ovvero: Sex and the City, sessant'anni fa
Ci
 sono luoghi così ben definiti- nelle fotografie, nelle stampe, nei set 
cinematografici, ancor prima che nei libri- che rendono quasi inutile 
l'immaginazione. O meglio: la spostano, dalla banda della visione a 
quella dell'emozione, fatta di suggestioni, di atmosfere, di 
sollecitazione di sensi più reconditi, che soppiantano di colpo gli 
esercizi della fantasia. Di questi, il più famoso è Manhattan, il cuore 
pulsante della Grande Mela, i cui scorci hanno da sempre fatto parte 
dell'immaginario della mia generazione, dalla cartina dei chewing-gum 
appallottolata nelle tasche dei jeans, da bambini, agli scenari dei 
film  sparati uno dietro l'altro nei cine club al liceo, che così impari
 anche a sognare in inglese o quello che cavolo è la lingua che si parla
 di fronte alle vetrine di Tiffany o al tavolo più famoso di Katz. E 
quando finalmente ci si arriva, a New York, ci si accorge che tutto è 
esattamente come ce lo hanno raccontato: c'è il ponte di Brooklyn, c'è 
lo skyline, c'è Wall Street, c'è la Fifth con le sue vetrine, c'è la 
Statua della Libertà e Staten Island e Long Island e il Ferry Boat e 
pure una metropolitana che va o in su o in giù e non altrove,  in questa
 ineffabile capacità di render tutto così semplice che ti va sentir 
tutto a portata di mano, anche quello che ti sembra irraggiungibile,  
irrealizzabile, impensabile, se visto dal lato dell'Oceano sbagliato. A 
NY si può- e a Manhattan, ancora di più. 
Questo è stato quello che ho pensato appena ho iniziato a leggere Il Meglio della vita, opera-
 forse- prima, ma senza dubbio più famosa di Rona Jaffe, che negli anni 
Cinquanta traduce in un romanzo un'indagine sociologica condotta da lei 
stessa sulle aspettative delle donne americane di quell'epoca, 
significativamente intitolata "Donne e Carriera": basta la prima scena 
del libro, con una delle protagoniste che si affanna a salire le scale 
della metropolitana per arrivare in tempo, al suo primo appuntamento con
 il suo primo lavoro. E bastano i dettagli, per sprofondare nelle 
atmosfere so glam di cui sopra, visto che la fanciulla in questione è un
 membro dell'agiata middle class newyorkese, con villetta fuori porta, 
tailleur e caschetto alla moda d'ordinanza e il posto di lavoro è 
all'interno di una casa editrice altrettanto glam , in un ancor più 
glam  grattacielo griffato Mies Van Der Rohe. E lo stesso si può dire 
per le altre quattro protagoniste della storia, la campagnola del 
Colorado, tanto bella quanto ingenua,  la rampolla dei quartieri alti, 
che abbandona le sicurezze di un futuro all'ombra del Country Club per 
gettarsi nelle tremule e incerte mille luci dei palcoscenici di 
Broadway, la ragazza madre (il personaggio meglio costruito, 
probabilmente) e la tranquilla ragazza del Bronx, dal cognome italiano 
la cui felicità fa rima con marito e figli e casalinghitudine. 
Tuttavia,
 quello che si annuncia come un libro tutto al femminile e che lascia 
quindi intendere una evoluzione in rosa, senza troppe sorprese, vira sin
 dalle prime pagine verso sfumature assai meno confortanti e 
prevedibili: come suggerisce il titolo, infatti, le tre ragazze vogliono
 il meglio della vita e sono a New York per prenderselo, costi quel che 
costi: Caroline vuol fare carriera, April vuole trovare marito, Gregg 
vuole una parte che la appaghi, sia sul fronte professionale che su 
quello privato. Il tutto facendo i conti con due ingredienti 
imprescindibili per quegli anni- l'ampio ventaglio di una morale che va 
dall'onestà con se stessi al perbenismo, da una parte, e gli uomini 
dall'altra, che sono l'immancabile punto di ancoraggio di qualsiasi 
ambizione cerchino di realizzare le protagoniste del libro: gli uomini 
occupano i posti di potere, gli uomini acquistano gli anelli di 
fidanzamento, gli uomini ti prendono e ti lasciano come vuoi, almeno 
fino a quando non riuscirai a portare la loro fede al dito. Ne escono 
malaccio, a dire la verità, in un giudizio complessivo che di nuovo un 
po' sorprende, visti i tempi, ma che per altro fotografa alcuni 
stereotipi ricorrenti, anche a distanza di decenni: ci sono i 
bamboccioni, i mariti insoddisfatti che non sanno lasciare la moglie, i 
cultori del proprio ego,  gli esperti del mobbing, i fedelissimi della 
bottiglia al bar dell'angolo, i manipolatori, i vigliacchi, quelli che 
la carriera, la casa in campagna, la moglie che apre la bocca in un 
sorriso e chude gli occhi sulle sbavature di un rossetto che sa non 
essere il suo. 
Il tutto, sullo 
sfondo di una NY fatta di cocktail, di bei vestiti, di tagli alla moda, 
di scarpe da sogno, di uffici che si lasciano a notte fonda, di lavori 
che si finiscono a casa, di feste di Natale, di camere di hotel di 
lusso- e di letti sfatti, di lenzuola che son state testimoni di 
incontri frettolosi, di promesse mai mantenute, di morsi dati con forza a
 quella parte di mela che il destino riserva a ciascuno, se solo si è 
capaci di afferrarla in tempo. 
Cinquant'anni dopo, le ragazze de Il Meglio della Vita
 si chiameranno Carrie, Charlotte, Samantha e Miranda: le scarpe che 
porteranno saranno quelle di Jimmy Choo, ma le strade che calcheranno 
saranno  le stesse e con lo stesso piglio. Non a caso, Rona Jaffa, 
all'indomani della ristampa del suo romanzo, lo ha definito un  "Sex and the City senza vibratore",
 con un'espressione che calza a pennello, quasi come uno stiletto di 
Manolo Blahnik. Il resto, lo fa una scrittura fresca e scorrevole ed una
 trama ad incastro, di quelle che non annoiano mai e che ti tengono 
avvinghiata al libro fino alla fine: che non è lieta, quanto meno non 
per tutti- e che, proprio per questo, eleva il romanzo dal semplice 
rango di un antesisgnano diel chick lit ad un'occasione per riflettere: 
sul ruolo della donna, di ieri e di oggi, e su come la ricerca del 
"meglio"implichi di necessità il confrontarsi col "peggio", in un 
progressivo passaggio dal bene assoluto al male minore, a ben guardare 
il vero rito di passaggio all'età adulta. La Jaffa non arriva a tanto, 
ma la direzione è questa: ed è ciò che rende Il Meglio della vita un 
romanzo moderno, oltre che avvincente e ben scritto. Da leggere, appena 
si può. 

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