"I Simpson esistevano già, prima che li inventassero. Si chiamavano i Kwimper, ed erano una versione ancora rozza, poco tecnologica e senza una cultura pop radicata fin nelle viscere-casomani solo un intuito pop, una specie di istinto. I Kwimper erano dei protosimpson, dei presimpson, degli urisimpson. In pratica, erano l'essenza della negazione del sogno americano. Non la degenerazione, la proprio la negazione (che è un bel po' diverso). Nel senso che sembravan, a voler pescare nel luogo comune riferito al nostro contesto, dei meridionali della commedia all'italiana, sempre alla ricerca di assistenzialismo, come se rivolgersi allo Steto potesse risolvere ogni problema, qualsiasi malanno. Come se lo Stato fosse una roba tipo i fiori di Bach"
Quando ho letto per la prima volta Vacanze Matte, avevo undici anni. E ho riso, dalla prima all'ultima pagina.
Quando l'ho riletto, avevo undici anni e qualche mese. E di nuovo, ho riso, dall'inizio alla fine.
E così è sempre andata, ogni volta che lo riprendevo in mano, fino a quando la memoria ha iniziato a subentrare al piacere della rilettura, anticipando situazioni, dialoghi e battute e spingendomi a lasciare il testo su qualche scaffale e passare ad altro. Ma da allora, quando scorrevo i dorsi dei libri, alla ricerca di qualcosa da da leggere (erano gli anni in cui l'addetta agli acquisti era ancora mia mamdre), se mi imbattevo con lo sguardo in Vacanze Matte, finiva sempre con un sorriso: divertito all'inizio, sempre più nostalgico in seguito, a mano a mano che il tempo passava e i confini della mia biblioteca ideale si allargavano sempre di più, dai due scaffali appesi nella mia cameretta alla Babele letteraria che scoprivo sui banchi di scuola e che neppure la mia immaginazione riusciva a contenere.
E' stato allora che ho perso il piacere di rileggere, di assaporare il gusto rotondo delle parole, di coglierne sfaccettature e sfumature, di godere delle pause altrimenti travolte dall'ansia del dover arrivare in fondo, quella soddisfazione piena che è propria di una degustazione e che solo una rilettura può dare.
E ho perso anche Vacanze Matte
Colpa del trasloco, probabilmente, o di qualche incauto prestito- oppure, più semplicemente, della veste dimessa che l'ingessata editoria di quegli anni riservava ai manoscritti che non rientravano nelle categorie dei classici e che, meno che mai, avevano i requisiti per potervi ambire. I miei ricordi di quel libro mi rimandavano una specie di scartoffia, lo scotch a tener ferme le pagine di una brossura che non aveva retto alle troppe mani in cui era passata e una copertina arancione, finita chissà dove. "Libro da poco e pure tenuto male"- sarà stato il verdetto che ne ha preceduto la fine, in qualche pacco da dare ai ciechi (ai miei tempi, si usava così: i libri si davano ai ciechi e non chiedetemi il perchè) o, peggio, in qualche sacco della spazzatura.
Fatto sta che da tempo immemore ne avevo perduto le tracce.
E da tempo altrettanto immemore, le mie crisi di nostalgia passavano tutte per Vacanze Matte, diventato simbolo non solo di un'età che non c'è più, ma anche e soprattutto di una capacità di scrittura che si fatica a ritrovare nei più blasonati autori di oggi, quelli a cui gli editori riservano copertine rilegate, premi da lungomare ferragostano e vetrine dei megastore.
A quanto pare, non ero la sola: eravamo in tanti, a rimpiangere questo libro e, per quelle strane alchimie di cui ogni tanto il web è capace, giorno dopo giorno siamo cresciuti, sempre di più. Copie della vecchia edizione hanno preso a circolare in internet, ad essere scaricate sui pc, ad essere addirittura stampate e poi focopiate, per gli irriducibili della carta stampata come la sottoscritta. Fino a quando Einaudi non si è deciso a ripubblicarlo- e questa volta con tutte le fanfare di cui gli editori moderni dispongono, quando si tratta di lanciare un prodotto, meglio ancora se atteso da vent'anni da un gruppo di afecionados. E così, la veste grafica è di tutto rispetto, con tanto di immancabile fascetta di copertina per le allodole, la collocazione è strategica, bene in vista sugli scaffali delle principali librerie, quasi che tutti questi anni di paziente spulciamento di tutte le bancarelle d'Italia non ci avessero addestrato a riconoscerlo, a un km di distanza, e, buon ultimo, c'è pure l'onore della prefazione.
Che è fatta benissimo, sia chiaro: arguta, intelligente, profonda e mai pedante. Tanto che, contrariamente al solito, sono riuscita ad arrivare in fondo senza annoiarmi ed anzi divertendomi pure, in questo confronto con i Simpson, sullo sfondo di un sogno americano che iniziava a mostrarsi quello che era- un sogno, appunto, e nulla di più.
Ma, mentre ne scorrevo le righe, non riuscivo a togliermi dalla mente l'immagine di me bambina, che mi rotolavo dal ridere ad ogni pagina- e questo quando i Simpson erano di là da venire e il sogno americano era un'espressione che nè conoscevo nè avrei compreso.
E allora, perchè ridevo così tanto? mi sono chiesta, affrontando la rilettura di Vacanze Matte col timore che qualcosa si fosse rotto, da allora, e che a distanza di trentepass'anni sarei andata incontro ad una delusione.
Mi è bastato il primo paragrafo per capirlo- e quelli successivi per averne la conferma. Ridevo così tanto perchè Vacanze Matte è un libro comico. Tout court. Di una comicità elementare, che nasce dall'aderenza a situazioni oggettivamente ridicole e che si sublima in un capolavoro esilarante, grazie alla straordinaria maestria con cui l'autore usa tutti i mezzi a sua disposizione: stile brillante, ritmo incalzante, situazioni esilaranti e, soprattutto, la punta di genialità della scelta della voce del narratore: affidata a Toby, il figlio maggiore di questa squinternata famiglia, che dello stereotipo del giovane americano cresciuto a ricostituenti e a cieca fiducia nello Stato, ha di tutto e di più. Toby è più bravo dei bravi ragazzi, il più ingenuo, il più onesto, quello che prende per oro colato gli insegnamenti di un padre unicamente dedito all'arte di vivere a spese del Governo, che non sa riconoscere la disonestà neppure di fronte alle sue manifestazioni più evidenti ma che trae proprio da questo suo essere senza macchia la forza per raddrizzare tutte le storture che gli stanno intorno: "egli possiede la forza di dieci uomini, perchè è un puro di cuore", dirà di lui un personaggio chiave, alla fine del libro. Quello che non dice, ma che noi abbiamo già inteso, è che è proprio osservando le cose da questa prospettiva straniata che il romanzo sprigiona tutta la sua forza, affidando le tematiche importanti, a volte anche grevi, che ne costellano la trama alla potenza travolgente di una comicità allo stato puro, quella che ci fa sbellicare dalle risa ancora oggi, a dispetto degli anni che passano e della malinconia che avanza. Per cui, l'invito che vi faccio non è solo quello di leggere questo libro, come capita di solito quando mi imbatto in qualcosa che mi piace: ma di regalarlo agli amici, ai colleghi, ai vicini, a chi vi sta attorno. Ve ne saranno tutti grati.
ciao
ale
p.s. tale è l'entusiasmo, che non ho neppure fatto un cenno alla trama. Ve la sintentizzo in poche righe, quel tanto che basta per darvene un'idea. La famiglia protagonista della storia è formata dal papà, dal figlio Toby, dai gemelli Eddy e Teddy e dalla baby sitter che di cognome fa Jones ed è l'unica "non Kwimper- in una contea dove abitano solo loro. Al ritorno da un viaggio verso Sud, il padre si infila in una strada chiusa al pubblico e di lì a poco si ritrovano senza benzina, in un luogo selvaggio, non ancora abitato. Costretti ad accamparsi, inizieranno una sorta di conquista del territorio, come dei veri pionieri (il titolo original, non a caso è Pioneer, Go Home!)combattendo tutta una serie di battaglie, prima per sopravvivere, poi contro il Governo, poi addirittura contro la mafia, in un susseguirsi dirompente di avventure fino ad un lieto fine così in linea con tutta la storia da essere ancora più esilarante del resto. Ottima la scelta dei curatori di lasciare intatta la traduzione della prima edizione italiana, datata in alcuni termini ma strepitosa nella resa del ritmo narrativo. Per i cinefili, da questo libro fu tratto un film(etto) cin Elvis Presley nel ruolo del protagonista, Lo Sceriffo Scalzo. Ma il libro, ovviamente, è tutta un altra cosa
Fatto sta che da tempo immemore ne avevo perduto le tracce.
E da tempo altrettanto immemore, le mie crisi di nostalgia passavano tutte per Vacanze Matte, diventato simbolo non solo di un'età che non c'è più, ma anche e soprattutto di una capacità di scrittura che si fatica a ritrovare nei più blasonati autori di oggi, quelli a cui gli editori riservano copertine rilegate, premi da lungomare ferragostano e vetrine dei megastore.
A quanto pare, non ero la sola: eravamo in tanti, a rimpiangere questo libro e, per quelle strane alchimie di cui ogni tanto il web è capace, giorno dopo giorno siamo cresciuti, sempre di più. Copie della vecchia edizione hanno preso a circolare in internet, ad essere scaricate sui pc, ad essere addirittura stampate e poi focopiate, per gli irriducibili della carta stampata come la sottoscritta. Fino a quando Einaudi non si è deciso a ripubblicarlo- e questa volta con tutte le fanfare di cui gli editori moderni dispongono, quando si tratta di lanciare un prodotto, meglio ancora se atteso da vent'anni da un gruppo di afecionados. E così, la veste grafica è di tutto rispetto, con tanto di immancabile fascetta di copertina per le allodole, la collocazione è strategica, bene in vista sugli scaffali delle principali librerie, quasi che tutti questi anni di paziente spulciamento di tutte le bancarelle d'Italia non ci avessero addestrato a riconoscerlo, a un km di distanza, e, buon ultimo, c'è pure l'onore della prefazione.
Che è fatta benissimo, sia chiaro: arguta, intelligente, profonda e mai pedante. Tanto che, contrariamente al solito, sono riuscita ad arrivare in fondo senza annoiarmi ed anzi divertendomi pure, in questo confronto con i Simpson, sullo sfondo di un sogno americano che iniziava a mostrarsi quello che era- un sogno, appunto, e nulla di più.
Ma, mentre ne scorrevo le righe, non riuscivo a togliermi dalla mente l'immagine di me bambina, che mi rotolavo dal ridere ad ogni pagina- e questo quando i Simpson erano di là da venire e il sogno americano era un'espressione che nè conoscevo nè avrei compreso.
E allora, perchè ridevo così tanto? mi sono chiesta, affrontando la rilettura di Vacanze Matte col timore che qualcosa si fosse rotto, da allora, e che a distanza di trentepass'anni sarei andata incontro ad una delusione.
Mi è bastato il primo paragrafo per capirlo- e quelli successivi per averne la conferma. Ridevo così tanto perchè Vacanze Matte è un libro comico. Tout court. Di una comicità elementare, che nasce dall'aderenza a situazioni oggettivamente ridicole e che si sublima in un capolavoro esilarante, grazie alla straordinaria maestria con cui l'autore usa tutti i mezzi a sua disposizione: stile brillante, ritmo incalzante, situazioni esilaranti e, soprattutto, la punta di genialità della scelta della voce del narratore: affidata a Toby, il figlio maggiore di questa squinternata famiglia, che dello stereotipo del giovane americano cresciuto a ricostituenti e a cieca fiducia nello Stato, ha di tutto e di più. Toby è più bravo dei bravi ragazzi, il più ingenuo, il più onesto, quello che prende per oro colato gli insegnamenti di un padre unicamente dedito all'arte di vivere a spese del Governo, che non sa riconoscere la disonestà neppure di fronte alle sue manifestazioni più evidenti ma che trae proprio da questo suo essere senza macchia la forza per raddrizzare tutte le storture che gli stanno intorno: "egli possiede la forza di dieci uomini, perchè è un puro di cuore", dirà di lui un personaggio chiave, alla fine del libro. Quello che non dice, ma che noi abbiamo già inteso, è che è proprio osservando le cose da questa prospettiva straniata che il romanzo sprigiona tutta la sua forza, affidando le tematiche importanti, a volte anche grevi, che ne costellano la trama alla potenza travolgente di una comicità allo stato puro, quella che ci fa sbellicare dalle risa ancora oggi, a dispetto degli anni che passano e della malinconia che avanza. Per cui, l'invito che vi faccio non è solo quello di leggere questo libro, come capita di solito quando mi imbatto in qualcosa che mi piace: ma di regalarlo agli amici, ai colleghi, ai vicini, a chi vi sta attorno. Ve ne saranno tutti grati.
ciao
ale
p.s. tale è l'entusiasmo, che non ho neppure fatto un cenno alla trama. Ve la sintentizzo in poche righe, quel tanto che basta per darvene un'idea. La famiglia protagonista della storia è formata dal papà, dal figlio Toby, dai gemelli Eddy e Teddy e dalla baby sitter che di cognome fa Jones ed è l'unica "non Kwimper- in una contea dove abitano solo loro. Al ritorno da un viaggio verso Sud, il padre si infila in una strada chiusa al pubblico e di lì a poco si ritrovano senza benzina, in un luogo selvaggio, non ancora abitato. Costretti ad accamparsi, inizieranno una sorta di conquista del territorio, come dei veri pionieri (il titolo original, non a caso è Pioneer, Go Home!)combattendo tutta una serie di battaglie, prima per sopravvivere, poi contro il Governo, poi addirittura contro la mafia, in un susseguirsi dirompente di avventure fino ad un lieto fine così in linea con tutta la storia da essere ancora più esilarante del resto. Ottima la scelta dei curatori di lasciare intatta la traduzione della prima edizione italiana, datata in alcuni termini ma strepitosa nella resa del ritmo narrativo. Per i cinefili, da questo libro fu tratto un film(etto) cin Elvis Presley nel ruolo del protagonista, Lo Sceriffo Scalzo. Ma il libro, ovviamente, è tutta un altra cosa
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