Correva l'estate 1992- e il primo che chiede "dov'è che andava?" lo sbatto fuori da qui per sempre... Ecco, ho perso il filo.
Ricomincio.
Correva l'estate del 1992 quando, per tutta una serie di ragioni che non sto qui a ricordare (fidanzato bastardo incluso) decisi su due piedi di mandare a monte le vacanze con gli amici e di girarmi in lungo e in largo la Gran Bretagna, con mia madre. Se dieci anni prima, quando le ferie da sole erano un miraggio e le estati coi genitori una inevitabile condanna, mi avessero detto che mi sarei passata l'agosto dei miei 26 anni con mammina, minimo minimo mi sarei sparata in bocca. Invece, si trattò di un viaggio bellissimo, "al femminile" al punto giusto e "nostro"al punto giusto, come poteva esserlo un ripercorrere, da adulte e insieme, quelle che, per entrambe, erano state le tappe di una formazione umana, prima ancora che professionale e culturale.
Eravamo partite così, senza prenotazioni e itinerari, forti lei di un'esperienza da vendere, io di un'incavolatura da smaltire, alla ricerca dei tasselli mancanti di un Paese che credevamo di conoscere al km e che, neanche a dirlo, ci sorprese di nuovo, in lungo e in largo- dalla cattedrale di Exeter sotto il temporale alla linea ferroviaria Glasgow - Mahalaig, in un itinerario scandito da quadri, libri e sale da tè: Betty's a York, la chiesa di S. Nicola ad Aberdeen e, soprattutto, Sally Lunn a Bath.
Onestamente, non so se Internet già ci fosse, nel 1992; e, altrettanto onestamente, Bath non era ancora rientrata, nelle mie scorribande mangerecce nella perfida Albione. Altrimenti, mai nella vita mi sarei sognata di entrare con leggerezza in quello che, nel giro di qualche minuto, sarebbe stato destinato a diventare, per me, uno dei templi della gastronomia inglese, icona i tutte le bontà di OltreManica, tappa obbligata nel giro del mondo dei gourmand: perchè è da Sally Lunn che si mangiano i famosi Buns.
Che, con raro acume e con altrettanto raro spirito di inventiva, si chiamano nientemeno che Sally Lunn Buns e che, con adeguata fantasia, costituiscono l'asse portante dell'intero menu del locale, dall'antipasto al dolce. In pratica, cambia la farcitura, ma la base resta inevitabilmente la stessa.
A vederli, potrebbe prendervi un coccolone: nel senso che vi vengono serviti già farciti e tagliati in 4, all'epoca nella sola forma standard- quella da colazione per il reggimento, per rendere l'idea. Basta il primo morso, però, per riconciliarvi con tutto il resto, dalle calorie in poi- perchè, per quanto di pan brioche si tratti, questo ha qualcosa in più che lo rende straordinariamente mobido, umido e versatile, perfetto per il dolce così come per il salato.
E questo qualcosa in più, naturalmente, altro non è che la ricetta segreta.
Toglietevi dalla testa di recuperarla, perchè purtroppo non c'è. Parola della sottoscritta che la cerca dai primi mesi di vita del blog, spulciando siti internet, riviste di cucina, persino i taccuini storici delle ricette vintage: niente di niente. Anzi, le pochissime cose che ho trovato in rete sono delle bidonate solenni, con le taglie forti dei buns mortificati nelle forme delle brioches perchè così ci stanno, in foto, e con ingredienti e proporzioni che tutto fanno presagire, al gusto, fuorchè la delicata morbidezza dell'originale.
Lo dicevo a mia madre, l'altro giorno, pure in chiave lamentosa, " con tutto quello che gira in internet, porco cane, ora c'è pure la focaccia del nonno, possibile che di 'sta meraviglia non ci sia traccia" e stavo già per proporle di rassegnarci a tornarcene a Bath, quando lei mi ha interrotto e mi ha detto che la ricetta, noi, ce l'abbiamo.
Oh yeah.
Presa direttamente dal bancone del locale, nell'agosto del 1992.
Oh yeah 2
Perchè all'epoca ancora era pubblica.
Oh yeah 3
E, come se non bastasse, che il foglietto originale lo aveva dato a me.
Gli oh yeah si interrompono qui.
Perchè se volete avere la certezza matematica di perdere qualcosa, mettetelo su un foglietto e datelo alla sottoscritta. Non lo troverete mai più.
Però, siccome la mamma mi conosce bene, se ne era fatta una copia, conservata gelosamente insieme alle scatole (originali anch'esse) dei buns che portammo a casa, per consolare gli afflitti rimasti ad aspettarci.
Copiare gli ingredienti e metter su l'impasto è stato tutt'uno e vi lascio immaginare l'ansia dell'attesa, resa ancora più lunga da una lievitazione lenta , da una cottura "in crescendo", da tempi di raffreddamento obbligati, che se lo sformi da caldo ti si sbriciola in mano.
Alla fine, 'sto benedetto "primo morso" l'ho dato.
Ed era tutto talmente uguale, ma talmente uguale, ma talmente uguale a vent'anni fa che scommetterei tutto quello che volete che se questa non è la "The Original Recipe" poco ci manca. A voi va bene, ovviamente, per due motivi.
Il primo- che poi è il più importante- è che vi beccate una ricetta superlativa, da straporca figura, facilissima da fare e, almeno finora, diversissima dal "solito" pan brioche.
Il secondo- non meno trascurabile- è che ve la cavate con un post relativamente breve. Intendo dire che per una robina come la madeleine, Proust ci ha scritto qualcosa come la Recherche. Mentre qui sopra ce la sbrighiamo con un semplice oh yeah. Elevato alla enne, si intende...
La "soffiata" dalle cucine di Sally Lunn non è andata oltre le dosi, che vi trascrivo in originale, con traduzione, conversione e modifiche. Per il procedimento, mi sono affidata al solito, vecchio modo per preparare la pasta brioche che, visto il risultato, ha funzionato alla grande
1/3 cup sugar (75 g)
1/3 cup butter (115 g)
1 1/2 tsp salt ( 1 cucchiaino e mezzo di sale fino)
1 cup scalded and cooled rich milk (250 ml, latte intero, scaldato e fatto raffreddare)
1/4 cup warm water (60 ml di acqua tiepida)
1 c. yeast ( qui, non si è capito: nel dubbio, una bustina di lievito secco)
3 eggs beated (leggermente sbattute, sul grosso)
4 cup flour, sifted (500 g di farina setacciata)
Ne ho ottenuto un impasto molto appiccicoso, tant'è che ho dovuto aggiungere 2 cucchiai di farina e lavorare molto: almeno 10 minuti con l'impastatrice. Il consiglio, come sempr,e è di procedere con cautela, quando si tratta di aggiungere i liquidi.
In ogni caso, alla fine, ho ottenuto un impasto meraviglioso, liscio e molto idratato.
Ho fatto lievitare fino al raddoppio: circa un'ora e mezza, come succede per gli impasti grassi.
Poi, ho abbattuto l'impasto, l' ho rimpastato a mano per altri 5 minuti e l' ho suddiviso in due stampi: l'ideale sarebbe stato lo stampo da panettone basso ma, in mancanza di quelli, ho usato uno stampo da soufflè (il più piccolo, quello in foto) e uno più grande da timballo. La misura giusta è la prima, tant'è che il bun stava perfettamente nella sua scatola, neanche a farlo apposta.
Seconda lievitazione, anche qui fino al raddoppio, e poi in forno: li ho infornati con il forno freddo e la temperatura programmata a 180 gradi, per mezz'ora, li ho lasciati raffreddare e poi li ho sformati.
Potete farcirli come volete- il classico è con burro fuso, salmone affumicato e aneto nella versione salata, panna e marmellata di fragole in quella dolce- perchè sono buoni in tutti i modi. L'unica critica, neanche a dirlo, è venuta dal marito, che li ha trovati troppo dolci. Nulla vi vieta di ridurre lo zucchero, ovviamente: però, in quel caso, non chiamateli Sally Lunn Buns...
buona giornata
Ale
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