Mio padre avrebbe desiderato un figlio maschio.
Sulla primogenita, aveva le idee chiare: "mi sposo, faccio una figlia e la chiamo Alessandra" era una specie di mantra leggendario, che accompagnava le storie di famiglia e che mia madre commentava sollevando un sopracciglio e confermando che, neanche a dirlo, aveva fatto tutto da solo.
Sulla secondogenita, pure: gli avrò chiesto mille volte di riportarla indietro e di prendere un fratellino, ma invano. Anzi, era anche pronto a correre in suo soccorso, le volte in cui ho tentato di eliminarla, scaraventandola giù dalla culla ("un incidente") o strangolandola con la sciarpa della nonna ("aveva freddo"): il che mi fa presumere che volesse pure quella.
Tertium non datum est-e quindi,come penso capiti in molte famiglie analoghe alla mia, toccò a noi femmine accollarci una parte di educazione tutta al maschile che in tutto affrontammo con sfacciato divertimento, tranne che per quella che già allora si profilava come la grande passione di nostro papà- vale a dire la pesca.
Nel curriculum delle competenze che mai verranno scritte, io e mia sorella vantiamo il saper pescare come una delle piaghe che flagellarono la nostra infanzia, assieme al Genoa in C e ai cugini che vincevano sempre alla tombola di Natale.
E anche se non ce lo siamo mai detto, credo che buona parte della nostra intelligenza di bambine sia stata spesa nell'escogitare stratagemmi per darsi credibilmente malate, il giorno dopo, e dare forfait.
Il problema, stranamente, si poneva non d'estate, ma d'inverno.
D'estate, c'erano gli amici, la barca, la Lega Navale- ed eravamo libere di sguazzare nel mare e abbronzarci al sole.
D'inverno, c'erano le gare.
Detta così, non rende. Intanto, bisognava raggiungere i fiumi.
Come dire, a ramengo.
E in un "ramengo" rigorosamente al termine di un'infilata di tornanti che per anni siamo state riconosciute non già dalle fattezze dei nostri volti, quanto dal colorito ("chi sono, le figlie di Pino?" "quelle là, quelle verdi")
Poi, bisognava sconfiggere le intemperie.
Perchè non è neanche da dire, che se la domenica c'era la gara di pesca, il luogo di appuntamento di tutte le peggiori nefandezze atmosferiche era il campo di gara- e precisamente il pezzetto che veniva assegnato a noi.
E poi, c'era la parte più dolorosa di tutte-e cioè che nostro papà-IL nostro papà,il nostro superman, quello che sistemava tutto, aggiustava tutto, preveniva tutto- nelle gare di pesca non ci aiutava.
"Ci hai lasciate da sole", gli dicevamo, la sera, guardando tristemente le medaglie da "l'importante è partecipare"
"Non è vero: ero a un passo da voi, non vi ho perso di vista un minuto"
"Sì, ma non ci hai aiutate"
"E' una gara di bambini, non di papà"
"Sì, ma gli altri papà, li aiutavano, i loro bambini. Tu no"
E allora, il nostro papà ci spiegava che lui non poteva farlo.
Perchè in quelle gare, lui non era solo un papà: era un organizzatore e un giudice, uno che avrebbe dovuto decidere a chi dare le coppe e a chi dare le medaglie e per questo motivo doveva vigilare perchè tutti giocassero ad armi pari, anche e soprattutto le sue bambine. Ci diceva che con gli altri genitori usava il buon senso, perchè la pesca è uno sport doveanche gli adulti imparano a crescere e, infine, ci incoraggiava, lodando i nostri miglioramenti e spiegando i nostri errori dal punto di vista non del maestro inflessibile ma dello stratega vincente: e quando, alla fine, quelle coppe le abbiamo portate a casa, rigorosamente da sole, oltre che a pescare avevamo imparato ad avere fiducia: in noi stesse, anzitutto, e nell'onestà delle istituzioni.
E' stato anche per questo che, nei quindici anni della mia professione, ho sempre sentito naturale individuare il confine fra la parentela o l'amicizia o la conoscenza e l'abuso. I miei "non posso", cioè, non sono mai stati frutto di notti travagliate o crisi di coscienza. Da privata cittadina, mi sbatto dal ragionevole all'inverosimile, se penso che ne valga la pena: da rappresentante di una istituzione no. Faccio quello che mi è consentito dalla legge, ilmeglio possibile, il prima possibile- e oltre non vado.
Il riferimento non riguarda direttamente, come si potrebbe pensare, le ultime, tristi vicende che hanno inguaiato l'ultimo ministro del nostro governo, reo di aver abusato del suo ruolo per aver racomandato il figlio, quanto piuttosto la pletora di miei ex amici che in questi giorni, su FB, su twitter, sugli autobus e in tutti i luoghi in cui è lecito esprimere la propria opinione, invocano a gran voce le dimissioni di Lupi dalla sua carica: sono gli stessi che, negli anni, mi hanno dato della stronza, dell'ingrata, di quella che si è montata la testa perchè, di fronte a palesi richieste di abusi a loro esclusivo vantaggio, ho risposto che non potevo nè volevo farlo.
Il che, ovviamente, ci insegna due cose: la prima, è che in un regime democratico, qualunque sia il sistema elettorale, si vota sempre a propria immagine e somiglianza.
La seconda è un condensato di saggezza popolare genovese, che parla di inclinazioni sessuali e di terga altrui, e che ovviamente mi astengo dal riportare, in virtù di quella oldfashionite che ispira questo blog.
Ma mi sa che ci siamo capiti...
CHOCOLATE TRUFFLE RAVIOLI
da G. Ramsay, Chef's Secrets
Già che si parla di papà, già che è San Giuseppe, già che oggi si frigge, in lungo e in largo in tutta la Penisola, contribuisco alla causa con dei bmboloni griffati, la cui peculiarità è avere un tartufo al cioccolato come
ripieno. La cosa più interessante è che a fare i tartufi ci si impiega
meno che a preparare la crema pasticcera e si evitano tutte le acrobazie
per riempirli da caldi- o meglio: roventi. Il risultato è la solita
porcata carnacialesca, ma questa volta di classe- e scusate se è
poco....
per 20. 24 pezzi
per la ganache al cioccolato
80 g di cioccolato fondente*
40 g di burro
3 cucchiai di panna
* propriamente, non è una ganache, per via del burro.
Però:
1)sto
traducendo in simultanea, che sembro la Canalis ai tempi di Clooney (come si dice in inglese ravioli?= ravioli)
2)
Gordon dixit- e va bene così.
La
percentuale di cacao, invece, è importante: l'originale dice 80%. Io ho
usato un 74%, ma per i nostri gusti- non siamo pazzi per il cioccolato
puro- è eccessiva. Fate voi.
per l'impasto della brioche
10 g di lievito di birra fresco o 2 cucchiaini di lievito secco
150 ml di latte tiepido
25 g di zucchero più quello che serve per spolverizzare i bomboloni
400 g di farina**
2 cucchiaini di sale fino
40 g di burro
2 uova medie, leggermente sbattute
olio per friggere (io extravergine)
** lui dice "strong plain flour"- vale a dire la Manitoba. Io di solito uso un mix, metà manitoba e metà farina 00.
Procedimento
1.
fate prima la ganache. Spezzettate il cioccolato e fatelo sciogliere a
bagnomaria insieme al burro e alla panna. Quando è sciolto, mescolare
bene e lasciar raffreddare. Dopodichè, mettere in frigo a solidificare (altro procedimento non ortodosso,ma Ramsay è Ramsay- e soprattutto, riesce lo stesso)
2. Con lo scavino per il melone*, ricavate 24 palline dalla ganache e tenetele in frigo fino al momento dell'uso
*
altrimenti, usate un cucchiaino da tè e date voi la forma con le mani.
Io ho fatto così (possiedo almeno 3 scavini per melone, ne avessi
trovato mezzo...)
3.
Preparate l'impasto: fate sciogliere il lievito nel latte tiepido con
un cucchiaino zucchero e lasciate riposare, fino a quando non inizia a
crescere e a fare le bolle.
4.
Setacciare le farine e il sale e unirvi il burro a pezzetti,
incorporandolo come per la frolla, con la punta delle dita. Ovviamente,
essendo poco, non otterrete un impasto compatto, ma solo una farina con
tante briciole. Aggiungete lo zucchero e fate la fontana: versatevi le
uova, sgusciate in un piatto e "rotte" con una forchetta , il latte
addizionato con il lievito e impastate il tutto fino ad ottenere un
composto liscio ed elastico.
Potete
anche usare un'impastatrice o un robot da cucina: io ho usato il Ken,
ho messo tutti gli ingredenti nell'ordine indicato e ho impastato fino
all'incordatura.
5.
mettete l'impasto in una terrina infarinata, coprite con un canovaccio
pulito, trasferite in un luogo lontano da spifferi (perfetto il forno
spento) e lasciate lievitare fino al raddoppio. (due ore circa)
6.
Spolverizzate di farina il piano da lavoro, rovesciatevi l'impasto
lievitato e riprendete ad impastarlo, per pochi minuti. Non servono
pieghe o particolari accorgimenti: basta solo che lo rendiate nuovamente
elastico. Stendetelo con un mattarello allo spessore di mezzo cm e con
un tagliapasta ricavate tanti tondi, reimpastando i ritagli fino ad
esaurimento della pasta.
7.
Su metà dei tondi, mettete un tartufo al cioccolato, poi coprite con
l'altra metà, schiacciando con le dita lungo i bordi, per sigillare.
siccome ero praticolarmente ispirata, una volta conclusa l'operazione ho
di nuovo rimodellato i bomboloni, tagliando via i bordi in eccesso, con
lo stesso tagliabiscotti usato in precedenza.
8.
Ramsay dice di far riposare in frigo per 15 minuti. Io non ho proprio
letto questo passaggio (si vede che ero stremata, dallo straordinario
del punto 7) e li ho lasciati riposare per una mezzoretta a temperatura
ambiente: sono semplicemente lievitati ancora un po', cosa che in frigo
non sarebbe successa.
9.
In una padella alta, scaldate abbondante olio . Appena questo va a
temperatura, immegretevi 4 o 5 bomboloni per volta e friggeteli due
minuti per parte. La temperatura dell'olio dovrebbe rimanere sui 180
gradi, per cui se avete una friggitrice siete a posto. Se no, togliete
la padella dal fornello, lasciate raffreddare un po' e poi riprendete la
frittura.
10.
A mano a mano che i bomboloni sono pronti, scolateli con una
schiumarola direttamente su un piatto ricoperto di carta assorbente da
cucina e, appena sono tiepidi, metteteli in un sacchetto per alimenti,
dove avrete versato tre o quattro cucchiai di zucchero semolato.
Scuotete bene il sacchetto, in modo che i bomboloni si cospargano bene
di zucchero da ogni lato e serviteli subito, quando sono ancora caldi.
E buona festa del papà!
Ale
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