mercoledì 26 settembre 2012

September Starbooks: tiriamo le somme?

starbooks settembre 2012


Seguire lo Starbooks è un po' come leggere un libro giallo: si parte da una situazione di calma apparente, si va avanti a suon di colpi di scena e poi, alla fine, si mettono assieme gli indizi e si tirano le somme: ovvio che lo scopo non sia quello di trovare l'assassino (anche se qualche istinto omicida, ogni tanto, lo abbiamo), ma solo quello di recuperare le ragioni per cui il libro del mese dovrebbe o meno far parte della vostra biblioteca, secondo lo spirito di questo progetto che- ripetiamo- prevede che si vada oltre le copertine dei testi di cucina e si provino sul campo alcune ricette, per verificarne la reale fattibilità.

Contrariamente al solito, però, stavolta abbiamo davvero poco da dire: perchè individuare il lettore tipo di un libro come quello in esame, più che difficile, potrebbe anche suonare offensivo: e se ci avete seguito fin qui, saprete già dove voglio andare a parare. 

Partiamo dai pregi, o presunti tali: la grafica e il tema sono estremamente accattivanti. Non così contemporanei come si vorrebbe credere (il cartonato, la foto dall'alto, lo still life che vorrebbe far tanto "sono uscita com'ero per andare a comrare due cosine al mercato", li abbiamo già visti e apprezzati anni fa, con i libri di Jamie Oliver, tanto per dire il primo che mi viene in mente). Nonostante questo- o forse, propri per questo, restano  comunque capaci di attirare il lettore attento a queste cose; lo stesso vale per le labels (ai miei temppi, si chiamavano "etichette") e per il carattere del testo, molto morbido, molto trendy, inevitabilmente obsoleto, che fa ogni volta centro nel portafoglio di chi scrive. 
Anche l'inserimento dei disegni - tutti autografi della khoo- vorrebbe essere un salto in avanti verso l'ultima moda in fatto di grafica, vale a dire la contaminazione fra le arti. Al di là dei gusti personali (per me, per esempio, son troppo leziosi: l'unica cosa che ho pensato, vedendoli, è che di sicuro la Khoo è meglio come cuoca che come designer), collaborano al confezionamento di un libro importante, di quelli che non passano inosservati sugli scaffali delle librerie e provocano un improvviso prurito alle mani, che passa solo una volta che lo si prende in mano e lo si porta a casa. 

L'altro aspetto interessante è il tema: la cucina francese, proposta in forme semplificate. E' appena uscita l'edizione italiana, per i tipi della Luxury Books, e questo è uno dei punti chiave della comunicazione pubblicitaria: la semplificazione di ricette oggettivamente complesse che la Khoo rende accessibili a tutti. 

Ora, so di sconfinare in altri campi, ma se mai c'è un termine che in questi anni abbia visto maltrattare il suo significato, fino a ridurlo al suo esatto opposto, questo è proprio "semplicità". Perchè in origine "semplice" aveva un'accezione positiva: richiamava alla mente concetti più alti come l'onestà, la trasparenza, la sincerità e la pulizia e, nel contempo, ne respingeva gli opposti: nessuna falsità, nessuna scorciatoia che non fosse alla luce del sole, nessun maneggio, nessun imbroglio. 
Oggi, invece, si spaccia per "semplice" tutto quello che è trucco ed inganno e dispiace notare che questo accade soprattutto in cucina, che è il luogo in cui, per antonomasia, si rifugge dalla sofisticazione, anch'essa intesa nel senso più stretto del termine: è "semplice" fare una crostata con la pasta frolla del banco del supermercato, è "semplice" usare prodotti precotti, è "semplicissimo" aprire una busta di pasti surgelati e servirla ai commensali come se l'avesse preparata la padrona di casa: la quale, per inciso, ci crede sul serio. altrimenti, non si spiegherebbero gli oltre due milioni di copie vendute dei libri di Benedetta Parodi che di questa nuova idea di "semplicità" è la indiscussa e fortunata interprete, almeno qui da noi, e i peana di ringraziamento che le si innalzano ogni giorno, "perchè lei sì che ci ha insegnato a cucinare". 

Mutatis mutandis, la Khoo fa lo stesso: perchè è facile "semplificare" i lievitati, quadruplicando le dosi di lievito; è facile "semplificare" le zuppe, scaldando sul fuoco prodotti in scatola e surgelati; è facile "semplificare" la cottura del petto d'anatra, aumentando a dismisura i tempi della permanenza sui fornelli. Ma pretendere, da queste premesse,   di dimostrare di essere riusciti ad abbassare la cucina francese ai livelli di tutte le massaie è una mission impossible, almeno per quelli che sanno distinguere la differenza fra le verdure dell'orto e quelle della fabbrica e che hanno anche il coraggio di dire che le prime, toh-che-strano, sono infinitamente migliori delle seconde. 

Il problema, a ben guardare, è tutto qui- e checché se ne dica, ci riguarda anche da vicino: ha senso esaltare un libro che sceglie di battere questa strada, rinnegando le ragioni del gusto e quelle della salute? Ha senso rinunciare a priori ad accrescere le proprie capacità e le proprie conoscenze, in nome del conforto di un livellamento che va inevitabilmente sempre più in basso? E vado oltre e mi chiedo: possibile che  le papille che  fanno apprezzare le infinite sfumature di un semplice assaggio di una creazione stellata o di un prodotto a km zero siano le stesse che portano ad esaltare The Little Paris Kitchen come il libro della nuova svolta della cucina francese, dopo The Mastering Art of French Cuisine?

Mentre ci pensate, fatevi un giro dalle altre figliole dello Starbooks e dalle loro creazioni, con considerazioni (e smoccolamenti) included. Noi chiudiamo qui l'avventura di Settembre e vi diamo appuntamento a fine mese, per il vincitore dello Starbooks e al secondo mercoledì di Ottobre, per il nuovo libro del mese. 
Grazie per averci seguito fin qui




Araba: Crème Brulée
Ale Only kitchen: Millefeuille aux pommes
L'Apple Pie di Mary Pie: Magret de Canard aux Framboises
La Gaia Celiaca: Tarte Flambée
Menuturistico: Oeufs en Meurette, qui sotto




OEUF EN MEURETTE

Sono di corsa anch'io: per ora, vi metto la ricetta e a breve le mie considerazioni


oeufs

per 4- 6 persone
30 g di lardo o pancetta affumicata a cubetti
1 cipolla, sminuzzata finemente
1 carota, sminuzzata finemente
1 gambo di sedano, sminuzzato finemente
30 g di burro
30 g di farina
500 ml di brodo di vitello o di manzo, tiepido
1 cucchiaio di concentrato di pomodoro
1 bouquet garni (1 foglia di alloro, 10 grani di pepe, 5 rametti di prezzemolo, 2 rametti di timo)
175 ml di vino rosso
4 uova fresche


 Far soffriggere la pancetta e le verdure, in padella, a fiamma media, fino a quando non diventano dorate. Con una schiumarola, toglierle dalla padella, facendo attenzione a lasciare quanto più grasso possibile sul fondo. Sciogliere il burro nel grasso della padella, aggiungervi la farina e mescolare di continuo, fino a quando il composto non prenderà il colore della Coca Cola (questo è quel che si dice un roux scuro) Abbassare la fiamma al minimo e versase lentamente il brodo tiepido, mescolando energicamente con una frusta. Una volta incorporato il brodo, aggiungere il concentrato di pomodoro e il vino  e mescolare fino a quando non si è sciolto. Rimettere in padella le verdure e la pancetta, aggiungere il bouquet garni e far sobbollire lentamente per 15 minuti. Passare al setaccio, per ottenere una salsa morbida e liscia come la seta. Assaggiare ed eventualmente aggiustare di sale

Riempire d'acqua una larga padella della profondità di 8 cm e portarla a bollore. Sgusciare singolarmente le uova in ramequin  o tazzine, dare una vigorosa mescolata all'acqua bollente, acidulata con un poco di aceto e versarvi le uova, una dopo l'altra. abbassare la fiamma e far sobbollire, fino a quando il tuorlo sarà morbido ma consistente. Scolare con una schiumarola e servire con fette di pane tostato e la salsa al vino, sopra e tutto intorno

mercoledì 19 settembre 2012

Lo Starbooks di Settembre: Rachel Khoo, My Little Kitchen in Paris (Soupe au Pistou)

soupe au pistou




La Soupe au pistou è il minestrone alla genovese che parla francese: nizzardo, per la precisione, visto che è a Nizza e dintorni che si consuma abitualmente questa zuppa, non a torto celebrata come una delle glorie nazionali, assieme alla socca e alla pissaladiére. Le analogie con il nostro minestrone, però, sono palesi e vanno dalla massiccia presenza dei legumi all'assenza di qualsiasi rigore nella selezione degli ingredienti, visto che, più che gli accademici, son le stagioni a dettar leggi. Non stupitevi, quindi, se vi imbatterete ora in una zuppa con prevalenza di piselli e ora in un'altra, con tanto pomodoro, entrambe presentate come le uniche e inimitabili: la cucina povera si nutre di quello che c'è, come ben sanno anche i cugini provenzali a cui, per ovvie ragioni di vicinanza,  noi Genovesi ci sentiamo più imparentati che con tutti gli altri. 
Ma il vero trait d'union che lega la Soupe au pistou al minestrone è la presenza della salsa al basilico: un "filo verde", per così dire, che imprime ad entrambe le minestre quell'impronta inconfondibile, di fronte alla quale i palati deboli battono in ritirata e il resto del mondo si inchina: perchè se è vero che il profumo del basilico è cosa che riconcilia col mondo, è innegabile che dia il meglio di sé in unione con l'aglio e con l'olio- e se son buoni, tanto meglio per tutti.
Questa alchimia, da loro si chiama pistou e, una tantum, ha un pater certus nel nostro pesto: furono proprio i Genovesi emigrati in Provenza nel corso dell'Ottocento a far conoscere i fasti della loro salsa ai loro ospiti che la rielaborarono in una versione semplificata, del tutto priva di  pinoli e di altra frutta secca: strano ma vero, rinunciarono anche al formaggio, che resta un complemento indispensabile di questa salsa, ma  solo  come aggiunta finale, ad insaporire l'intero piatto. E nacque così il pistou e da qui tutti le ricette che annoverano questa salsa come accompagnamento, in mezzo alle quali spicca per doverosa fama e innegable bontà proprio questa zuppa.
Ovvio quindi che non potesse mancare in un'opera come quella di Rachel Khoo , che della cucina di Francia vuole essere la nuova espressione, in chiave  contemporanea- e quindi più semplice, più fresca, più lieve. E altrettanto ovvio che fra tutte le ricette qui raccolte, l'occhio dell'unica genovese del gruppo fosse irresistibilmente attratto proprio da questa. Meno ovvie le reazioni al risultato finale, anche se era bastata una prima lettura a spegnere ogni entusiasmo. Ma andiamo con ordine e partiamo dalla ricetta:

soupe au pistou


Soupe au Pistou 

3 cucchiai di olio d'oliva
2 cipolle affettate
4 spicchi d'aglio, ridotti in pasta
1 rametto di timo
2 foglie di alloro
4 cucchiai di concentrato di pomodoro
2 carote, a cubetti
2 zucchine, a cubetti
200 g di fagiolini
1 scatola da 400 g di fagioli bianchi, tipo cannellini, scolati e asciugati
2 litri di acqua bollente
1 cucchiaino di sale
un pizzico di zucchero
pepe
100 g di pastina
200 g di piselli, freschi o surgelati

per il pistou classico
1 mazzo di basilico
3 spicchi d'aglio
3- 4 cucchiai di olio EVO

per il pistou vietnamita
1 mazzo di basilico vietnamita
1 gambo di lemongrass, tagliato grossolanamente
mezzo peperoncino rosso, privato dei semi
5 cucchiai di olio di semi di girasole


Procedimento:

per fare il pistou, basta semplicemente pestare tutti gli ingredienti, fino a ridurli in pasta (o usare un mixer)

Per la zuppa, scaldare l'olio d'oliva in una grande padella. Aggiungere le cipolle e l'aglio e far cuocere a fuoco lento, mescolando di tanto in tanto, fino a quando saranno morbide e trasparenti. Aggiungere il timo, le foglie d'alloro, il concentrato di pomodoro, le carote e gli zucchini, poi cuocere per 15 - 20 minuti o fino a quando le verdure saranno 'al dente' (tenere, ma ancora un po' croccanti). Aggiungere i fagiolini e i fagioli assieme all'acqua bollente e portare a bollore, poi unire la pasta e i piselli. Cuocere per 10 minuti o fino a quando la pasta sarà al dente. Togliere il rametto di timo e l'alloro, aggiustare di sale e pepe, aggiungere lo zucchero e servire immediatamente con una cucchiaiata di pistou.

soupe au pistou



Come dicevo prima, la soupe au pistou è espressione della cucina povera, tanto negli ingredienti quanto nella tecnica. Non esistono zuppe che non riescano, a meno che non sappiate neppure accendere il fuoco. E quindi, secondo le aspettative, anche questa zuppa è riuscita e pure in meno di mezz'ora: verdure tenere, qualcuna addirittura già spappolata, e un bel profumo di pistou ad annunciare che la cena era in tavola, senza bisogno di sgolarsi in alcun modo.
Il punto, però, è un altro- ed è un punto importante, che spesso rischia di passare in secondo piano, specie in questo mondo virtuale, dove l'immagine è tutto. Vale a dire, la prova del gusto.
Se avete letto con attenzione la lista degli ingredienti, sapete già dove voglio arrivare: alla solita, annosa tiritera contro l'uso di prodotti in scatola o di prodotti surgelati, laddove c'è disponibilità di quelli freschi.
In sè, non li demonizzo, anzi: mi hanno salvato più di una cena e basta questo per garantire loro una stabile presenza nel mio freezer o sugli scaffali della mia dispensa. Ma un conto è ricorrere a questi ingredienti nei momenti di necessità, un altro è sostenere che sono buoni tanto quanto quelli freschi. Non lo sono, punto. E un conto è fare la donna in corriera, come sono io e mille altre,  con una professione che non ha nulla a che fare con il mondo del cibo, un altro è scrivere libri di ricette che, oltretutto, si presentano come l'esaltazione di una cucina svecchiata nei suoi fondamenti meno replicabili, in nome di quelle che oggi sono le parole d'ordine della gastronomia di tendenza: freschezza, leggerezza ed una sana e assidua frequentazione dei mercati rionali, come non manca di dichiarare la Khoo nei primi due paragrafi della sua prefazione a The Little Paris Kitchen.
E allora, mi verrebbe da chiederle, perché i fagioli in scatola, in una minestra che è l'espressione più peculiare della cucina di Provenza, la cui spina dorsale sono i profumi dei prodotti della terra? Perchè proporre i piselli surgelati, quando tutti sanno che l'unica legge a cui questa preparazione obbedisce è quella della stagionalità? E il concentrato di pomodoro, al posto del pomdoro fresco, consueto complemento del pistou nizzardo e monegasco, come la spieghiamo? Ometto gli altri "perché", per il solo motivo che son tutti consequenziali alle premesse, ma che non hanno fatto altro che peggiorare il peggiorabile: mi riferisco soprattutto alla cottura, che per ovvi motivi si è limitata ad appena mezz'ora (provate a far cuocere i fagioli in scatola per un'ora e passa) e che ha quindi impedito alle verdure fresche di sprigionare tutto il loro umore. Anche l'assegnazione degli stessi tempi di cottura alle carote e agli zucchini non sta nè in cielo né in terra, quasi come dimentcarsi il sale nel pistou. Cosa che, per altro, è stata fatta e sempre con questo stile che vuol essere minimalista e che invece scade ogni volta in una leziosaggine così stucchevole e così melensa che mi ci è voluto più di uno sforzo per reprimere la voglia di prendere The Little Kitchen e andare a barattarlo con l'opera omnia della Benedetta Parodi: scatoletta per scatoletta, almeno lei le apre con onestà.

soupe au pistou


Siccome detesto buttar via il cibo, ho riaggiustato questa zuppa con quello che avevo a disposizione, dal minipimer, per rendere omogenea la crema (le carote erano croccanti, i fagiolini quasi crudi, zucchini e fagioli sfatti) fino a due cucchiai e oltre di pistou, per dare un po' di mordente ad una cena altrimenti mortificante. Ma vi prometto che una di queste sere preparo la ricetta originale e ve la posto: se però, nel frattempo, volete provarci da soli, potete andare negli scaffali dello Starbooks, scorrere l'elenco fino alla voce CHILD, cliccare su Mastering of the Art of French Cooking e da lì, andare a vedere che meraviglia è la vera Soupe au Pistou, così come l'ha preparata la nostra amica Buccia: potrei spendere qualche aggettivo in più, ma vi assicuro che non serve: basta solo che diate un'occhiata agli ingredienti e il resto verrà da solo, appetito compreso.

soupe au pistou

Al resto della squadra dello Starbooks, invece, è andata meglio: c'è stata qualche aggiustatina in corso d'opera, qualche dose che è strabordata dagli stampi, qualche invocazione al cielo e, probabilmente, una dose di bontà di gran lunga superiore a quella che alberga nel cuore della sottoscritta, ma gli animi sono un po' più sollevati, rispetto alla volta scorsa.
Vi rimando alle loro ricette e alle loro considerazioni:

Vissi d'arte e di cucina: Nids de tartiflette
Le chat egoiste: croque madame muffins
Araba felice: Pain Brié
La Apple Pie di Mary Pie: Sabayon aux Saint Jacques
Andante con gusto: Soufflé au Fromage
Ale only Kitchen: Gratin de choufleur avec une chapelure aux noisette
La Gaia Celiaca: Poulet au citron et lavande


Per il Giudizio finale :-), invece, ci vediamo il prossimo mercoledì.
Buon Starbooks
Ale