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mercoledì 16 settembre 2009

Arrosto di maiale al Calvados con composta di mele e uva

lonza al ginepro con composte


Fra le migliaia di cose a cui sono allergica, ci sono i soprannomi: mentre per natura, tendo ad abbreviare tutto, detesto cordialmente i vari Puffy-Bibi-Cucca-Dado che in casa mia fanno tanto Famiglia Cristiana- e don Sciortino non c'entra: ve li ricordate gli Squallor (" sì Pierpaolo, va bene Pierpaolo...E chi è Pietro? Pietro è il cane di Fuffy).
Va da sè che una buona metà delle mie amiche celi sotto queste storture nomi bellissimi- anzi, più sono belli, più si nascondono, chissà come mai- e che l'intera popolazione delle amiche della creatura risponda solo se chiamata col soprannome. Creatura compresa, sia chiaro, tanto per non farci mancare nessuna delle abitudini che fanno storcere il naso a sua madre. Per le amiche, mia figlia è Charlie, ovviamente abbreviato in Cià. Perfetto, no? Una passa nove mesi a spulciare calendari, dizionari dei nomi e alberi genealogici, e a litigare col marito ( "A me piacerebbe chiamarla Greta" " Greta? Ma Greta è un nome da alta e bionda" " Eh, appunto... se somigliasse a me... " " Ah, giusto... Gretina") et similia, per poi restare lì con la cornetta del telefono in mano, nella drammatica consapevolezza che la tipa che sta chiedendo all'altro capo " C'è la Cià?" non è una oriunda della Manciuria che sta dicendo, nel suo dialetto " Buon giorno, signora, sono ...., potrei parlare con Carola, per favore?", ma una a caso delle amiche della creatura.
A dire la verità, sono in buona compagnia: una mia amica, il cui figlio ha la pelle scura, si è rassegnata a sentirselo chiamare "Cambogia", mentre mio cugino, che da piccolo aveva la testa grossa, aveva dato il suo contributo all'entusiasmo rivoluzionario di quei tempi, lasciandosi apostrofare dai compagni ( ovviamente, di classe) come "Mao Testung" trattenendosi dal prenderli a zuccate.
La migliore di tutte, però, era capitata al liceo, quando ci era toccato in sorte, come professoressa, un donnone di un quintale di peso, sorretto da due gambe sottili, sembre inguainata in camicioni sgargianti e con un bel rossetto rosso sulle labbra: vederla e associarla alla moglie di Gambadilegno per noi era stato tutt'uno, almeno fino a quando una delle nostre madri, cercandola per il colloquio, aveva insistito dicendo che lei no, non voleva parlare con l'insegnante XXX, perché suo figlio era stato chiarissmo: " vai a parlare con la Trudi", le aveva detto e lei, ovviamente, eseguiva.
Tutto 'sto ambaradan per parlarvi di un'altra cosa, che rimando al prossimo post, perché naturalmente ho esaurito tempo e spazio, visto che la ricetta di oggi è lunghissima da raccontare (ma facilissima da fare). Per cui, mentre aspettate con ansia la prossima puntata, ingannate l'attesa con questo...


ARROSTO DI MAIALE AL CALVADOS IN SALSA DI MELE ED UVA

lonza al ginepro con composte

Per 6 persone

800 g di lonza di maiale in un solo pezzo
1 mazzetto di erbe aromatiche ( mirto, rosmarino, salvia, dragoncello, prezzemolo)
2 dl di calvados ( o vino bianco secco)
3-4 bacche di ginepro
3 cucchiaini di olio EVO

per la salsa di mele
2 mele Granny Smith
2 dl di calvados ( o vino bianco)
2 cucchiaini di zucchero di canna
1 cipolla
1/2 cucchiaio di pepe di Cayenna ( o peperoncino)
1 pezzo da 1/2 cm di zenzero (o rafano, de gustibus)
1 cucchiaino di panna fresca ( ma anche meno: le due gocce che servono per legare la salsa, non di più)


per la salsa d'uva
200 g di uva nera
1 noce di burro
pepe verde fine
1 cucchiaino di aceto di lamponi
1 foglia di alloro
2 dl di vino rosso
1 stecca di cannella
3 chiodi di garofano ( meglio 2)


lonza al ginepro con composta

Private la lonza dei filamenti di grasso, salatela, pepatela e massaggiate per 5 minuti. Fatela rosolare in un padella, con due cucchiai di olio, su entrambi i lati. Disponete la carne in una pirofila leggermente unta e cuocetela in forno già caldo a 180 gradi, girandola a metà della cottura. Riunite 2 dl di sidro in una casseruola con le erbe aromatiche tritate grossolanamente e le bacche di ginepro e portate ad ebollizione. Versate il Calvados con le erbe sulla carne, coprite la pirofila con alluminio e proseguite la cottura per altri 20 minuti. Togliete l'alluminio e proseguite a cuocere per altri 15 minuti, bagnando la carne con il fondo di cottura. Tenete la carne in caldo e filtrate il fondo di cottura attraverso un colino a trama fine.

Preparare la salsa di mele: sbucciate le mele, eliminate il torsolo e tagliatele a fettine, nel senso della larghezza. Spellate la cipolla e affettatela sottilmente. Unite le mele in un pentolino con la cipolla, irrorate con il Calvados, spolverizzate con lo zucchero di canna, il pepe di Cayenna e portate ad ebollizione. Cuocete per 10 minuti, unite lo zenzero grattugiato e proseguite la cottura per 5minuti. Togliete dal fuoco. Unite la panna, mescolate, lasciate intiepidire.

Preparate la salsa all'uva: scaldate una noce di burro in un pentolino con l'aceto di lamponi, unite gli acini d'uva lavati e asciugati e rosolateli per qualche istante. Aggiungete il vino rosso, la cannella, i chiodi di garofano e l'alloro e cuocete per 15 minuti a fuoco medio basso. Togliete dal fuoco , eliminate l'alloro, i chiodi di garofano, la cannella, pepate e lasciate intiepidire.

Private l'arrosto dello spago e dsponetelo in un piatto da portata. Tagliate qualche fettina e irrorate con il fondo di cottura della carne. Servite accompagnando con le due salse a parte.

E' perfetto con i panini al latte al'uva e al rosmarino, prossimamente su questi schermi ( leggasi: dal forno della cucina ai forni delle bocche degli amici, nenache il tempo di fotografarli in movimento..).
Buon Appetito
Alessandra

mercoledì 2 settembre 2009

focaccia all' uva

focaccia all'uva

Secondo voi, quante versioni esisteranno, di questa ricetta? Dieci? Cento? Mille? E, sempre secondo voi, quante versioni ne potrò possedere io, nella incasinata biblioteca culinaria che mi ritrovo, dove eredità di nonne, mamme, suocere e prozie varie si sommano ad acquisti compulsivi e quotidiani? Cinque? Dieci? Trenta?
Beh, quali e quante che siano, sono andata a scegliere quella sbagliata. Per cui, quella che doveva essere una focaccia veloce, da portare agli amici domenica sera, e da non creare troppo scompiglio in una cucina che anela al ritorno della donna di servizio ( quanto mancaaaaa????), si è trasformata in un blob appiccicoso e rivoltante, che si allungava stile piovra praticamente su tutto e che, prima di assumere la forma di un impasto liscio ed omogeneo, come da sacro testo, ha richiesto ripetute ed estenuanti spolverate di farina, con grave danno per l'ambiente e il mio sistema nervoso.
In questi giorni, c'è chi si lamenta degli errori delle riviste di cucina. Io lo faccio da un po', ma senza molto costrutto: perché, se è vero che quando trovo un errore, mi incavolo come una iena, invoco tutto il Gotha della Gastronomia, da nonna papera a Brillat Savarin, piango calde lacrime sulla raccolta di Grand Gourmet, è altrettanto vero che, al primo di ogni mese, sono puntuale in edicola a fare il pieno di tutte le publbicazioni che offre il mercato, supplementi compresi. Salvo poi incappare nel dosaggio sbagliato, e ripetere la scena dall'inizio, fra promesse che "basta, mai più, non avrete i miei soldi" e inevitabili crisi di astinenza, che si estinguono sul bancone del giornalaio.
In attesa che si trovi una cura anche per me, eccovi questa rustica focaccia all'uva, uno scrigno di pasta di pane leggermente oliata, che racchiude un ripieno di chicchi d'uva, perfetta per concludere uno degli ultimi pic nic in campagna o una serata informale con gli amici. a patto che le dosi siano giuste, però....

FOCACCIA ALL'UVA



focaccia all'uva

500 g di farina ( meglio se 250 manitoba e 250 00)
25 g di lievito di birra
200 ml di acqua
1 cucchiaio d'olio
un grappolo di uva nera
un grappolo di uva verde
zucchero di canna per spolverare
1 cucchiaio di zucchero
un pizzico di sale

Il procedimento è semplicissimo: si fa sciogliere il lievito sbriciolato in 100 ml di acqua tiepida e un cucchiaio di zucchero, si copre il recipiente e si lascia lì, meglio se in un luogo tiepido, per una decina di minuti. Quando il lievito comincia a formare delle bolle in superficie si aggiunge la farina e si comincia ad impastare, aggiungendo il cucchiaio d'olio e l'acqua un po' alla volta, fino ad ottenere un impasto liscio ed omogeneo. Le dosi dell'acqua sono indicative, perché dipendono dal grado di assorbimento della farina: nel mio caso, 200 ml sono stati sufficienti per avere un impasto molto morbido. Lasciate lievitare fino al raddoppio, poi smontare l'impasto, aggiungere il sale e, con l'aiuto del mattarello , stenderlo in due rettangoli sottili, di dimensioni simili (dovranno sovrapporsi). Spolverizzate il primo rettangolo con dello zucchero di canna e disponetevi tanti acini d'uva: io, che sono un po' malata di perfezionismo, li ho aperti tutt in due per togliere i semi, ma non è indispensabile che lo facciate anche voi. Invece, è importante lasciare liberi 2 cm dai bordi. Coprite con l'altro rettangolo di pasta, sigillate bene i bordi con le mani e disponete gli altri acini d'uva sulla sueprficie, premendo con delicatezza per infilarli bene nell'impasto. Altra spolverata di zucchero di canna e in forno caldo a 200 gradi per 40 minuti .
Appena sfornata, potete lucidare la superficie spalmandola con un pezzetto di burro.
Semplice, leggera, genuina e di stagione: ci credete, se vi dico che è finita in un attimo???
buon appetito

Alessandra