domenica 27 settembre 2009

Old fashioned chocolate cake- e tre buoni motivi per amare Nigella



old fashioned chocolate cake


So bene che dovrei impiegare quel che resta della mia materia grigia a pormi interrogativi un pochino più spessi, ma siccome non son mai stata troppo incline alla speculazione ( e siccome, di questi tempi, speculare sui massimi sistemi mi intristisce più del dovuto) mi sono messa a fare l'elenco dei motivi per cui io adori senza mezzi termini Misses Nigella Lawson.
La domanda è meno oziosa di quanto possa sembrare, perché in sè la cucina di Nigella non avrebbe nessuna attrazione, per me: intendo dire, che siamo tutti capaci a nascondere la mancanza di originalità dietro qualche decina di migliaia di calorie e ad imbertuelare tutti gli ingredienti dentro un robot da cucina, spacciandoci per chef sopraffini. Anche la slinguazzata finale, che tanto turba i sonni di tutti i maschi inglesi, dall'asilo alla casa di riposo, levoca in me, come unica turba, quella dei NAS che accorrono a mettere i sigilli alla sua cucina- e mezzo metro di nastro adesivo sulla sua bocca.
Eppure, io la adoro: letteralmente. Non c'è programma, libro o rivista che parli di lei che mi sia sfuggito e posso avere anche un appuntamento col Padreterno che, se mi appare sullo schermo, con le sue chiome fluenti e le sue unghie laccate, io mi blocco basita a guardarla e, quel che è peggio, a desiderare di assomigliarle, almeno un po'.
E' per questo che, domenica scorsa, mentre mi accingevo alla costruzione di questa porc...ops, di questo capolavoro, ho pensato che fosse giunto il motivo di interrogarmi seriamente sul perché di questa attrazione fatale, giungendo alle seguenti fondamentali conclusioni:

1. è inglese. se mi conoscete anche solo tanto così, saprete che io ho una passione viscerale e invereconda per tutto ciò che è anglosassone, meglio se Perfida Albione Original. E' un male di famiglia, che si trasmette di generazione in generazione e che, anziché combattere, si favorisce in ogni modo, dal Jerome K. Jerome sul comodino della figlia alla devozione alle eggs and bacon, passando per i dischi Beatles, i pomeriggi a Covent Garden, e, buon ultimo, il poster di David Beckam (rigorosamente senza moglie)

2. è l'unica donna formosa che porti con disinvoltura le magliette con le coste e lo scollo ovale- quelle che per me e la Dani e tutte le altre donne a cui sono state elargite a piene mani misure di reggiseno superiori alla media, sono state l'incubo più ricorrente dell'adolescenza, quando ancora si sottostava ai dettami della madre o delle mode, e queste magliette erano una tappa desolatamente obbligata. Nigella riscatta anni di spalle ingobbite e di braccia incrociate sul petto, di sguardi di invidia per le amiche normo dotate e di preghiere accorate ("Signore, fa' che mi svegli piatta"), in tempi in cui ci si affidava ancora alla bontà divina, anziché alla chirurgia plastica.

3. è l'unica donna al mondo che, mentre aspetta che cuociano le basi di questa torta, invece di spremersi le meningi su come fare a non assaggiarne nemmeno un pezzetto, non solo se ne va tranquilla a prendersi un bel caffè in giardino, ma si fa pure fuori una scatola di cioccolatini ripieni che fanno ingrassare solo a guardarli. E, quel che è peggio, lo fa prima con aria compiaciuta e poi guardando in cielo, ad occhi chiusi, in pura estasi dei sensi, alla faccia di tutte le schiave delle diete, della linea e della taglia 38.

E siccome ho smesso da un po' di essere schiava della linea, la taglia 38 non l'avevo neanche per il ciripà e la dieta la comincio lunedì (quello della prossima settimana, ovviamente), mi sono lanciata nella più goduriosa di tutte le torte di nigelliana fattura, quella che meglio rappresenta il Nigella Style e che la divina prepara passo passo in questo video

http://www.youtube.com/watch?v=Sk-obgix23Y

E' chiaro che, senza la maglietta a costine, la quarta di reggiseno e la scatola di cioccolatini a forma di cuore, bene come a lei non vi verrà: ma se i risultati sono come quella che abbiamo preparato qui da noi, direi che un tentativo lo si debba proprio fare....

OLD FASHIONED CHOCOLATE CAKE


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200 g di farina 00
200 g di zucchero
1 cucchiaino di lievito
1/2 cucchiaino di bicarbonato
2 cucchiai di estratto di vaniglia ( o una bustina di vanillina)
150 g di panna acida
175 g di burro morbido
40 g di cacao amaro
2 uova

Per la glassa
175 g di cioccolato fondente
75 g di burro
1 cucchiaio di sciroppo di mais ( il miele è perfetto come sostituto- o il golden syrup, se lo avete)
1 cucchiaio di estratto di vaniglia
300 g di zucchero a velo ( ho usato quello vanigliato, quindi niente vaniglia)
125 g di panna acida

Montare il burro con lo zucchero, aggiungere le uova ad uno ad uno, la panna, la vanillina, il cacao e, in ultimo, la farina setacciata con il lievito ed il bicarbonato. Ungere due teglie di 22 cm di diametro ciascuna e riempirle con il composto. Potete usare anche un'unica teglia e poi tagliare la torta a metà: in questo caso, usate una teglia più profonda
Infornate a 180 gradi per una mezz'ora. La torta deve essere cotta, ma morbida.
Lasciate raffreddare e sformate. Se avete preparato un'unica torta, tagliatela in due parti
Preparate la glassa
Fate sciogliere a bagno maria il cioccolato con il burro, poi aggiungetevi il miele e la vaniglia e la panna acida. Mescolate bene e aggiungete lo zucchero: dopodiché, montate il composto con la frusta elettrica, fino a quando è spumoso.
Farcite la metà della torta, sovrapponetevi l'altra e spalmate la glassa tutto intorno, aiutandovi con una spatola.
E' migliore il giorno dopo- sempre che riusciate a resistere...
buon Appetito
Alessandra



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sabato 26 settembre 2009

Crema di Patate





parmentier


E' di questi giorni la pubblicazione dei risultati di uno studio scientifico, che stabilisce senza tema di smentita che noi donne siamo più infelici degli uomini. La notizia è stata riportata sulla prima pagina del Corsera, con il puntuale commento di Maria Laura Rodotà- un'altra che vorrei troppo come amica- la quale dice, in sintesi, che noi potremmo essere realizzate e felici se solo gli uomini ci lasciassero tirare un po' il fiato, invece di essere sempre lì pronti ad alzare il tiro delle loro aspettative. L'esempio di partenza è il più classico di tutti, vale a dire le lamentele che provengono dalla parte maschile in merito al disordine delle nostre case. Hai voglia a spiegar loro che se una deve fare la mamma, la moglie, la lavoratrice full time e mandare avanti una casa, qualche smagliatura, da qualche parte, deve pure averla, chiosa la giornalista: "In alternativa una (insomma io) si potrebbe licenzia­re dal Corriere , vendere la prole per esperimenti scientifici, abbandonare il cane in tangenziale; utilizzando il tem­po così conquistato per riordinare l’ap­partamento. Ma neanche questo sareb­be socialmente accettabile, ovvio."Se vi dicessi che mi ci sono rivista, direi una bugia: nel senso che sarebbe immensamente più veritiero se la Rodotà, per trarre ispirazione per il suo articolo, si fosse appostata fra le pareti di casa mia, magari nelle zone più strategiche, tipo la stireria o la cucina, e magari anche nelle ore più strategiche, che sono tutte quelle in cui mio marito e mia figlia sono in casa. In pratica, è come se giocassero a ping pong, facendo rimbalzare, al posto delle palline, l'infinito elenco delle mie manchevolezze, che cominciano con il disordine della casa e finiscono con lo stare poco a tavola, passando attraverso la mancanza di razionalità del mio agire ( il marito) o l'infinito fastidio dei miei continui rimproveri, per cose passate di moda, e pure da secoli (la figlia)


parmentier

Ora, che io sia una disordinata cronica è qualcosa che sta fra l'assioma e il dogma: nel senso che o vi fidate o fate un salto in casa mia e capite all'istante quello che intendo, senza bisogno di dimostrazioni. Quello che però magari non si intuisce al primo sguardo è che io sono responsabile di quel bailamme soltanto per la mia parte. Che, oltretutto, non è nemmeno la più grossa, se proprio vogliamo dircela fino in fondo. Per esempio, che mia figlia sia in casa lo si nota dalla semina di tutte le sue cose, lasciate disinvoltamente cadere nel tragitto fra l'ingresso e la sua stanza, guarda caso disposta in fondo all'appartamento. Una specie di moderna pollicina, per intenderci, con la differenza che un conto è inciamparsi in una briciola, un altro in una specie di catafalco nero che ad occhi inesperti potrebbe sembrare una bara e che invece è la custodia del suo violino. Va da sè che non si abbia nemmeno il conforto del soccorso: " Il mio violino!!! un'altra volta! ma possibile che tu non veda dove metti i piedi??" e quando le si fa notare che al prossimo incontro ravvicinato con il mio piede malato, il suo adorato strumento finisce giù dal balcone, magari pure con lei dietro, ecco che partono gli ammutinamenti in cameretta- e addio speranze che sia lei a raccogliere tutto. Col marito, per altro, è una battaglia persa in partenza: anzi, se mai dovesse leggere questo articolo, sono sicura, sicurissima, che direbbe che io non ho di che lamentarmi, visto che sono piena di distrazioni e di hobby, che lui peraltro mi lascia coltivare, senza aprire bocca: per esempio, non sono forse libera di andare a lavorare tutte le mattine? o di cucinare tutti i giorni? o di stirare, la domenica pomeriggio? Tanto per dirne una, non più tardi di un'ora fa, nel pieno di un bel pomeriggio di fine estate, con figlia allocata dai nonni, e la prospettiva di una serata libera, ha avuto la bella pensata di propormi di uscire per andare a comprare nientemeno che l'asse da stiro, comunicandomelo con lo stesso tono che altri avrebbero usato per dire "ti porto da Heinz Beck" o " facciamoci un week end in Costa Azzurra". E anche se non ha ancora proferito parola, ha tuttora sopra la testa dei bei punti interrogativi, non riuscendosi a spiegare come io abbia potuto rimandare a lunedì un'esperienza del genere e radicandosi sempre di più nella sua assoluta convinzione di aver sposato una che tutto è fuorché normale.
La Rodotà conclude l'articolo ammonendo le donne a non rassegnarsi, perché questo sarebbe l'inizio della fine , ed io condivido con lei questo monito alla resistenza alla lotta, perché è solo così che si avranno delle soddisfazioni: ieri, per esempio, entrando a sorpresa in camera della creatura, sono riuscita a distinguere la forma del letto e, alla sera, il marito ce l'ha fatta a trovare da solo il carica batterie del suo cellulare. Il che mi ha permesso di avere più tempo per dedicarmi all'hobby del preparare la cena, pure comprensivo,questa volta, di una delle vellutate che mi piacciono di più...
  CREMA DI PATATE

parmentier


per 4 persone
4 patate medie
250 ml di brodo vegetale
mezzo litro di latte
250 ml di panna
sale
pepe
olio EVO


Sbucciare le patate, lavarle, tagliarle a tocchetti, mettendoli via via a bagno in acqua fredda, perché non anneriscano
In una casseruola, scaldare 3 cucchiai di olio EVO e aggiungere le patate, scolate e aciugate bene.
Salare e fare insaporire, mescolando sempre con un cucchiaio di legno, per cinque minuti
Coprire il tutto con brodo vegetale e proseguire la cottura, col coperchio e a fiamma bassa, per un quarto d'ora circa, fino a quando le patate saranno tenere.
Frullare tutto ( anche con un frullatore ad immersione) fino ad ottenere una crema liscia: passate al colino e riportate sul fuoco, allugando con il latte. Aggiustate di sale . Appena prende il bollore, aggiungere la panna, senza togliere la pentola dal fuoco, mescolare bene, far cuocere ancora un minuto o due ( sarebbe meglio che la panna non bollisse: se dovesse succedere, togliete subito dal fuoco). Aggiustate ancora di sale, se occorre, e servite caldo, con una macinata di pepe bianco o una spolverata di noce moscata o di erba cipollina
Buon Appetito
Alessandra



parmentier


venerdì 25 settembre 2009

frittata di...asparagi di mare!!!!!




asparagi di mare

Quando ero molto piccola, mia mamma aveva una libreria in centro, tutta dedicata ai libri per bambini. Era un'idea pioneristica, per quei tempi e per questa città, e difatti si esaurì in breve tempo, fagocitata da costi e da impegni insostenibili e penso che mia madre debba ancora rimarginare del tutto la ferita, visto che ne ha sempre parlato pochissimo. L'unica cosa che però ripeteva di continuo, ogni volta che ci si imbatteva nell'argomento, era che lei si era letta tutti i libri che aveva in negozio, da cima a fondo, e questo non perché fosse particolarmente incline alla letteratura per l'infanzia, ma perché era fermamente convinta che la professionalità di un libraio passasse attraverso la conoscenza dei libri- e più estesa e approfondita era, meglio avrebbe svolto il suo lavoro.
Queste parole mi sono tornate in mente ieri, mentre ingannavo un'attesa di quasi due ore nel nuovo megastore di Feltrinelli, aperto qualche giorno fa fra squilli di trombe e suoni di fanfare e che, al di là dei proclami, mi ha lasciato intristita: un'accozzaglia di cose-libri, dischi, dvd, bar, self service, spazi lettura, chaiselong, sezione casalinghi, cartoleria, smemo & smoleskine- spersonalizzata in spazi freddi, dove il rosso -feltrinelli mal si sposa nell'acido di certi verdi e certi viola che farà tanto tendenza, ma che a me, proprio, mette voglia di scappare. Anche i commessi, che pure sono quelli di sempre, sembravano tanti alieni, occupati com'erano a descrivere il funzionamento del bar, a elencare i colori delle nuove matite bio, a riordinare dvd e tutto quanto serve a far dimenticare un catalogo di libri scarno nella quantità, obsoleto nella selezione, banale nelle proposte: superfluo dire che nessuno, lì dentro, parlasse di libri o sapesse darti un consiglio su un titolo: " il terminale è bloccato" , era il ritornello di quel pomeriggio e poco importa se il libro che cercavo era poi in vetrina fra le novità: nessuno ha saputo dirmi niente, all'interno, e quando me ne sono accorta, ero già fuori, con l'umore sotto i piedi e zero voglia di tornare lì dentro.

asparagi di mare


Per tirarmi su, sono andata in pescheria ( e prima che qualcuno obietti che non è tanto normale, vi ricordo per par condicio che voi siete lettori di questo blog: il che, se è un ottimo tramite per diventare amici, non depone certo a favore del vostro equilibrio psichico...): sono andata in pescheria, dicevo, a trovare la mia pescivendola preferita- una tipa tutta spiritata, scorbutica e simpatica, che nel lessico familiare si è guadagnata l'ambito soprannome di Florence, dalla inimitabile domestica dei Jefferson ( ve li ricordate? ce li stiamo riguardando su Sky, e ridiamo come vent'anni fa). Al pari di Florence, infatti, la tipa non sente ragioni e fa sempre e solo quello che vuole lei: hai meditato per ore su un menu, tutto imbastito intorno a degli involtini di sogliola? Bene, cambia tutto, perché se Florence ha deciso che quel giorno lì le sogliole non sono buone, non te le vende. Vuoi risolvere un pranzo veloce con un trancio di filetto di tonno? Passa in rosticceria, perché "il tonno glielo hai già dato ieri, a tua figlia, troppo le fa male" E anche quando ti impunti sulle orate, perché quelle son belle, senti, son figlia di pescatore, le vedo lontano un miglio che van bene, perché non me le vuoi vendere, ti risponde con un serafico "perché domani sono più fresche e costano la metà" che ti riduce subito al silenzio.

asparagi di mare

La cosa strana è che la Florence lavora in un supermercato e quindi in teoria non rende certo un bel servizio ai suoi capi: tant'è che ogni volta che mi avvicino al banco del pesce, temo sempre che le abbiano dato il benservito. Invece, non solo la trovo puntualmente, ma pare anche che si becchi dei premi produzione da favola, proprio per questa sua competenza: perchè i clienti si fidano, le chiedono consiglio, tornano e, udite udite, comprano molto più di prima.
Il che conferma la mia teoria- e cioè che in questo mondo di centri commerciali, mega store e commessi impagliati, quando si trova una persona che sa fare il suo lavoro e vuol bene al suo cliente, non la si lascia più, anche se è ruvida e brusca come la Florence. E anche se, invece del pesce, ti rifila tre etti di strane robine verdi " che se si chiamano asparagi di mare, secondo te, di che cosa sapranno?" e ti ci aggiunge pure un ricettina, buon peso " che anche se te di pesce non te ne accapisci, mi sei simpatica lo stesso..."

FRITTATA SOTTILE DI ASPARAGI DI MARE

asparagi di mare

200 g di asparagi di mare
5 uova
75 g di emmenthaler grattugiato
poco sale
olio EVO

Pulire benissimo gli asparagi di mare, avendo cura di togliere il gambo a tutti, sciacquarli sotto l'acqua corrente e farli cuocere in acqua bollente non salata per una quindicina di minuti. Sono pronti quando sono teneri.
Sbattete le uova in una fondina, come per fare un'omelette, aggiungetevi il formaggio grattugiato, gli asparagi di mare scolati bene e lasciati un po' intiepidire e mescolate il tutto. Aggiungete una piccola presa di sale ed assaggiate: se vi sembra insipido, aggiungetene ancora un po', ma non troppo, perché gli "asparagi" sono già salati di loro.
Prendete una padella, ungetela d'olio, versatevi il composto di uova ed asparagi e fate rapprendere, come per una frittata. Quando è quasi completamente rappresa, giratela e finite di cuocere. Si mangia tiepida, accompagnata da soncino o da un'insalata di pomodori freschi.
Buon Appetito
Alessandra



mercoledì 23 settembre 2009

Tarte al lemon curd e rosmarino- e il lemon curd senza burro!!!!

di Alessandra

tarte  lemon curd olio EVO e rosmarino
Tanto per darvi un'idea dell'aria che tira, son due giorni che mi sento come un incrocio fra Nonna Papera e Archimede Pitagorico: nel senso che, finalmente, anche Menu Turistico può vantare un'invenzione culinaria e, quel che più conta, la sottoscritta può finalmente abuffarsi di lemon curd, alleggerendo non già la linea, ma la coscienza: perchè, dopo consultazioni di ogni tipo, ricerche in internet, esperimenti ed assaggi, siamo finalmente riusciti a fare il lemon curd senza burro.

lemon curd olio Evo e rosmarino

In attesa del postino, con la nomination per il prossimo Nobel, vi racconto come ci sono arrivata: l'illuminazione me l'ha data il numero di Gourmet del maggio scorso, che giaceva fra la pila delle riviste da consultare e che, proprio nell'ultima pagina, riportava la ricetta di una tarte all'olio d'oliva, ripiena di un lemon curd fortemente alleggerito di burro. Le dosi, però, erano ancora troppo alte (80 gr. contro i miei 125 soliti), ma venivano introdotti due illuminanti cucchiaioni di maizena, che nella ricetta originale non ci sono e che invece potevano benissimo sostituire il burro, come addensanti. Da lì in poi è stato tutto uno sperimentare, fino all'approdo a questa versione che non ha nulla di diverso, nel gusto, dal classico lemon curd, ma che non contiene neanche un grammo di grassi animali. Non solo: l'aggiunta di due cucchiai d'olio, alla fine, lo rende estremamente lucido e fluido alla vista e infinitamente più versatile in cucina: in questa tarte, per esempio, l'ho abbinato col rosmarino, cosa che mai mi sarei sognata di fare con un curd burroso.


lemon curd

Ma andiamo con ordine. Sono partita dalla ricetta di Gourmet, pressocché uguale a quella che seguo di solito, che prevede:
il succo e la scorza grattugiata di tre limoni
2 tuorli e 2 uova intere
80 g. di burro
2 cucchiaini di maizena
200 g di zucchero
2 cucchiai di olio extravergine di oliva.

Ho completamente eliminato il burro e ho aumentato ad un cucchiaio pieno la dose di maizena.
Quindi, la nuova ricetta è questa
il succo e la scorza grattugiata di tre limoni
2 tuorli e 2 uova intere
1 cucchiaio di maizena
200 g di zucchero
1 cucchiaio di olio extravergine di oliva.

Nota, aggiunta dopo 2 anni di lemon curd senza burro a go go: via la maizena, bastano le uova.

Dopodiche, a freddo, in una casseruola dal fondo spesso, ho mischiato tutti gli ingredienti, ad eccezione dell'olio, amalgamandoli bene con una frusta. Ho messo sul fuoco a fiamma medio bassa e, sempre mescolando, ho portato ad ebollizione. Ho abbassato la fiamma al minimo, ho fatto bollire per due minuti e poi ho filtrato il tutto in un colino a maglie molto strette. In ultimo ho aggiunto UN cucchiaio di olio EVO leggerissimo e ho subito invasato. Con questa dose, ho ottenuto circa 350 ml di curd denso e lucido e dallo stesso identico sapore dell'altro.
Fosse stato per me, avrei dato subito inizio alle danze, mangiandomelo direttamente dal barattolo, come d'altronde faccio dal 14 aprile 1985, data della scoperta del Lemon Curd: ma siccome soffro della sindrome da stupendissima, e mi ero ripromessa di escogitare una versione leggera per le amiche del forum , sono subito passata alla seconda fase della sperimentazione, con questa
Tarte alle mandorle e olio d'oliva con curd al rosmarino


lemon curd olive oil and rosemary

Per la base
250 g di farina 00
50 g di farina di mandorle
100 g di zucchero
200 di burro ( volendo, ma io non l'ho sperimentata: 100 di burro e 2 cucchiai di olio EVO)
1 tuorlo
scorza di mezzo limone grattugiata

Si impasta tutto e si cuoce in bianco, a 180 gradi per 17 minuti e si lascia raffreddare
Per il curd al rosmarino, si scalda il curd e vi si aggiunge una manciata di aghi di rosmarino spezzettati e, quando è tiepido, lo si versa sulla torta, livellando bene con una spatola.
Se vi piace il lemon curd, è la fine del mondo. Se invece vi infastidisce il "troppo dolce" che lo contraddistingue , potete stemperarlo con della crema pasticcera o con una meringa cruda. In ogni caso, la bella figura è assicurata- e la riconoscenza eterna delle amiche in perenne lotta con la bilancia, pure!
alla prossima
alessandra




lemon curd




domenica 20 settembre 2009

Baci di dama con farina di riso (per celiaci e anche no)

di Alessandra
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Problema: Alessandra possiede una vecchia ricetta di famiglia di baci di dama grazie alla quale ottiene sfere perfette. Diletta ne possiede un'altra, di Luca Montersino, grazie alla quale anche lei ottiene sfere perfette. Alessandra, però, possiede anche il libro di Montersino dedicato alla pasticceria per intolleranti, dove trova la versione dei baci di dama per celiaci, con dosi e procedimenti tutti diversi da quelli che conosce lei. Considerato che Montersino sta ad Alessandra come Paganini sta a Carubba, può Alessandra prendere solo spunto dal Maestro e strafregarsene di tutto il resto, usando la collaudata ma semisconosciuta ricetta della nonna?

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La risposta, ovviamente, è sì.
Per cui, prendete carta e penna e cominciamo
Il segreto dei baci di dama non sta tanto negli ingredienti, ma nel procedimento e-soprattutto- nella cottura. Se sbagliate questi, rassegnatevi a servire ai vostri ospiti "dischi volanti di dama", perché più che delle ostie piatte e crude non otterrete.
La base è il famoso tpt, vale a dire l'abbreviazione di tant pour tant: la stessa quantità di tutti gli ingredienti., che sono:
farina- burro-zucchero e nocciole, per la zona del feudo di famiglia ( tenevo nonna paterna madrogna), oppure mandorle ( nel tortonese, per esempio) oppure mezzo e mezzo. L'importante è che siano macinate finissime.
Normalmente, si fanno 2 etti di tutto- ma il consiglio è di partire con un etto solo, per fare una prova. Ve ne verrà una teglia piena ( usate quelle da biscotti, con i bordi bassi) per un totale di una cinquantina di dolcetti
Si parte dal burro a temperatura ambiente (non pomata: cioè, appena lavorabile) e si mischiano insieme tutti gli ingredienti, lavorando con le mani. Anche questo è un punto importantissimo: le lame dei robot "bruciano" il burro, se non siete più che abili a lavorarlo , e recuperarlo è una fatica, perché dovete lasciare l'impasto in frigo per un bel po', anche una giornata intera. Se invece lavorate con le mani, molto velocemente, potete cavarvela con un riposo ragionevole un'oretta), se non addirittura niente: questi che vedete nella foto, con tutta che, come vi dirò, hanno la farina di riso che assorbe meno e che ha richiesto una lavorazione più lunga, sono andati subito in forno e sono rimasti belli tondi. Fate un po' di pratica e poi vedrete che sarà possibile anche a voi.
Quindi, una volta mischiati bene tutti gli ingredienti, mettete l'impasto in frigo a riposare. E' pronto quando il burro si è un po' indurito: non tantissimo, perché altrimenti dovreste scaldarlo di nuovo con le mani per renderlo lavorabile, e saremo di nuovo ai punti di prima. Quel tanto che basta, tutto qui.
Prendete una tegla da biscotti, foderatela con carta da forno e disponetevi tante palline, di circa un cm. di diametro, un po' distanziate le une dalle altre: io non li faccio troppo gross e in una teglia ne faccio stare circa un'ottantina.
A rigore, il riposo dell'impasto andrebbe fatto in questa fase, perché il burro, con la lavorazione e il calore della mani, si ammorbidisce di nuovo: ma se avete de frigoriferi normali, la teglia non entra: per cui, lavorate velocemente il composto, meglio se con la punta delle dita, e bagnatevi spesso le mani con acqua fredda ( e poi asciugatele) ed il problema è risolto.

baci di dama
Ed ora, arriviamo al secondo segreto, che è la cottura- ma prima, consentitemi uno sfogo: avrò letto decine di ricette che indicavano temperature del forno allucinanti e permanenze altrettanto spaventose (dai 180 ai 200 gradi, per venti minuti, mezz'ora) e ogni volta che le ho seguite, ho sempre dovuto buttare via tutto. Se vi si spatasciano, è anche per questo, perché vanno cotti a temperatura bassissima: 130- 140-150 gradi al max, dipende dai forni, per un quarto d'ora, venti minuti. Vanno tirati fuori ancora friabilissimi e lasciati all'aria a raffreddare: in questo modo, prendono la loro consistenza caratteristica, che va di pari passo con il loro sciogliersi in bocca.
E' chiaro che dovete fare un po' di prove: io vi direi di cominciare a 140 non ventilato, per 15 minuti e di stare a vedere. Non aumentate la cottura oltre i venti minuti, però, perché altrimenti diventano duri- buoni, ma più sul tipo degli amaretti, che non dei baci di dama.
Non toccateli in nessun modo, prima che si siano raffreddati completamente.
Dopodiché, fate sciogliere a bagnomaria un po' di cioccolato fondente al 50% e spennellatelo (TERZO SEGRETO!!!) su entrambe le metà dei baci di dama: in questo modo, vi verrà un ripieno bello spesso e il cioccolato si sentirà di più. Unite le due metà e lasciate solidificare il cioccolato. Dopodiché, sono pronti.
Migliorano col riposo, ma solo se conservati ermeticamente: la vecchia scatola di latta per i biscotti va benissimo.
baci di dama

La versione per gli intolleranti alle farine, prevede la sostituzione della farina normale con la farina di riso: ero un po' dubbiosa, all'inizio, perché, come vi ho detto, temevo che assorbisse meno della farina di grano, ma alla fine la questione si è risolta in qualche minuto in più di lavorazione. Non è stato necessario neppure il passaggio in frigo e sono venuti belli "cicciotti" lo stesso.
Quindi, ricapitolando, i tre segreti per baci di dama perfetti sono
1. non "bruciare" il burro
2. cuocerli a temperatura molto bassa
3. spennellare entrambe le metà con il cioccolato.
E a questo punto, non avete più scuse...
Buon Appetito
Alessandra

giovedì 17 settembre 2009

marmellata di ananas e pepe rosa-Knam featsRaravis Suocera

Centra
di Alessandra

marmellata di ananas e pepe rosa

Onde evitare pericolosi equivoci dagli effetti destabilizzanti per i lettori di questo blog, chi fa le marmellate, qua dentro, è la Dani. La sottoscritta, invece, non ne prepara, nel modo più assoluto: ufficialmente perché è allergica alla frutta, in realtà perché non ha senso camallarsi cassette di roba e rischiarsi ustioni alla Muzio Scevola e/o gomiti del tennista, a furia di grattar pentole, quando a casa non c'è nessuno che le mangi. Per cui, anche se in cuor mio avrei desiderato colazioni romantiche, con barattolini colorati ed etichette goduriose, ho dovuto rapidamente rinunciare, sommersa come sono da marmellate d'annata che semmai si riuscisse a dimostrare che con gli anni migliorano anche loro, che vecchiaia che passerei...
In compenso, mia suocera imperversa. Ne produce a vagonate, di tutti i tipi, dolci, agrodolci, salate, con frutta a pezzi e con frutta passata, ed anche se ogni volta conclude l'operazione di invasamento giurando e spergiurando sui suoi vasetti ("che gli venga il botulino") che l'anno prossimo non ne farà più, potete star certi che allo spuntare dei primi frutti di stagione se ne salterà su con una nuova ricetta e con il solito " cosa ne dici? TI ispira??" che di norma prelude al rinnovo dell'operazione.
Con questa marmellata, è successo lo stesso: i giuramenti erano ancora caldi, quando le è capitato per le mani L'Arte del Dolce di Ernst Knam: e mentre io sbavavo sulla mousse ai frutti della passione e yogurt o sulle possibili unioni fra cioccolato e wasabi, lei se ne è andata dritta alla sezione marmellate e se ne è uscita con questo abbinamento spettacolare, che continua a stendere parenti e amici ogni volta che gliela si regala.
E siccome ormai è da un po' che la suocera ci ha preso gusto a contribuire a MT con le sue creazioni, ha sganciato pure questa- e , già che c'era, ce ne ha rifilato pure un altro barattolino, non si sa se per contribuire alle prossime cene a base di cosciotti di prosciutto al forno o, più subdolamente, per aver qualche spazio vuoto in dispensa, giusto per poter ricominciare a conservare qualcosa....

MARMELLATA DI ANANAS E PEPE ROSA

marmellata di ananas e pepe rosa

preparazione 10 minuti più 3 ore circa per far macerare la frutta e il tempo necessario per il raffreddamento
Cottura: 20-25 minuti circa
difficoltà: facile

ingredienti per circa 1700 g
1 ananas da circa 1 kg
750 g di zucchero semolato
50 g di pepe rosa

Preparate alcuni vasi di vetro ben puliti.Pelate l'ananas, tagliatelo in 4 parti, eliminate il cuore duro e tagliate la polpa a pezzetti. Raccoglieteli in una casseruola, unitevi e lo zucchero e lasciate riposare il tutto per circa tre ore. Quindi, aggiungete il pepe rosa in grani e mescolate. Mettete poi la casseruola sul fuoco vivo, fino a pportare la marmellata ad ebollizione.
Fate bollire per circa 10 minuti, togliete dal fuoco e sminuzzate i pezzetti d ananas rimasti interi con un frullatore ad immersione. Riportate la pentola sul fuoco e fate riprendere il bollore, poi spegnete. Mescolate il tutto per 5 minuti con un cucchiaio di legno, per facilitare l'azione della pectina e far addensare la marmellata più velocemente.
Infine, riempite i vasetti con la marmellata ancora bollente, chiudeteli subito e capovolgeteli per sigillarli ermeticamente e farli raffreddare più rapidamente.
buon appetito
Alessandra

mercoledì 16 settembre 2009

Arrosto di maiale al Calvados con composta di mele e uva

lonza al ginepro con composte


Fra le migliaia di cose a cui sono allergica, ci sono i soprannomi: mentre per natura, tendo ad abbreviare tutto, detesto cordialmente i vari Puffy-Bibi-Cucca-Dado che in casa mia fanno tanto Famiglia Cristiana- e don Sciortino non c'entra: ve li ricordate gli Squallor (" sì Pierpaolo, va bene Pierpaolo...E chi è Pietro? Pietro è il cane di Fuffy).
Va da sè che una buona metà delle mie amiche celi sotto queste storture nomi bellissimi- anzi, più sono belli, più si nascondono, chissà come mai- e che l'intera popolazione delle amiche della creatura risponda solo se chiamata col soprannome. Creatura compresa, sia chiaro, tanto per non farci mancare nessuna delle abitudini che fanno storcere il naso a sua madre. Per le amiche, mia figlia è Charlie, ovviamente abbreviato in Cià. Perfetto, no? Una passa nove mesi a spulciare calendari, dizionari dei nomi e alberi genealogici, e a litigare col marito ( "A me piacerebbe chiamarla Greta" " Greta? Ma Greta è un nome da alta e bionda" " Eh, appunto... se somigliasse a me... " " Ah, giusto... Gretina") et similia, per poi restare lì con la cornetta del telefono in mano, nella drammatica consapevolezza che la tipa che sta chiedendo all'altro capo " C'è la Cià?" non è una oriunda della Manciuria che sta dicendo, nel suo dialetto " Buon giorno, signora, sono ...., potrei parlare con Carola, per favore?", ma una a caso delle amiche della creatura.
A dire la verità, sono in buona compagnia: una mia amica, il cui figlio ha la pelle scura, si è rassegnata a sentirselo chiamare "Cambogia", mentre mio cugino, che da piccolo aveva la testa grossa, aveva dato il suo contributo all'entusiasmo rivoluzionario di quei tempi, lasciandosi apostrofare dai compagni ( ovviamente, di classe) come "Mao Testung" trattenendosi dal prenderli a zuccate.
La migliore di tutte, però, era capitata al liceo, quando ci era toccato in sorte, come professoressa, un donnone di un quintale di peso, sorretto da due gambe sottili, sembre inguainata in camicioni sgargianti e con un bel rossetto rosso sulle labbra: vederla e associarla alla moglie di Gambadilegno per noi era stato tutt'uno, almeno fino a quando una delle nostre madri, cercandola per il colloquio, aveva insistito dicendo che lei no, non voleva parlare con l'insegnante XXX, perché suo figlio era stato chiarissmo: " vai a parlare con la Trudi", le aveva detto e lei, ovviamente, eseguiva.
Tutto 'sto ambaradan per parlarvi di un'altra cosa, che rimando al prossimo post, perché naturalmente ho esaurito tempo e spazio, visto che la ricetta di oggi è lunghissima da raccontare (ma facilissima da fare). Per cui, mentre aspettate con ansia la prossima puntata, ingannate l'attesa con questo...


ARROSTO DI MAIALE AL CALVADOS IN SALSA DI MELE ED UVA

lonza al ginepro con composte

Per 6 persone

800 g di lonza di maiale in un solo pezzo
1 mazzetto di erbe aromatiche ( mirto, rosmarino, salvia, dragoncello, prezzemolo)
2 dl di calvados ( o vino bianco secco)
3-4 bacche di ginepro
3 cucchiaini di olio EVO

per la salsa di mele
2 mele Granny Smith
2 dl di calvados ( o vino bianco)
2 cucchiaini di zucchero di canna
1 cipolla
1/2 cucchiaio di pepe di Cayenna ( o peperoncino)
1 pezzo da 1/2 cm di zenzero (o rafano, de gustibus)
1 cucchiaino di panna fresca ( ma anche meno: le due gocce che servono per legare la salsa, non di più)


per la salsa d'uva
200 g di uva nera
1 noce di burro
pepe verde fine
1 cucchiaino di aceto di lamponi
1 foglia di alloro
2 dl di vino rosso
1 stecca di cannella
3 chiodi di garofano ( meglio 2)


lonza al ginepro con composta

Private la lonza dei filamenti di grasso, salatela, pepatela e massaggiate per 5 minuti. Fatela rosolare in un padella, con due cucchiai di olio, su entrambi i lati. Disponete la carne in una pirofila leggermente unta e cuocetela in forno già caldo a 180 gradi, girandola a metà della cottura. Riunite 2 dl di sidro in una casseruola con le erbe aromatiche tritate grossolanamente e le bacche di ginepro e portate ad ebollizione. Versate il Calvados con le erbe sulla carne, coprite la pirofila con alluminio e proseguite la cottura per altri 20 minuti. Togliete l'alluminio e proseguite a cuocere per altri 15 minuti, bagnando la carne con il fondo di cottura. Tenete la carne in caldo e filtrate il fondo di cottura attraverso un colino a trama fine.

Preparare la salsa di mele: sbucciate le mele, eliminate il torsolo e tagliatele a fettine, nel senso della larghezza. Spellate la cipolla e affettatela sottilmente. Unite le mele in un pentolino con la cipolla, irrorate con il Calvados, spolverizzate con lo zucchero di canna, il pepe di Cayenna e portate ad ebollizione. Cuocete per 10 minuti, unite lo zenzero grattugiato e proseguite la cottura per 5minuti. Togliete dal fuoco. Unite la panna, mescolate, lasciate intiepidire.

Preparate la salsa all'uva: scaldate una noce di burro in un pentolino con l'aceto di lamponi, unite gli acini d'uva lavati e asciugati e rosolateli per qualche istante. Aggiungete il vino rosso, la cannella, i chiodi di garofano e l'alloro e cuocete per 15 minuti a fuoco medio basso. Togliete dal fuoco , eliminate l'alloro, i chiodi di garofano, la cannella, pepate e lasciate intiepidire.

Private l'arrosto dello spago e dsponetelo in un piatto da portata. Tagliate qualche fettina e irrorate con il fondo di cottura della carne. Servite accompagnando con le due salse a parte.

E' perfetto con i panini al latte al'uva e al rosmarino, prossimamente su questi schermi ( leggasi: dal forno della cucina ai forni delle bocche degli amici, nenache il tempo di fotografarli in movimento..).
Buon Appetito
Alessandra

martedì 15 settembre 2009

Spuma di Bloody Mary con verdure caramellate

spuma di bloody mary

Per la serie a ciascuno il suo, questa è la ricetta con cui inauguriamo l'anno scolastico: le mie amiche sfornano torte che sanno di incoraggiamenti affettuosi e di aspettative fiduciose, io mi faccio un Bloody Mary, non so ancora se per tirarmi su o per dimenticare preventivamente quello che succederà da qui alla metà di giugno.
La ricetta è di Massimiliano Mariola, chef del Gambero Rosso, uno dei pochi ancora capaci di prenderla con allegria- e per questo in cima alla lista delle mie simpatie. Si è divertito anche questa volta, camuffando una bieca operazione pubblicitaria in un opuscolo di ricettine allegato al Gambero Rosso di settembre , una più lieve e più originale dell'altra. L'intenzione sarebbe stata di provarle tutte, ma dopo aver caramellato il pavimento, nell'arduo compito di trovare un "asciugatoio" per le verdure, ho pensato che faccio meno danni a guardarmelo in TV...


SPUMA DI BLOODY MARY CON VERDURE CARAMELLATE


spuma di bloody mary con verdure caramellate



per 4 persone
350 g di salsa di pomodoro
2 fogli di colla di pesce
50 g di vodka
2 albumi (la versione originale prevedeva l'uso del sifone: gli albumi sono una mia "aggiunta"
2 coste di sedano
4 pomodorini
2 peperoncini freschi


Per il caramello:
100 g di zucchero
succo di limone
acqua

spuma di blooy mary 1

Ammollare la colla di pesce in acqua fredda.
Lavare le verdure, tagliare il sedano a bastoncini, togliere il picciolo ai pomodorini
Scaldare la salsa di pomodoro, in un casseruolino, e poco prima che raggiunga il bollore,, sciogliervi la colla di pesce, strizzata bene, mescolando velocemente con un cucchiaio di legno. Lasciar raffreddare benissimo ( altrimenti vi si divide, come è successo a me- e come mi succede, ogni volta che ho fretta, cioè praticamente sempre). Non c'è nessun pericolo che il composto "tiri", perché la dose di gelatina è minima. Aggiungere poi la Vodka, il sale e il pepe e , in ultimo, gli albumi montati a neve, facendo attenzione a non smontarli durante questa operazione. Riaggiustare di sale, riempire 4 bicchierini e mettere in frigo per circa due ore.
Trattandosi di una mousse, deve rimanere ariosa e soffice: il foglio di colla di pesce serve giusto a raggiungere un minimo di struttura, ma non a compromettere la spumosità della crema.
Per il caramello, invece, bisogna prendere una casseruolina dal fondo spesso, mettervi lo zucchero, l'acqua e il limone e, mescolando sempre, su fiamma media, far caramellare. E' pronto, quando avrà assunto un bel colorito bruno e l'odore del caramello. Passare le verdure nel caramello e farle asciugare su un foglio di carta da forno.
Una volta asciutte, lasciarle a temperatura ambiente: meglio non mettere mai in frigo lo zucchero lavorato perché gli inevitabili sbalzi di temperatura lo fanno sciogliere subito.
Al momento di servire, guarnire i bicchierini come da foto e portare in tavola.
Buon appetito
Alessandra

ma tarte choc ( c. felder)


ma tarte choc- felder

in casa mia, siamo tutti testardi. Detto così non è che renda molto l'idea, ma vi prego di fidarvi, quando vi dico che, se ci dovessero incasellare secondo i caratteri, come facevano gli antichi filosofi, più che una famiglia, noi sembreremmo un allevamento di muli.
In tutto questo scenario, chi svettava su tutti era mia nonna, la quale, oltre ad essere più incline degli altri all'incaponimento, aveva una testardaggine inversamente proporzionale al fondamento delle cose su cui si imputava: per cui, più aveva torto, e più era convinta da aver ragione. Ovviamente, le sue non erano prese di posizioni fine a se stesse: essendo donna di mente acutissima, lei disquisiva, ogni volta, con un crescendo di argomenti che terminavano tutte con il fatidico "son sicura come che devo morire", pronunciato in rigoroso genovese stretto e con l'autorevolezza propria di chi è solito parlare ex cathedra, e pure vestito di bianco.
'sta cosa mi è venuta in mente stamattina quando, riordinando le riviste di cucina , ho recuperato i primi numeri di Gourmet, un'altra eccelsa pubblicazione, nata sulle ceneri del Gran Gourmet di recente memoria e destinata, purtroppo, alla sua stessa fine. E mentre sfogliavo il primo numero, mi è caduto l'occhio su un servizio fatto a Les Ambassador, il ristorante del Crillon, quello di cui vi parlavo qualche tempo fa, quando vi raccontavo del mal di piedi e della robuchon. Siccome c'erano anche un po' di ricette, ho guardato con più attenzione , non sia mai che me ne sfuggisse qualcuna e ..tadan... eccola lì, la torta al cioccolato, quella che mi ero sbafata in barba alla mia stanchezza e che mi aveva dischiuso tutte le porte del paradiso. Uguale uguale a quella che avevano servito a me, sottile e lucida come me la ricordavo io.
Ed è stato a questo punto che mi si è acceso un campanellino: perché la Robuchon tutto era, fuorchè lucida e bassa. "Sta a vedere, mi sono detta, che c'è qualche ingrediente segreto che nell'altro libro non c'era..." mi ripetevo, mentre scartabellavo, alla ricerca dell'indice delle ricette. E intanto, mi convincevo sempre più della bontà della mia intuizione, "perché per forza che c'è qualcosa di sbagliato, non è possibile che la stessa torta venga così diversa, son sicura come che devo morire che ho ragione..."
Mettiamola così: qualcisa di diverso c'era, per cui un po' di ragione ce l'ho. Anzi, le differenze non erano solo nell'ordine di "qualcosa": erano diversi gli ingredienti, le quantità, il procedimento, la cottura, il nome e, udite udite, pure l'autore- che non era Joel Robuchon ma Christophe Felder. Maitre Patissier a Les Ambassadeur negli anni in cui c'ero stata io. Il che, messo in altri termini, significava solo una cosa: che la torta che avevo mangiato io non era la Robuchon, ma quella che avevo sotto gli occhi.
Ussegnur, ho pensato, appoggiandomi per lo sconforto allo stipite della libreria: e adesso, come faccio? Ho sbagliato attribuzione, ho mentito in pubblico, ho tradito i miei lettori- e tutto per una stupidissima torta al cioccolato, la qual cosa mi ha gettato in uno stato di prostrazione profonda, da cui pensavo non mi sarei sollevata per molto tempo.
Per fortuna, però, è venuta in mio soccorso l'educazione cattolica, con l'escamotage del pentimento e della riparazione, che mi ha offerto la migliore via d'uscita possibile: e cioè, preparare la Ma Tarte Choc, mangiarsene qualche fetta e fare pubblica ammenda con tanto di foto e ricetta bi-testata: la prima a Parigi, nell'età dell'innocenza, la seconda a Genova, nell'età del rimbambimento...

MA TARTE CHOC (C. Felder- da Gourmet)

ma tarte choc- felder

per la pate sucrèe

75 g di burro
45 g di zucchero
mezzo cucchiaino di zucchero vanigliato*
un tuorlo
15 g di farina di mandorle
125 g di farina
1 cucchiaio d'acqua
sale, un pizzico

* si può sostituire con una bustina di vanillina

per il ripieno
250 ml di latte intero
250 ml di panna fresca
4 tuorli
80 g di zucchero
350 g di cioccolato fondente al 70%

Preparazione
Per la apte a sucrèe impastare rapidamente tutti gli ingredienti, come per fare una frolla, rivestire uno stampo da crostata imburrato e mettere in frigo per almeno un'ora. La frolla andrà stesa in un guscio sottile, molto più sottile che per la Robuchon.
In forno a 180 gradi per 15 minuti

Per la crema
Scaldare latte e panna e, quando arrivano ad ebollizione, gettarvi dentro il cioccolato, tagliato a pezzetti . mescolare con una frusta, fino a quando si è sciolto del tutto. Montare i 4 tuorli con lo zucchero, unire il cioccolato sciolto nel latte e nella panna e rimettere sul fuoco , a fiamma bassisima. Far bollire per una decina di minuti. Lasciar intiepidire e versare nel guscio di pasta. Dopodichè, aspettare che si rassodi bene, prima di tagliarla: almeno 12 ore.
La fine del mondo...

ma tarte choc

buon appetito
alessandra

giovedì 10 settembre 2009

Variazioni di pesce spada- in crosta di zenzero e semi di papavero e in guazzetto alla ligure


di Alessandra

E' un post sottotono, e me ne scuso, mentre i motori degli ultimi canadair della giornata si spengono in lontananza e l'odor di bruciato entra dalla finestre semichiuse. In bocca e nel cuore un gusto amaro, di quelli che non vorresti mai sentire e che rimarranno invece per molto tempo, ogni volta che alzeremo gli occhi sul nostro verde, che non c'è più, e sulle nostre montagne che hanno cambiato forma e colore, corrose e distrutte dalla cieca violenza del fuoco. L'assenza di vittime umane compensa in parte il dolore per il disastro ambientale che si è perpetrato sotto gli occhi di una città attonita e impotente, ma non per questo lo attenua. Domani, certo, sarà un altro giorno- ma per molto tempo ancora sarà la tristezza a scandire le pagine del calendario, una dopo l'altra, nel ricordo dell'inferno di queste troppe ore, nel desolante spettacolo dalle nostre finestre, e nella rabbia sorda di chi vive questo scempio come l'ennesima ferita ad una città che da troppo tempo è offesa nel suo patrimonio, nella sua cultura e nei suoi valori e per la quale, per questo, si soffre ancora di più.


Variazioni di pesce spada- in crosta di semi di papavero e zenzero e in guazzetto di patate alla ligure

Collage di Picnik


...ovvero un bel "due per uno", che di questi tempi di forni ancora spenti e voglia di cucinare ancora in rodaggio non è poco. E' che stamattina mi son fatta tentare da un bel trancio di pesce spada (ora che anche george clooney è andato, intendo...) e quando è arrivato il momento di cucinare, mi sono accorta che, come al solito, ne avevo comprato troppo. Il freezer è pieno di mirtilli, il pesce di due giorni non mi piace e allora mi son dovuta industriare con quello che c'era. Il "fuori programma" è a destra- ed è superfluo che aggiunga che è quello che ci è piaciuto di più. La ricetta studiata, invece, è l'altra, su cui il marito ha trovato da ridire per quanto riguarda la cottura- fosse per lui, direttamente sulla piastra. E, sempre se fosse per lui, senza semi di papavero. E anche lo zenzero, non è che ci dica granchè.. se assolviamo il pesce spada è già tanto, insomma.
In ogni caso, son due "signore" preparazioni, che hanno come punto di forza la rapidità e richiedono però come condizione imprescindibile un'ottima materia prima, perché sono tutte mirate ad esaltare il protagonista, con cotture veloci, quasi senza grassi. Entrambe sono tratte dall'ultimo acquisto, La cucina ligure di mare di Valeria Melucci Newton Compton editore, comprato ieri in autogrill al ritorno dall'isola del giglio, uno scrigno di ricette preziose, a cui mi sa che attingerò a piene mani per un po'.
Intanto, gustatevi le prime due...


Pesce spada in crosta di semi di papavero e zenzero


pesce spada in crosta di papavero e zenzero


per 4 persone
4 fette di pesce spada fresco, di circa 200 g l'una
semi di papavero,
radice di zenzero
olio EVO
insalatina per accompagnare

Grattugiate un pezzetto di radice di zenzero e mescolatela con un cucchiaio di semi di papavero. Cospargete le fette di pesce col sale eimpanatele con il misto di semi di papavero e radice di zenzero. Disponete le fette in una pirofila leggermente unta d'olio, e infornate a 180 gradi, per 10 minuti, non di più. Servite su un letto di insalata di stagione

Guazzetto di pesce spada con pomodorini e olive taggiasche su patate dorate

DSC_6861
per 10 persone
1m5 kg di pesce spada
700 g di patate
300 gr di pomodorini
200 ml di olio EVO
100 g di olive taggiasche
100 ml di vino bianco secco
2 spicchi d'aglio
1 mazzetto di prezzemolo
rosmarino
origano
sale

Pulire il trancio di pesce, eliminando la pelle e la spina centrale e tagliatelo a dadini. Mondate le patate, tagliatele a fettine sottili e friggetele in olio d'oliva. Scoltatele e fatele asciugare su un foglio di carta assorbente. Fate soffriggere l'aglio intero nell'olio, con il rametto di rosmarino, unite lo spada, fate rosolare per qualche minuto e sfumate col vino- Spellate i pomodori, privateli della pelle e dei semi e tagliateli a dadini, quindi uniteli al pesce e portate a termine la cottura unendo all'ultimo le olive, una spolverata di origano, e regolando di sale. Disponete sui piatti le patate a raggiera e sistemate il pesce al centro, guarnendo con una spolverata di prezzemolo.
buon appetito
alessandra

mercoledì 2 settembre 2009

focaccia all' uva

focaccia all'uva

Secondo voi, quante versioni esisteranno, di questa ricetta? Dieci? Cento? Mille? E, sempre secondo voi, quante versioni ne potrò possedere io, nella incasinata biblioteca culinaria che mi ritrovo, dove eredità di nonne, mamme, suocere e prozie varie si sommano ad acquisti compulsivi e quotidiani? Cinque? Dieci? Trenta?
Beh, quali e quante che siano, sono andata a scegliere quella sbagliata. Per cui, quella che doveva essere una focaccia veloce, da portare agli amici domenica sera, e da non creare troppo scompiglio in una cucina che anela al ritorno della donna di servizio ( quanto mancaaaaa????), si è trasformata in un blob appiccicoso e rivoltante, che si allungava stile piovra praticamente su tutto e che, prima di assumere la forma di un impasto liscio ed omogeneo, come da sacro testo, ha richiesto ripetute ed estenuanti spolverate di farina, con grave danno per l'ambiente e il mio sistema nervoso.
In questi giorni, c'è chi si lamenta degli errori delle riviste di cucina. Io lo faccio da un po', ma senza molto costrutto: perché, se è vero che quando trovo un errore, mi incavolo come una iena, invoco tutto il Gotha della Gastronomia, da nonna papera a Brillat Savarin, piango calde lacrime sulla raccolta di Grand Gourmet, è altrettanto vero che, al primo di ogni mese, sono puntuale in edicola a fare il pieno di tutte le publbicazioni che offre il mercato, supplementi compresi. Salvo poi incappare nel dosaggio sbagliato, e ripetere la scena dall'inizio, fra promesse che "basta, mai più, non avrete i miei soldi" e inevitabili crisi di astinenza, che si estinguono sul bancone del giornalaio.
In attesa che si trovi una cura anche per me, eccovi questa rustica focaccia all'uva, uno scrigno di pasta di pane leggermente oliata, che racchiude un ripieno di chicchi d'uva, perfetta per concludere uno degli ultimi pic nic in campagna o una serata informale con gli amici. a patto che le dosi siano giuste, però....

FOCACCIA ALL'UVA



focaccia all'uva

500 g di farina ( meglio se 250 manitoba e 250 00)
25 g di lievito di birra
200 ml di acqua
1 cucchiaio d'olio
un grappolo di uva nera
un grappolo di uva verde
zucchero di canna per spolverare
1 cucchiaio di zucchero
un pizzico di sale

Il procedimento è semplicissimo: si fa sciogliere il lievito sbriciolato in 100 ml di acqua tiepida e un cucchiaio di zucchero, si copre il recipiente e si lascia lì, meglio se in un luogo tiepido, per una decina di minuti. Quando il lievito comincia a formare delle bolle in superficie si aggiunge la farina e si comincia ad impastare, aggiungendo il cucchiaio d'olio e l'acqua un po' alla volta, fino ad ottenere un impasto liscio ed omogeneo. Le dosi dell'acqua sono indicative, perché dipendono dal grado di assorbimento della farina: nel mio caso, 200 ml sono stati sufficienti per avere un impasto molto morbido. Lasciate lievitare fino al raddoppio, poi smontare l'impasto, aggiungere il sale e, con l'aiuto del mattarello , stenderlo in due rettangoli sottili, di dimensioni simili (dovranno sovrapporsi). Spolverizzate il primo rettangolo con dello zucchero di canna e disponetevi tanti acini d'uva: io, che sono un po' malata di perfezionismo, li ho aperti tutt in due per togliere i semi, ma non è indispensabile che lo facciate anche voi. Invece, è importante lasciare liberi 2 cm dai bordi. Coprite con l'altro rettangolo di pasta, sigillate bene i bordi con le mani e disponete gli altri acini d'uva sulla sueprficie, premendo con delicatezza per infilarli bene nell'impasto. Altra spolverata di zucchero di canna e in forno caldo a 200 gradi per 40 minuti .
Appena sfornata, potete lucidare la superficie spalmandola con un pezzetto di burro.
Semplice, leggera, genuina e di stagione: ci credete, se vi dico che è finita in un attimo???
buon appetito

Alessandra