cos'è
che si diceva, giusto ieri, di libri con un plot fortissimo e una
scrittura pessima, che finscono comunque per tenerti avvinghiata alle
pagine, dalla prima all'ultima riga? Ecco: invertite l'ordine dei
fattori e il risultato non cambierà. Almeno, non se il romanzo in
questione è L'Inconfondibile Tristezza della Torta al Limone, ultima fatica di quella Aimèe Bender che si era conquistata l'amore del pubblico anni fa, con l'altra meravigliosa chicca di Un segno Invisibile e mio.
A distanza di dieci anni, l'autrice ritorna con questa storia che ruota
attorno ad una bambina, Rose, che a nove anni si accorge all'improvviso
che il sapore del cibo è cambiato: le ci vorrà un po' di tempo per
capire che è il sapore dei sentimenti delle persone che lo hanno
preparato, quello che sente e che trasforma una fetta morbida e
profumata di una torta al limone in un disgustoso concentrato di
tristezza sorda e antica, e questo darà il via ad una trama fatta di
piccoli e grandi segreti,in un inno delicato e gentile al male di vivere
che definisce tutti i protagonisti della storia.
Fosse stato Stephen King, ne avrebbe
fatto un horror straordinario. Siccome,invece, è la Bender, ecco venir
fuori un viaggio nei sentimenti, o meglio: una degustazione dei
sentimenti, che investono la bambina al primo morso, senza alcun filtro e
che lei impara, giorno dopo giorno, a scindere e a scomporre, unico
antidoto ad un travolgimento altrimenti fatale. Accanto alle emozioni,
ci sono le verità nascoste, segreti che vengono svelati alle papille di
Rose e che, di nuovo, la protagonista deve imparare a gestire e che
imprimono un'accelerazione forte ad un processo di crescita che la rende
immensamente diversa dagli altri e immensamente cara.
Al centro della trama, un'altra
rivelazione sconvolgente, su cui è d'obbligo tacere. Laddove invece mi
diffondo ancora un po' è sulla perfetta concezione dell'opera, che non
ha sbavature di alcun genere- cosa difficilissima, trattandosi di
materia rischiosa come i sentimenti umani. Aver affidato il racconto ad
una bambina è un espediente intelligente, che scherma da possibili
cadute nella retorica e semplifica, quasi scarnfica, questioni
complicate come il tradimento e la diversità: non so su quali romanzi si
sia formata la Bender, ma se dovessi scegliere fra Il Buio oltre la
Siepe e Il Giovane Holden punterei qualcosa sul primo, da tanto Rose mi
ha ricordato Scout, nel suo approccio diretto e limpido ai problemi
dell'umanità e del mondo. Che, questa volta, si spinge fino ai confini
del soprannaturale, in un magistrale equilibrio fra razionalità e
mistero, fra ordine e disordine, fra tranquillità e terrore- e non è un
caso che abbia citato King, all'inizio, visto che ce l'ho avuto in mente
dalla terza pagina in poi. Ma se King non avrebbe esitato a virare nel
recinto della paura, la Bender sprofonda nell'abisso del sentimento,
sezionandolo con la precisione di un sommelier e trascinandoci con lei
in questo modo diverso di vedere le cose, in un coinvolgimento che
smette da subito i panni dell'estranietà e ci rende tutti compagni di
Rose nel percorso su cui l'ha spinta la vita: deformato e deforme, ma
non per questo meno profondo e vero.
Da ombrellone e da fazzoletti.
Alla prossima puntata
Ale
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