Fra tutte le ricette della storia della gastronomia italiana, quelle su cui si discute di più sono le cosiddette ricette della tradizione. Se mai ce ne fosse stato bisogno, ne ho avuto la conferma quest'estate, durante la lavorazione al libro, quando, fra foglieti e sacti testi, spuntavano fuori beghe secolari fra città e città o fra quartiere e quartiere, per rivendicare la paternità di questo o di quell'altro piatto. Una specie di "questione omerica" gastronomica, che si è poi declinata in varie forme, da quelle più ufficiali delle Confraternite a quelle più domestiche, ma non per questo meno agguerrite, delle infinite versioni "di casa", che finiscono sempre con la convinzione che "come mia nonna, non la fa nessuno"
La Focaccia alla genovese non fa eccezione, anzi: trattandosi del prodotto più tipico della nostra città, assieme al pesto, ha goduto di una attenzione tutta speciale da parte di gastronomi e non, ciascuno dei quali ha dato o ha scelto una propria versione. E così, sebbene la ricetta sia una sola, sotto "focaccia alla genovese" circola praticamente di tutto e lascio immaginare lo sciopun che ci prende quando vediamo fregiarsi di questo Titolo focacce alte mezzo metro, con un fondo secco e una superficie asciutta.
Ovviamente, nemmeno io faccio eccezione, essendo anch'io depositaria della ricetta di famiglia. Che, altrettanto ovviamente, deriva dai nonni, anzi, da mio nonno paterno. Con la non trascurabile differenza, però, che mio nonno faceva il fornaio- ed era pure bravo: tanto che, al pari della paternità della focaccia, era conteso da parecchi forni della città, alcuni dei quali ubicati proprio nei carugi, che di Genova sono il cuore pulsante e la parte più viva. Gli altri bambini compravano la focaccia al banco, mia sorella ed io finivamo dritte nelle retrovie, da dove uscivamo con la parte migliore- la più calda e, ahinoi, la più unta, cosparsa della pennellata aggiuntiva che, secondo mio nonno, costituiva il valore aggiunto ad una meraviglia assoluta.
La ricetta che segue, quindi, è quella che circolava nei forni di cinquant'anni fa. Uso volutamente il passato, perchè purtroppo sono in pochi, a Genova, i posti dove ancora si possa comprare la focaccia di una volta. Prova ne è la foto che avete visto qui sopra, che non riproduce la focaccia preparata in casa mia, ma quella comprata dal fornaio della zona. Della focaccia uscita dal nostro forno, infatti, non sono rimaste neppure le briciole, e questo nel giro di un nano secondo: la Dani, che ha curato il reportage della nostra, mi è testimone, visto che lei per prima si è macchiata di un simile oltraggio al blog, infilandosene in bocca mezzo metro, continuando a ripetere "non posso, sono a dieta". Tornando alla focaccia comprata, le differenze saltano subito agli occhi: intanto è più alta, poi è più soffice, poi è più asciutta e, buon ultimo, parecchio molliccia, nonostante una passata sotto il grill per renderla un po' più friabile. Potete rendervene conto da soli, in ogni caso.
Questa è la versione del fornaio sotto casa
molto più vicina a quella tradizionale e, vi assicuro, molto più buona.
Passando alla ricetta, le dosi sono quelle di una pasta da pane arricchita con olio: la differenza è data non tanto dalla lievitazione, quanto dalla lavorazione, che è poi quella che la rende così tipica e così riconoscibile, a prima vista e ai primi morsi
Vi dò le dosi standard per mezzo chilo di farina, ma tenete conto che per una teglia normale (grosso modo delle misure della placca del forno) ne basterebbero circa tre etti. Di solito, con 500 g di farina, io faccio una focaccia e tre focaccine, le marinare, che però sono un'altra storia e quindi un altro post.
Ancora una cosa sulla farina: non ho mai saputo quale farina usasse mio nonno, perchè lui si serviva direttamente dal mulino e di sicuro la "forza" era diversa da quelle che troviamo in circolazione. Di norma, io faccio metà 00 e metà manitoba, ma anche con la 0 viene benissimo.
Eccovi le dosi
500 g di farina
250 g di acqua (circa: la aggiungete poco a poco, fino a quando l'impasto diventa elastico. Deve comunque rimanere un po' umido, esattamente come la pasta da pane. Per lavorarlo, intanto, basterà mettere un po' di farina sulla spianatoia)
20 g di lievito fresco (anche qui: potete metterne di meno: in quel caso, allungherete i tempi di lievitazione, esattamente come per la pizza)
2 o 3 cucchiai di olio EVO ( potete anche ometterli- e fra poco capirete il perchè: io, comunque, preferisco aggiungerli)
sale
poi
olio EVO- almemno mezzo bicchiere
sale grosso
acqua
dopodichè, versate una piccola manciata di sale grosso sulla superficie della focaccia e, in ultimo, copritela d'acqua fredda.
questo è un altro sei segreti: la focaccia alla genovese, infatti, ha un fondo umido e chiaro che ha lo stesso aspetto e la stessa consistenza delle fossette della superficie, una volta cotte. Questo è dovuto proprio alla cottura in acqua. A me fanno un po' ridere Giorgio Locatelli e i suoi seguaci, quando parlano di focaccia in salamoia come della scoperta del secolo e anzi, mi stupisce che non ci sia stato nessuno, dico nessuno, che sia intervenuto a dire che, veramente, a Genova la focaccia si fa così da tempo immemorabile. Mi fermo qui, perchè sennò attacco a parlare di lecchinismo e dintorni, però, credetemi, nihil novi.
Le Simili, invece, dicono di fare questa emulsione con 6 cucchiai di acqua e 6 cucchiai di olio- per giunta partendo da dosi doppie rispetto a quelle che ho indicato qui. Troppo poco liquido, mi dispiace.
Il problema è quanta acqua si deve mettere: non tanta da coprirla del tutto, non così poca da coprirne solo la superficie. L'ideale sarebbe che l'acqua bagnasse il fondo e si depositasse solo nelle fossette.
Infornate al massimo della temperatura del vostro forno. L'unica differenza nel risultato finale fra la focaccia di casa nostra e quella di mio nonno sta qui- e non possiamo farci niente. Comunque, il mio forno ha una modalità pizza a 260 gradi, che poi sono 240 effettivi e a questa temperatura servono circa 13- 15 minuti di cottura.
Il fondo, comunque, dovrà essere questo:
E lo spessore questo qui.
e si taglia così
e si mangia appena il calore lo consente. Ovviamente è ottima anche fredda.
Regge bene la congelazione e bastano pochi minuti nel forno per farle riprendere la fragranza.
Buon appetito a tutti
Alessandra
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