefonato da un numero di cellulare sconosciuto, dicendomi che era nel bar sotto l'ufficio di mio marito e di andare a prenderla lì.

Quando sono arrivata, c'erano con lei tre baristi e un mezzo tossico, che continuava a farfugliare battute sull'episodio. Io mi sono profusa in ringraziamenti verso il personale del locale, ho congedato freddamente il tipo al bancone e, appena fuori, ho attaccato con la solfa del " guarda che cosa ti poteva capitare, non hai visto che gente che c'è in giro" e altre non dissimili variazioni sul tema, tutte espressamente riferite al cliente del bar.

Sul momento, mia figlia ha prudentemente taciuto ma, quando si è accorta che , sbollito il nervoso, ero di nuovo avvicinabile, ha provveduto ad un accurato "errata corrige": dopo aver aspettato invano, per un quarto d'ora, la persona che era con lei, resasi conto di non saper come fare a tornare a casa, prima ha cercato un vigile e poi, non trovandone in giro, ha iniziato con la trafila dei negozi, dicendo ogni volta che si era persa e chiedendo di poter telefonare alla mamma.

Da via XXV aprile a Piazza Dante non ha trovato nessuno che glielo abbia consentito, neppure una cassiera della Rinascente che, con il ricevitore in mano, ha chiuso sul nascere l'argomento, replicando che non avevano telefono. Alla fine, è arrivata nel bar dove mio marito consuma tutti i caffè delle sue lunghe giornate lavorative e talvolta anche le pause pranzo e dove,quindi, siamo ben noti. E lì, per fortuna, ha trovato non i baristi, sia chiaro, ma il tossico che, di fronte all'ennesimo rifiuto, le ha lasciato il suo cellulare e le ha permesso di chiamarmi.

Sono passate 48 ore dal fatto e non riesco ancora ad affrontarlo con calma, da tante sono le reazioni a catena che mi si sviluppano in testa. Ma, oltre all'indignazione per il menefreghismo della gente e l'inquietudine per i risvolti che un episodio in sé banale come questo avrebbe potuto avere, ho un'amarezza sorda, legata ai pregiudizi , alle etichette e alle paure figlie della diversità e dell'ignoranza, che sono un fardello che mi porto dietro troppo spesso e di cui mai come oggi sento il peso e la vergogna.

Non so bene da cosa dipenda, se dall' educazione cattolica o dalla formazione giuridica o dalla mia personale e completa balordaggine, ma io se non riparo, non quieto. E siccome non so come fare a riparare, nel senso che non so dove andare a cercare questo signore e neppure mi ricordo che faccia abbia, infrango la prima regola che mi sono imposta nella gestione di questo blog ( "mai di domenica" ) e porgo qui le mie scuse pubbliche, contrite e sincere, insieme ad un grazie immenso, come solo quelli targati "core de mamma" sanno esserlo.

E,tanto per riparare fino in fondo, ho recuperato una vecchia ricetta di famiglia, dal sapore antico, di quelle che si preparavano una volta all'anno, se andava bene, e che, per questo, erano destinate alle grandi occasioni. Per me ha un significato tutto speciale, legato all'infanzia e alla nostalgia per cose e persone che non ho più, e non è un caso che finora non vi abbia messo a parte di questa preparazione segreta, nonostante occupi un posto speciale nell'elenco dei cibi del cuore. Lo faccio stasera, perché l'occasione è arrivata, e sono felice di poterla condividere con voi.

Sotto con i cucchiaini, allora!!!

Marmellata di petali di rosa


200 g di petali di rosa non trattati
600 g di acqua
500 g di zucchero semolato
il succo di mezzo limone



Doverosa premessa: i petali di rose non trattati non sono quelli delle rose che si comprano dal fioraio o, peggio, al supermercato o, peggio ancora, dall'ambulante al semaforo. Dovete recuperarli da un'amica o una parente col giardino, sulla cui fedeltà cieca ai dogmi del biologico potete mettere la mano sul fuoco. Quando ero piccola io, per esempio, avevamo un cespuglio gigante, che cresceva spontaneamente, soprattutto in altezza (... io da bambina credevo che le rose crescessero sugli alberi..) ed era da lì che mia nonna si riforniva per gli sciroppi e per le conserve: se esistono ancora prodigi del genere, sono l'ideale per queste preparazioni.

Una volta procuratavi la materia prima, bisogna poi procedere alla pulizia dei petali. Teoricamente ( ma molto, molto teoricamente: avete idea di quanti petali ci vogliano, per farne due etti???), bisognerebbe passarli ad uno ad uno con uno strofinaccio umido, ma se li fate transitare velocemente sotto l'acqua va bene lo stesso. L'importante è che non presentino tracce di terra, polvere o altro, perché va bene che è tutto biologico, ma trovarsi in bocca il cadavere di un ragnetto non fa piacere a nessuno.....

Dopodiché, bisogna tritarli grossolanamente (i petali, non i ragnetti..) con una mezzaluna, metterli in una capace terrina , bagnarli con il limone, aggiungere 200 g di zucchero e, con le mani, cominciare a mescolarli bene, senza timore di schiacciarli, anzi: una volta, questo passaggio si faceva nel mortaio, con il pestello, proprio per far sprigionare al massimo il profumo dei fiori, per cui, dateci dentro con lena, fino a quando non avrete ottenuto una bella poltiglia.

A questo punto, prendete una pentola dal fondo spesso e preparate uno sciroppo, con l'acqua e lo zucchero rimanente: i tempi di bollitura precisi non li so, perché si è sempre andati ad occhio, ma considerate tre o quattro minuti al massimo: non deve diventare troppo denso, ma rimanere ancora piuttosto liquido. Si aggiunge la poltiglia allo sciroppo, si mescola fino a quando gli ingredienti non si sono perfettamente amalgamati e poi, a fuoco bassissimo, si procede con la cottura, come per una normale marmellata, togliendo la schiuma, se è il caso e mescolando spesso.

La marmellata è pronta quando avrà raggiunto la consistenza del miele: ci vorrà una mezz'oretta, ma, se non siete sicuri, potete sempre fare la prova piattino ( o voi del corso sulle conserve, vi ricordate come si fa? si versa una goccia del composto su un piattino e, se quando lo si inclina, la goccia non scivola precipitosamente per terra, la marmellata è pronta).

Spegnete il fuoco e NON invasate subito: contrariamente alle altre preparazioni, bisogna aspettare una decina di minuti, prima di metterla nei barattoli ( con queste dosi, 4 da 250 g): d'altronde, questa è una conserva solo nel nome, nel senso che non dura tantissimo ed è meglio tenerla in frigo.

Dicono che sarebbe perfetta sui formaggi, ma siccome per me è un sapore dell'infanzia, quando questi abbinamenti erano di là da venire e la massima trasgressione era rappresentata dalle fette biscottate, io continuo a mangiarmela con pane e burro. ed è una tale goduria, che penso proprio che continuerò così...
buona domenica
alessandra



mercoledì 15 aprile 2009

Mini Brioches al Mirtillo


Non so per quale recondito motivo, ma è tutta la mattina che ho in mente il tempo. O meglio, il motivo lo so, ed è riconducibile ai ritmi millenari che scandiscono la fase della giornata della creatura che va dal risveglio all'uscita di casa, per andare a scuola. Roba che farebbe impazzire Giobbe, tanto per rendere l'idea. Stamattina, per esempio, ha impiegato 20 minuti per allacciarsi le scarpe. Nessun errore di battitura, ahimè: 20 c'è scritto e 20 sono stati, in un crescendo di carogna - la mia- resa ancora più acuta dalla calma serafica del marito che chiosava, tutto felice, che almeno stavolta non andrà in giro con le stringhe slacciate, tipo "piccola fiammiferaia- bene", come l'ha recentemente soprannominata una mia amica.

E mentre io cercavo di calmarmi e farmene una ragione, ora imponendomi di pensare che, in fondo, 20 minuti son niente, in confronto all'Eternità, ora convincendomi che è solo un problema di percezione, che quella che a me pare un'Eternità, in fondo, son solo 20 minuti, mi sono venute in mente queste cosine qui:


e queste altre qui


che non solo hanno allietato le nostre colazioni del fine settimana ma che, udite udite, hanno avuto dei tempi di lievitazione sorprendentemente veloci. motivo per cui, con altrettanta rapidità, vi giro la ricetta, sicura come sono che li preparete subitissimo....
 
MINI BRIOCHES SUPER-FAST

150 g farina 00
150 g manitoba
1 baccello di vaniglia
70 ml di latte
circa 50 ml di acqua tiepida
1 cucchiaio di zucchero
30 g burro fuso
2 tuorli
1 pizzico di sale
25 g lievito di birra
tuorlo e latte per spennellare
marmellata a piacere
 
 
Fate bollire il latte con i semini del baccello di vaniglia, filtrate e lasciate intiepidire. Poi scioglieteci dentro il lievito, con un cucchiaio di zucchero e fate riposare coperto fino a quando comincerà a crescere.
Mettete tutti gli ingredienti tranne l'acqua nell'impastatrice, lievito compreso, e cominciate ad impastare, aggiungendo acqua tiepida via via, per avere un impasto bello morbido. Lasciate lievitare fino al raddoppio ( a me, ci è voluta meno di un'ora: coperto, nel forno spento)
Dopodiché, smontate la pasta , stendetela in un rettangolo alto circa 1 cm e ritagliate tanti dischetti, che riporrete man mano su una teglia rivestita di carta da forno. Spennellateli bene con un'emulsione di tuorlo sbattuto e latte e poi, aiutandovi con il manico di un cucchiaio di legno, fate tanti bei buchini. E' importante che tutto questo lavoro qui venga fatto prima dell'inizio della seconda lievitazione, perché sennò, dopo tutti 'sti smanussamenti, si riammosciano di nuovo. Lasciateli lievitare scoperti finché crescono ( tre quarti d'ora), con l'avvertenza di tenerli idratati: per esempio, spennellateli ogni tanto con il latte e l'uovo, oppure spruzzateli con un po' d'acqua.
Poi, con un cucchiaino da caffè, aiutandovi un po' con le dita per allargare il buco, riempiteli con la marmellata.
In forno a 170- 180 gradi per 15 minuti al max.
Aspettare che si raffreddino, senza toccarli, e spolverizzarli con zucchero a velo

Se volete aromatizzare la pasta, potete metterci un cucchiaino di cannella e poi riempirlo con composta di mele; oppure un po' di zenzero e marmellata di arance; oppure del cardamomo e della ganache al cioccolato. Quella barbara di cui sopra se ne è fatta preparare uno stock col buco vuoto, che ha poi provveduto a riempire di Nutella , mangiandoseli stile polpette di Poldo dieci minuti prima di pranzo.
insomma, le varianti sono davvero moltissime, ma il risultato è uno solo: profumo di pane in cucina e colazioni con sorrisi al mattino. L'unico inconveniente, però, è che spariscono con la stessa velocità con cui si preparano: più veloci della luce, appunto...
ciao
alessandra
Questa ricetta parteci pa al contest Colazione da.. di Caffeine for 2



lunedì 13 aprile 2009

STRAWBERRY BREAD

 

 


 

Stamattina ho un mal di testa feroce. 

Do la colpa a quest'ora legale, che su di me che non ho più l'età crea scombussolamenti pazzeschi, a cominciare dal defraudamento di un'ora nel giorno in cui avevo più cose da fare in assoluto e per finire con una serata che si è protratta fin a notte fonda, con zero voglia di dormire e zero voglia di combinare altro.

Ma siccome non tutti i mali vengono per nuocere, ne approfitto per recuperare un po' di ricette, a cominciare da questo Strawberry Bread che vi consiglio di provare al più presto. Proviene, ovviamente, dai miei amati lidi d'oltremanica, è una variante primaverile del più celebre Banana Bread ed è perfetto per colazione e per merenda.





STRAWBERRY BREAD

per uno stampo da cake (rettangolare) da litro

110 g di burro morbido

150 g zucchero

3 uova grandi

280 g farina 00

1 cucchiaino di lievito per dolci

1 cucchiaino di bicarbonato

estratto di vaniglia

50 g di nocciole o noci tostate e spezzettate

1 cucchiaino di sale

1 cucchiaio di cannella

200 ml di yogurt intero o di panna liquida

250 g di fragole

Da una parte, si monta il burro con lo zucchero e la vaniglia e si aggiungono le uova ad uno ad uno; dall'altra, si mescolano la farina con il lievito ed il bicarbonato, il sale e la cannella; dopodiché, si aggiunge in tre tempi questo miscuglio secco, alternandolo allo yogurt o alla panna, in due tempi

Tanto per capirci: farina, mescolare, yogurt o panna, mescolare, farina, mescolare, yogurt o panna, mescolare, farina.

Infine, si aggiungono delicatamente le nocciole o le noci e le fragole

Stampo da plum cake da litro, imburrato e infarinato

Forno statico 180 gradi per 50 minuti

ricetta inglese, a cui ho apportato alcune modifiche

1. ho usato la farina autolievitante

2. ho aggiunto un po' più di cannella

3. nocciole al posto delle noci

in forno, dopo 35 minuti, ho coperto la superficie con un foglio di alluminio, per evitare che scurisse troppo.

Nel mio forno, 50 minuti sono stati sufficienti.

Grande figata: le fragole, a differenza delle uvette, non hanno vocazioni suicide e non precipitano sul fondo. al massimo, si dissolvono nell'impasto, il che non fa che giovare alla morbidezza del dolce.

quella inquietante roba rosa che vedete lì, non sono i resti organici dell'ultima vittima della Fred Vargas ( un luogo incerto, lo sto leggendo in questi giorni), ma un godurioso burro alla fragola, ottenuto frullando tre o quattro fragoloni maturi e incorporandoli a 150 g di burro morbido. quando si dice che non ci facciamo proprio mancare niente....

baci doloranti

ale

 

 

venerdì 10 aprile 2009

TORTA MORBIDISSIMA ALL'ARANCIA E SEMI DI PAPAVERO



Non so a voi, ma a me i dolci "da masticare" proprio non piacciono. Non che non li mangi, sia chiaro, sono sempre in missione per voi e quindi mi tocca sempre sacrificarmi all'assaggio: però, tutto questo sdilinquimento per le preparazioni secche- dalle vecchie sbrisolone ai nuovi crumble- non mi ha mai eccessivamente contagiato. Quanto meno, non tanto da perdere il controllo, come invece mi capita, sistematicamente, di fronte alle torte soffici, tanto che, se non ci avesse già pensato qualcun altro, il nome "paradiso" al dolce più morbidoso di tutti, glielo avrei dato io, d'ufficio.
Questo fine settimana si è annunciato con pessimi auspici, sul fronte delle sperimentazioni culinarie, visto che, dopo il tour de force del catering di venerdì e dell'appendice del sabato, nella nostra dispensa sembrava che fosse passato Attila, al comando di un'orda di unni golosi ( che, per inciso, rispetto agli assaltatori del buffet di venerdì, sarebbero sembrati come tante educande vittoriane- ma questa è un'altra storia, che vi racconto appena arrivano le foto) Rimanevano, però, due o tre cucchiai di semi di papavero e tanto è bastato per produrre questa cosa qua:








TORTA MORBIDISSIMA ALL'ARANCIA E SEMI DI PAPAVERO



per uno stampo da 24-26 cm di diametro 
per la torta 
 
250 g di burro morbido
225 g di zucchero
250 g di farina
3 uova grandi (o 4 piccole)
125 ml  di latte intero
scorza e succo di una arancia grossa ( o due piccole)
2 cucchiai di semi di papavero (colmi)
1 bustina di lievito per dolci 
facoltativo : un goccio di cointreau ( io non l'ho messo, perché ho abbondato nella glassa)
indispensabile: TANTA PAZIENZA


per la glassa
225 g di zucchero a velo COMPRATO ( parentesi svela segreti: lo zucchero a velo comprato, trattandosi di preparazione industriale, viene trattato con l'amido: quindi, è perfetto per le glasse, indispensabile per la pasta da zucchero, i fondenti e tutte quelle preparazioni strutturate. Lo zucchero a velo  home made va bene per spolverare le torte o per accelerare il lavoro di frusta, nelle creme a freddo);
succo di arancia q. b. oppure un "tappo di Cointreau" allungato con acqua q.b.


Diciamo subito che il segreto ( stamattina sono in vena di disvelamenti, godetevela finché dura), il segreto, dicevo, è nella lavorazione: più si sbatte e meglio è . Quindi, fate voi: o vi mettete su il vostro DVD preferito ( la corazzata Potemkin sarebbe il massimo) o attaccate con la lettura di Guerra e Pace oppure fate come me e lasciate la dura incombenza a Ken* e, mentre lui procede, voi fate dell'altro.
l'ordine, comunque, è questo:

si parte dal burro e dallo zucchero e si monta finché lo zucchero si è sciolto ( non dovete sentire più i granelli sotto le fruste- almeno 15 minuti); poi si aggiungono le uova, meglio se rotte in un piatto e leggermente sbattute; poi gli altri liquidi (ricordatevi di filtrare il succo di arancia, a meno che non abbiate stipulato un accordo con qualche dentista); infine i semi di papavero; in ultimo, lievito e farina, setacciati insieme.


Tortiera imburrata, diametro 24-26 cm

forno statico, 180 gradi per 40 minuti

Lasciate raffreddare bene prima di sformare e poi glassatela in questo modo.


Mettete 200 g di zucchero in una terrina e aggiungete un cucchiaio di liquido: va bene tutto, sia il succo d'arancia che il Cointreau, l'importante è che non superiate questa dose. Iniziate a mescolare: vedrete che si formeranno tanti grumi. Non preoccupatevi e continuate, fino al completo assorbimento del liquido. Alla fine, avrete una massa secca e grumosa, ma GUAI A VOI se vi fate prendere dalla tentazione di aggiungere acqua a palate. Prendete un cucchiaino, meglio se da caffè, riempitelo di liquido e aggiungetelo al composto. Mescolate bene di nuovo e vedrete che si formerà una glassa molto solida, tipo fondente. A questo punto, basterebbero due gocce o tre di liquido per ottenere un composto più lavorabile: procedete sempre con cautela, mescolando ogni volta dopo l'assorbimento del liquido, e vedrete che alla fine, avrete una bella glassa spessa, stile quella su cui si sbava in pasticceria, che potrete stendere con una spatola o con la lama di un coltello grosso, dopo averla versata direttamente sulla torta.



Perfetta per il te delle cinque o per la colazione del mattino.



buona settimana


* a scanso di pericolosi equivoci, gravemente turbativi della mia stabilità matrimoniale, il Ken di cui sopra è mister Ken Wood, l'unica presenza maschile che non solo tollero in cucina, ma di cui non potrei fare a meno. Siete naturalmente pregati di astenervi da volgari doppi sensi, di cui vi so assolutamente capaci, pena impietosi confronti sulla durata del montaggio e la dotazione delle fruste di quello che resta il vero, grande amore della mia vita.


Firmato
Mrs Barbie Wood.

giovedì 9 aprile 2009

ZUPPA DI FAGIOLI E BACON (Delia Smith)



foto finta, quella originale è più sotto, ma provavo vergogna.



Primo post di Menuturistico- ed era già un manifesto. 

 
Io ho un segreto, che mi porto dentro da oltre vent'anni.
Deve trattarsi di qualcosa di assolutamente raccapricciante, viste le reazioni di sdegno- anzi, che dico: di puro orrore- che ho suscitato, negli astanti, ogni volta che mi sono azzardata a preparare il terreno, con estrema cautela, per vedere se mai potevo confidarmi con qualcuno. e così, per non creare turbative inutili, ho tenuto per me questa cosa, coltivandola negli anni con un affetto speciale- quello che, di solito, si riserva a chi, a torto o a ragione, è considerato qualche piano al di sotto della nostra granitica eccellenza.
Ogni tanto, però, incappo in situazioni in cui questo silenzio mi pesa- e allora mi verrebbe da gettare alle ortiche ogni timore, fregarmene elegantemente di tutti questi gourmet dell'ultima ora, di questi nouveau gourmand che si riempiono la bocca di cucina molecolare, di sifoni, di tuorli pastorizzati, che confondono Hermés con Hermè ma poi "... siamo stati da Ferran, un amore..." , per dire chiaramente che del 'sti qui del cibo non hanno capito un tubo, che il palato si affina negli anni, che spesso le cose più buone sono le più semplici e che la cucina migliore del mondo è quella inglese.
.....ops...
.....l'ho detto....
......................................................................................................................................
Sentite, facciamo così: senza stare ad invocare l'infermità mentale post traumatica o a pensare che, vabbé, visto che, alla fin fine, siccome razzolo bene fra i fornelli, posso anche predicar male al pc, voi provate questa zuppa, e poi ne riparliamo.
e qualcosa mi dice che ci troveremo d'accordo...
BUTTERBEAN BACON AND PARSLEY SOUP
Delia Smith
 
225 g di cannellini
110 g di bacon ( meglio se a cubetti)
3 cucchiai da minestra di prezzemolo tritato
2 cucchiai da minestra di olio extravergine di oliva
1 foglia di alloro
1 cipolla, tritata fine
1 porro, tagliato fine
2 coste di sedano, tagliate fini ( anche una, a seconda dei gusti)
1 grosso spicchio d'aglio ( anche questo, si può omettere)
150 ml di latte
sale e pepe nero macinato al momento
  • Partiamo dai fagioli: se usate i fagioli secchi, li mettete a bagno in acqua fredda tutta la notte, oppure li mettete sul fuoco, sempre in acqua fredda, li portate a bollore, li fate sbollentare per 10 min e poi li tenete a bagno 2 ore. Oppure, li comprate in scatola, in quel caso ci perdete un po' nel gusto ma ci guadagnate nei tempi. Li scolate bene, li sciacquate sotto l'acqua corrente e preparate un po' di brodo vegetale leggero, perché non potrete usare l'acqua di cottura dei fagioli.
  • In una casseruola, fate soffriggere il bacon: la ricetta dice di usare olio, io non lo faccio mai quando uso sostanza che contengono grasso ( bacon speck, pancetta, etc): l'unico rischio è che secchino, per cui dovete partire con la padella fredda: vedrete che, a mano a mano che il fondo si scalda, il bacon rilascia il suo grasso e, nel mentre cuoce. Tenete sempre la fiamma bassa, anche durante la parte del soffritto.
  • Dopodiché, aggiungete i fagioli, la foglia di alloro e l'acqua di cottura o il brodo, fino a coprirli bene. Portate a bollore, coprite, abbassate la fiamma e proseguite per 20 minuti. 
  • Nel frattempo, in un'altra casseruola, scaldate un po' d'olio e fate imbiondire il trito di cipolla, porro e sedano: attenzione al taglio: io ho fatto un mirepoix ( cioè, li ho tagliati a pezzettini piccoli, ma non tritati), perché mi piace che " si sentano" le verdure, nelle zuppe, voi vedete un po' cosa preferite. Cuocete a fuoco basso, coperto, per una decina di minuti, aiutandovi eventualmente con un mestolo di brodo.
  • Dopodiché, versate i fagioli col bacon nella pentola, togliete l'alloro e aggiungete l' aglio- se vi va: proseguite  la cottura per altri 10 min, o finché verdure e fagioli saranno morbidi.
  • Verso la fine della cottura, schiacciate i fagioli contro le pareti della casseruola, usando un cucchiaio di legno: niente mixer, siamo inglesi, perché bisogna ottenere una zuppa densa, ma non una vellutata, né una crema: troppo eleganti, non le digerirebbero mai più. Lasciate qualche fagiolo intero, per bellezza.
  • A questo  punto, versate il latte, date ancora una mescolata, aggiustate di sale e, infine, aggiungete il prezzemolo.
  • Servite con tanto bel pepe macinato di fresco e, se piace, un filo d'olio.
IMPORTANTISSIMO P.S. qualche fine linguista, fra i destinatari di questa rubrica, potrà chiosare che il burro non c'è. infatti. O meglio: non c'è più. Perché sono intervenuta d'ufficio, visto che l'abbassamento del vostro colesterolo mi sta a cuore quanto l'innalzamento delle vostre abilità in cucina. Ma se invece volete immolarvi sull'altare dei trigliceridi, sono 25 g ( da aggiungere all'olio del soffritto).
alla prossima