Il post che segue fa parte dell'archivio del vecchio blog: anche se sto ripubblicando tante ricette del tempo che fu sono sempre indecisa se farle precedere dalla stessa introduzione, un po' perchè ho sempre concepito il blog come un diario personale e quello che poteva essere attuale, all'epoca, non avrebbe più senso adesso; e molto perché la mia vita è cambiata, in questi anni, e non sempre mi riconosco in quello che allora mi rispecchiava pienamente.
Ma stavolta è diverso: intanto, parlo di storie di famiglia, quelle che uno si porta impresso nel DNA della memoria e che ritrova in quelle epifanie del quotidiano in cui ci si scopre come semplici anelli di una lunga catena; poi, parlo di mia mamma, che è la più grande cuoca che io abbia mai conosciuto, con una creatività, una modernità e una credibilità, al palato, mai riscontrata in altre cucine; infine, l'occasione che mi aveva spinto a pubblicare questa ricetta ha molto in comune con le circostanze di oggi: allora era un contest, indetto da Fabio e Annalu, oggi è l'MTC, vinto da Flavia, in entrambi i casi un modo per celebrare degli amici cari e veri, donando loro una ricetta del cuore.
E quindi, con questa versione salata di un classico della cucina inglese, adattata alla sfida in corso, nonché con la stessa introduzione di allora NON PARTECIPO all'MTC di Marzo 2015
E vi faccio tutti contenti, lo so :-)
Che io non avessi una madre come tutte le altre, è cosa che ho
scoperto prestissimo, nella mia vita. Non che ci volesse molto, a dire
il vero: bastava guardarle i capelli. Le madri dei miei amici avevano
tutte dei colori uniformi- neri, di solito- e anche quando andavano
dalla parrucchiera, uscivano in tinta unita- gialla, fino a una certa
età; azzurrine, dopo un po'. Mia madre, no: lei aveva i capelli chiari e
ogni tanto, una ciocca bionda. Mesch, si chiamavano- ma si scriveva
"mèches", come mi aveva fatto imparare praticamente da subito, assieme
ad una sfilza di altre parole che i miei amici non usavano e che
rimandavano a cose di cui neppure si sospettava l'esistenza: come il
phon a tre velocità, il tostapane che sputava le fette, la televisione a
colori e i giradischi portatili. Neanch'io ne sospettavo l'esistenza,
sia chiaro: al pari di tutti i miei amici, ero nata nello stesso
piccolo paese ai bordi di una città poco amante delle innovazioni,
prodotto di un boom che, a parte le nascite, aveva incrementato ben poco
su tutti gli altri fronti: la maggior parte dei genitori dei miei amici
non possedeva l'automobile, i telefoni si contavano sulle dita di una
mano e meno ancora erano i titoli di studio che andassero oltre
l'avviamento commerciale. Nei negozi, si parlava in dialetto, la spesa
la si metteva nei cesti di vimini e a Genova si andava una volta al
mese, in corriera. A parte noi, ovviamente- e tutto per causa di mia
mamma e del suo titolo di studio (IL titolo di studio), del suo lavoro
in Inghilterra (IL lavoro in Inghilterra) e di tutto quello che, a
confronto col rassicurante moto rettilineo uniforme della vita di
campagna, ci faceva sembrare dei veri habitué delle montagne russe. In
pratica, eravamo quelli diversi: quelli che il mare era l'Argentario e
la vacanza era all'estero, quelli che le auto erano due ma una domenica
sì e una no si stava a piedi lo stesso, perchè le targhe erano entrambe
pari- quelli che "la mia mamma lavora in centro" e "vende libri per
bambini"e "con mia nonna parla in genovese, con papà in italiano e con
me in inglese".
Che fossimo dei privilegiati, l'ho capito da mo''-
e da allora, non ho smesso un minuto di ringraziare la mia buona
stella: ma, all'epoca, ci sentivamo solo diversi. Io, in particolare,
che allo status di primogenita e quindi più esposta alle stravaganze
materne, univo anche un nome diverso (da noi, le ventate di modernità
erano ancora legate al secondo nome e per anni son stata "la
Allesandra") e una struttura fisica che, gioco forza, mi emarginava dal
resto del mondo femminile allora conosciuto, dove l'altezza massima
consentita era il metro e sessantacinque- ma guai a portar scarpe col
tacco.
Avrei dato qualunque cosa per leggere un fotoromanzo (e
l'ho fatto, sia chiaro- e mi eran pure piaciuti); per avere le trecce e i buchi nelle orecchie , anzichè i capelli corti e i lobi incontaminati; per
vestirmi da damina, come tutte le mie amiche; e per mangiare i panini
col prosciutto, alle gite della parrocchia.
A me, invece, toccava
questa torta. Me la ricordo ancora, avvolta in fogli di alluminio
(neanche a dirlo, avevamo pure quelli), morbida, profumata, nutriente.
Un sogno, al confronto dei panini del giorno prima che toccavano ai miei
compagni: tant'è che non facevo in tempo ad aprire lo zaino che già
venivo sommersa dalle proposte di scambio, con tanto di aste al rialzo,
da "un panino per una fetta di torta" in su.
Come dicevo, non ci ho
messo tanto a capire che le mie diversità erano tutte dalla parte dei
privilegi: mi è bastato andare alle Medie, in centro, e trovarmi
sbalzata in una realtà cittadina, perche in un secondo le differenze si
stemperassero nel mare dei titoli di studio dei genitori delle mie nuove
compagne (più importanti e altisonanti), dell'abitudine alle vacanze
(più esotiche),di parchi macchine (di gran lunga più affollati)
Ma
questa torta è rimasta un'esclusiva dell'estro di mia mamma, assieme
all'impronta di una cucina nutrita di inventiva, fantasia, genialità
come mai ho riscontrato in nessun altro. Non l'ho mai pubblicata prima,
perchè fa parte di un patrimonio di famiglia così intriso di memorie
intime e personali che il timore di svilirla al rango di "ricetta" ha
sempre prevalso sul desiderio di condivisione. Se lo faccio oggi, è solo
perchè, nei tanti privilegi della mia vita, ci sono tutti gli amici che hanno arricchito la mia vita di signora all'antica, alle prese con un mezzo contemporaneo che viene declinato ancora coi valori di un tempo che fu. E che, proprio per questo,mi ha permesso di inciampare in una community di persone care, capaci di sintonizzarsi sul mio stesso linguaggio e di farmi sentire ogni volta meno sola, in una diversità che permane, ma con cui oggi vado più d'accordo.
E il merito, è anche vostro.
SALTED LEMON MERINGUE PIE
per la pasta brisée, seguite dosi e indicazioni qui
Ho solo aggiunto la scorza di mezzo limone non trattato, grattugiata con la Microplane
ho utilizzato uno stampo rettangolare per tarte, lungo una trentina di cm, per rivestire il quale sono serviti circa 4/5 della dose indicata
ho fatto una cottura in bianco, come descritto qui
ho sfornato e lasciato raffreddare nello stampo
Per la crema pasticcera salata
3 tuorli
mezzo libro di latte
50 g di farina di riso o altro amido
70-100 g di Parmigiano Reggiano stagionato 28 mesi
sale, q. b
Stemperate i tuorli con la farina, in una bastardella o in una casseruola.
Scaldate il latte, fin quasi a bollore, salatelo leggermente, poi versatelo a filo sui tuorli,sempre mescolando.
Fate addensare o a fiamma bassissima (meglio ancora se con uno spargifiamma) oppure a bagnomaria. Quando la crema è densa, aggiungete in una volta sola il formaggio grattugiato e, con una frusta o un cucchiaio dilegno, mescolate rapidamente, in modo da farlo sciogliere bene.
Filtrate attraverso un colino a maglie fitte e aggiustate di sale, se è il caso
Lasciate itniepidire, poi versate la crema nel gusco di brisée e lasciatela rassodare a temperatura ambiente.
Accertatevi che sia ben fredda, prima di guarnirla con la meringa
per la "meringa" salata
Accendete il grill del forno, a calore medio
Versate i tre albumi in una ciotola perfettamente pulita, salateli e montateli con le fruste elettriche,a neve ferma. Verso la fine, grattugiate della noce moscata, come se non ci fosse un domani.
Versate i tre albumi in una ciotola perfettamente pulita, salateli e montateli con le fruste elettriche,a neve ferma. Verso la fine, grattugiate della noce moscata, come se non ci fosse un domani.
Stendete poi la "meringa" sulla superficie della torta, ad uno strato spesso circa due dita e mettete subito sotto il grill, per qualche minuto, fino a quando la superficie nonn risulterà perfettamente dorata.
E' meglio consumarla fredda, perchè il ripieno si rassoda e resta compatto: ma anche tiepida, è lafine del mondo.
Va da sè chesi possa variare la qualità del formaggio,badando a variare di conseguenza anche gli aromi e le spezie.
Buon fine settimana
Ale