Sottotitolo: cronaca di un viaggio in
India, alla scoperta di se stessi, nel segno del cibo. E non indiano,
sia chiaro, ma britannico, scozzese per la precisione.
Già,
perchè l'autore di Indian Takeaway, libro comprato al volo in una
bancarella perchè "in offerta" e rivelatosi invece una sorpresa
piacevolissima, è uno scozzese di Glasgow, nato da genitori indiani,
emigrati in Gran Bretagna per assicurare ai loro figli un futuro
migliore. Il padre di Hardeep Sigh Kholi è originario del Punjabi, la
madre viene da Nairobi, figlia di uno dei tanti Indiani al soldo
dell'Impero, mentre tutti i loro figli sono nati in suolo britannico,
cresciuti in villette a schiera, fra Sheperd's pie e Vindaloo.
Inevitabile,
quindi, che il primo paragrafo del libro sia dedicato alla risonanza
tutta peculiare che il termine "casa" (home) ha per gli emigrati di
seconda generazione- " la più innocua e la più complessa delle parole.
Che dà conforto e disorienta". E non è un caso che il primo ricordo
dell'autore sia una sgradevolissima scortesia del buon vicinato, con gli
amici del quartiere tutti in casa del vicino e lui solo fuori dalla
porta, a meditare sui molti significati che l'essere ospiti in terra
straniera comporta.
Da
qui in poi, l'autore conduce felicemente la sua esistenza sul doppio
binario, fin quando non arriva il conduttore a chiedergli il biglietto- e
a chiedergli dov'è che vuole veramente andare. Fuori metafora: chi
vuole veramente essere, quali valori deve scegliere, fra la tradizione
delle sue origini e quella del Paese in cui è nato e a cui sente di
appartenere, sono tutte questioni a cui il quasi quarantenne Hardeep
sente di dover dare delle risposte.
Decide
quindi di andarle a cercare in India, in un viaggio che è sì della
memoria, ma anche della contemporaneità: è un indiano - scozzese che
vuole trovare un punto di conciliazione fra le due anime e decide di
farlo attraverso ciò che ama di più al mondo, cioè il cibo. Porterà
quindi il cibo britannico in India, cucinerà per i suoi parenti e i suoi
amici, adattando le ricette al mercato, alle cucine, alle proibizioni
religiose e ai palati dei suoi commensali, con un occhio al cibo e un
altro a quello che lo circonda, in un dialogo continuo fra passato e
presente, fra la Storia e le storie, alla ricerca di una "casa" che,
finalmente, declini la diversità nei termini non di un'emarginazione, ma
di una vera ricchezza e la trasformi in un ponte per un dialogo e una
condivisione che trovano appunto nel cibo la loro espressione più
immediata e più piena.
Concetti
"tosti", già affrontati mille volte, ma che l'autore qui esprime in
modo ironico, divertente, frizzante. D'altronde, da uno che si hciama
Hardeep e che ha intitolato il suo programma televisivo, che conduce in
kilt e turbante, Hardeep is your love?, non ci si sarebbe potuto
aspettare nulla di diverso, almeno da parte dei fan del personaggio. Ma
per me che non lo conoscevo, è stata una piacevolissima sorpresa, che mi
ha strappato potenti risate (la scena della meditazione yoga, su tutte)
e mi ha lasciato una gran voglia di India, ovviamente, ma anche di una
puccetta del sugo del Lancaster pot col naan bread. Per un'integrazione
che ci piace, in tutti i sensi.
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