domenica 27 dicembre 2015

Cracovia, diario di viaggio- secondo giorno

La sorpresa del mattino è che la colazione  è servita nel negozio all'angolo, specializzato in cupcakes. Mi aspetto le recriminazioni del marito- le cupcakes sono quanto di più lontano dai suoi gusti possa esistere- e invece, toh, sorpresa, la cosa gli piace e lo diverte. La creatura, neanche a dirlo, è al settimo cielo, fra red velvet e carrot cake e finisce che le mollo pure il mio muffins ai lamponi- che intanto la giornata è lunga, e avrò modo di rifarmi


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Prima tappa, Kazimierz, l'antico quartiere ebreo che raggiungiamo a piedi, attraversando la piazza e scendendo a sud, attraverso la Via Reale e poi da lì lungo le arterie che conducono dritti al cuore della nostra meta. Ovunque, macchine elettriche guidate da ragazzi propongono tour attraverso i vari quartieri di Cracovia e zone limitrofe, ma noi preferiamo andare a piedi, desiderosi come siamo di non perderci neppure un dettaglio di una città che ci è già entrata nel cuore


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(Parentesi per i "semmu de Zena"
"Carola, hai visto che belli, i doccioni del castello?"
".....ehm... no"
"Scusa, ma come fai a non vederli? La vedi la cattedrale?"
"......"
"Li vedi i bastioni?"
"...."
"LO VEDI IL CASTELLO?????"
"...."
"Il castello, Carola, il castello- ce l'hai davanti al naso, e se anche fosse un po' più in là, mi spieghi come si fa a non vedere UN CASTELLO? e mi spieghi dove hai la testa, eh, me lo spieghi? che è una vita che ti porto in giro 'che così si apre la mente' e a te manco ti si aprono gli occhi? Possibile che tu non veda niente?"
"Mamma, guarda lì...")

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Chiariamo subito un equivoco nel quale cadono in tanti: Kazimierz è l'antico ghetto di Cracovia, non quello in cui vennero richiusi gli ebrei al tempo delle persecuzioni naziste: questo era un luogo assai più inospitale, situato più a sud, nel quartiere di Podgòrze, dove vennero deportati in massa tutti gli Ebrei polacchi che, dal 1494, anno della loro cacciata dalla città, avevano scelto questo piccolo borgo come loro dimora. Nei secoli, Kazimierz divenne un vivace centro di cultura, punto di riferimento non solo per Cracovia, ma per la Polonia intera che continuò a guardare a questo luogo come ad un centro a sè stante, anche quando l'ampliarsi della popolazione della grande città vicina lo inglobò nei suoi confini. Tutto questo secolare patrimonio terminò bruscamente nei mesi a cavallo fra il 1941 e il 1942, quando ebbe inizio la deportazione in massa della popolazione giudea di Kazimierz a Podgorzè: furono pochissimi, quelli che fecero ritorno e per decenni il quartiere fu lasciato in balìa dell'abbandono, del tutto immemore del suo passato. Ci volle Stephen Spielberg, che decise di girare Schindler's List nei luoghi in cui si era davvero svolta la storia, a far scoccare la scintilla della rinascita e anche se i segni della trascuratezza e della negligenza sono ancora evidenti, questa voglia di rinascita serpeggia un po' ovunque

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Quello che le brutture naziste non sono riuscite a cancellare è il fascino di questo quartiere, dal quale finiamo per essere contagiati anche noi, nel nostro girovagare per sinagoghe vecchie e nuove. Ne contiamo almeno sei, ne visitiamo cinque e, su tutte, la più emozionante è quella di Rumu, con annesso il vecchio cimitero, uno dei meglio conservati di tutti.

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"Uh, mamma, le pietre sulle tombe, come in Schindler List!" esclama la creatura, fresca di film e di emozioni allo stato puro. Ci aggiriamo fra le tombe in un silenzio interrotto solo dalle voci delle varie guide, una sorta di moderna Babele in cui cerchiamo di afferrare stralci di spiegazioni, ma senza sentirne davvero la necessità: perchè quello che colpisce, qui dentro, non è sapere chi è sepolto e che cosa abbia fatto, ma l'intensa spiritualità che si percepisce ad ogni passo, in questo mondo dove le pietre sono il vero filo conduttore, fra la vita e la morte, fra il passato e il presente


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Il tempo di un succo di frutta e proseguiamo: di fronte a noi c'è la Stara Synagoga, la Sinagoga Vecchia, oggi trasformata in una sede del museo della Storia di Cracovia e non sia mai detto che si rischi di perderla. Di tutte, è la più cara (ho dimenticato di dire che l'ingresso è sempre a pagamento, per tutte- ma è davvero un'inezia) e la più ricca, anche se poco o nulla si è recuperato degli arredi originali, prima trafugati dai Nazisti e poi finiti chissà dove. Al di là dei pezzi che sono esposti (alcuni dei quali di assoluto pregio) è l'aspetto didascalico quello che mi colpisce: le pareti sono ricoperte da pannelli che illustrano le principali festività ebraiche e lo fanno in modo così particolareggiato che è impossibile non restare rapiti dalla lettura.

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La Synagoga Stara è anche il posto dove rischio una delle figuracce peggiori della storia, tanto che tuttora ho i sudori freddi, al pensiero di quello che sarebbe potuto succedere- e per fortuna non è stato. Ve la racconto per dovere di cronaca e anche perchè, in qualche modo, dovrò imparare a tenere a freno il politically uncorrect che è in me e che spesso e volentieri prende le forme di un umorismo becero e indegno- e magari una sorta di confessione pubblica può aiutarmi in questa mission impossible. Anyway...La foto che vedete qui sopra rappresenta una specie di moderno rotolo della Torah e si trova all'interno della Stara Synagoga, subito sotto il monitor di un computer, su cui campeggia un cartello grande tanto quanto lo schermo. Va da sè che qualsiasi persona dotata di un minimo di ragione si sarebbe fermata a leggere quello che c'era scritto sopra e poi magari avrebbe deciso il da farsi. Io, invece, decido su due piedi che quel rotolo è la trovata geniale di un Ebreo spiritoso, che ne ha fatto un registro delle visite, avete presente, no?, quei quadernoni dove si scrivono le peggiori nefandezze, che intanto chi saprà mai che siamo stati noi? E quindi, incito la creatura a lasciare uno dei soliti commenti entusiasti, del tipo "GRAN FIGATA!!! WOWOWOWOWOW! 5 MINUTI DI PURA ESTASI!" e belinate del genere, in cui divento maestra appena oltrepassati i patri confini. Nel mentre, mi accorgo che qualcosa non quadra: perchè lì sopra è vero che c'è scritto in tutte le lingue, ma in modo perfettamente ordinato e preciso: nessun disegnino, nessun punto esclamativo, nessuna firma. In più, tutti i commenti sono formati dallo stesso numero di righe. Alzo gli occhi, perplessa, e finalmente leggo il cartello, sempre stato di fronte al mio naso: "Vuoi riscrivere il Pentateuco, per la nostra Sinagoga? Chiedi un versetto biblico al personale etc etc....".

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Mancano ancora due tappe alla fine del nostro giro a Kazimierz: la prima ci porta al confine ovest del quartiere, in una strada ancora non contagiata dalla volontà di rinascita ma che vale comunque la pena di raggiungere per visitare il suo inidirizzo più famoso, vale a dire il Museo Ebraico della Galizia

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E qui, le mie blande coordinate geografiche vanno in tilt: cosa c'entra la Galizia con questa parte della Polonia, infatti, è una roba che mi sfugge. Il marito, più ferrato in queste cose, non sa rispondere e alla creatura è meglio non far domande, per non essere costretti ad avventurarci ulteriormente nei meandri dell'abisso della sua ignoranza in geografia. A complicare le cose, arriva un messaggio di Fabio e Annalu, che sono in Galizia a scofanarsi di tapas, "ma senza di voi hanno tutt'altro sapore". Provo a rispondere che anche noi siamo in Galizia, solo che dall'altra parte dell'Europa e alla fine ho le idee più confuse di prima. Ma basta un giro al museo, per svelare l'arcano...

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Dicesi Galizia la regione a sud di Cracovia, alla quale la città fu incorporata con tutto il suo regno qualche remoto secolo fa. Il pannello esplicativo esplica alla grande, ma i dettagli stavolta non mi interessano: siamo lì per le "Tracce di Memoria" una mostra fotografica permanente che commemora le vittime della Shoah e che non delude le nostre aspettative, anzi: affidare alle fotografie e a poche ma efficaci didascalie si rivela una scelta narrativa potente, nella sua secca sobrietà. Il filo conduttore che lega le varie immagini, strazianti testimonianze di una sofferenza che è di ognuno e di tutti, è il senso di dignità che si respira ad ogni scatto- siano sguardi, gesti, portamenti. Nessun cedimento emotivo, nessuna concessione alla retorica, nessun appello alla umana compassione, che pure sarebbero stati lì, a portata di mano: ma un richiamo costante, anche se silente, ad una fierezza, ad una dignità, ad un decoro che neppure la disperazione più cupa può cancellare- e che per noi sono un trapano nel cuore

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 E' tutta la mattina che cerchiamo il negozio dei bagel, che secondo la guida sarebbe dovuto essere vicino alla sinagoga nuova e che invece non c'è: si è spostato tre edifici più in là rispetto al museo, in tutt'altra zona rispetto a quella che avevamo setacciato prima- ma l'euforia è tale che non stiamo neppure a valutare se sia il caso di scofanarsi di bagels a mezz'ora dal pranzo e ci fiondiamo dritti all'interno. La creatura va di fusion, con un ripieno di pollo al curry, io mi tengo sul classico, smoked salmon & cheese. Il marito fa il virtuoso e passa, salvo poi salivarci sul collo per tutto il resto della passeggiata verso il mercato, dove finalmente lo attende il suo lauto pasto....

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Zapiekanki, si chiamano, e sono il cibo di strada per eccellenza di tutta la Polonia: delle piccole mezze baguette, farcite in vario modo (la classica è col formaggio e i funghi) e ricoperte di un ghirigoro di ketchup, a condire il più diffuso fra gli spuntini di mezzogiorno. Noi non facciamo eccezione e ci caliamo subito in un perfetto scambio di ruoli, col marito che mangia e noi che lo supplichiamo, ("eddai, solo un morso, piccolo-piccolo, e cosa ti costa- e fallo per la creatura, e fallo per la moglie- e fallo per il blog"), in uno spettacolo davvero indegno, mentre giriamo per il mercato di Plac Nowy, pronti a varcare la soglia del quartiere cristiano
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Si son fatte le due e, tolta la breve pausa al bar, camminiamo ininterrottamente da quasi sei ore, pausa pranzo in piedi compresa. La creatura inizia a lamentarsi, ma la prossima tappa è quella che a lei sta più a cuore, vale a dire la Fabbrica di Oskar Schindler, nel quartiere di Podgorze, subito al di là del ponte sulla Vistola. E così, stringe i denti e arranca per le vie di Kazimierz, come una specie di profugo che vede finalmente la meta.


Ma non ha fatto i conti con l'anima cattolica di sua madre, che vuole vedere anche le chiese al di là del muro e che, da buona cattolica, ascolta con paziente tolleranza le altre campane- e poi fa di testa sua. E quindi, procedo impavida verso la parte cristiana, prima verso la chiesa del Corpus Domini (merita il pulpito a forma di barca), poi verso quella di Santa Caterina (che col senno di poi si sarebbe potuta evitare, ma è proprio sulla strada, come si fa a non darle almeno un'occhiatina) e la maestosa e bellissima Chiesa Paolina dei Santi Michele e Stanislao, che da sola vale il viaggio. In più, come tutte le chiese dedicate ai martiri che si rispettino (le chiese, non i martiri), questa conserva alcuni particolari macabri che, se anche non hanno tutti i requisiti di autenticità e di bellezza, vantano il non trascurabile pregio di riaccendere l'interesse della creatura per pochi secondi, quanti ne bastano per trovare i gradini sporchi del sangue del santo e bocciare con un insidacabile "è tutto qui?" uno dei luoghi più sacri per gli abitanti di Cracovia. 


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come si dice "assorbenti" in polacco? E "maremma-maiala, ma è mai possibile che tutte le volte, in ogni viaggio, dobbiamo sempre avere di questi problemi???", questo, come si dice? Ancora non lo so, ma riesco a farmi capire lo stesso da una pietosa commessa che piazza l'affare della sua vita, appioppandomene  una scorta da qui alla menopausa, con tanto di sitruzioni per l'uso, in rigoroso polacco.   Dopodichè, mi sento come la moglie del signor Duracell e propongo di andare a Podgorze a piedi. Dagli sguardi che ottengo in risposta intuisco di aver avuto idee più brillanti di questa e quindi mi rassegno a salire su una di quelle orribili macchine elettriche che stanno a Cracovia come i taxi a New York, con la non lieve differenza che i taxi son chiusi da tutti i lati e non ti cotringono ad arpionarti a tutti i sostegni ad ogni curva- e come si dice in polacco "più piano, pietà?"

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Oskar Schindler fu un eroe per caso: in origine, infatti, fu solo la bieca logica dell'interesse a spingerlo ad assumere manodopera ebrea nella sua fabbrica di stoviglie, per il semplice motivo che costavano meno degli altri operai. Ma fu quando assistette alla brutalità di un rastrellamento nazista nel ghetto di Podgorze che mutò radiclamente parere, iniziando a considerare gli Ebrei non come dei dipendenti da sfruttare, ma come delle persone da salvare. Da lì in poi, la storia è nota e per questo l'impazienza di arrivare cresce e diventa emozione pura, quando ci avviciniamo ai cancelli.

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A scanso di equivoci: dopo Auschwitz, l'altra tappa obbligata di un viaggio a Cracovia è questa. E non per l'edificio in sè-niente di più di un esempio di ripristino di architettura industriale- ma per quello che contiene. Dallo scorso anno, infatti, la fabbrica di Oskar Schindler è sede di un museo sulla storia del popolo polacco, dall'invasione tedesca alla sovietizzazione operata da Stalin, al termine della guerra. La parte più toccante, oltre che più completa, è quella dedicata alle angherie che i Polacchi dovettero subire nei primi anni Quaranta, qui ricostruite con una precisione storica estesa a tutti i campi, non ultimo quello della vita privata, di tutti il più commovente e il più straziante. Ovviamente, c'è spazio anche per l'opera di Schindler, che però viene inserita in questo contesto particolare, al tempo stesso origine e sfondo del suo agire. Il risultato è il ritratto di un uomo vero, ricordato con accenti di sincera gratitudine dalle parole dei suoi dipendenti, che trae proprio dalla concretezza dello scenario storico la potenza della sua eccezionalità, molto più di quanta sarebbe emersa da una celebrazione totu court, avulsa dal contesto e quindi più esposta alle lusinghe della retorica. Così, invece, è un altro colpo al cuore, specie per me che, in tutti questi anni passati a ricordare l'Olocausto degli Ebrei, e degli Zingari, e di altri poveri persguitati, avevo finito per dimenticare la tragedia del popolo polacco. Ora mi scorre sotto gli occhi, in una ricostruzione che non trascura alcun dettaglio ma che non cerca commiserazione o pietismi e che, proprio per questo, si annuncia e si conferma come un'altissima lezione di dignità.

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Dalla fabbrica di Schindler all'ex ghetto nazista sono pochi passi e anche se il percorso non è dei più ameni (siamo in una zona industriale che poi sconfina in un quartiere popolare) decidiamo comunque di andare a piedi. Intanto, è l'ultima tappa e non si annuncia particolarmente impegnativa, per cui un ultimo sforzo ci sta. La creatura ha attaccato col tormentone di quest'anno (dopo il "niente da fare/niente da vedere" della Danimarca e il "voglio stare sdraiata su una spiaggia per un mese" della Scozia), lamentandosi perchè, a 16 anni, ha visto più chiese di tutti.
"Di tutti chi, scusa?"
"Di tutti i miei amici"- rispende, con l'aria scandalizzata di chi sa di dover dire un'ovvietà.
"Beh, non è mica un disonore, no?"
"A 16 anni, sì"

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Fu nel quartiere di Podgorze, a una manciata di km dalla fabbrica di Schindler, che i Nazisti edificarono il ghetto per gli Ebrei. Le deportazioni dal vicino quartiere di Kazimierz furono dei veri e propri rastrellamenti di massa, tanto che, alla fine della guerra, il 90 per cento della popolazione giudea di Cracovia non fu presente all'appello dei superstiti. Le condizioni di vita, allucinanti di per sè, lo erano ancor di più se paragonate alla raffinatezza di Kazimierz che, nel giro di pochi mesi, divenne un quartiere fantasma. Oggi, del ghetto, non resta più nulla, se non le tracce dell'antico muro, ben nascoste da una fila di brutte palazzine, in una via a sud della piazza. Tuttavia, i Polacchi, ben decisi a non dimeticare, hanno commissionato a due architetti di Cracovia un monumento alla memoria di quanto è accaduto, proprio in quella Plac Zgody che del ghetto era il centro e che oggi si presenta così

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Settanta sedie, in fila ma piuttosto distanti l'una dall'altra, a rappresentare tutto ciò che gli Ebrei dovettero abbandonare- case, mobili, oggetti personali. Il colppo d'occhio non è male, perchè la piazza è piuttosto grande, e la scelta di un monumento così essenziale, con un oggetto così quotidiano come appunto una sedia da cucina, rimanda immediato il senso di quella violazione di una dimensione intima e privata che è uno degli aspetti più dolorosi del ghetto. Sullo sfondo, la Apteka Pod Orlem, la Farmacia sotto l'Aquila, altro luogo simbolo per gli Ebrei, grazie al ruolo che essa svolse in questo periodo: era l'unica farmacia del ghetto, nella quale tutti gli Ebrei potevano trovare cure mediche e notizie dal mondo esterno. A dirigerla, fino al giorno della sua deportaione, fu Tadeusz Pankiewicz, un altro eroe di questi anni, la cui minore notorietà, non ancora planetaria come quella di Oskar Schindler, nulla toglie ai suoi molti meriti. Lo sanno bene i gruppi di giovani Ebrei (ne contiamo almeno tre) che oggi stazionano sulla piazza, in attesa di poter visitare il museo ospitato nell'antica farmacia. In teoria, dovremmo metterci in coda anche noi: ma son quasi le cinque e cominciamo a non farcela più. Fermiamo un taxi al volo e torniamo nel nostro appartamento

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Ditemi voi com'è che ad ogni viaggio- e sottolineo: ad ogni viaggio- mia figlia si porti dietro un solo- e sottolineo un solo- libro, sempre di Nero Wolfe. A casa, legge dell'altro: ma per i viaggi, tocca ad uno dei gialli della collezione di sua madre finire in valigia. La cosa in sè non sarebbe degna di nota, se non fosse che la creatura ha un'insana passione per l'investigatore della 34esima strada e il suo fido Archie Goodwin. "Colpa tua", replica ogni volta il marito, pronto a scansare eventuali responsabilità, visto che Rex Stout è anche uno dei suoi autori preferiti. Il che è verissimo, per carità: ma quando le ho detto "prova un po' a leggere questo", mica ero sottinteso che ad ogni viaggio- e sottolineo- questa dovesse andare in smanie "perchè voglio tornar presto in albergo per vedere come va a finire". Ho creato un mostro, mi sa- e ne pago tutte le conseguenze

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Rientrati in hotel, guardiamo l'orologio: non sono neppure le sei e, se dipendesse da me, uscirei subito dopo la doccia. Invece, bisogna patteggiare: un tè per il marito, due capitoli per la creatura e tanto vale dedicarsi alla scelta del ristorante per la sera, che il pranzo in piedi di poche ore prima trasforma in una vera e propria urgenza. Quando siamo pronti (con rilettura delle parti più significative dei due capitoli concessi), torniamo alla città vecchia, passando questa volta per la famosa via Florianska, di cui parlano tutti, turisti e viaggiori indistintamente


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CVD: bella, bella, bellissima- ma un po' lontana dai nostri gusti. Troppo commerciale, se mi passate il termine. I negozi sono catene internazionali oppure trappole per turisti, è tutto un distribuir volantini e consigli per cenare qui piuttosto che altrove e alla fine ci scopriamo ad accelerare il passo (ma non doveva essere una passeggiata?) per raggiungere la nostra amata piazza. Dove c'è una violinista in erba che suona bene e che arresta la nostra marcia.

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Mentre la creatura intavola una discussione con la bambina (da "quanti anni hai" a "come tieni l'arco", tutto in rigoroso italiano di qua e polacco dall'altra parte), io mi metto a chiacchierare con un ragazzo di Torino, che è a Cracovia per la seconda volta e che, a quanto pare viaggia da solo. Il marito ci raggiunge subito dopo, distratto com'è da un gruppetto di tifosi in sciarpa rossoblu, scortato dalla Polizia che neanche fossero i fratellini di Ivan il Terribile in gita. Dopodichè, salutiamo, ci godiamo ancora un po' di artisti di strada, ci rilassiamo davanti ad un aperitivo e poi affrontiamo l'ultima maratona della giornata, vale a dire la cena


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Il ristorante è il famoso Miod Malina, magnificato da tutte le guide, che serve la tipica cucina polacca. Ergo, pierogi per tutti, zuppa di funghi in crosta di pane (per me), costine di maiale marinate al miele in salsa di prugne (la creatura) e cerco in salsa di amarene (il marito). I pierogi sono fritti e non ci esaltano, mentre il resto ci soddisfa pienamente, ma mai come l'avventore che si trova al tavolo di fronte a noi e che da subito cattura l'attenzione di quella malata di sky che mi ritrovo per figlia

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"Mamma, hai presente una famiglia a dieta?"
Mi guardo intorno: il marito è di nuovo prossimo al traguardo del quintale, la creatura è in piena fase di crescita e per quanto riguarda me, è meglio lasciar perdere: è evidente che no, una famiglia a dieta non ce l'ho presente, neanche un po'.
"Sai, quel tipo che mette a dieta tutti, con la storia dei cibi sani, leggeri, senza grassi- e via il burro, lo zucchero, l'acool, i grassi.... beh, è quello lì di fronte a noi, subito dietro la montagna di piatti sporchi e..uh, ha ordinato un mega gelato!!!"
...proprio vero che le soddisfazioni che ti danno i tuoi figli, non te le dà nessuno....
(segue)

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