domenica 27 dicembre 2015

Cracovia- diario di viaggio: le miniere del sale (IV giorno)

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Diciamocelo chiaro: rispetto a Cracovia, Praga è più bella. E, se vogliamo allargare il raggio, anche Budapest forse lo è. D'atronde, ci si sarebbe stupiti del contrario: a rendere bella una città concorre anche la sua storia e Praga e Budapest hanno dalla loro una posizione geografica più favorevole, oltre ad un tessuto urbano marcatamente influenzato dai fasti del lungo dominio asburgico, da cui Cracovia, per contro, fu appena sfiorata. Però, a Budapest sono stata 15 anni fa e non mi è ancora venuta voglia di ritornarvi, da allora. E a Praga so che tornerò, e magari pure a breve, ma solo perchè mio marito mal sopporta di essere l'unico della famiglia a non esserci stato. Mentre a Cracovia non vediamo l'ora di ritornare: dobbiamo ancora lasciarla e siamo lì che facciamo progetti, uno sguardo alle nostre agende, un altro ai "prossimi eventi"- e tanto meglio, se a breve.

Il fatto è che, a differenza delle altre due città, Cracovia ci è entrata nel cuore. Anzi, ad essere precisi, ci si è proprio distesa, occupandone ogni angolino, con i suoi colori, le sue atmosfere, la sua gente. "come si dice 'cosy', in Italiano?- continua a ripetere il marito, ogni volta che ci sediamo ai tavolini di un caffè o scambiamo due parole e tanti sorrisi con le persone che incontriamo. Cracovia è confortevole, intima, piena di calore e la sua vitalità si esprime proprio in questa cifra di un'accoglienza mai chiassosa, che sa coniugare alla perfezione un orgoglioso senso di appartenenza con il rispetto per gli stranieri che passano per le sue strade e le sue piazze. In qualsiasi posto andiamo, siamo accolti non come turisti, ma come ospiti graditi, con una familiarità sempre temperata dal garbo ed una forma che riesce sempre a trasmettere il piacere di averti incontrato. E' questo il vero segno distintivo di Cracovia- ed è per questo che ci torneremo.

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"Alla vostra destra, il balcone dove si affacciò Karol Wojtyla, alla sinistra la soglia che varcava tutti i giorni per andare nel suo studio, di fronte l'aula dell'Università dove studiò e dietro alle spalle il selciato che calpestava per andare in Chiesa". Esagerazioni a parte, dal vivo è peggio. Ovunque vi giriate, tutto vi parla di Giovanni Paolo II, nato ai margini di Cracovia (a Wadowice, città di minatori oggi meta di pellegrini, tanto che la casa natale del Papa è già chiusa per restauri) e che della città resse le redini della vita spirituale, dal 1964 all'elezione al soglio pontificio,con la grinta, la tenacia e l'entusiasmo che di lì a poco tutto il mondo avrebbe imparato a conoscere. Anche in questo caso, non sarebbe potuta andare in modo diverso: ogni città tributa vari onori ai propri cittadini illustri, anche quando non hanno raggiunto fama planetaria, figuriamoci quando capita di aver dato i natali ad un uomo del genere. Epperò, a differenza di quanto accade in altri luoghi, ogni qualvolta si esageri con le commemorazioni, a Cracovia non si prova mai fastidio:  molto dipende dalla purezza della fede dei Polacchi, non contaminata da suggestioni estranee di alcun tipo, meno che mai di natura economica (provate a cercare un santino con l'immagine di Giovanni Paolo II: non lo troverete, da nessuna parte); ma molto dipende anche dal vuoto lasciato dalla perdita di questo Papa, che qui si avverte più che altrove.

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Giriamo come pazzi, per tutta Stare Miasto, incantati dagli scorci, dalle vedute d'insieme, dal colore, dalla pulizia, dall'armonia che ci conquistano ad ogni passo: passiamo sotto portici medievali, in strade trafficate che sfociano in vicoli deserti, ci fermiamo ai banchi dei piccoli mercati delle piazze laterali, curiosiamo attraverso i vetri delle gioiellerie e fra le cianfrusaglie delle bancarelle. E non ci accorgiamo del tempo che passa e che oggi più che mai è tiranno. La visita alle miniere del Sale è fissata per il pomeriggio e quando sentiamo battere l'una siamo ancora in tenuta ferragostana, oltre che a pancia vuota. Decido per un pranzo veloce in "latteria", il locale più tipico di Cracovia, dove da tempo immemorabile operai, studenti ed avventori di passaggio gustano la cucina di casa a poco prezzo, ma la Lonely toppa ancora-e ci ritroviamo a girare come trottole, alla ricerca dell'indirizzo che non c'è. La creatura ha ripreso la litania, il marito ha perso la pazienza e quando stiamo per rassegnarci ad un panino al volo, mi viene l'illuminazione: "I pierogi!"- esclamo, sventolando la fida moleskine. dopodichè, aggiungo qualche parolina magica ("i migliori di tutta Cracovia" "solo indigeni" "una vera bettola") e in un attimo ci si arriva. A parte l'ultima indicazione (le bettole sono ben altro), tutte le altre informazioni si rivelano corrette: aggiungo qui il non trascurabile dettaglio delle porzioni pantagrueliche, per cui se siete in pausa pranzo un piatto solo per due può bastare: a noi tocca sacrificarci, mangiando tutto, ma intanto smaltiamo con la corsa veloce all'hotel, per cambiarci d'abito e partire, alla volta delle miniere del Sale.

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siete mai stati alle miniere di Salisburgo? O alle saline di Trapani? o a quelle di Cervia? Ecco, le miniere di Wieliczka sono completamente diverse. "Molto più che sale", avverte l'insegna nei pressi dell'ingresso- e con ragione: perchè quello che vi aspetta, una volta scesi i 64 piani di scale (e pure apiedi) ha davvero dell'incredibile. Un mondo sotterraneo scolpito nel sale, spesso dagli stessi minatori che, condannati a vivere quasi perennemente sotto terra, avevano reso meno gravose le loro giornate scolpendo statue e vere ed erigendo vere e proprie architetture. Su tutte, quella che lascia senza fiato è la Cappella di Santa Cunegonda (protettrice dei minatori), una chiesa ad un'unica navata, lunga più di 70 metri e larga quasi 20, dove tutto, dalle pareti alle gocce dei lampadari, è scolpito nel sale. Ci arriviamo quando la visita è quasi finita- e quello che vediamo ci lascia letteralmente senza fiato. 


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"Si sale in ascensore", avvisa la guida a metà percorso- e la vita mi sorride. ma  dopo un po', ghigna, una volta che vedo in quale trabiccolo hanno in mente di farci salire. Una specie di scatola di sardine, con tanto di doppia chiusura ermetica, la cui vistabasta da sola a frmi venire le palpitazioni. Io ho un po' di paura dell'ascensore da quando, da ragazzina, ci son rimasta chiusa dentro: ero con una mia amica e avevamo voluto provare a vedere che cosa sarebbe successo, se ci fossimo messe a fare i salti lì dentro, con l'ascensore in movimento. I pompieri non gradirono il nostro spirito scientifico e da allora se posso preferisco le scale. Ma stavolta siamo al 101esimo piano sotto terra e, per quanto convenga che l'apparizione di santa Cunegonda, una volta arrivati alla luce del sole, possa nobilitare il diario di viaggio, preferisco rassegnarmi al mio destino ed entrare nella trappola."Secondo te, cosa succede, se salto?" mi chiede mia figlia, riportandomi indietro di trent'e pass'anni. Più che l'espressione di terrore sul mio viso la fanno desistere gli altri compagni di avventura, visto che c'è a malapena spazio per respirare, figuriamoci per saltare. In ogni caso, in pochi secondi siamo su- e la vita ora mi sorride, per davvero

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Torniamo a Cracovia che è ora di cena e decidiamo di accontentare la creatura, prendendo salsicce e patate arrosto ai tavolini di una fiera. Lì accanto si esibiscono gli Sbandieratori di un paese vicino a Ferrara e , sulla piazza, un gruppo di reduci inscena uno spettacolo di canti militari. Arraffo un programma e dopo un po' siam lì che cantiamo come due deficienti (il marito è a debita distanza), rendendoci conto a brano finito che abbiamo letto le parole di quello successivo. Ma è l'ultima sera e anche se non son più le estati dei vent'anni, l'atmosfera è sempre la stessa: un velo di follia, a rincorrere gli ultimi istanti di una vacanza magica, in un'estate che non dimenticheremo.

(segue)

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