Se mai mio padre dovesse entrare a forza in una galleria di personaggi letterari, sarebbe una specie di moderno padron 'Ntoni. Un po' perché passa metà del suo tempo libero a pescare, su un gozzo bellissimo che pur senza chiamarsi Provvidenza, è stato spesso silenziosamente benedetto da parenti ed amici per aver riempito le loro pance di quanto di più simile ai sapori del paradiso ci possa essere; un po' perché guarda le cose con il distacco di chi, proprio, non le capisce, e un po' perchè parla per proverbi.
O meglio: ogni tot di anni, mio padre crea un proverbio, un motto, un modo di dire, che gli piace particolarmente e che usa come corollario ad ogni evento che meriti la sua attenzione. Ed è così metodico in questo che i capitoli della storia della mia famiglia potrebbero benissimo intitolarsi con le chiose paterne, un po' come gli Annali romani, con la piccola differenza che, al posto dei consoli, qui avremmo frasi auliche come "dare soldi, vedere cammello", " cessa-lavori" e "son sempre arrivato secondo".
Quest'ultima frase è quella che mi riecheggia nella mente ogni volta che mi soffermo a fare qualche personalissimo bilancio esistenziale, che si conclude puntuale con l'amara constatazione che io, per contro, son sempre arrivata prima. Laddove il prima non è l'aggettivo, ma l'avverbio: vale a dire, cioè, che son sempre stata in netto anticipo su tutto. Il che, ad essere onesti, non è una fortuna, per niente: ho ferite che bruciano ancora, per aver messo in pratica quando i tempi non erano ancora maturi, idee personali che in seguito son diventate mode, tendenze e carri del vincitore, ma che all'epoca mi hanno fruttato reprimenda pubbliche, sopracciglia alzate, sguardi di commiserazione. Nell'elenco ci sta di tutto, dalla tesina di maturità ( bocciata alla stragrande, ai miei tempi si doveva fare la ricerca), al blog di cucina (scrivo le stesse cose, ma in privato, dal 2002), passando per titoli di tesi bocciati ( e poi rubati in tempi più maturi: farsene fottere due su tre, è quasi roba da professionisti), idee professionali riciclate e tutta una serie di varie amenità, fra cui trova posto anche Andrea Camilleri.
Correva l'anno 1995 e io insegnavo in un liceo scientifico cittadino, quando proposi al Collegio Docenti di affiancare ai Promessi Sposi la lettura di un testo a scelta fra Il Birraio di Preston e La Mossa del Cavallo. A distanza di tempo riconosco di avere avuto anch'io la mia parte di responsabilità, per tutto quello che successe dopo: l'anno prima, quando avevo chiesto se si potevano accompagnare i ragazzi al Teatro dell'Opera, iniziando una collaborazione col Carlo Felice, il Preside si era girato di scatto verso la vicaria e, dopo averle chiesto, con aria cospiratoria " Cu è Carlo Felice???" si era rivolto a me in malo modo, dicendomi :" Professore', nun cominciamo, che lo sapete benissimo che 'stranei, a scuola, nun se ne po' portare!!!" Quindi, un minimo di lungimiranza lo avrei dovuto avere. E proprio perché ne ero priva, non avevo previsto quello che successe dopo, con colleghi di lettere con la bava alla bocca, a darmi della sovversiva, armati del solito scudo del "son vent'anni che insegno allo stesso modo, non vedo perché dovrei cambiare", a proteggere vent'anni di questionari con le stesse domande, di lezioni con le stesse parole e di compiti per le vacanze che iniziavano sempre con la consueta "lettura degli ultimi - dieci, quindici, venti- capitoli dei Promessi Sposi"- che è meglio che se li facciano a casa, con calma....
Questa lunga premessa per dire che a me Camilleri piace tempore non suspecto, quando a lui non se lo filava nessuno e la Sellerio era una piccola editrice di nicchia, che pubblicava chicche per amatori e per cui bisognava specificare sempre che era "quella dei libretti blu", perché il nome, da solo, difficilmente arrivava a segno. E per dire anche che noi a Montalbano vogliamo bene, sul serio. Qui è una specie di amico di famiglia, un po' come la signora Fletcher, al punto che a volte ti stupisci del fatto che non esista nella realtà, da tanto fa parte della tua vita, del tuo modo di sentire e di vedere il mondo. Quindi, mi si perdonerà se dico che quest'ultima fatica letteraria, questo strombazzato ritorno del commissario, questa "danza del gabbiano" che avrebbe dovuto riportare ai fasti di un tempo il suo protagonista, è una mezza delusione. Lo è sin dalle prime pagine, con una Livia sempre più stanca, sbiadita e frusta e una prosa che stenta a decollare, impastichata in una prosa faticosa, lontana, lontanissima dalla freschezza di un tempo, con dialoghi spesso inefficaci, che raramente riescono a suscitare qualcosa di più che un semplice sorriso nel lettore. Ne consegue che il plot narrativo, che non è mai stato il pezzo forte delle inchieste del commissario, mostri la corda assai prima del solito, rivelando incongruenze e scioglimenti finali così repentini e opportuni da far storcere la bocca anche ai meno esigenti. E se è corretto riconoscere a Camilleri lo sforzo di tornare sulla retta via, abbandonata nelle sue ultime fatiche, forse schiacciato dagli obblighi di una popolarità troppo grande, è altrettanto vero che ciò avviene a tratti, a sprazzi, a flash, in un insieme che ha perso la meravigliosa fluidità di un tempo, increspatasi in punti di sutura manifesti e, in certi casi, addirittura grossolani.
Ciononostante, non si riesce ad essere più di tanto severi con il duo Camilleri- Montalbano: e questo perché, ancor prima che con la mente, li si legge col cuore, senza porre nessun filtro fra noi e la storia- non la ragione, non le competenze, non l'attenzione all'indizio. Qui ci si consegna subito all'emozione, in un turbinio di sussulti, simili ai passi della macabra danza del gabbiano, che oltrepassa il semplice spunto del titolo del libro per diventare l'emblema della cifra che ne contraddistingue la lettura, in un coinvolgimento costante e totale,che ora ti toglie il fiato, ora ti stringe il cuore, ora ti strappa un sorriso che anche se è l'eco lontana delle risate irrefrenabili dei bei tempi andati, segna comunque un legame forte e tenace, di quelli che resistono agli anni, allo smalto che via via si scrosta, alla brillantezza ogni giorno più opaca, alla freschezza dela gioia di vivere, che lascia spazio ad una maliconia, sottile ma struggente, degli anni che passano- per Camilleri e Montalbano e anche per te.
Andrea Camilleri
La Danza del Gabbiano
Sellerio Editore
13,00 euro
Ciononostante, non si riesce ad essere più di tanto severi con il duo Camilleri- Montalbano: e questo perché, ancor prima che con la mente, li si legge col cuore, senza porre nessun filtro fra noi e la storia- non la ragione, non le competenze, non l'attenzione all'indizio. Qui ci si consegna subito all'emozione, in un turbinio di sussulti, simili ai passi della macabra danza del gabbiano, che oltrepassa il semplice spunto del titolo del libro per diventare l'emblema della cifra che ne contraddistingue la lettura, in un coinvolgimento costante e totale,che ora ti toglie il fiato, ora ti stringe il cuore, ora ti strappa un sorriso che anche se è l'eco lontana delle risate irrefrenabili dei bei tempi andati, segna comunque un legame forte e tenace, di quelli che resistono agli anni, allo smalto che via via si scrosta, alla brillantezza ogni giorno più opaca, alla freschezza dela gioia di vivere, che lascia spazio ad una maliconia, sottile ma struggente, degli anni che passano- per Camilleri e Montalbano e anche per te.
Andrea Camilleri
La Danza del Gabbiano
Sellerio Editore
13,00 euro
Nessun commento:
Posta un commento