lunedì 19 agosto 2013

Rona Jaffe- Il Meglio della vita




ovvero: Sex and the City, sessant'anni fa

Ci sono luoghi così ben definiti- nelle fotografie, nelle stampe, nei set cinematografici, ancor prima che nei libri- che rendono quasi inutile l'immaginazione. O meglio: la spostano, dalla banda della visione a quella dell'emozione, fatta di suggestioni, di atmosfere, di sollecitazione di sensi più reconditi, che soppiantano di colpo gli esercizi della fantasia. Di questi, il più famoso è Manhattan, il cuore pulsante della Grande Mela, i cui scorci hanno da sempre fatto parte dell'immaginario della mia generazione, dalla cartina dei chewing-gum appallottolata nelle tasche dei jeans, da bambini, agli scenari dei film  sparati uno dietro l'altro nei cine club al liceo, che così impari anche a sognare in inglese o quello che cavolo è la lingua che si parla di fronte alle vetrine di Tiffany o al tavolo più famoso di Katz. E quando finalmente ci si arriva, a New York, ci si accorge che tutto è esattamente come ce lo hanno raccontato: c'è il ponte di Brooklyn, c'è lo skyline, c'è Wall Street, c'è la Fifth con le sue vetrine, c'è la Statua della Libertà e Staten Island e Long Island e il Ferry Boat e pure una metropolitana che va o in su o in giù e non altrove,  in questa ineffabile capacità di render tutto così semplice che ti va sentir tutto a portata di mano, anche quello che ti sembra irraggiungibile,  irrealizzabile, impensabile, se visto dal lato dell'Oceano sbagliato. A NY si può- e a Manhattan, ancora di più. 



Questo è stato quello che ho pensato appena ho iniziato a leggere Il Meglio della vita, opera- forse- prima, ma senza dubbio più famosa di Rona Jaffe, che negli anni Cinquanta traduce in un romanzo un'indagine sociologica condotta da lei stessa sulle aspettative delle donne americane di quell'epoca, significativamente intitolata "Donne e Carriera": basta la prima scena del libro, con una delle protagoniste che si affanna a salire le scale della metropolitana per arrivare in tempo, al suo primo appuntamento con il suo primo lavoro. E bastano i dettagli, per sprofondare nelle atmosfere so glam di cui sopra, visto che la fanciulla in questione è un membro dell'agiata middle class newyorkese, con villetta fuori porta, tailleur e caschetto alla moda d'ordinanza e il posto di lavoro è all'interno di una casa editrice altrettanto glam , in un ancor più glam  grattacielo griffato Mies Van Der Rohe. E lo stesso si può dire per le altre quattro protagoniste della storia, la campagnola del Colorado, tanto bella quanto ingenua,  la rampolla dei quartieri alti, che abbandona le sicurezze di un futuro all'ombra del Country Club per gettarsi nelle tremule e incerte mille luci dei palcoscenici di Broadway, la ragazza madre (il personaggio meglio costruito, probabilmente) e la tranquilla ragazza del Bronx, dal cognome italiano la cui felicità fa rima con marito e figli e casalinghitudine.
Tuttavia, quello che si annuncia come un libro tutto al femminile e che lascia quindi intendere una evoluzione in rosa, senza troppe sorprese, vira sin dalle prime pagine verso sfumature assai meno confortanti e prevedibili: come suggerisce il titolo, infatti, le tre ragazze vogliono il meglio della vita e sono a New York per prenderselo, costi quel che costi: Caroline vuol fare carriera, April vuole trovare marito, Gregg vuole una parte che la appaghi, sia sul fronte professionale che su quello privato. Il tutto facendo i conti con due ingredienti imprescindibili per quegli anni- l'ampio ventaglio di una morale che va dall'onestà con se stessi al perbenismo, da una parte, e gli uomini dall'altra, che sono l'immancabile punto di ancoraggio di qualsiasi ambizione cerchino di realizzare le protagoniste del libro: gli uomini occupano i posti di potere, gli uomini acquistano gli anelli di fidanzamento, gli uomini ti prendono e ti lasciano come vuoi, almeno fino a quando non riuscirai a portare la loro fede al dito. Ne escono malaccio, a dire la verità, in un giudizio complessivo che di nuovo un po' sorprende, visti i tempi, ma che per altro fotografa alcuni stereotipi ricorrenti, anche a distanza di decenni: ci sono i bamboccioni, i mariti insoddisfatti che non sanno lasciare la moglie, i cultori del proprio ego,  gli esperti del mobbing, i fedelissimi della bottiglia al bar dell'angolo, i manipolatori, i vigliacchi, quelli che la carriera, la casa in campagna, la moglie che apre la bocca in un sorriso e chude gli occhi sulle sbavature di un rossetto che sa non essere il suo. 
Il tutto, sullo sfondo di una NY fatta di cocktail, di bei vestiti, di tagli alla moda, di scarpe da sogno, di uffici che si lasciano a notte fonda, di lavori che si finiscono a casa, di feste di Natale, di camere di hotel di lusso- e di letti sfatti, di lenzuola che son state testimoni di incontri frettolosi, di promesse mai mantenute, di morsi dati con forza a quella parte di mela che il destino riserva a ciascuno, se solo si è capaci di afferrarla in tempo. 
Cinquant'anni dopo, le ragazze de Il Meglio della Vita si chiameranno Carrie, Charlotte, Samantha e Miranda: le scarpe che porteranno saranno quelle di Jimmy Choo, ma le strade che calcheranno saranno  le stesse e con lo stesso piglio. Non a caso, Rona Jaffa, all'indomani della ristampa del suo romanzo, lo ha definito un  "Sex and the City senza vibratore", con un'espressione che calza a pennello, quasi come uno stiletto di Manolo Blahnik. Il resto, lo fa una scrittura fresca e scorrevole ed una trama ad incastro, di quelle che non annoiano mai e che ti tengono avvinghiata al libro fino alla fine: che non è lieta, quanto meno non per tutti- e che, proprio per questo, eleva il romanzo dal semplice rango di un antesisgnano diel chick lit ad un'occasione per riflettere: sul ruolo della donna, di ieri e di oggi, e su come la ricerca del "meglio"implichi di necessità il confrontarsi col "peggio", in un progressivo passaggio dal bene assoluto al male minore, a ben guardare il vero rito di passaggio all'età adulta. La Jaffa non arriva a tanto, ma la direzione è questa: ed è ciò che rende Il Meglio della vita un romanzo moderno, oltre che avvincente e ben scritto. Da leggere, appena si può.

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