Una delle abitudini di qui che fatico ad assimilare riguarda gli standard della conversazione.
Si passa bruscamente dalla sublime differenza degli Inglesi, che ti chiedono come stai e poi si scandalizzano se gli rispondi, alla sconcertante invadenza dei Cinesi, per i quali "conversare" significa sapere, nell'ordine
1. quanti anni hai
2. che lavoro fai
3. quanto guadagni
4. quanto hai sul conto.
I punti 1 e 2 appartengono alla categoria dei convenevoli, giusto per metterti a tuo agio. I punti 3 e 4 sono la sola cosa che interessi per davvero.
Questo- sia chiaro- capita a tutti i livelli e in tutte le situazioni.
Mi fermano per strada per chiedermi dove ho comprato la borsa (la O'bag li fa impazzire) e, naturalmente, quanto l'ho pagata. L'ultima collezione di camicie tutte uguali della sottoscritta è stata oggetto di abbordaggi costanti, generali e spesso insospettabili, perché basta vedere un indizio di marca, fosse anche solo il bordo di un polsino, per accendere un improvviso interesse. E laddove noi siamo inclini a esprimere il nostro gradimento con un "che bel vestito! come stai bene!" , loro replicano puntuali con un "quanto costa?", senza tanti preliminari.
Io resto agghiacciata, ogni volta.
Non tanto per l'età- che è cosa che mai mi ha infastidito- quanto proprio per il retaggio di una educazione bevuta nel latte e consolidata in ogni nano secondo della mia vita, per cui si può parlare di qualsiasi argomento- ma di denaro, no.
Metteteci anche che sono di Genova, città dove la faccenda è più delicata di altrove, e che per temperamento tanto sono incline a non soffermarmi sul tema, quanto sono pronta a mandare a quel paese chi lo fa: resta il fatto che ogni contatto con la popolazione locale mi tiene col fiato sospeso, dall'inizio alla fine.
E comunque, dopo un anno e mezzo di conversazioni, una strategia l'ho elaborata.
Se mi chiedono quanti anni ho, rispondo "fifty"- e glielo mimo pure.
Se mi chiedono quanti soldi ho, rispondo che è mio marito che lo sa.
E se mi chiedono se la camicia è di Burberry's o la scarpa è di Gucci o la borsa è di Hermès, rispondo di sì, automaticamente, anche se la camicia è a fiori, la scarpa è senza fibia e la borsa è di plastica forata coi manici in corda: intanto, è affar più loro che mio.
L'importante, è che non mi chiedano il peso....
Si può essere affezionati ad un dolce, avendolo preparato una volta sola?
Sì, se questo dolce proviene dai forzieri dello Starbook ed è stato rifatto da un'amica cara, sensibile e speciale come Manuela. Alla quale mi legano sentimenti così profondi da far scattare subito il riserbo un po' selvatico che di solito chiude a doppia mandata la porta del privato, più ancora del conto in banca. Vi basti sapere che Manuela è una delle cuoche più brave che io abbia mai conosciuto, con in più una modestia senza pari. Inevitabile quindi che di fronte al suo invito a provare questa torta, che lei ha fatto per il Redone dello Starbook, non potessi restare con le mani in mano.
Anche perché avevo ancora due pere che lottavano impavide contro il clima dell'Equatore. E bisognava assicurar loro una fine migliore che il secchio della rumenta.
Questa torta lo è stata- sepoltura compresa visto che giacciono in pace sotto uno degli streusel più golosi che abbia mai assaggiato.
E quindi, vi tocca.
Rispetto all'originale ho fatto una modifica importante, nata tanto per cambiare dalla necessità (mi sono accorta all'ultimo che non avevo lo zucchero di canna chiaro e nemmeno le mandorle a lamelle) ma che per i miei gusti si è rivelata provvidenziale: ne è venuta guori una torta più "dark" non solo nel colore ma anche nel gusto, tant'è che sto meditando di far fare alle pere un bagnetto in qualche whisky serio, la prossima volta- e di aggiungere un po' di liquerizia allo Streusel. Ma queste son perversioni da prossime puntate (perché ci saranno-oh se ci saranno) e che lascio per altro a chi avrà voglia di condividere con me qualche esperimento in questo senso.
Per ora, la ricetta originale, con le mie modifiche ai lati
PEAR AND ALMOND CAKE
WITH STREUSEL TOPPING
da DELIA'S CAKES
per uno stampo da 20 cm di diametro
110 g di farina autolievitante
50 g di burro morbido a tocchetti
50 g di zucchero di canna fine io dark bwown sugar
50 g di mandorle macinate (io come la Manu: non spellate)
1 uovo grande
poche gocce di essenza di mandorle (io come la Manu: cannella, e pure un po' abbondante, un cucchiaino raso)
1 pizzico di sale
3 cucchiai di latte
2 pere mature
per lo streusel
50 g di burro fuso
75 g di farina autolievitante
50 g di zucchero di canna (vedi sopra)
40 g di mandorle a lamelle mandorle tritate, con la buccia, direttamente nello streusel
zucchero a velo per spolverare (dimenticato pure quello- ma ne ho tre kg, a mia discolpa)
per la base
Setacciate due volte la farina in una ciotola capiente, poi unite tutti gli altri ingredienti, tranne le pere. Lavorateli bene con le fruste elettriche, fino ad ottenere un composto spumoso e bene amalgamato. Versatelo in uno stampo (meglio a cerniera,, anche se il mio non lo era) precedentemente imburrato e infarinato e coprite con le pere tagliate a fettine.
Per lo streusel, mescolate in una terrina la farina con lo zucchero, poi unite il burro fuso e amalgamate il tutto con una forchetta (io ho usato le mani). In ultimo, unite le mandorle a lamelle (io le mandorle tritate un po' grossolanamente) e distribuite il composto sulla torta, sopra le pere
Cuocete in forno caldo a 200°C modalità statica per circa 45 minuti*. Coprite la torta con un foglio d'alluminio dopo 20-25 minuti, se vi sembra colori troppo. Lasciatela raffreddare nello stampo per 20 minuti prima di sfornarla. Spolverate con lo zucchero a velo e servite.
* nel mio forno, 190°C per 35 minuti.