sabato 31 ottobre 2009

sassolini

 

Io, si sa, sono tipa da cinque minuti. I beneficiari, di solito, sono i parenti stretti, sui quali scarico, ogni volta, tutto quello che mi passa per la testa: ma se in ufficio vedete una specie di Erinni in giro di perle e tailluer piombare come una furia nell'ufficio del capo non avete bisogno di bussare alla porta per far vedere che ci siete: basta aspettare cinque minuti, e avrete via libera.



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La Dani, invece, parte tranquilla: il suo è un calare sicuro, dalla prima alla quinta, accompagnando le curve e seguendo la strada: anche se, per chi la conosce, questo è preludio di fulmini e saette che, al confronto, l'uragano Kathrina è la pioggerellina di marzo, chi non lo sa ha l'impressione di trovarsi di fronte all'Allegoria della Temperanza, circonfusa da una calma olimpica che niente potrà scalfire

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La Dani ed io andiamo d'accordo: pur essendo diversissime per temperamento, abbiamo sempre trovato un punto d'accordo in modo spontaneo e MT non fa eccezione, anzi: è la prova vivente che se un blog è gestito in maniera democratica- e cioè, se la Dani si rassegna a tutte le cavolate che mi vengono in mente e riesce pure a far vedere che le piacciono- funziona alla grande. Il più delle volte, è lei che aspetta che io ritorni in me, un occhio rivolto al cielo, un altro all'orologio: ma ogni tanto capita che i nostri tempi coincidano alla perfezione, come dimostra questo post, figlio della fugace eppur feconda unione dell'immediato sbollimento della mia ira e della minacciosa risalita della sua carogna. E quindi, tanto per restare in tema di prole, è giunto anche per noi il momento di affrontare la vexata quaestio della paternità di quei prodotti del genio e dell'ingegno che trovano nei food blog la loro vetrina


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Per quanto ci dispiaccia, entrambe siamo convinte che, nel caso delle ricette, non sia possibile affermare con certezza che "quella è mia". Lo diciamo con sincero rammarico, ma il detto del "pater incertus" che, per fortuna di noi madri, non è sempre verificato nella vita reale, si trasforma in assioma quando viene applicato ad ingredienti e procedimenti. Sia chiaro: questo non toglie nulla alla deprecabilità di comportamente scorretti a cui assistiamo con frequenza e che diventano francamente vergognosi quando sono sfacciatamente reiterati. io per prima mi arrabbierei e non poco se qualcuno si appropriasse senza il mio permesso del Lemon curd all'olio d'oliva, che allo stato delle cose reputo una "mia" ricetta non avendo mai trovato traccia, in venticinque anni di ricerche, di una versione come quella: e però se spuntasse, che so, la nipote di Misses Aburthnoit, armata di quadernetto ingiallito, a rivendicare la ricetta con cui la nonna scongiurava il colesterolo del marito, credete che potrei far fuoco e fiamme, minacciando tribunali o perizie calligrafiche? La risposta è no, e i motivi sono noti.


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Nello stesso tempo, però, esistono dei "figli" che invece portano marchiata la loro origine e pure in modo indelebile: sono i cosiddetti prodotti dell'ingegno, quelli che nascono, cioè, dalla mente feconda di chi scrive, per professione o per diletto, e che può dimostrare, in modo assolutamente inoppugnabile, che certi brani o espressioni o modi di dire sono nati dalla sua penna e sono stati registrati all'anagrafe in un determinato giorno. E poco importa se la "penna" è la tastiera di un computer e l'ufficio dell'anagrafe è un food blog: certe cose sono di chi le crea e questo è un principio così importante da aver assunto lo status di un vero e proprio diritto e da godere, pertanto, della tutela della legge.

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Ci sarebbe anche da aggiungere che, al di là della ratio legis, queste creature appartengono così tanto ai propri creatori che si riconoscono lontano un miglio, anche quando sono usate da altri, in altri contesti, in altri food blog, senza che sia specificata in alcun modo la loro provenienza. Lo diciamo per esperienza, perché ogni tanto capita anche a noi di imbatterci in espressioni e modi di dire che sono nati dalla nostra fantasia e che si trovano, senza citazioni e senza link di sorta, talvolta per giunta storpiati nell'ortografia e nella sintassi, su blog coperti a loro volta da copy right e spesso in prima linea per la difesa dei diritti d'autore.

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Vedete, quando abbiamo deciso di aprire MT, la Dani e io avevamo unicamente voglia di distrarci e di divertirci: a distanza di sette mesi, oggi possiamo dire con orgoglio che ce l'abbiamo fatta, e pure alla grande. Ce la spassiamo tutti i giorni fra scalette, riviste e acquisti dai nomi impronunciabili e dalla provenienza incerta ma che nel blog ci stanno divinamente e ci piace da matti mandare niusletter a mezzo mondo o riempire cesti di Natale virtuali . Di conseguenza, prese com'eravamo dalla foga del divertimento, non ci siamo accorte di quanto stava capitando intorno a noi: e cioè che, accanto ad uno stuolo di "nuovi amici sempre più amici" che si raggoglievano attorno a MT, si stava generando un gigantesco fraintendimento fra altri food blogger, specialmente fra quelli con cui non ci siamo mai presentati ufficialmente ma che, a quanto sembra, passano ripetutamente di qua.

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Confessiamo che la cosa ci ha lasciato un po' stupite: tanto stupite che, a mano a mano che realizzavamo il fatto, cominciavamo a vedere il lato comico della cosa- a nostro parere, l'unico della vicenda- e non nego che ci sia stato un momento in cui ho temuto davvero di strozzarmi dalle risate - o di perdere la socia, per lo stesso motivo. Tuttavia, come sempre, la ragione ha preso il sopravvento ed allora, mentre cercavamo di riconquistare la nostra dignità bevendo un po' d'acqua e soffiandoci il naso, abbiamo pensato che non sarebbe stato giusto lasciarvi brancolare in questo errore e che fosse quindi doveroso un chiarimento, in forme ufficiali e per iscritto. E cioè che se spariamo cavolate a raffica su questo blog, in un crescendo di botte e risposte che prosegue nei commenti con i nostri amici, è solo perché, per mezz'ora al giorno, dismettiamo i panni seriosi e compiti a cui ci costringono i ruoli che ricopriamo nella vita reale e facciamo le deficienti, per un po'. E quindi, in altri termini, facciamo le sceme- e però, non lo siamo per niente...


S caterina e Bormio2000 044

GRANDE DIZIONARIO DI MENU' TURISTICO
ad usum delphini et squalorum

  • che lipidine: the day after "che libidine"
  • ecchediamine- ecchecaspita- eccheppalle: manifestazioni di contenuta contrarietà della Dani quando le si blocca la barra di spazio della tastiera d'antiquariato del suo pc. Esiste anche la variante ECCHEDIAMINE- ECCHECASPITA-ECCHEPPALLE, quando, oltre alla barra di spazio, si blocca pure il tasto della miuscola
  • le ricette da porca figura: il più grande flop nella storia dell'editoria dei Paesi islamici
  • proh dolor: nota marca di burro
  • stupendissima: 300 e passa interventi su CI e ancora non sapete cosa sia???
  • fool blog: MT
  • bloggo: l'equivalente del blocco dello scrittore, applicato al food blogger. E' l'espressione che ricorre più frequentemente , fra quelle riportate qui sopra, oltretutto in una versione imbarbarita dall'uso e dall'abuso, "c'ho il bloggo". E' dovere degli estensori del Vocabolario recuperarne qui la forma originaria, "ho il bloggo", nel rispetto della correttezza filologica, della morfologia, della grammatica- ed anche dei membri della commissione che rilasciò ad entrambe le titolari di questo blog la licenza di seconda elementare
Alla prossima
Alessandra

Plum Cake al Mandarino





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Non so cosa mi sia preso in questi giorni, ma mi son messa a cucinare cose che preparavo quindici anni fa, quando alla passione - già allora sconfinata- per la cucina non corrispondeva ancora un'altrettanto immensa volontà di sperimentare e una abilità sufficiente per preparare una cena degna di questo nome, portata più, portata meno. Siccome, però, cucinare mi toccava già allora, mi ero specializzata in pochi piatti, che venivano preparati a turno, di cui all'epoca andavo fiera e che oggi rievoco con sincero orrore: c'era il filetto al pepe verde con mezzo litro di panna sopra, i salatini fatti con la sfoglia del banco frigo, la bresaola condita con la rucola e il grana, la torta "dei vasetti", la torta di mele ( alta mezzo cm) , il roast beef ai tre pepi (rigorosamente troppo cotto) e questo plum cake al mandarino, di tutte di gran lunga la preparazione più frustrante. Mi veniva sempre schiacciato, in stile ciabatta, crudo dentro e stracotto fuori, e ogni volta che lo infornavo mi chiedevo se mai sarebbe arrivato il giorno in cui sarei riuscita a prepararne uno alto, soffice, umido e porfumato come quello che si intuiva fosse il dolce della foto.
Ovviamente, quando arrivò quel benedetto giorno, il plum cake al madarino era stato bello che dimenticato, surclassato dalle mode che imponevano a questo tipo di dolce di profumare di spezie esotiche, di assumere un colorito verdognolo e un retrogusto di refrescume ( è finita, l'epoca del tè matcha, o dura ancora????) e, soprattutto, di variare un dosaggio antico e confortante,nella sua semplicità, con proporzioni e ingredienti che, della tradizione, se ne facevano un baffo. Io ho provato tutto, giuro- e alla fine, non so come, sono tornata ai vecchi ricettari, dove il plum cake era quello con "tanta farina quanto burro e quanto zucchero", con l'uvetta, i canditi e il tè per goderselo meglio. Certo, le variazioni sul tema me le concedo, eccome: ma lo spartito resta quello e gli intrusi devono avere le carte in regola per partecipare: armonizzarsi con il resto, valorizzarne il sapore, essere freschi e di stagione. E visto che sui banchi di Cartier, l'altro giorno, sono spuntati i mandarini, non ho resistito: ho chiuso gli occhi davanti al cartellino del prezzo e ho fatto un profumato tuffo nel passato....
PLUM CAKE AL MANDARINO

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Ingredienti per uno stampo da un litro

250 g di farina 00
250 g di burro morbido
250 g di zucchero semolato
4 uova
4 mandarini
un bicchierino di mandarinetto ( o Cointreau)
1 bustina di lievito vanigliato

Per la glassa
250 g di zucchero a velo
qualche goccia di succo di mandarino
Montate il burro con lo zucchero, fino ad ottenere un impasto spumoso. Aggiungeteci le uova, ad una ad una, sempre montando, il bicchierino di liquore , la scorza grattugiata di due mandarini e, infine, la farina setacciata col lievito.
Imburrate bene una teglia antiaderente da plum cake e riempitela con metà del composto. Disponetevi sopra gli spicchi dei mandarini, pelati a vivo, e ricoprite con il restante impasto.
Infornate a 190 gradi per almeno 45 minuti ( ma anche un'ora, in certi casi) Se dovesse scurire troppo, coprite la superficie con un foglio di alluminio.
Aspettate che si sia raffreddato, prima di sformarlo.
Quando è completamente freddo, glassatelo, dopo aver mescolato lo zucchero con pochissime gocce di succo di mandarino.
E' perfetto per la colazione del mattino o per l'ora del tè


  • Contrariamente a quanto si crede, la vera origine del Plum Cake è tedesca: si trattava di un dolce di prugne (e qui si spiega l' altrimenti incomprensibile "plum") piuttosto basso, più simile ad una crostata che a questo dolce alto e soffice. Furono gli Inglesi, però, a rielaborarlo successivamente, sostituendo, oltre all'impasto, anche la frutta: non più le prugne, ma uvetta e canditi, fissandolo nelle forme in cui è arrivato sino ad oggi
  • Per quante ricette girino sui siti e sui testi, la ricetta originale è una specie di 4/4: stesse dosi di burro, zucchero, farina e uova. Per chi non ha voglia di pesare le uova, grosso modo 4 uova corrsipondono a 250 g/ 3 a 175 e così via. Esistono viarianti con uova e tuorli ( in questo caso, 2 uova e 2 tuorli), approvate e concesse
  • Il vero segreto per la buona riuscita di un plum cale è montare bene il burro: non si dovrebbero sentire più i granelli dello zucchero, si diceva una volta: anche se nessuno è più così fiscale, usate le fruste elettriche per almeno 7-8 minuti, prima di aggiungere gli altri ingredienti
  • La cottura è un'altra nota dolente, per via della forma alta e stretta dello stampo : forno statico, 190 gradi, dai 45 minuti all'ora. Deve uscire umido all'interno, ma non crudo (prova stecchino). Come già detto, coprite la superficie con un foglio di alluminio, nell'ultimo quarto d'ora, se vi sembra che scurisca troppo.
Nient'altro, direi...
Buon Appetito
Alessandra


lunedì 26 ottobre 2009

crema al ciocco-latte e timo limone




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Di tutti i dolci approdati su questo schermo, la creatura ne ha graditi solo due: la Stupendissima e la Old Fashioned. Il che farebbe di lei un palato sopraffino, se non fosse per due aspetti: il primo è che alle suddette torte è stato dato una sorta di assalto in stile semi piratesco, con la paletta da dolce, al posto del coltello fra i denti, e con una voracità ben lontana dalle arie sdegnose e compunte dei veri gourmand; il secondo è che, dei pochi dolci che mangia, mia figlia privilegia senza nessuna esitazione tutti quelli comprati, meglio se di marchio rigorosamente industriale. Per farla felice, bisogna prepararle un budino di busta, oppure comprarle una merendina, o spalmarle una fetta di roba molliccia e biancastra, smerciata come pancarrè, con dell'ineffabile Nutella- e questo in barba agli sguardi di invidia delle sue amiche, quando transitano per casa e chiedono il bis di torte che, se fosse per lei, finirebbero dritte nella spazzatura. Quindi, potete immagnare con che orgoglio vi presento questi bicchierini che- udite udite- hanno passato la prova: non solo le sono piaciuti ma, fedele al copione, se li è spazzolati tutti in quattro e quattr'otto, incurante sia dell'appetito paterno che dell'interesse scientifico della madre ("mi spieghi cosa gli racconto, domani, sul blog, se neanche li assaggio???"). E alla fine, leccando compiaciuta il cucchiaio, mi ha anche gratificato del più alto e nobile complimento a cui io mai abbia potuto aspirare: " son quasi buoni come un budino Elah" ha detto soddisfatta- e questo è tutto...

CREMA AL CIOCCO-LATTE E TIMO LIMONE



Ricetta tratta da Bicchieri tutto cioccolato, di Josè Maréchal, foto di Akiko Ida, Bibliotheca Culinaria

40 cl di panna liquida
12 cl di latte
4 rametti di timo limone
3 tuorli d'uovo
60 g di zucchero extra fine
125 g di cioccolato al latte

Scaldate il latte e la panna liquida in una terrina a fuoco medio. Al primo cenno di bollore,togliete dal fuoco, aggiungete tre rametti di timo limone e lasciateli in infusione fuori dal fuoco per 2-3 minuti. Con l'aiuto di un passino, filtrate questo composto in una terrina sul cioccolato al latte spezzettato finemente. Mescolate bene il tutto.
In un'altra terrina, sbattete energicamente con la frusta i tuorli d'uovo con lo zucchero. Versateli sulla crema di cioccolato e mescolate bene.
Distribuite la crema ottenuta nei bicchierini e cuocete in forno a bagnomaria a 90 gradi, in una teglia riempita d'acqua a mezza altezza, per 60-90 minuti, secondo la grandezza dei bicchieri. Fate attenzione a che la temperatura non oltrepassi i cento gradi
Non appena le creme saranno cotte, sistematele in frigorifero per almeno due ore
Al momento di servire, utilizzate il rametto di timo limone rimasto per decorare i vasetti di crema

La nota della maestra
  • siccome so già che della spiegazione non ve ne può frega' de meno, ma siete tutti ansiosi di sapere dove ho trovato quei bei vasetti lì, che vanno pure in forno, NON VE LO DICO finché non ho finito di elencarvi per bene tutti i restroscena di questo dolce, a cominciare da qualche "imprecisione" (è un eufemismo) della ricetta. E se non state attenti, vi interrgo pure...
  • giuro che in questo momento vorrei poter fare la fudbloggher seria e discettare per un quarto d'ora sulle virtù di un abbinamento così ardito come quello del cioccolato al latte e del timo limone. In realtà, invece, non posso dirvi nulla, perché i 2-3 minuti di infusione indicati dall'autore sono troppo pochi acciocché si percepisca anche il pur vago sentore dell'erba aromatica. Per cui, quando tocca a voi ( o la prox volta che tocca a me), calcolate poco meno di una decina di minuti di infusione, prima di filtrare.
  • la cottura: dolente nota. Ho iniziato a forno statico e a bagno maria e dopo un'ora erano ancora semi liquidi. Dopo altri quindici minuti, mi son fatta forza, ho abbassato la temperatura di 10 gradi e ho acceso la modalità ventilata. Nel giro di venti minuti, erano abbastanza sodi
  • il riposo in frigo è fondamentale: all'aria, non rassodano per niente
  • perché prepararli, allora? perché sono buoni, non sono "aggressivi", piacciono ai bambini, sono scenografici e un po' originali. Potrebbero essere un'idea per un pre dessert in un pranzo di un certo tono, o una merenda per i bambini, o anche un dolce in una cena in piedi. considerate che devono essere preparati in anticipo, il che è sempre una risorsa, per chi deve organizzare un invito
  • i bicchierini sono quelli dello yogurt K.R ( che non vuol dire "cappa punto erre" ma una marca di tre lettere che comincia per K e finisce per R e che si trova in tutti i supermercati, fa pure degli yogurt buoni ed è l'unica che li metta nei vasetti di vetro). Hanno il pregio di andare in forno e di reggere senza colpo subire la lavastoviglie: in più sono gratis, e siccome semmu de zena, la cosa ci piace assai...
Buon Appetito
Alessandra


P.S. Posso togliermi un sassolino? In questo libro, Akiko Ida, da grandissima fotografa quale è, lascia tutti con un palmo di naso, cambiando completamente l'ambientazione delle sue foto: non più sfondi uniformi e cibi da soli, in primo piano, ma scorci domestici, ambientazioni affollate,buone cose di pessimo gusto (questi bicchierini, per esempio, sono fotografati su un tavolo di fòrmica che sembra il mio banco delle elementari). Per me, è stato come respirare aria fresca, in un mare di replicanti, tutti uguali, con gli stessi soggetti fotografati negli stessi piatti e allo stesso modo. Per carità, siccome la Akiko fa scuola ( e meno male, intendo...), fra qualche tempo ci ritroveremo sommersi di foto del Loreto impagliato e del busto dell'Alfieri, ma, per ora, mi godo questa svolta, originale e soltaria, finchè dura...


giovedì 22 ottobre 2009

Risotto ai porcini (Allan Bay)


risotto ai porcini

roast beef ai tre pepi con salsa al vino




roastbeef ai tre pepi con salsa al vino


Tre domandine, veloci veloci:
1. perché il freddo deve arrivare così all'improvviso e così tutto assieme?
2. perché quando viene freddo tutti si coprono tranne mia figlia, che saluta ogni autunno con un bel febbrone?
3. e perché io, che ormai so che ciò si verifica puntualmente ogni anno, mi riempio di impegni e scadenze proprio la settimana del freddo e dell'influenza della creatura?
Mentre vi scervellate, eccovi una ricetta strepitosa, antica e collaudatissima, facile da fare, di grande effetto, una di quelle robe, insomma, che verrebbe da chiedervi come mai siete ancora lì a cercare le risposta ( che tanto non la sapete...) e non vi siete già precipitati ai fornelli...

ROAST BEEF AI TRE PEPI CON SALSA AL VINO ROSSO
( da un vecchio numero di ATavola)

roast beef ai tre pepi

Ingredienti per 6-8 persone
1,250 kg di polpa di manzo per roast beef
1 cucchiaino di pepe nero
1 cucchiaino di pepe verde
1 cucchiaino di pepe rosa
300 g di burro ( ridotti brutalmente a 100)
3 cucchiai di farina
2 cucchiai di zucchero
100 g di senape
per la salsa
1 bicchiere di brodo
2 cucchiai di vino rosso ( io ho aumentato a mezzo bicchiere abbondante, sennò si sente troppo il brodo)
1 cucchiaino di Worcestersauce
1 cucchiaino di fecola
sale e pepe

Preparazione
Raccogliete in un mortaio i tre pepi e pestateli finemente: stavolta, ho usato il frullatore, ma se usate il batticarne o il pestello del mortaio l'effetto è molto più scenografico, perché il pepe non si polverizza e si vedono i tre colori diversi.
Mettete il pepe così ridotto in una ciotola e aggiungetevi la senape, la farina, lo zucchero e il burro. . Mescolate il tutto con cura e spalmatelo sulla superficie della varne, massaggiando bene.
Mettere la carne in una teglia e farla cuocere: 200 gradi per 20 min, 170 per altri 15. Estraetela dal forno e fatela intiepidire coperta di un foglio di alluminio
Preparate la salsa:
in un pentolino, scaldate il brodo, il vino e la worchester sauce; stemperate la fecola in un cucchiaio di questo liquido ed aggiungetela al resto. Fate addensare a fiamma bassa, per pochi minuti. Aggiustare di sale ed eventualmente di pepe
Affettare la carne e nappare con la salsa

Alcuni consigli:
  • questa è una ricetta che, se fossi in voi, proverei la prima volta e terrei poi in serbo per le grandi occasioni. E' talmente facile che la potrebbe preparare anche un bambino ( non a caso, l'ho riesumata dal quaderno degli esperimenti dei primi tempi del matrimonio), ma in compenso andrebbe archiviata sotto la voce "porca figura" da tanto scenografico è l'effetto. Intendo dire, che se volete pensare per tempo a Natale, questa potrebbe essere un'ottima soluzione
  • il pepe: non meno dei tre cucchiaini indicati, meglio se pestato a mano. Stavolta, non trovavo nè il batticarne nè il mortaio e mi sono arrangiata col frullatore, per cui il sapore è rimasto lo stesso, ma l'aspetto no: immaginatevi un roast beef rosato, avvolto in una crosta "crunchy" di pepe colorato e con una salsa rosso pieno lì vicino...
  • come sempre, quando si tratta di pezzi di carne interi, è fondamentale il massaggio: mettetevi comode, telefonate ad un'amica, sentite la lezione della figlia, qualsiasi cosa (tranne leggere: vi si ungono tutte le pagine) e massaggiate a lungo il pezzo di carne con il composto di burro e pepe, cercando di farlo penetrare bene nelle fibre.
  • per la carne, non ho usato sale, nonostante non cuocia nel brodo: la crosta di burro è molto saporita di suo e la salsa ha un sapore ben deciso, quindi, il sale altererebbe solo l'equilibrio dei sapori.
  • la cottura è quella indicata, fatte le debite proporzioni: meno la carne pesa, più si riducono i tempi, e viceversa: con un pezzo da 800 g come il nostro, ho fatto un 12-13 minuti a 200 gradi e altrettanti a 170 ( qui è meno aggressiva, la temperatura, per cui se anche lo lasciate un minuto o due di più non succede niente: l'importante, è regolarsi bene nella prima fase)
  • altra cosa fondamentale, per il roast beef, è il riposo: lo avvolgete subito in carta stagnola (in questa preparazione qui, va bene coprirlo, perché altrimenti rischiate che la crosta di pepe vi rimanga attaccata al foglio) e lo lasciate lì 5 minuti, in modo che liberi bene i suoi succhi. Se non ci fosse la crosticina, vi direi anche di aiutarvi con un peso in questa operazione, ma in questo caso basta così.
  • la salsa: qui sono intervenuta pesantemente sulle dosi originali, perché a mio parere il sapore del brodo era nettamente prevalente sul resto, Quindi, ho aumentato la quantità di vino. E' una salsa molto più leggera di quella tradizionale ( quella che parte da un roux e che prevede lo scalogno e cotture diverse) ma, udite udite, mio marito l'ha subito messa in cima alla lista di tutte le altre salse al vino che siano mai uscite da qui. Calcolate anche che è di una facilità impressionante e ultra rapida. Dura anche qualche giorno nel frigo e potete benissimo prepararla in anticipo. Basta scaldarla un po' prima di servire- e il gioco è fatto. Superfluo aggiungere che dovete usare un buon vino- rosso e corposo.
  • Mai come in questa ricetta, arrosto e salsa vanno a braccetto: nel senso che, da solo, l'arrosto è buono, ma niente di più, Con la salsa, acquista quel "tocco" particolare, che lo rende unico
Buon Appetito
Alessandra







mercoledì 14 ottobre 2009

bavarese di cachi in salsa di vaniglia- igles corelli





bavarese di cachi con salsa di vaniglia

Giusto mentre scrivevo la newsletter, ieri notte, mi è venuto in mente che, in origine, questo blog era nato per fare da supporto alla scuola di cucina, visto che le "nius" erano diventate troppo pesanti, sia per il numero di destinatari che, soprattutto, per le foto. Da qui, l'idea del blog, come strumento più agevole per l'archiviazione delle ricette e per la reperibilità delle lezioni.
A distanza di cinque mesi, i primi risultati sono i seguenti:
1. oltre l'80% dei destinatari della nius ha iniziato a darmi per dispersa, reclamando a gran voce di tornare all'antico, perché loro su quel coso lì in internet non ci sanno andare e poi era più bello ricevere la posta: superfluo aggiungere che di questo 80% il 79 è costituito da quelli che " belin, ale, non se ne può più, ma non hai altro da fare che intasarci la posta con 'ste cavolate". Per cui, siamo tornati all'antico- con in più il blog, sai che goduria
2. non ho mai trascritto una lezione di cucina. Ora, vi anticipo subito che preferirei che non faceste domande. Nel senso che io ho un archivio di lezioni da far paura- e son 5 mesi e passa che, un giorno sì e un giorno no, mi scervello su cosa scrivere sul blog e impiego un sacco di tempo in un'attività per la quale basterebbe un sano copia incolla, oltretutto più consono alla natura di queste pagine. E quindi, un po' per riparare a qeste dimenticanze e un po' per distrarvi dal chiedervi se c'è ancora qualche parte del mio cervello che funzioni, passo ad un rapido copia incolla di una delle dispense più fotocopiate della storia della scuola, vale a dire quella dedicata alle bavaresi-e coronata da questo capolavoro di Igles Corelli, che unisce vaniglia e cachi

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La /Il Bavarese
I raffinati usano il maschile, noi povere mortali il femminile ma, al di là della crisi di identità di questo dolce, resta il fatto che la bavarese sia una delle soluzioni più squisite per chiudere un pasto in bellezza. L'origine è tedesca, anche se l'ispirazione venne a Parigi: la inventarono i cuochi di una famiglia nobile, originaria della Baviera ma trasferitasi nella capitale di Francia e in origine era una specie di "mangia e bevi" a base di latte e uova, che si diffuse poi con il nome di Budino Bavarois ( da cui il maschile).
Venne perfezionato nel corso del XIX secolo, nelle forme che conosciamo ora e dai tavolini del celeberrimo Cafè Procope si diffuse ben presto in tutto il mondo.
Due sono gli elementi che la contraddistinguono:
1. un elemento "fisso", vale a dire lo zucchero, la panna montata e la gelatina
2. un elemento variabile- il latte, i tuorli , la purea di frutti, i liquori etc.
Quindi, quando si dice che la caratteristica della bavarese è la crema inglese ( latte, zucchero e tuorli), a rigor di logica si sbaglia: questa è la base più diffusa, ma non è l'lelemento distintivo: basta pensare infatti a molte bavaresi a base di frutta, che non vogliono nè latte, nè uova.
Ed ora, passiamo al procedimento, prendendo come base questo capolavoro di Igles Corelli, vale a dire la

BAVARESE DI CACHI IN SALSA DI VANIGLIA

Bavarese ai cachi con salsa di vaniglia
per la bavarese
purea di cachi 100g (meglio aumentare a 200- e meglio se del giardino della Dani...)
zucchero 50g
latte 70g
panna da montare 120g
tuorli 3
gelatina 5g

per la salsa
latte 300g
zucchero 80g
tuorli 3
stecca di vaniglia 1/2

Procedimento

Passate al setaccio la polpa dei cachi: deve risultare una purea morbida, senza nessun filamento
Mettete a bagno la gelatina in acqua fredda.
Montate con le fruste elettriche i tuorli con lo zucchero, fino a farli diventare belli spumosi: una volta si diceva che erano pronti quando non si sentivano più i granelli dello zucchero, o quando il tuorlo "scriveva" sulll'impasto: in ogni caso, non trascurate questa fase, perchè è importantissimo che incorporino aria.
Nel frattempo, scaldare il latte, fino al punto di ebollizione, e poi versarlo a filo sulle uova, sempre montando. Quando dico "a filo" dovete prendermi alla lettera: sennò, vi si cuociono le uova, e dovete buttare via tutto. All'inizio procedete con cautela, poi potete anche versarne di più, ma sempre con una certa attenzione.
Dopodichè, mettete tutto in un casseruolino e a fiamma bassa, senza mai far bollire la crema, fatela addensare. Potete anche lavorare a BagnoMaria, onde evitare danni: l'importante è che non facciate bollire la crema.
Quando è ancora molto calda, scioglietevi la gelatina ben strizzata: usate un cucchiaio di legno e mescolate bene per scioglierla del tutto. io preferisco fare questa operazione fuori dal fuoco, anche perché secondo me la colla di pesce non sopporta le temperature troppo alte. Se però vedete che non si scioglie, potete anche rimettere il composto sul fuoco per pochi secondi, sempre mescolando energicamente. Aggiungere la purea di cachi e passare di nuovo al setaccio.
Il primo che dice che sono noiosa, è sospeso dal corso: la differenza fra una bavarese dignitosa e una gran bavarese passa anche attraverso questi dettagli: a nessuno piace trovarsi in bocca un grumo di gelatina o un filamento di un frutto che non si è frullato bene: quindi, armatevi di santa pazienza e di colino e filtrate.
Dopodiché, dimenticatevi il composto per almeno due ore.
Anche questo, è un passaggio fondamentale: se il composto di base non è freddo, la colla di pesce si separa, durante il congelamento. Quindi, mettetelo in un recipente ampio, dategli una mescolata ogni tanto, per evitare che si rapprenda e solo quando è a temperatura ambiente, incorporate la panna montata, facendo attenzione a non smontarla ( dal basso verso l'alto, girando di continuo il recipiente). Terminata questa operazione, mettete la bavarese nello stampo o nei bicchierini o negli stampini individuali e lasciate riposare in frigo per almento sei ore.
Preparate la salsa.
Incidete per lungo una bacca di vaniglia ( deve essere mobida): estraetene i semini, raschiando con un coltellino e metteteli in infusione nel latte. Aggiungete anche la bacca vuota e portate a bollore.
Montate le uova con lo zucchero, secondo il procedimento descritto sopra e aggiungete a filo il latte, filtrato. Rimettete sul fuoco, meglio se a Bagno Maria e fate addensare la crema.
Al momento di servire, sformate la bavarese e nappate con la crema

Buon appetito



domenica 11 ottobre 2009

Zuppa di farro e fagioli

di Alessandra

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zuppa di orzo


E' di un'Ansa di ieri la notizia che il 4,4% della popolazione italiana - vale a dire 3 milioni di persone- vive al di sotto della soglia minima di povertà, fissata convenzionalmente su un parametro di spesa alimentare di 222, 29 euro al mese. In altri termini, nel nostro Paese vive (sopravvive?) un milione e mezzo di famiglie che non può spendere più di quella cifra per l'acquisto di cibi di prima sussistenza, come pane, carne e latte. A fronte di questo dato, però, ogni anno finiscono nella spazzatura di ogni Italiano 584 euro di generi alimentari, il 15%di pane e pasta, il 18%di carne, il 12%di frutta e verdura- per un totale dell'11% della borsa della spesa.
E' chiaro che con questi dati chi ama la demagogia e il viscido buonismo ci va a nozze, per così dire: e infatti, ieri pomeriggio era tutto un appello a sprecare di meno, quasi che la nostra frutta marcia o il nostro pane secco servissero a sfamare quella parte di popolazione costretta a vivere di stenti- e non fossero invece due problemi del tutto indipendenti, che certo stridono in modo scandaloso nella società dei nostri giorni ma che non centrano il punto nodale del problema della povertà del mondo. Anche perché, detto inter nos, in casa nostra, che tutto è furché il Deposito di Paperon de' Paperoni, il cibo, ogni tanto, si spreca e lo stesso penso capiti a buona parte delle famiglie italiane, specialmente in quelle dove ci sono mogli e madri che lavorano e/o che non sanno cucinare.
Con questo, non intendo inneggiare allo spreco, tutt'altro: le volte che sono obbligata a buttar via qualcosa, lo faccio con il cuore stretto dalla vergogna e gonfio di buoni propositi per razionalizzare la spesa. E difatti, negli anni, ho raggiunto un discreto equilibrio fra acquisti e consumi, che oltre a svuotare la dispensa, ha anche alleggerito e di molto la coscienza.
C'è da dire, però, che questi risultati sono stati raggiunti con fatica, nel momento in cui ho capito che quelli che per gli altri sono provvidenziali escamotage per mettere un freno agli sprechi, su di me facevano l'effetto diametralmente opposto. Prendiamo la spesa mensile, per esempio, o anche bisettimanale, o anche solo settimanale, indicata da più parti come il punto di partenza per un'economia domestica organizzata e funzionale. Se per gli altri funziona, per e è un disastro: intanto, inizio con lo spendere tre quarti del budget nel reparto caccavelle, che, guarda caso, in qualsiasi supermercato si vada, è sempre posizionato all'ingresso: per cui, tempo tre minuti e ho il carrello pieno di ferri da stiro, frullatori nuovi, crea-schiumetta per il caffè a forma di mucca, le intramontabili presine in stile arca di noè, che mi ci manca quella con il leocorno e abbiamo la collezione completa. Ma anche quando ho completato il giro e mi sono ripresa dallo svenimento alle casse, non è che le cose migliorino: perché, passato il tripudio delle prime tavole imbandite con ogn ben di Dio, mi ritrovo con ingredienti scombinati, verdure intristite, salumi che hanno perso lo smalto del primo taglio e quindici minuti di tempo per imbastire un menù decente ogni volta. Anche la teoria delle provviste nel freezer si è rivelata un bidone nella pratica: intanto, il tempo per mettermi lì e preparare scorte, onestamente, non ce l'ho. Può capitare che congeli una teglia in più di lasagne al forno, quando le preparo, o una porzione di gnocchi alla romana per placare l'appetito famelico da uscita da scuola, ma per me è impensabile avere a disposizione un monte ore sufficiente a trasformare una spesa grossa in piatti pronti da infilare nel congelatore: e chi, come me, nel fine settimana si dedica allo sport preferito dello slalom fra bucati da stirare e parrucchiere, ordine nei cassetti e cene con gli amici, sa benissimo di che cosa stia parlando. Perciò, mi sono convertita alla spesa quotidiana: compro poco, solo quello che mi serve, e tutti i giorni: in questo modo, non butto via quasi più niente, non soffro da sindrome del sabato mattina al centro commerciale e riesco anche ad ammortizzare quello che spendo in più cogliendo al volo offerte dell'ultima ora o promozioni varie. So bene che se fra i venticinque lettori ci fosse qualche economista invocherebbe un provvedimento per far chiudere questo blog- ma siccome so che non ce ne sono ( il vantaggio di avere venticinque lettori è che ci si conosce tutti...) e soprattutto siccome con me questo metodo funziona, io tiro dritta per la mia strada- a meno di non trovare un kit con simone rugiati e la sua lavagnetta, nel reparto caccavelle dell'ipermercato...


Zuppa di farro e fagioli

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Giusto per restare in tema col contenuto del post, ieri ho messo ordine in dispensa e , fra i vari pacchettini finiti sul fondo dei ripiani, è spuntato fuori il preziosissimo farro della Garfagnana, comprato al tempo delle camelie in Lucchesia e poi dimenticato lì. E siccome ieri qui c'era un temporale mica da ridere e si son tirati fuori i primi maglioni, una zuppa per cena ci stava benissimo- e meglio ancora se un po' svuota frigo come questa...

per 4 persone
2 carote
1 gambo di sedano
mezzo porro piccolo
2 foglie di salvia
una manciata di prezzemolo
un cucchiaio abbondante di concentrato di pomodoro ( dipende dai gusti, potete ometterlo o aggiungerne ancora)
100 g di pancetta dolce tagliata a cubetti
200 g di fagioli
400 g di farro
olio EVO
sale
pepe

Se usate fagioli secchi, fateli ammollare la sera prima in acqua fredda non salata. Lo stesso dicasi per il farro.
Stufare i fagioli in una padella profonda, con due o tre cucchiai di olio EVO , sale e salvia: Fateli insaporire a fiamma alta, e poi portate a cottura, aggiungendo via via mestoli di acqua calda o di brodo vegetale, anch'esso caldo, cuocendo a recipiente coperto e a fiamma bassa. Quando sono cotti, riducetene un terzo in purea
Tritate grossolanamente le verdure
In un pentolino antiaderente, cuocere la pancetta per pochi minuti, il tempo necessario perché si ammorbidisca e dia via il grasso.
In una pentola capace, meglio se di coccio, scaldare 3 cucchiai di olio EVO e farvi soffriggere le verdure. Dopodichè, aggiungere la purea di fagioli, i fagioli interi, il concentrato di pomodoro, la pancetta, coprire con circa un litro d'acqua e in ultimo, unite il farro, ben lavato. Aggiustate di sale.
Lasciar sobbollire a fiamma bassa, per una quarantina di minuti: molto dipende dalla qualità del farro, per cui è lecito assaggiare: allo stesso modo, è lecito aggiungere acqua, qualora se ne consumasse troppo in cottura.
Si serve bollente, volendo con dei crostoni di bane abbrustolito. Indispensabile un'abbondante macinata di pepe e un giro d'olio purissimo
Buon appetito
Alessandra

English Version

For 4
2 carrots
1 stalk celery
o half small leek
2 sage leaves
a handful of parsley
a generous spoonful of tomato paste (depends on taste, you can omit or add more)
100 g of fresh bacon, chopped
400 g barley
EVO oil
salt
pepe pepper

If using dried beans, let them soak in cold water the night before salting. The same applies to the barley.

Skimmer the beans in a deep pan, with two or three tablespoons of EVO oil, salt and sage flavor Make them flavoured on high heat, then cook covered, on low heat, gradually adding ladles of hot water or vegetable stock, hot too. When they are cooked, mashed one- third up.
Chop vegetables
In a nonstick saucepan, cook the bacon for a few minutes, the time it takes to melt and give away the fat.
In a large pot, preferably earthenware, heat 3 tablespoons oil EVO and fry lightly the vegetables. Then, add the mashed beans, whole beans, tomato paste, bacon, cover everything with about one liter of water and finally, add the barley, well washed. Salt. Let the soup simmer over low heat for about forty minutes, much depends on the quality of pearl barley: for this reason, it' better to taste: the same way, one may add water if it boil off too much during cooking. Serve hot, with some toasted croutons. I Indispensable abundant freshly ground pepper and a little of EVO oil
Buon appetito
Alessandra

domenica 4 ottobre 2009

risotto ai mirtilli con erba cipollina-risotto ai mirtilli e porcini

Collage di Picnik
In principio era una zucca
E la zucca era presso l'orto
E l'orto era...
ops...
Direi che forse, è meglio farla più breve...
Dunque, tanto per chiarire da subito come stanno le cose, la colpa è di mia suocera, e della sua brillante pensata di "cogliere" la zucca più grande dell'orto anarchico (quello dove i mirtilli sembrano prugne e gli zucchini degli Zepelin versione Smart) e di farla rotolare fino alla mia minuscola cucina. Se per i matematici di famiglia, lei in testa, la cosa ha rappresentato un interessante esperimento di perfetta inscrizione di una sfera (l'ortaggio) in un cubo (la stanza), per me è l'inizio della fine. A parte l'irraggiungibilità di certi punti della cucina- ovviamente i più strategici: saluto il ken sventolando la piccagetta e ho detto addio alle dosi perfette della mia bilancia digitale- dicevo, a parte questo dettaglio, si è aggiunto al già greve bagaglio degli interrogativi che mi porto dietro ogni giorno, anche il drammatico " cosa farò, di 'sta zucca". Perché, anche ipotizzando una serie di inviti a palazzo e mense arancioni per qualche tempo, non è pensabile che si riesca a smaltire tutta questa roba, in tempo perché
a) non perda la sua freschezza (soggetto: la zucca)
b) non perda il controllo (soggetto: io)
Ergo, bisogna pensare di congelarne un po'. E così, mentre la suddividevo mentalmente in tante parti, stile bestia al macello - con questo lo sformato, con questa il risotto, col resto il pumkin pie- ho dato un'occhiata allo stato del mio freezer e che cosa vi ho trovato???
Tadan....
Ve li ricordate i mirtilli di quest'estate???
Quei 4 kg e mezzo della prima raccolta, che avevano dato il via alle crisi bucoliche del "cosa ne faccio? come li uso? dove li metto?"... eccoli lì, belli stivati nei loro sacchettini da mezzo chilo l'uno, ad occuparmi un intero piano di quella che, al momento, rappresentava l'unica via d'uscita.
E così, si è dovuta iniziare la campagna di smaltimento, che ha prodotto, come primo risultato, questi due bei risotti- uno ai mirtilli, stricto sensu, e l'altro, in versione più boscaiola, con i resti di alcuni porcini, finiti dietro ai mirtilli da chissà quando- perchè son tutti buoni ad avere un freezer della Miele o della Rex o della Whirpool: io ce l'ho della Schliemann, miei cari, con gli strati, al posto dei ripiani....

RISOTTO AI MIRTILLI




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Confesso che la scoperta di questo piatto, da parte mia, è piuttosto recente- e risale ad un soggiorno forzato in Trentino di due anni fa, quando l'unica carta del ristorante riportava il menu " o mangi questa minestra...". L'impatto fu tutt'altro che devastante ed anzi, ricordo che provai subito qualche infelice sperimentazione a casa. Però, tant'è, mi era rimasto il chiodo fisso e, pensa che ti ripensa, con alcune correzioni , specialmente sul fronte della materia grassa, si è approdati a questo risultato che non sarà ortodosso, ma finalmente è buono

Per 4 persone
5 pugni di riso Carnaroli o Arborio
olio Extravergine d'oliva
mezza cipolla tritata
vino bianco secco, mezzo bicchiere
brodo vegetale leggerissimo ( confesso: ho usato acqua calda)
erba cipollina
100 g di mirtilli

Far stufare la cipolla nell'olio, aggiungendo un mestolino d'acqua, fino a quando non si disfa.
In una risottiera o nella pentola dove fate di solito i risotti, far tostate bene il riso, a fiamma alta, con un po' d'olio e, quando i chicchi sono diventati traslucidi, aggiungere la cipolla e bagnare col vino. dopodichè, aggiungere i mirtilli e portare a cottura come un normale risotto, aggiungendo via via un mestolino di brodo leggerissimo. Mantecare con una noce di burro e servire spolverizzato con erba cipollina



risotto ai mirtilli
N.B. l'aggiunta dei mirtilli prima del brodo conferisce al risotto un bel colore viola. Se preferite lasciarlo al naturale, con i mirtilli in bella evidenza, aggiungeteli pochi minuti prima del termine della cottura

Per il secondo risotto, mi sono liberamente ispirata Al cibo commestibile di Jenny e al suo risotto autunnale con l'uva e ne è venuto fuori questo

RISOTTO AI MIRTILLI E AI FUNGHI

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5 pugni di riso Carnaroli o Arborio
olio Extravergine d'oliva
mezza cipolla tritata
vino bianco secco, mezzo bicchiere
qualche cappella di porcini
una manciata di funghi secchi
brodo vegetale, se occorre
erba cipollina
100 g di mirtilli

Mettere a bagno i funghi secchi in abbondante acqua tiepida acidulata con qualche goccia di limone. Fate stufare la cipolla in olio EVO, secondo il procedimento descritto per il risotto ai mirtilli e, in una risottiera, fare tostare il riso. Uninte la cipolla, sfumate col vino, aggiungete i mirtilli e i funghi secchi tritati. Portate a cottura con l'acqua di ammollo dei funghi: se non dovesse bastare, aggiungete del brodo. A circa tre quarti di cottura, aggiungete le cappelle dei porcini, tagliate a pezzi. Mantecate con una noce di burro e servite con una abbondante spolverata di erba cipollina


risotto funghi e mirtilli

Buon Appetito
Alessandra

venerdì 2 ottobre 2009

C'ERA UNA VOLTA

 

C'era una volta....

E' da un po' di tempo che mi si chiedono lumi su alcuni "retroscena" di Menu Turistico, vista la mia disinvoltura a dare per scontate alcune informazioni che all'atto pratico sono la base di questo blog ma su cui, in effetti, non ho mai speso mezza parola come si deve. Mea culpa, lo ammetto, perché mi rendo conto che i nuovi lettori possano sentirsi spiazzati quando parlo di "niusletter" o faccio riferimenti al corso di cucina. Ma tutto è avvenuto in modo così naturale e così spontaneo che, per me, si è trattato solo di riprender eil filo di un discorso, interrotto per vari motivi, e ripartito in modo nuovo nella forma, ma sempre uguale nella sostanza: nel senso che Menuturistico è la prosecuzione, in chiave pubblica e a quattro mani, di un 'idea partita per caso molti anni fa e che, come spesso capita con quanto nasce in sordina e contro tutti, è cresciuta negli anni fino a diventare una piccola- e per me meravigliosa- realtà.
Ma andiamo con ordine.
Correva l'anno 2003 (vi piace così???) e nell'associazione di volontariato di cui facevo parte mancavano i fondi necessari per sostenere un'iniziativa benefica. Si era trattato di una sorta di fulmine a ciel sereno, di cui ora non ricordo più la natura (forse, avevamo perso uno sponsor all'ultimo minuto) ma che comunque ci aveva lasciato in braghe di tela- noi e soprattutto a bambini a cui la nostra attività si rivolgeva. L'imperativo era, quindi il dover correre ai ripari in tempi stretti e, in mancanza di altre idee, avevo proposto di organizzare un corso di cucina.
Fino ad allora, nessuno dei soci sospettava di questa mia passione e ricordo ancora che dovetti ripetere più volte che cosa avevo intenzione di fare: l'incredulità era dettata dal pregiudizio che una professionista più o meno affermata come la sottoscritta, in un'associazione di professionisti di gran lunga più affermati di me, potesse coltivare un hobby per un'attività che, nelle loro case, era riservata al personale di servizio o, al massimo, era concepita come una distrazione dal logorio della vita mondana.
Ma siccome il piatto piangeva e non c'erano sul tavolo altre proposte per asciugargli le lacrime, si decise di fare buon viso a cattiva sorte e si varò la mia proposta, con l'esplicita presa di distanza da qualsiasi collaborazione concreta al progetto: in altri termini, visto che ero così ostinata a credere in un 'idea strampalata e per certi aspetti anche indecorosa, avrei avuto il placet del club, ma oltre non si sarebbe andati: da sola mi ostinavo a scommettere sull'idea e da sola me la sarei dovuta cavare.
Io, però, avevo un asso nella manica: tutta questa passione per la cucina non era nata nè per caso, nè per moda. Certo, da anni acquistavo riviste e leggevo libri sull'argomento e da tempo la frequentazione dei ristoranti era dettata più dall'interesse per le loro proposte gastronomiche che dall'ansia di riempire lo stomaco o di fare cagnara con gli amici. Ma le radici di questo amore assoluto e incondizionato si trovavano in casa mia, ben ancorate nella cucina di mia madre.
Tuttora, a distanza di anni, con un bagaglio di esperienze gastronomiche sempre più pesante per qualità e quantità, non ho ancora trovato nessuno che sappia eguagliare l'estro, la creatività, la rapidità di esecuzione, la raffinatezza e i risultati a cui approda mia madre quando cucina. Il tutto senza dosi, con una sintesi geniale di spunti e suggerimenti carpiti da ogni parte del mondo (la cucina fusion, in casa nostra, è iniziata almeno 40 anni fa, senza proclami di sorta) e, quel che più conta, con una semplicità di esecuzione ed una velocità di realizzazione da far restare basito chiunque l'abbia mai vista all'opera. "la cucina nelle dita", penso ogni volta, quando transito da lei. Ed era proprio della sua "cucina nelle dita" che avevo bisogno, in quel frangente.
Gli inizi furono a dir poco pionieristici: avevamo trovato uno spazio in un istituto religioso, tramite l'intercessione di mia sorella ( che di ricette all'epoca, se ne intendeva pochissimo, ma che di fronte ad un ubi maior così urgente, si era attivata su ogni fronte) e ci trasportavamo, ogni volta, tutte le attrezzature necessarie per le lezioni, forno compreso. I primi ad essere coinvolti furono gli amici ed i colleghi, che si adattarono ad aule gelate, sedie traballanti e degustazioni in piedi e che ci permisero di raccogliere quanto pattuito- ed anche qualcosina di più- con la promessa che l'anno dopo si sarebbe ricominciato. " Vogliamo il corso avanzato", dicevano, facendo piombare me e mia madre nello sconforto: come avremmo fatto a reggere quei ritmi? a perdere giornate intere per studiare menu, fare la spesa, preparare le dispense, organizzare la cambusa, vuotare e svuotare il bagagliaio della micra ( già allora, sempre quella), ancora per un'altra stagione?
Senza contare che i soci, a parte i pochi che progressivamente si affezionarono al progetto e lo sostennero in ogni modo, continuavano a prendere le distanze da questa iniziativa: io ricordo tuttora, con un'umiliazione cocente, circostanze ufficiali in cui il rendiconto delle attività svolte e sostenute quasi interamente con i contributi del corso di cucina, veniva reso senza far nessuna menzione di questa attività, a fronte di peana magniloquenti tessuti in favore di tutte le altre, assai meno gettonate e redditizie.
Io, però, sono una che non molla- e che, anzi, trova benzina nella sfida e nel sentirsi tutti contro. E così, non solo si iniziò il secondo corso, ma cominciai a pensare ad altre vie per rendere ancora più coinvolgente quella che, di giorno in giorno, assumeva sempre più i contorni di una vera e propria scuola di cucina.
E così, nacquero le "niusletter": una ricetta alla settimana, spiegata passo passo, ad integrazione delle dispense, da spedirsi via e mail a tutti gli iscritti ai corsi- passati e presenti. Anche in questo caso, si iniziò da una rubrica scarna- sì e no una ventina di nomi- e con testi brevi. Poi, però, un po' alla volta, gli indirizzi aumentarono e le ricette si arricchirono di chiacchiere: spesso raccontavo i menu delle cene che si organizzavano a casa e da lì molti dei nostri ospiti presero ad interessarsi alla cosa, chiedendo quanto meno di poter ricevere anche loro la nius- oltre che di continuare a fare da cavia per i programmi del corso.
Da allora ad oggi, sono stati fatti dei passi da gigante: la scuola si è trasferita in cucine vere, a cominnciare da quella- favolosa- di mia suocera, un'altra che si è spesa all'inverosimile per aiutarmi in questo progetto; la degustazione in piedi è stata sostituita da una cena seduta ( più spartana in casa mia, elegante e raffinata da mia suocera), è stato necessario sdoppiare le sedi e diversificare i livelli e, ultimamente, si insegnano anche composizioni floreali e quanto serve per rendere gradevole il contorno ad un menu (ve l'ho già detto o no che ho una suocera strepitosa????)
L'apice si toccò due anni fa, quando si decise di mettere alla prova le allieve, facendo organizzare un intero pranzo, dall'aperitivo al dolce, per un'occasione importante. Ci furono liste d'attesa degli ospiti, cinque colonne sul giornale locale (e, permettetemelo, parliamo di Genova e del Secolo XIX, che non è propriamente il bollettino parrocchiale), la partecipazione delle due squadre di calcio della città ( pure la maglia di Cassano all'asta- e lo dico da genoana, con una gratitudine immensa per questo campione), magliette col logo della High School Cooking (contributo della creatura, fan di Zac Efron e dell'allora recente High School Musical) e ovunque, lacrime di commozione e di gioia. La cifra raccolta in quell'occasione permise di sostenere una missione francescana in Burundi (e di comprare le maglie del Genoa ai bambini africani, "evangelizzati" anche in tal senso da un Padre che sotto la tunica vestiva di rossoblu) e la soddisfazione fu immensa.
In parallelo, erano cresciute anche le niusletter- sia nella rubrica che nella grafica: gli indirizzi coprivano ormai i cinque continenti (arrivavano pure in Australia e in Thailandia-e tutto grazie al passaparola), io mi ero progressivamente convertita alle immagini e ogni volta partivano aggiornamenti sempre più "pesanti". E pesante era diventata anche la gestione della scuola, con l'aumentare degli impegni familiari e lavorativi, tanto che non riuscivo più a conciliare le due cose. E fu lì che si verificò la svolta, favorita da due eventi fortuiti ma fondamentali per la nascita di questo blog. Il primo fu il trasloco, un anno fa, che ci ricongiunse di nuovo a Daniela&C. Sembra una barzelletta, ma pare che sia destino che si finisca sempre con l'essere vicine di casa: prima, ci separava un piano, ora un numero civico (uno solo, sia chiaro, perché non avremmo potuto tollerare una distanza maggiore), e questo nononstante in questi anni la somma dei nostri traslochi potrebbe indurre a pensare che in realtà, dietro le spoglie di due signore per bene, si nascondano camalli con la vocazione al trasporto di casse di libri e mobili pesanti. Il secondo fu un bell'incidente d'auto, che, a un mese dall'insediamento della casa nuova, mi bloccò a letto per qualche mese, senza internet, senza telefono, senza il satellite, senza neppure i miei libri, che erano ancora tutti imballati nello studio. L'alternativa ad impazzire era mettersi a pensare a qualcosa di positivo: e siccome la Dani passava tutti i giorni a trovarmi e di lei conoscevo da tempo l'abilità in cucina, le parlai dell'ultima pensata che era uscita dal mio letto di dolore: trasferire le niusletter su un blog e continuare in questa nuova veste quello che era diventato un appuntamento fisso con i nostri lettori, senza apportare altre modifiche: quindi, da una parte, ricette testate e con una difficoltà di realizzazione che spaziasse da un livello base ad uno avanzato, senza però sconfinare in sperimentazioni troppo spinte o in esecuzioni troppo complicate; dall'altra, lo stile da Kitchen confidential che ne costituiva l'ossatura e il filo conduttore. La Dani- che è un'altra che, quanto a rotelle, avrebbe bisogno di un bollino blu, ma guai se glielo dite, che sennò resto da sola- ha subito detto di sì, e così siamo partite, sconfinando in una blogsfera che ci era del tutto sconosciuta e che ci piace ogni giorno di più, anche se ci rendiamo conto di non avere molte delle caratteristiche che potrebbero fare di Menuturistico un vero foodblog: chiacchieriamo troppo, postiamo troppo, siamo dispersive e poco allineate.
Ma, vedete, a differenza di quello che accade per la maggior parte degli altri autori, noi conosciamo bene i destinatari dei nostri post: non tutti, ovviamente, perché saremmo ipocrite a negare che in questi pochi mesi abbiamo aumentato a dismisura il numero dei lettori; ma ci è ancora impossibile metterci alla tastiera e pensare a contenuti "alti", se mi passate il termine: è molto più facile, invece, che oggi si recuperi la torta alle noci che mi ha chiesto la Rossella, o che si pensi alla rubrica che serve alla Giulia, o che si parli di un classico della pasticceria a base di burro e frutta canditi come del Plum cake della Cecilia, continuando la consuetudine delle nostre chiacchiere esattamente come prima.
Ed esattamente come prima funzionano le niusletters- perché il pubblico degli afecionados continua a volere anche quelle. Sono le nostre allieve più anziane, per esempio, che mi sgridano perche "ho appena imparato a scaricare la posta e ora guarda un po' che cosa mi combini", o le patite delle collezioni ("io le ho tutte") o quelli che hanno bisogno di rispondere e " come sarebbe a dire che mi leggono tutti? tutti chi????" o, più semplicemente, chi ormai si era affezionato ad un appuntamento fisso e ci chiede di non dargli buca. E così, sotto certi aspetti, siamo più incasinate di prima, con il blog da una parte, le niusletter dall'altra e la scuola di cucina che viene reclamata a gran voce (ma giuro che la ridimensiono, questa volta- e non ditemi che lo dico ogni anno, per favore, perché mi toccherebbe darvi ragione): ma, in fondo, va bene così...
Tutta questa pappardella per dirvi che, se proprio non ne potetef are a meno, la niusletter la spediamo anche a voi: ci mandate una mail all'indirizzo del blog (menuturistico@gmail.com) e saremmo felici di aggiugervi ai vecchi indirizzi, sotto la voce " nuovi amici"
Buona Domenica
Alessandra

giovedì 1 ottobre 2009

Gnocchi di barbabietola con burro salato e semi di papavero

di Alessandra



gnocchi di barbabietola 2

Che io e i numeri non si vada d'accordo, è un altro di quegli assiomi di cui si parlava qualche giorno fa. Sono passata alla storia, al liceo, per aver ispirato la frase più felice della professoressa di Matematica, quando, di fronte al mio ennesimo errore, disse che una zolletta di zucchero, sciolta in una tazzina di caffè, avrebbe avuto più probabilità di ricomporsi, di quante ne avessi io, a capire i teoremi.
Questo per dire che non mi sono stupita più di tanto quando ho realizzato che il calendario dei turni del blog che mi ero elaborata mentalmente non coincideva con le scadenze reali, anzi: semmai, il miracolo era il contrario, visto che finora ero sempre riuscita ad arrivare "giusta"agli appuntamenti. Quello che però mi è rincresciuto è che, oltre ad aver perso un titolo buono, oltretutto ossequioso della tradizione, come "giovedì gnocchi" , passo al pc la serata normalmente dedicata alla televisione: perché, come è vero che il giovedì sta agli gnocchi, è altrettanto vero, almeno in casa mia, che il mercoledì sta ad XFactor.
A scanso di equivoci, anticipo subito che, a dispetto della rigorosa puntualità che mi vede, davanti al televisore, allo scoccare delle nove, con cucina pulita e lavastoviglie avviata, a me XFactor NON piace. Lo trovo lento, dispersivo e volgare, l'esatto contrario del suo corrispondente statunitense, quell'America's Got Talent che, oltre a sfornare talenti veri, annovera anche fra i suoi giudici quella meraviglia della natura di Simon Cowell, che basta vederlo per tornare a sperare.
L'unico motivo per cui guardo questo programma è solo perché spero, ad ogni puntata, che il suo contenuto si possa finalmente avvicinare alla buona idea di partenza- la valorizzazione di talenti musicali italiani- e passi se ciò deve avvenire attraverso i meccanismi di un reality, con annessa gara canora: se questo è lo scotto da pagare per avere un po' di buona musica in televisione, siamo disposti a sorbettarci anche collegamenti quotidiani, processi, coreografie strampalate e tutto quanto fa scioubissss.
Va da sè che, ogni volta, io vada a dormire delusa- o meglio: amareggiata dalla pochezza che lo spettacolo riesce a produrre, come casting, come giudici, come scelta delle canzoni, come tempi assegnati alla musica, come tutto, insomma. Me ne sarei dovuta rendere già conto quando, alla prima edizione, venne eliminato uno dei gruppi più raffinati che mai erano apparsi sui palcoscenici italiani, i Cluster, colpevoli di "non essere entrati in pancia" a quello, fra i giurati, che spiccava per incompetenza in materia musicale. E avrei dovuto averne ulteriore conferma lo scorso anno, quando tre buzzurroni spiritati, che potevano anche essere simpatici, ma che in dieci puntate o forse più, avranno azzeccato tre o quattro note, o forse meno, hanno perso per sei punti la finale, contro un onesto mestierante, tornato nell'inevitabile anonimato appena spenti i riflettori.



E a quelli che potrebbero obiettare che non è il caso di prendersela per queste cose, che i problemi che affliggono questo mondo sono ben altri e ben più gravi e che queste sono solo canzonette, rispondo serenamente con un bell'anche no: perché, vedete, la Dani e io siamo madri di due aspiranti musiciste, che si confrontano da anni con strumenti di tutto rispetto e con uno studio di tutto rispetto e sentire spacciare per musica e per artisti queste banalità di bassa lega, davvero, mi avvelena il sangue. Uno dei giudici, in questa serie, ha sancito che l'intonazione è secondaria, per un adulto che sa di voler fare il cantante- e le nostre figlie a dieci anni, con un futuro irto di punti interrogativi, hanno dovuto affrontare selezioni durissime, all'interno delle quali la perfetta intonazione costituiva la prova preliminare. Abbiamo visto schiere di più o meno giovani con ambizioni artistiche snobbare la musica italiana o esibire con spocchia abissi di ignoranza musicale, quando da noi da anni gli impegni familiari sono modulati sulle stagioni sinfoniche e sui concerti sparsi per l'Europa, e le memorie dei vari cellulari scoppiano di invenzioni di Bach alternati a pezzi dei Green Day. E soprattutto, assistiamo ogni giorno a sacrifici sempre più pesanti- a levatacce mattutine, a schiene precocemente doloranti, a giornate che non conoscono ore libere, la cui ricompensa è tutta e solo nella gioia dell'oggi, nell'amore viscerale per lo strumento che suonano e per ciò che riescono a tirarne fuori. Io non so che cosa farà mia figlia da grande- e penso che anche la Dani lasci aperta ogni strada alla sua : ma quello che so, oggi, è che la musica non è quella che ci propina questa televisione, fatta di risse, di parolacce, di polemiche sterili e di arroganze sfacciate. Perché se l'X factor che si ricerca è solo l'apoteosi del "televisivo" e del "velinismo", allora è meglio metterci una croce sopra. Per sempre.






Ingredienti (per 4 persone)
400 g di patate
150 g di farina
1 barbabietola piccola (sui 200 g)
sale

Lavare benissimo le patate con la buccia e metterle a cuocere in acqua fredda leggermente salata. Quando saranno cotte, sbucciarle ancora calde (meglio se bollenti) e passarle allo schiacciapatate. Incorporarvi 100 g di farina e il sale, impastando rapidamente e poi, a poco a poco, la barbabietola frullata, aggiungendo i restanti 50 g di farina, per rendere più asciutto l'impasto. Alla fine, dovrete avere il classico impasto da gnocchi, morbido, ma che non si attacca alle mani. Spolverate il piano di lavoro e preparate tanti rotolini, da cui taglierete degli gnocchi, lunghi max 2 cm. Volendo, potete passarli sui rebbi di una forchetta, per dare loro la classica forma rigata.
Mettete sul fuoco una pentola capiente, con abbondante acqua, portate ad ebollizione, salate e, alla ripresa del bollore, gettatevi dentro gli gnocchi. Quando sono cotti, verranno in superficie. Scolateli bene con una schiumarola, a mano a mano che affiorano, e conditeli con burro fuso e semi di papavero
Buon Appetito
Alessandra