giovedì 26 marzo 2015

50 SFUMATURE DI AZZURRO



Nella mia pluridecennale attività di recensore di libri- su carta, prima, sul web, poi, su carta & sul web da un po' di tempo a questa parte- la regola non scritta alla quale son rimasta più fedele è stata quella di non parlare mai in forme ufficiali dei lavori degli amici. La ragione è presto detta, oltre che facilmente intuibile- e cioè il fondato timore di innescare una catena di pericolosi equivoci, in cui scelte dettate esclusivamente da questioni professionali venissero confuse con motivi di natura personale, finendo per trasformare un giudizio quanto più possibile libero e sincero in una sorta di atto dovuto o, peggio ancora, di metro su cui misurare il grado di affetto che mi poteva legare a questo o a quello. 

La fatica che, in taluni casi, mi è costata, a dir di no o a non pronunciarmi su prodotti che ritenevo comunque validi, è stata ampiamente ricompensata, negli anni, dalla serenità con cui continuo a svolgere questo lavoro e che, lungi dal rimanere limitata alle poche righe di una recensione, mi fa dormire sonni tranquilli: e sorvolo sull'indicibile sollievo nel non dover dar spiegazioni, di fronte a opere di sconcertante bruttezza, seconda solo all'insistenza con cui si elemosinano visibilità e marchette. 



La premessa è doverosa perchè quella che segue, è la più classica delle eccezioni alla regola. Anzi, nell'orticello della mia carriera, è un evento eccezionale, non solo per il prodotto finale (la recensione,in sè), quanto per tutto quello che lo ha preceduto- vale a dire un intenso e irrefrenabile desiderio di parlare di questo libro, nel preciso istante in cui l'ho avuto fra le mani. E se considerate che il preciso istante si riferisce a poche ore fa, potete cominciare a farvi un' idea del suo valore. 

Il merito è tutto di Cristina Galliti e della sua prima fatica letteraria, Pesce per  Mini Gourmet, scritta a quattro mani con Marco Gucci, medico pediatra, con il dichiarato proposito di schiudere ai palati dei bambini le bellezze della cucina di mare, abituandoli a mangiar pesce con lo stesso entusiasmo e la stessa soddisfazione che, purtroppo, si riservano ad alimenti meno sani e meno buoni. 

Una iniziativa lodevole, a cui il dottor Gucci non è nuovo, che si colloca nell'ambito delle molteplici pubblicazioni ispirate a quell'educazione alimentare che, vivaddio, si percepisce ogni giorno di più come un dovere, da condividere e da perseguire tutti insieme, genitori, insegnanti, nutrizionisti ed esperti, nella consapevolezza di quanto importante sia acquisire sin da piccoli corrette abitudini a tavola. 

Pesce per Mini Gourmet si inserisce dunque a pieno titolo in questo filone, collocandosi fra i titoli di maggior risalto, per affidabilità dei contenuti e per una ariosa concezione del cibo, che tien conto anche del nutrimento degli occhi e dell'anima, affidati il primo ad un lavoro di equipe che ha visto anche il coinvolgimento di alcune classi del Liceo Artistico Gemelli di Cecina e il secondo ad una antologia di poesie e di racconti che hanno i pesci per protagonisti e firme di assoluta eccellenza per autori (Piumini e Rodari su tutti). 



Ma ciò che rende questo libro assolutamente unico, nella sua qualità, oltre che trasversale ad ogni tipo di collocazione sugli scaffali delle librerie,  sono le oltre trenta ricette che declinano in altrettanti modi la stellare bravura di Cristina Galliti. 

Parlare di lei in termini di competenze è diventato oggi quasi un esercizio di stile, una sfida a chi trova un aggettivo nuovo, una definizione finalmente esaustiva, capace di racchiudere l'ineffabile talento di quella che, da anni, è la firma più autorevole in tema di cucina di mare sul web. I suoi blog, Poveri ma Belli e Buoni e Insalata Mista, hanno la credibilità incrollabile di chi non solo è stato in grado di costruire e mantenere nel tempo un rapporto di fiducia, con i propri lettori, ma li ha anche saputi stupire ed esaltare, in un percorso di crescita personale che l'ha vista sempre più  impegnata in un dialogo fecondo con esperti di consolidata fama, capace come nessuno di conquistare quell'attenzione e quella stima solitamente riservate a professionisti del settore e soltanto a loro. 

Quello che però forse non tutti conoscono è il restroscena dell'impegno personale che questa splendida signora ha profuso, affinando la sua passione con la laboriosità tutta lombarda delle sue origini e temprandola sullo spirito caustico tutto livornese della sua patria d'adozione. Sono anni, che Cristina studia e approfondisce e ricerca e crea, infaticabile interprete di un labor limae in costante equilibrio fra la mente e l'anima, fra la ragione e il cuore, rarissima espressione di una personalità così immediatamente riconoscibile- eppure così umile e schiva. 



In un mondo in cui "ieri ho aperto un blog e domani scrivo un libro", Cristina ha saputo resistere alle lusinghe della carta stampata, con rifiuti che suonavano come incredibili a fronte di una tale bravura  e che trovano solo nell'umiltà dei grandi la loro spiegazione più vera. Se il web tutto assolve e tutto perdona, la carta inchioda ai propri limiti, li manifesta, li amplifica, come ben sa chi, come lei, ha affidato la forza di una formazione completa anche allo studio della scrittura e della composizione, nelle sue varie forme: e a chi tornava sconfitto, da quella che ormai, fra gli addetti ai lavori, ,aveva assunto i contorni di una missione impossibile, non restava che consolarsi, pregustando i frutti dell'attesa: perchè, nell'intricato mondo delle incertezze e delle variabili dell'editoria italiana, una era la certezza che tutti metteva d'accordo: che il libro di Cristina sarebbe stato una meravigliosa conferma delle sue doti. 
Il momento, finalmente,è arrivato e le previsioni si sono avverate: perchè, come dicevo, il valore aggiunto di Pesce per Mini Gourmet è tutto nella rutilante e fantasmagorica galleria di ricette, frutto straordinario di un altrettanto straordinario percorso di crescita, ora giunto a piena maturazione: la fantasia dell'autrice si libra nei cieli della creatività, con la leggerezza di chi ha ormai introiettato e rielaborato in modo autonomo conoscenze e competenze, zavorrata solo dal rispetto per le materie prime e per la finalità dell'opera: ne deriva un crescendo di sorprese, piccoli guizzi di assoluta genialità, tributi ad un ingrediente conosciuto in tutte le sue sfaccettature, compreso nella sua strabiliante complessita e amato, con quell'amore delicato e profondo di cui solo Cristina è capace.
Lo stesso amore che le ha infuso coraggio, sostenendola in questa operazione culturale che la vede impegnata a trasmettere, in questa alchimia di bellezza e bontà, di nutrimento degli occhi e del palato, una corretta informazione sul pesce e su come cucinarlo, in modo sempre nuovo e sempre diverso e che rende Pesce per Mini Gourmet un libro da leggere, da utilizzare, da raccontare e da trasmettere. 


IMPORTANTE: acquistando  PESCE PER MINI GOURMET si contribuisce a finanziare la ricerca scientifica in campo oncoematologico sostenuta da Giacomo Onlus. Ricerca volta alla personalizzazione delle terapie oncologiche per evitare il fenomeno di resistenza alle chemioterapie nel trattamento dei linfomi e delle leucemie .
Tutti noi autori e collaboratori abbiamo prestato la nostra opera a titolo gratuito. 
Il libro contiene  31 ricette corredate da  informazioni generali sulle proprietà nutrizionali dei pesci  e sulle  caratteristiche biologiche di molte varietà di mare utilizzate (grazie al contributo del biologo marino, nomen omen Dr Giacomo Marino e i disegni del suo collega Dr Andrea Vannucci),  con relativa sensibilizzazione ad un consumo consapevole.  Sono contenute indicazioni utili circa la frequenza del consumo,  le dosi a seconda delle età (dietista D.ssa Anna Menasci) e alcune buone norme, restrizioni  e raccomandazioni generali da rispettare nell’ elaborazione dei piatti, nonché regole di sicurezza indispensabili per evitare episodi di soffocamento durante l’ingestione del cibo. Completa l’opera  una sezione dedicata a filastrocche, poesie e favole d’ambientazione marina.
Non viene fissato un prezzo di vendita, il libro è proposto ad offerta libera, minimo suggerito € 14,00.
Verrà presentato e distribuito nelle maggiori manifestazioni locali e durante eventi con scopi benefici, potrebbe essere veicolato da importanti quotidiani e a breve si potrà ordinare on line dal sito www.giacomo-onlus.it/bdr

lunedì 23 marzo 2015

PUDDING IRLANDESE ALLE MELE PER IL THE RECIPETIONIST



..che poi uno se lo chiede, no?, a cosa servano tutti 'sti blog di cucina.
Per chi li scrive, è chiaro: a tenere un archivio delle proprie ricette. 
Provate a leggere in giro, provate a chiedere perchè diamine uno si svegli al mattino e si imbarchi in un'avventura del genere- e sarete sommersi dal coro: non sapevo più come orientarmi, non mi ci raccapezzavo più, e il faldone e i foglietti e le scatole e tutto quanto fa il magico potere del riordino. 
Che non vi venga in mente di ipotizzare un'altra ipotesi, perchè non tiene, anzi: sarete sommersi da una valanga di "come osi?", neanche foste il peggiore dei mal pensanti e non uno a cui, dopo certe letture, venga ragionevolmente il dubbio di cosa diamine si tenesse per davvero nei faldoni-foglietti- scatoloni di cui sopra, perchè tutto sembra che ci possa essere stato, ma di "ricette" nemmeno l'ombra. 
A casa mia, la risposta è stata presto data: "è l'età", hanno detto, mimando sventolamenti da caldane, con lo sguardo levato al cielo e l'espressione da copertina del martirologio. E, considerato che dell'archivio non ne avevo bisogno, penso proprio che, per una volta, abbiano avuto ragione...


L'unica certezza acquisita, in tutti questi anni sul web, è che il grande nemico di internet è che "tutto corre". O ci si tiene davvero un archivio di quello che interessa (lavoro impossibile, nel mio caso, visto che mi interessa praticamente tutto- e quello che non mi interessa, mi potrebbe interessare, ragion per cui andrebbe archiviato due volte, per la tortuosa logica che veglia sulle azioni della sottoscritta) o sennò ci si condanna ai motori di ricerca e agli smoccolamenti. 
Oppure, si gioca al The Recipe-tionist, che è il contest  più intelligente che la blogsfera abbia prodotto da qualche anno a questa parte. L'idea di fondo è proprio quella di fissare il flous of recipeness della blogsfera e proporre a chi partecipa di soffermarsi sugli archivi del blog del mese: rifare una ricetta, quindi, nonn diventa semplicemente "copiare", ma "celebrare" il lavoro di un altro food blogger, soffermandosi con quell'attenzione che in altre situazioni avrebbe meritato sui contenuti che ci ha proposto, negli anni. 
In un mondo  perfetto, non me ne sarei perso uno: in questo mondo- anzi: in questi due- mantengo l'appuntamento solo quando riprendo l'Old Fashioned. E visto che a marzo, qualcosina ho fatto, ecco la mia ricetta per il the Recipe-tionist di Marzo, vinto da Enrica di Coccola Time

PUDDING IRLANDESE ALLE MELE

Premetto che temo il fuori concorso, perchè mentre ero lì che cucinavo mi si è accesa la lampadina della cottura in vaso...
Premetto anche che avrei voluto fare un'altra ricetta, di questo bellissimo blog, che mi sconfinfera da un po' e visto che Enrica è di Lucca, quali migliori garanzie, etc etc
Premetto infine che più spulciavo l'archivio, più cambiavo idea, da tante sono le ricette nelle mie corde, 
tutto ciò premesso, quando ho letto "pudding irlandese alle mele" non ho capito più niente. 
E il resto, è tutto qui


trascrivo la ricetta originale, poi a seguire le mie variazioni

PUDDING IRLANDESE ALLE MELE- DI COCCOLA TIME
per 8/10 porzioni

uova 6 (del contadino)

Latte 1 litro (io l’ho usato crudo)

zucchero (io di barbabietola grezzo) 150 gr

Pan brioche 1 pacco (bio)

mele 4 o 5 dal contadino

confettura di pesche (mia) con frutta a pezzettoni

burro salato francese (per ungere la pirofila)


Procedimento
Portare ad ebollizione un litro di latte, nel frattempo sbattere energicamente le uova con lo zucchero , unire il latte poco per volta continuando a sbattere. Imburrare abbondantemente una pirofila, distribuire le fette di pan briosche necessarie a coprire il fondo. Fare uno strato di mele (sbucciate e tagliate a spicchi) e uno strato ulteriore di pan briosche (io ho tolto la crosta). A me sono venuti due strati di mele e due di pan briosche , che hanno ricoperto completamente la superficie. Versare il latte con le uova sopra al tutto. Cuocere in forno a 160°-180° fino a che sarà ben dorato e la lama del coltello inserita, nel mezzo della pudding, uscirà asciutta.
Sciogliere la marmellata con un cucchiaio di acqua calda e spennelare la base.




Le mie varianti
intanto, ho ridotto le dosi di 1/4, per farle stare in un barattolo da mezzo litro, come quello che vedete nella foto 
come pan brioche, ho usato gli avanzi di questi panini qui
ho aggiunto un po' di spezie (cannella e chiodi di garofano) e, se avessi avuto l'uvetta, ci avrei messo anche quella, dopo averla ammollata nel brandy, per dire. 

Poi, la grande variante è stata la cottura. 
In origine, avevo pronta la pirofila imburrata, per la cottura tradizionale. Se non che, io sono allergica alle mele (prima che diciate "e le pere?", sono allergica anche a quelle), mia mamma è a dieta, mia figlia era a Milano e sarebbe tornata il giorno dopo.  ed è lì che si è accesa la lampadina e mi è sovvenuta questa cottura, che furoreggia in Germania e che qualche anno fa impazzava sul web: praticamente, si schiaffa tutto in un vaso a chiusura ermetica, lo si cuoce a temepratura relativamente bassa (questi della Weck reggono comodamente, fino a 180°C) senza coperchio, dopodichè si incoperchia e si sigilla e, in teoria, si dovrebbe star tranquilli per qualche mese. 
In pratica, quando vedo creme a base di uova, conservo in frigorifero e per pochissimo tempo, per cui anche questo pudding ha fatto la stessa fine- e se vi chiedete a che cosa sia servito l'esperimento del sottovuoto, la risposta è a confermare le ipotesi dei miei familiari, sul perchè anche io ho un blog. 
Resta il fatto che il bread pudding c'era, ad accogliere la creatura- e tutto per merito di Enrica e del the Recipe-tionist. e scusate se è poco....


venerdì 20 marzo 2015

DIP DI FAVE ALLA LIGURE- e rivoglio il mio onomasticooooooooo!!!



Cara Santa Claudia, 

apprendo dal martirologio di oggi che la conquista della tua aureola è dovuta a una specie di blitz, fatto in compagnia di altre sei amiche, alla casa del governatore della vostra contea, reo di essere empio e malvagio e pure suscettibile, visto che invece di stare a sentire le vostre critiche con attenzione e magari fare anche pubblica ammenda, ha reagito sventrandovi, arrostendovi e poi gettandovi a mare, caso mai ci fosse stato ancora qualche dubbio sulla sua interpretazione del  diritto di opinione , di critica e di parola. 
Assieme a te c'erano Eufrasia, Matrona, Giuliana, Teodosia, Eufemia ed Alessandra, colei che superava tutte per bellezza, facondia, intelligenza e buon carattere (testo apocrifo, lo possiedo solo io)
La storia non ci dice chi delle sette abbia avuto l'idea. 
E neppure chi abbia preso la parola, chi abbia sostenuto la discussione, chi abbia affrontato per prima il martirio e con quali parole: parla di voi tutte assieme, distinguendovi solo per il nome di battesimo e null'altro (a parte l'apocrifo di cui sopra)

Tu, in particolare, non risulti avere nessun merito, rispetto al resto del gruppo. 
E allora, me lo dici perchè diamine mi hai fregato l'onomastico?????
... sta' a vedere che è la lista dei cognomi, la spiegazione....


PESTO DI FAVE ALLA LIGURE



...che poi, proprio "pesto" non è, vista la sua morbidezza. E neppure possiamo chiamarlo hummus, vista l'assenza di sesamo. "Crema", però, andrebbe benissimo, anche perchè in effetti questo intingolo ha tutte le caratteristiche per poter essere annoverato nella categoria, con un pregio assoluto: quello di essere magrissima. Niente panna, niente formaggi- e neppure niente trucchi tipo "sifone nella manica". Solo fave, maggiorana e qualche goccia d'olio, per una delle sorprese più gradevoli della stagione
La ricetta proviene da un vecchio numero di Sale & Pepe, che io ho ovviamente perso: spunterà fuori, prima o poi, e per allora prometto di aggiustare le dosi. Intanto, io sono andata ad occhio....
100 g di fave sgusciate
1 spicchio d'aglio
tanta maggiorana
olio

Far sbollentare le fave, per qualche minuto e poi togliere la pellicina esterna. Frullarle con sale, aglio e maggiorana. Una volta ottenuta una crema, montarla con un filo d'olio, come per fare la maionese. 
Perfetta con fettine di salame, da usare al posto dei crostini (tanto per riequilibrare subito l'impennata salutista....)
buona giornata

giovedì 19 marzo 2015

CHOCOLATE TRUFFLE RAVIOLI - E LE COSCIENZE DEGLI ALTRI

Mio padre avrebbe desiderato un figlio maschio. 
Sulla primogenita, aveva le idee chiare: "mi sposo, faccio una figlia e la chiamo Alessandra" era una specie di mantra leggendario, che accompagnava le storie di famiglia e che mia madre commentava sollevando un sopracciglio e confermando che, neanche a dirlo, aveva fatto tutto da solo. 
Sulla secondogenita, pure: gli avrò chiesto mille volte di riportarla indietro e di prendere un fratellino, ma invano. Anzi, era anche pronto a correre in suo soccorso, le volte in cui ho tentato di eliminarla, scaraventandola giù dalla culla ("un incidente") o strangolandola con la sciarpa della nonna ("aveva freddo"): il che mi fa presumere che volesse pure quella. 
Tertium non datum est-e quindi,come penso capiti in molte famiglie analoghe alla mia, toccò a noi femmine accollarci una parte di educazione tutta al maschile che in tutto affrontammo con sfacciato divertimento, tranne che per quella che già allora si profilava come la grande passione di nostro papà- vale a dire la pesca. 
Nel curriculum delle competenze che mai verranno scritte, io e mia sorella vantiamo il saper pescare come una delle piaghe che flagellarono la nostra infanzia, assieme al Genoa in C e ai cugini che vincevano sempre alla tombola di Natale. 
E anche se non ce lo siamo mai detto, credo che buona parte della nostra intelligenza di bambine sia stata spesa nell'escogitare stratagemmi per darsi credibilmente malate, il giorno dopo, e dare forfait. 
Il problema, stranamente, si poneva non d'estate, ma d'inverno. 
D'estate, c'erano gli amici, la barca, la Lega Navale- ed eravamo libere di sguazzare nel mare e abbronzarci al sole. 
D'inverno, c'erano le gare. 
Detta così, non rende. 
Intanto, bisognava raggiungere i fiumi. 
Come dire, a ramengo. 
E in un "ramengo" rigorosamente al termine di un'infilata di tornanti che per anni siamo state riconosciute non già dalle fattezze dei nostri volti, quanto dal colorito ("chi sono, le figlie di Pino?" "quelle là, quelle verdi")
Poi, bisognava sconfiggere le intemperie. 
Perchè non è neanche da dire, che se la domenica c'era la gara di pesca, il luogo di appuntamento di tutte le peggiori nefandezze atmosferiche era il campo di gara- e precisamente il pezzetto che veniva assegnato a noi.
E poi, c'era la parte più dolorosa di tutte-e cioè che nostro papà-IL nostro papà,il nostro superman, quello che sistemava tutto, aggiustava tutto, preveniva tutto- nelle gare di pesca non ci aiutava. 
"Ci hai lasciate da sole", gli dicevamo, la sera, guardando tristemente le medaglie da "l'importante è partecipare"
"Non è vero: ero a un passo da voi, non vi ho perso di vista un minuto"
"Sì, ma non ci hai aiutate"
"E' una gara di bambini, non di papà"
"Sì, ma gli altri papà, li aiutavano, i loro bambini. Tu no"
E allora, il nostro papà ci spiegava che lui non poteva farlo. 
Perchè in quelle gare, lui non era solo un papà: era un organizzatore e un giudice, uno che avrebbe dovuto decidere a chi dare le coppe e a chi dare le medaglie e per questo motivo doveva vigilare perchè tutti giocassero ad armi pari, anche e soprattutto le sue bambine. Ci diceva che con gli altri genitori usava il buon senso, perchè la pesca è uno sport doveanche gli adulti imparano a crescere e, infine, ci incoraggiava, lodando i nostri miglioramenti e spiegando i nostri errori dal punto di vista non del maestro inflessibile ma dello stratega vincente: e quando, alla fine, quelle coppe le abbiamo portate a casa, rigorosamente da sole, oltre che a pescare avevamo imparato ad avere fiducia: in noi stesse, anzitutto, e nell'onestà delle istituzioni. 

E' stato anche per questo che, nei quindici anni della mia professione, ho sempre sentito naturale individuare il confine fra la parentela o l'amicizia o la conoscenza e l'abuso. I miei "non posso", cioè, non sono mai stati frutto di notti travagliate o crisi di coscienza. Da privata cittadina, mi sbatto dal ragionevole all'inverosimile, se penso che ne valga la pena: da rappresentante di una istituzione no. Faccio quello che mi è consentito dalla legge, ilmeglio possibile, il prima possibile- e oltre non vado. 
Il riferimento non riguarda direttamente, come si potrebbe pensare, le ultime, tristi vicende che hanno inguaiato l'ultimo ministro del nostro governo, reo di aver abusato del suo ruolo per aver racomandato il figlio, quanto piuttosto la pletora di miei ex amici che in questi giorni, su FB, su twitter, sugli autobus e in tutti i luoghi in cui è lecito esprimere la propria opinione, invocano a gran voce le dimissioni di Lupi dalla sua carica: sono gli stessi che, negli anni, mi hanno dato della stronza, dell'ingrata, di quella che si è montata la testa perchè, di fronte a palesi richieste di abusi a loro esclusivo vantaggio, ho risposto che non potevo nè volevo farlo. 
Il che, ovviamente, ci insegna due cose: la prima, è che in un regime democratico, qualunque sia il sistema elettorale, si vota sempre a propria immagine e somiglianza. 
La seconda è un condensato di saggezza popolare genovese, che parla di inclinazioni sessuali e di terga altrui, e che ovviamente mi astengo dal riportare, in virtù di quella oldfashionite che ispira questo blog. 
Ma mi sa che ci siamo capiti... 



CHOCOLATE TRUFFLE RAVIOLI
da G. Ramsay, Chef's Secrets
Già che si parla di papà, già che è San Giuseppe, già che oggi si frigge, in lungo e in largo in tutta la Penisola, contribuisco alla causa con dei bmboloni griffati, la cui peculiarità è avere un tartufo al cioccolato come ripieno. La cosa più interessante è che a fare i tartufi ci si impiega meno che a preparare la crema pasticcera e si evitano tutte le acrobazie per riempirli da caldi- o meglio: roventi. Il risultato è la solita porcata carnacialesca, ma questa volta di classe- e scusate se è poco....




per 20. 24 pezzi
per la ganache al cioccolato
80 g di cioccolato fondente*
40 g di burro
3 cucchiai di panna


* propriamente, non è una ganache, per via del burro. 
Però:
 1)sto traducendo in simultanea, che sembro la Canalis ai tempi di Clooney (come si dice in inglese ravioli?= ravioli) 
2) Gordon dixit- e va bene così. 
La percentuale di cacao, invece, è importante: l'originale dice 80%. Io ho usato un 74%, ma per i nostri gusti- non siamo pazzi per il cioccolato puro- è eccessiva. Fate voi. 

per l'impasto della brioche
10 g di lievito di birra fresco o 2 cucchiaini di lievito secco
150 ml di latte tiepido
25 g di zucchero più quello che serve per spolverizzare i bomboloni
400 g di farina**
2 cucchiaini di sale fino
40 g di burro
2 uova medie, leggermente sbattute
olio per friggere (io extravergine)

** lui dice "strong plain flour"- vale a dire la Manitoba. Io di solito uso un mix, metà manitoba e metà farina 00. 

Procedimento
1. fate prima la ganache. Spezzettate il cioccolato e fatelo sciogliere a bagnomaria insieme al burro e alla panna. Quando è sciolto, mescolare bene e lasciar raffreddare. Dopodichè, mettere in frigo a solidificare (altro procedimento non ortodosso,ma Ramsay è Ramsay- e soprattutto, riesce lo stesso)

2. Con lo scavino per il melone*, ricavate 24 palline dalla ganache e tenetele in frigo fino al momento dell'uso
* altrimenti, usate un cucchiaino da tè e date voi la forma con le mani. Io ho fatto così (possiedo almeno 3 scavini per melone, ne avessi trovato mezzo...)

3. Preparate l'impasto: fate sciogliere il lievito nel latte tiepido con un cucchiaino zucchero e lasciate riposare, fino a quando non inizia a crescere e a fare le bolle.

4. Setacciare le farine e il sale e unirvi il burro a pezzetti, incorporandolo come per la frolla, con la punta delle dita. Ovviamente, essendo poco, non otterrete un impasto compatto, ma solo una farina con tante briciole. Aggiungete lo zucchero e fate la fontana: versatevi le uova, sgusciate in un piatto e "rotte" con una forchetta , il latte addizionato con il lievito e impastate il tutto fino ad ottenere un composto liscio ed elastico. 
Potete anche usare un'impastatrice o un robot da cucina: io ho usato il Ken, ho messo tutti gli ingredenti nell'ordine indicato e ho impastato fino all'incordatura.
5. mettete l'impasto in una terrina infarinata, coprite con un canovaccio pulito, trasferite in un luogo lontano da spifferi (perfetto il forno spento) e lasciate lievitare fino al raddoppio. (due ore circa)

6. Spolverizzate di farina il piano da lavoro, rovesciatevi l'impasto lievitato e riprendete ad impastarlo, per pochi minuti. Non servono pieghe o particolari accorgimenti: basta solo che lo rendiate nuovamente elastico. Stendetelo con un mattarello allo spessore di mezzo cm e con un tagliapasta ricavate tanti tondi, reimpastando i ritagli fino ad esaurimento della pasta. 

Collage di Picnik


7. Su metà dei tondi, mettete un tartufo al cioccolato, poi coprite con l'altra metà, schiacciando con le dita lungo i bordi, per sigillare. siccome ero praticolarmente ispirata, una volta conclusa l'operazione ho di nuovo rimodellato i bomboloni, tagliando via i bordi in eccesso, con lo stesso tagliabiscotti usato in precedenza.

8. Ramsay dice di far riposare in frigo per 15 minuti. Io non ho proprio letto questo passaggio (si vede che ero stremata, dallo straordinario del punto 7) e li ho lasciati riposare per una mezzoretta a temperatura ambiente: sono semplicemente lievitati ancora un po', cosa che in frigo non sarebbe successa. 

9. In una padella alta, scaldate abbondante olio . Appena questo va a temperatura, immegretevi 4 o 5 bomboloni per volta e friggeteli due minuti per parte. La temperatura dell'olio dovrebbe rimanere sui 180 gradi, per cui se avete una friggitrice siete a posto. Se no, togliete la padella dal fornello, lasciate raffreddare un po' e poi riprendete la frittura. 

10. A mano a mano che i bomboloni sono pronti, scolateli con una schiumarola direttamente su un piatto ricoperto di carta assorbente da cucina e, appena sono tiepidi, metteteli in un sacchetto per alimenti, dove avrete versato tre o quattro cucchiai di zucchero semolato. Scuotete bene il sacchetto, in modo che i bomboloni si cospargano bene di zucchero da ogni lato e serviteli subito, quando sono ancora caldi. 
E buona festa del papà!
Ale

mercoledì 18 marzo 2015

DORSET WIGGS, PER CHI LO FA PER DAVVERO.


Il post che aveva inaugurato la mia carriera sul web era stato una dichiarazione d'amore nei confronti della cucina inglese. 

Era l'inizio del  2009, Nigella & Jamie eran roba da satellitari di nicchia, i libri che impazzavano erano le traduzioni dal francese di Guido Tommasi e Bibliotheca Culinaria e io avevo dovuto quasi chiedere scusa, per quello che stavo per confessare- e cioè, che quella che generazioni di Italiani avevano mandato giù, a Londra, fra pub fumosi e fish&chips unti e bisunti, nulla aveva a che fare con quello di cui io stavo per tessere le lodi. 

Prevedibilmente, ero stata sommersa da un coro di buuuh. 

Era quanto di più prevedibile potessi aspettarmi: e così, anziché scoraggiarmi, avevo recuperato motivazioni per proseguire in quella che,allora, mi sembrava una ragionevole risposta al "che ci faccio qui?" che un giorno sì e uno pure scandiva le mie riflessioni sul ruolo del cibo nel web. 
Parlerò di cucina d'oltremanica, mi son detta. 

Quella con cui sono stata cresciuta, per scelta di una madre colta e curiosa, capace di coniugare una carriera avveniristica per quei tempi con una passione altrettanto fuori moda per lamentalità di quei tempi, per cui trascorrere il proprio tempo libero ai fornelli era condannarsi ad una schiavitù atavica, da cui ci si doveva liberare. 

Quella che abbiamo coltivato, in 50 anni di condivisione senza filtri, scappando a Londra in ogni momento libero e raccogliendo libri usati, ricette antiche, testimonianze orali che poi venivano trascritte e provate e confrontate, in una ricerca inesorabile, gustosa e divertente, che è stata uno dei pochi punti fermi di questa vita errabonda. 

Quella che ho raccontato per qualche anno sull'altro blog, assieme a tranci di vita veramente vissuta, ignara com'ero dei meccanismi che regolano un mondo in cui, in molti casi, la metà delle cose si inventa e l'altra metà, vivaddio, la si copia

Da allora, sono passati otto anni e non c'è blog che non parli di cucina inglese.
E a parte alcune voci, che lo fanno con competenza, serietà e quel velo di ironia che suggella i loro contenuti come realmente originali, il resto è un pianto. 

"orange jam"
"made home"
"l'ora del te"
la maizena nel lemon curd
gli shortbread senza farina di riso, ma con lo stampino
gli hot cross buns con la croce di glassa reale
e gli scones, colpevoli solo di essere fotogenici e per questo maltrattati, dissacrati, violentati dall'armata del "sotto lo scatto, niente"-con buona pace di chi nulla riconosce dei sapori del'infanzia, in queste pallottole di pasta compatta,rigorosamente "hand home"


Mi permettete di ricominciare?


Il Dorset  è un angolo di paradiso, dolcemente appoggiato fra il Devon e il Wiltshire, noto per aver dato i natali ad una tale concentrazione di celebrità  da ritener d'obbligo un approfondimento, se non proprio sui quadri astrali, quanto meno sulla dieta: cosa diamine avranno mangiato,da piccoli, Thomas Hardy,P.D.James, John Le Carré e Douglas Adams, tanto per citare i più famosi, per diventare quello che son diventati?
Di sicuro gli wiggs, dei morbidi panini la cui età è dichiarata dal tipo di spezie presenti: chiodi di garofano, noce moscata e macis ci riportano infatti all'età dei Tudor e degli Stuart che potrebbe ragionevolmente essere il periodo dell'inizio della loro diffusione. quello che è certo è che soddisfecero presto i gusti di tutti, tanto da essere trasversali ai pasti dell'intera giornata: perfetti a colazione, leggermente tostati e cosparsi di burro e marmellata, ma ottimi anche per accompagnare l'ultima birra della giornata. 
A proposito di birra: pare che il loro luogo di nascita sia da collocarsi nei dintorni di una birreria, perchè venivano prodotti con il primo strato della fermentazione di questa bevanda, utilizzato ovviamente come agente lievitante. Anzi,è assai probabile che la presenza delle spezie sia stata necessaria per mitigarne il sapore, altrimenti troppo forte e, in certi casi, troppo acido. 

Una precisazione doverosa: la marmellata che vedete nella foto non è di fragole, ma di ribes rosso. Mi è servita per bieche esigenze fotografiche, ma l'accostamento non ci è piaciuto, proprio perchè la sua acidità fa a  pugni con le spezie: molto meglio la classica marmellata di fragole o quella di arance. 

Per 12 pezzi

500 g di farina 
(o la manitoba già in commercio o una farina forte tagliata con farina debole, al 50%- in altre parole, 250 g di farina debole, 250% di farina forte)
150 ml di latte intero, a temperatura ambiente
150 ml  di acqua leggermente intiepidita
75 g  di burro molto morbido
dai 10 ai 25g di lievito di  birra fresco (dai 2 ai 7 g circa di lievito di birra secco)*
la punta di un cucchiaino di noce moscata,grattugiata
la puntadi un cucchiaino di chiodi di garofano, pestati finemente
la punta di un cucchiaino di macis, pestato finemente 
1 cucchiaino di sale

Prima considerazione: la quantità di lievito è variabile, perchè come ormai tutti sanno, basta allungare i tempi di lievitazione per ottenere gli stessi risultati, anzi: minore è la quantità di lievito, maggiore sarà la durata del prodotto (il giorno dopo,soo ancora mordibi) e gli effetti benefici sulla vostra salute, per chi ci crede. 
L'importante è che consideriate questa variabile,prima di accingervi a prepararli- e di non mandarmi accidenti se, per l'ora del tè, avete ancora un impasto senza nessun accenno di lievitazione. Mettetevici prima- e il resto è fatto. 

Seconda considerazione:la quantità di liquido è sempre approssimativa: dipende dal tipo di farina, da quanto assorbe etc. 
Il mio consiglio è di provare sempre a inserirla tutta, perché più l'impasto è idratato e meglio reagisce, sia alla lievitazione che alla cottura: partite con metà dose, aggiungete il resto poco alla volta, anche goccia a goccia, attendendo che l'impasto lo abbia bene assorbito, prima di unire il resto, ma, se possibile,  non datevi per vinti. Non alla prima difficoltà, intendo. 

Setacciate la farina sulla spianatoia, unite il lievito,le spezie e tutta l'acqua tiepida e iniziate ad impastare, aggiungendo il latte poco alla volta, come descritto sopra,e il sale. Quando avrete ottenuto un composto liscio, uniforme e che si staccherà dalle mani, mettetelo alievitare in una terrina, leggermente infarinata e coperta con un foglio di pellicola trasparente, per un'ora circa. 
Dopodichè, trasferite l'impasto sulla spianatoia e aggiungete il burro, morbidissimo e a tocchetti,poco alla volta, impastando sempre in modo da incorporarlo bene al resto. continuate ad impastare per altri dieci minuti, dopo che avrete aggiunto tutto il burro, fino a quando la pasta sarà elastica: tendetene un velo fra le dita: dovrà essere trasparente e non rompersi. 

Se usate l'impastatrice, fate incordare, sulla frusta a gancio. 

Lasciate lievitare fino al raddoppio, poi sgonfiatel'impasto e ricavate 12 panini, del diametro di 3 cm. Disponeteli su due teglie rivestite di cartadaforno, ben distanziati fradi loro e lasciateli riposare per 40 minuti

Nel frattempo, accendete il forno, modalità statica, a 200°C. 
infornate per 15 minuti, coprendo se è il caso la superficie, per non farla scurire troppo. 

Si consumano tiepidi oppure aperti in due e fatti tostare. 
Si conservano fino al giorno successivo, se chiusi ermeticamente in un sacchetto per alimenti e conservati in frigo, altrimenti in freezer fino a due mesi.


lunedì 16 marzo 2015

MTC N. 45: HOMITY PIE E.... INCROCIAMO LE DITA....


Il gesto scaramantico è dovuto al fatto che pare-parrebbe-potrebbe essere-non sia mai che- mi sia tornata la voglia di cucinare. 
Detta così, sembra roba da poco. 
In realtà, ha un che di epocale, almeno per la sottoscritta. 
Che è da quasi tre anni che, sotto questo fronte, aveva smesso. 

E' strana, la maniera in cui si reagisce alle tegolate della vita.

Strana, se si arriva all'alba dei cinquant'anni convinti di conoscersi un po'-e invece si trova a fare i conti con una parte di sé che evidentemente era sfuggita a sguardi introspettivi, psicologie da salotto e meditazioni da "che ci faccio qui". 

Strana se, in quindici anni di un lavoro che ti espone alle brutture del mondo, la vera risorsa per recuperare energie e fiducia è stato mettere le mani in pasta, alla sera, e condividere al mattino, in banchetti improvvisati sul tavolo dell'ufficio che per tutti avevano un significato ben più profondo che riempirsi lo stomaco, per iniziare.

Strana, se si pensa che per me, la cucina, è un amore antico, difeso con le unghie quando ancora non andava di moda, coltivato in una intimità che aveva un che di segreto, quella che, anche in questa vita virtuale così sfacciata, così volgare,  mi ha sempre trattenuto dal pubblicare certe ricette, gelosa custode di un mondo di affetti e di complicità che la condivisione avrebbe contaminato e corrotto. 

Eppure, è andata così. 
Quasi tre anni, all'insegna del "tutto spento". 
E due aggettivi soli - "percossa, inaridita"- che mi venivano in mente, quando mi chiedevo che fine avesse fatto questa passione. 

Ora, son quasi due mesi che vivo da mia mamma. 
Io-mammete e tu, dove il "tu" è collettivo  e sta per la creatura e il gatto. 
Mia madre aveva una casa pensata per due e abitata da sola, io avevo una casa pensata per tre, al numero tre, all'interno tre- e che in tre settimane è stata smantellata, impacchettata e riposta in un appartamento che difficilmente sarà qualcosa di più che un magazzino di lusso. 

Nessuno dell'entourage si capacita di come possa durare, questa situazione.
Io lo so- e ovviamente non lo dico. 
Ma mi godo questa lenta rinascita alla vita, che ha nel ritorno della voglia di cucinare il sintomo più gratificante, intenso e confortante che potessi individuare. 
E chissà che non si ritorni anche al blog....



Sempre in questo filo rosso di affetti e robe melense che per oggi basta, c'è l'mtchallenge di questo mese che, per gran parte di noi, ha un significato speciale. Tanto speciale che ho finalmente recuperato una ricetta che circolava da un po', fra i miei appunti, e che ci riporta dritti dritti all'Inghilterra della seconda guerra mondiale, in piena epoca di razionamento e di ristrettezze alimentari. 
Credo che sia noto a tutti il patriottismo che accomunò le donne britanniche, a qualsiasi ceto appartenessero: di fronte alla minaccia della libertà della loro Nazione, del loro Re, dei loro cari, esse cercarono di rendersi utili in ogni modo, affrontando ogni tipo di disagio e di pericolo e scegliendo quei ruoli minori, tanto  lontani dalle ribalte e dai beau geste, quanto capaci di sostenere un intero popolo, con il conforto delle cure e del cibo.
Il Women's Land Army fu fra questi: un'organizzazione nata durante la Grande Guerra e replicata poi al tempo del secondo conflitto mondiale, che ricollocò le donne nei campi che gli uomini, chiamati al fronte, dovevano abbandonare. Se l'Inghilterra continuò a fornire nutrimento al suo popolo fu principalmente grazie a queste Land Girls che dalle città vennero mandate nelle campagne e che, lungi dal farsi infiacchire dal lavoro della terra, trovavano poi anche il modo di inventare ricette appetitose, col poco che restava. 
Fra queste, la Homity Pie, una torta a base di patate,porri e cipolle, di cui ovviamente non esiste una codificazione, nè delle dosi e neppure degli ingredienti. La zona di provenienza sono le Midlands, terre di grandi formaggi-e difatti, il cheddar  è presente, in tutte le versioni. Ma sul resto, ognuno dice la sua: c'è chi aggiunge una mela, chi abbonda nella panna, chi la colora con gli spinaci, insomma: le variazioni non si contano.
Quella che ho scelto io, è la più "basica" di tutte. 
"povera",mi verrebbe da dire, perchè ogni ingrediente è davvero al minimo delle sue potenzialità: ma proprio per questo, ciascuno concorre al meglio alla propria finzione: la cremosità dei porri sostituisce l'assenza delle uova; le patate, sostentano e sostengono; le cipolle, danno sapore; la panna,è solo un cucchiaio, il cheddar una grattugiata, meglio se in superficie, mischiato al pangrattato, per una crosta che inganna all'apparenza,ma non tradisce, nella sostanza. 
Ne è risultata una gran torta, che ci siamo spazzolate in un fiat- e che ora condivido qui...



per la base
io ho usato la brisée della sfida, che poi è la brisèe di Roux, ma la ricetta originale prevede una classica shortcrust pastry, preparata con 100 g di farina debole, 50 g di farina integrale,75 gi di burro, 1 cucchiaio di acqua fredda e un cucchiaino di sale. Oggi ci si aggiunge anche un tuorlo, ma all'epoca no. 

per il ripieno
350 g di patate
200 g di cipolle
1 porro (parte bianca e anche verde, almeno finchè è tenera)
1 cucchiaio di panna (ci vorrebbe quella cremosa, che noi non abbiamo: io ho usato la panna acida e secondo me ci stava benissimo: se non la gradite, due cucchiai di panna fresca, meglio se raccolti nella parte più densa)
1 spicchi d'aglio
150 g di Cheddar (sostituito con della scamorza),grattugiato
tre-quattro rametti di timo fresco
un bel ciuffo di prezzemolo
1 spicchio d'aglio
olio extravergine (ricetta originale, burro)
aggiunta mia: un cucchiaino di senape all'antica, quella coi semini (non è in nessuna ricetta, ma variante per variante, mettiamoci anche questa)
per spolverare
3 cucchiai di pangrattato
1 cucchiaio di cheddar grattugiato (io Parmigiano Reggiano)
una spolverata di pepe

Preparate la sfoglia, impastando velocemente tutti gli ingredienti.Fate un panetto e lasciatelo riposare in frigo,da un'ora a una notte. Poi stendetelo sottile,col mattarello, e rivestite uno stampo rotondo, di 20 cm di diametro.

Sbucciate le patate,sciacquatele sotto l'acqua corrente, asciugatele, tagliatele a tocchetti e fatele cuocere in acqua fredda, leggermente salata:calcolatecirca 5minuti dal bollore: devono rimanere sode,senza disfarsi.
Nel frattempo,mondate le cipolle e il porro, lavateli bene (attenzione al porro, la terra si annida dappertutto)e affettateli finemente.
Prendete una padella larga e versatevi un giro d'olio: appena è caldo, fatevi dorare lo spicchio d'aglio (non sbucciatelo,se preferite un sapore meno intenso); unite poi le patate, le cipolle e il porro, salate, fate saltare per qualche minuto, poi abbassate lafiamma e portate a cottura, aiutandovi con uno o due mestoli di acqua calda: alla fine, gli ortaggi dovranno essere morbidi e cremosi. 
Lasciateli intiepidire, poi metteteli in una terrina, assieme al prezzemolo tritato, allefoglioline di timo, alla panna, al formaggio grattugiato, e alla senape. Mescolate bene e aggiustate di sale e pepe
Versate il ripieno nel guscio di sfoglia (non occorre nessuna cottura in bianco, perchè il ripieno è solo umido) e spolveratelo con un mix di pangrattato,Parmigiano Reggiano grattugiato di fresco e pepe: infornate a 200°C,modalità statica per circa mezz'ora, o fino a quando la superficie risulterà dorata. 
Lasciate raffreddare 10 minuti nello stampo, poi sformate e servite. 
una bontà.
Ah, dimenticavo: 

Con questa ricetta NON partecipo all'MTC n. 46 :-)

sabato 14 marzo 2015

MTC N. 46: SALTED LEMON MERINGUE PIE





Il post che segue fa parte dell'archivio del vecchio blog: anche se sto ripubblicando tante ricette del tempo che fu sono sempre indecisa se farle precedere dalla stessa introduzione, un po' perchè ho sempre concepito il blog come un diario personale e quello che poteva essere attuale, all'epoca, non avrebbe più senso adesso; e molto perché la mia vita è cambiata, in questi anni, e non sempre mi riconosco in quello che allora mi rispecchiava pienamente. 
Ma stavolta è diverso: intanto, parlo di storie di famiglia, quelle che uno si porta impresso nel DNA della memoria e che ritrova in quelle epifanie del quotidiano in cui ci si scopre come semplici anelli di una lunga catena; poi, parlo di mia mamma, che è la più grande cuoca che io abbia mai conosciuto, con una creatività, una modernità e una credibilità, al palato, mai riscontrata in altre cucine; infine, l'occasione che mi aveva spinto a pubblicare questa ricetta ha molto in comune con le circostanze di oggi: allora era un contest, indetto da Fabio e Annalu, oggi è l'MTC, vinto da Flavia, in entrambi i casi un modo per celebrare degli amici cari e veri, donando loro una ricetta del cuore. 
E quindi, con questa versione salata di un classico della cucina inglese, adattata alla sfida in corso, nonché con la stessa introduzione di allora NON PARTECIPO  all'MTC di Marzo 2015 
E vi faccio tutti contenti, lo so :-)

 

Che io non avessi una madre come tutte le altre, è cosa che ho scoperto prestissimo, nella mia vita. Non che ci volesse molto, a dire il vero: bastava guardarle i capelli. Le madri dei miei amici avevano tutte dei colori uniformi- neri, di solito- e anche quando andavano dalla parrucchiera, uscivano in tinta unita- gialla, fino a una certa età; azzurrine, dopo un po'. Mia madre, no: lei aveva i capelli chiari e ogni tanto, una ciocca bionda. Mesch, si chiamavano- ma si scriveva "mèches", come mi aveva fatto imparare praticamente da subito, assieme ad una sfilza di altre parole che i miei amici non usavano e che rimandavano a cose di cui neppure si sospettava l'esistenza: come il phon a tre velocità, il tostapane che sputava le fette,  la televisione a colori e  i giradischi portatili.  Neanch'io ne sospettavo l'esistenza, sia chiaro: al pari di tutti i miei amici, ero nata nello stesso piccolo paese ai bordi di una città poco amante delle innovazioni, prodotto di un boom che, a parte le nascite, aveva incrementato ben poco su tutti gli altri fronti: la maggior parte dei genitori dei miei amici non possedeva l'automobile, i telefoni si contavano sulle dita di una mano e meno ancora erano i titoli di studio che andassero oltre l'avviamento commerciale. Nei negozi, si parlava in dialetto, la spesa la si metteva nei cesti di vimini e a Genova si andava una volta al mese, in corriera. A parte noi, ovviamente- e tutto per causa di mia mamma e del suo titolo di studio (IL titolo di studio), del suo lavoro in Inghilterra (IL lavoro in Inghilterra) e di tutto quello che, a confronto col  rassicurante moto rettilineo uniforme della vita di campagna, ci faceva sembrare dei veri habitué delle montagne russe. In pratica, eravamo quelli diversi: quelli che il mare era l'Argentario e la vacanza era all'estero, quelli che le auto erano due ma una domenica sì e una no si stava a piedi lo stesso, perchè le targhe erano entrambe pari- quelli che "la mia mamma lavora in centro" e "vende libri per bambini"e "con mia nonna parla in genovese, con papà in italiano e con me in inglese".
Che fossimo dei privilegiati, l'ho capito da mo''- e da allora, non ho smesso un minuto di ringraziare la mia buona stella:  ma, all'epoca, ci sentivamo solo diversi. Io, in particolare, che allo status di primogenita e quindi più esposta alle stravaganze materne, univo anche un nome diverso (da noi, le ventate di modernità erano ancora legate al secondo nome e per anni son stata "la Allesandra") e una struttura fisica che, gioco forza, mi emarginava dal resto del mondo femminile allora conosciuto, dove l'altezza massima consentita era il metro e sessantacinque- ma guai a portar scarpe col tacco.
Avrei dato qualunque cosa per leggere un fotoromanzo (e l'ho fatto, sia chiaro- e mi eran pure piaciuti); per avere le trecce e i buchi nelle orecchie , anzichè i capelli corti e i lobi incontaminati; per vestirmi da damina, come tutte le mie amiche; e per mangiare i panini col prosciutto, alle gite della parrocchia.
A me, invece, toccava questa torta. Me la ricordo ancora, avvolta in fogli di alluminio (neanche a dirlo, avevamo pure quelli), morbida, profumata, nutriente. Un sogno, al confronto dei panini del giorno prima che toccavano ai miei compagni: tant'è che non facevo in tempo ad aprire lo zaino che già venivo sommersa dalle proposte di scambio, con tanto di aste al rialzo, da "un panino per una fetta di torta" in su.
Come dicevo, non ci ho messo tanto a capire che le mie diversità erano tutte dalla parte dei privilegi: mi è bastato andare alle Medie, in centro, e trovarmi sbalzata in una realtà cittadina, perche in un secondo le differenze si stemperassero nel mare dei titoli di studio dei genitori delle mie nuove compagne (più importanti e altisonanti), dell'abitudine alle vacanze (più  esotiche),di parchi macchine (di gran lunga più affollati)
Ma questa torta è rimasta un'esclusiva dell'estro di mia mamma, assieme all'impronta di una cucina nutrita di inventiva, fantasia, genialità come mai ho riscontrato in nessun altro. Non l'ho mai pubblicata prima, perchè fa parte di un patrimonio di famiglia così intriso di memorie  intime e personali che il timore di svilirla al rango di "ricetta" ha sempre prevalso sul desiderio di condivisione. Se lo faccio oggi, è solo perchè, nei tanti privilegi della mia vita, ci sono tutti gli amici che hanno arricchito la mia vita di signora all'antica, alle prese con un mezzo contemporaneo che viene declinato ancora coi valori di un tempo che fu. E che, proprio per questo,mi ha permesso di inciampare in una community di persone care, capaci di sintonizzarsi sul mio stesso linguaggio e di farmi sentire ogni volta meno sola, in una diversità che permane, ma con cui oggi vado più d'accordo. 
E il merito, è anche vostro. 
SALTED LEMON MERINGUE PIE


per la pasta brisée, seguite dosi e indicazioni qui
Ho solo aggiunto la scorza di mezzo limone non trattato, grattugiata con la Microplane
ho utilizzato uno stampo rettangolare per tarte, lungo una trentina di cm, per rivestire il quale sono serviti circa 4/5 della dose indicata
ho fatto una cottura in bianco, come descritto qui
ho sfornato e lasciato raffreddare nello stampo

Per la crema pasticcera salata
3 tuorli 
mezzo libro di latte
50 g di farina di riso o altro amido
70-100 g di Parmigiano Reggiano stagionato 28 mesi
sale, q. b

Stemperate i tuorli con la farina, in una bastardella o in una casseruola. 
Scaldate il latte, fin quasi a bollore, salatelo leggermente, poi versatelo a filo sui tuorli,sempre mescolando. 
Fate addensare o a fiamma bassissima (meglio ancora se con uno spargifiamma) oppure a bagnomaria. Quando la crema è densa, aggiungete in una volta sola il formaggio grattugiato e, con una frusta o un cucchiaio dilegno, mescolate rapidamente, in modo da farlo sciogliere bene. 
Filtrate attraverso un colino a maglie fitte e aggiustate di sale, se è il caso
Lasciate itniepidire, poi versate la crema nel gusco di brisée e lasciatela rassodare a temperatura ambiente.
Accertatevi che sia ben fredda, prima di guarnirla con la meringa


per la "meringa" salata
Accendete il grill del forno, a calore medio
Versate i tre albumi in una ciotola perfettamente pulita, salateli e montateli con le fruste elettriche,a neve ferma. Verso la fine, grattugiate della noce moscata, come se non ci fosse un domani. 
Stendete poi la "meringa" sulla superficie della torta, ad uno strato spesso circa due dita e mettete subito sotto il grill, per qualche minuto, fino a quando la superficie nonn risulterà perfettamente dorata. 

E' meglio consumarla fredda, perchè il ripieno si rassoda e resta compatto: ma anche tiepida, è lafine del mondo. 
Va da sè chesi possa variare la qualità del formaggio,badando a variare di conseguenza anche gli aromi e le spezie. 
Buon fine settimana
Ale