Aver coraggio significa sapere di essere sconfitti prima ancora di cominciare, e cominciare egualmente e arrivare fino in fondo, qualsiasi cosa succeda
La prima volta che ho letto questo libro, dormivo nel piano rialzato di un letto a castello, in una minuscola cameretta, in un angolo ancora ridente della periferia genovese. Avrò avuto sì e no dieci anni e l'edizione che avevo recuperato aveva una copertina gualcita già allora e il titolo era quello- evocativo e quasi magico- della strepitosa traduzione italiana.
L'ultima volta, di anni ne avevo venticinque, abitavo a Canterbury e riempivo ore altrimenti vuote aiutando il titolare del negozietto di libri usati di fronte a casa a mettere ordine sugli scaffali. L'edizione era una Penguin altrettanto gualcita, con su il titolo originale, To kill a mockingbird, che sulle prime non mi aveva detto nulla: ma era bastato aprire il libro e leggere un paragrafo a caso per decidere che la sua sorte non sarebbe stata quella di restare a prender polvere in terra inglese, ma di torsarsene a casa, con me.
In mezzo, ci son state 40 riletture, per un totale complessivo di 42 volte. Erano 41 le tacche sulla controcopertina dell'edizione di mia madre, ridotta a brandelli e riaggiustata ogni volta alla bell'e meglio con lo scotch, e la quarantaduesima fu la sera di quello stesso giorno in cui lo ritrovai: quella volta, però, fu una lettura diversa, nuova, corale, con la versione originale che richiamava immediatamente alla memoria il testo della mia infanzia e, con esso, mille voci che credevo sopite e che ora si risvegliavano, destate dal susseguirsi delle parole sulla pagina: la bicicletta appoggiata al muro del negozio di mia mamma, la scuola gialla e la mia maestra strampalata, la "casa vecchia" con l'orto pieno di sole e la cantina ombrosa e umida e il solito ritornello che ha scandito i primi anni della mia vita, quell'"Alessandra, chiudi quel libro" che per anni mi ha seguito come un'ombra, ovunque andassi, qualsiasi cosa facessi.
Ho sempre amato rileggere ed anzi, da bambina non riuscivo a farne a meno: i libri erano davvero degli amici e prenderli di nuovo in mano era l'unico modo che avessi per poterli riascoltare e rifrequentare: ma Il Buio Oltre la Siepe li battè tutti. Era il romanzo che avevo sul comodino, il libro che infilavo nella cartella, da ragazzina e, più tardi, nella borsa- ed ogni volta erano letture integrali, dalla prima all'ultima pagina, quasi che non potessi tollerare di perdermi una frase, una parola, una virgola, di quello che per la critica fu uno dei capolavori della leteratura americana del secolo scorso e che per me è, più semplicemente, il libro del cuore.
Il tempo ha aggiunto molte informazioni sull'origine e la fortuna di questo romanzo: per esempio, ho saputo che fu Truman Capote ad insistere perchè la sua amica Harper Lee lo scrivesse; che il libro si aggiudicò il Pulitzer, nel 1960; che da allora, l'autrice non scrisse più nulla, ma si ritirò a vita privata, vestendo i panni di una sorta di Salinger al femminile. Ma, al tempo delle avide riletture, di queste cose nulla sapevo- e nulla mi sarebbe importato: ero solo una ragazzina che aderiva a pelle con la protagonista, una bambina di sei anni, voce narrante di una storia dove l'ingiustizia si interseca con la giustizia, la vittoria con la sconfitta, l'altezza e la profondità di un senso etico puro con gli abissi delle più torbide bassezze- e lo fa con gli occhi di una bambina, con l'ingenua e ferrea logica di chi si aspetta che la giustizia trionfi, perchè giusta e i buoni vincano perchè buoni.
Spiegarle che non è così che vanno le cose spetta al suo papà, un giovane e avvocato della provincia del Sud degli Anni 30, prossimo a difendere un altro giovane, che sconta come unica pena quella di essere nato nero e che, per questo, viene ingiustamente accusato del peccato più turpe. Insieme a Tom Robinson, Atticus Finch difende il mondo a cui ha votato la sua vita e in cui si ostina a credere, che è quello della legge e della pratica della giustizia, unico baluardo a tutela del valore dell'uguaglianza, della parità dei diritti, del rispetto di quella dignità che, ancor prima che uomini, ci rende persone; difende una scala di valori irrinunciabili ed immutabili, sempre pronti a risorgere dalle ceneri delle loro sconfitte, linfe vitali di un imperativo etico che è l'altro filo che si intreccia nella storia delle brutture dell'umanità e che le rende per questo più sopportabili, meno disumane: e, infine, difende i suoi figli, dalle conseguenze di una storia troppo difficile da capire, troppo grande da sopportare, troppo amara da digerire. Ma li difende alla Atticus Finch, senza nasconderli dalla realtà, ma dando loro le uniche armi con cui valga la pena di combattere , ben diverse dalla carabina con cui stende, al primo colpo, il cane rabbioso che terrorizza il quartiere, sintetizzate dal precetto che ripete alla sua bambina, la sera, tenendola sulle ginocchia: impara a metterti nei panni degli altri.
In questo senso, Il Buio Oltre la Siepe è uno dei più alti inni alla tolleranza che siano mai stati scritti: perchè celebra una tolleranza che parla il linguaggio della comprensione- e non della compassione; della sussidiarietà- e non della solidarietà; della simpatia- e non della pazienza. E' la matrice comune del nostro essere uomini e donne, l'unica arma contro un destino che ci capita in sorte senza che ci siano meriti o colpe a determinarne il corso, facile alleato dei pregiudizi, dell'ignoranza, della cattiveria. Ed è, in ultima analisi, la risorsa inestinguibile che ci spinge ad andare avanti, a rialzarsi, da vinti, a ripartire, da sconfitti, sapendo che l'unica ricompensa sarà una coscienza pulita, una faccia che si riconosce, ogni mattina e ogni sera, un "si alzi, miss Louise: sta passando suo padre", struggente e toccante tributo a chi ancora non si arrende ed ancora ci crede.
La ricetta di oggi è un omaggio a Calpurnia,la governante nera che si prende cura di Jem e Scout, i figli di Atticus, dopo la morte della loro madre. Anche se nel libro ci sono molte figure femminili, è Cal quella a cui sono rimasta più affezionata: perchè è colei che arriva dove non giunge l'amore infinito del papà di due bambini senza mamma, con un accudimento ruvido e buono che è fatto di silenzi e di rimbrotti, di gesti affettuosi e di lavate di capo, di salopettes da rammendare e lacrime da asciugare- e di "vai piano con quella melassa" che, nei miei ricordi di bambina, è sempre stato il modo più immediato, più quotidiano e più sincero di voler dire al proprio figlio "ti voglio bene".
Qui la ricetta, della Dani
PS. non volevo scriverlo, ma tant'è. Se mia madre, mia sorella e qualche amico di vecchia data passa da qui, avrà i fazzoletti in mano. Perchè Il Buio oltre la Siepe è davvero il libro su cui ho modellato tutta la mia vita, il mio basso continuo, l'ispiratore, spesso involontario, di tutte le mie scelte, non ultima quella di una professione esercitata senza filtri e senza risparmio di tempo e di energie. Prima di oggi, era una specie di segreto, svelato a pochi, in confidenza. E se non ci fossero state le Donne (St)raordinarie, che per quante idee avessi, mi riportavano sempre qui, avrei glissato anche stavolta. Ma ogni volta che me lo sono lasciato scappare, ogni volta che ho sussurrato che se mai ho un testo di formazione, è proprio questo, tutti mi hanno risposto che ci avrebbero giurato. E, vi assicuro, per me non c'è mai stato complimento più grande.
Spiegarle che non è così che vanno le cose spetta al suo papà, un giovane e avvocato della provincia del Sud degli Anni 30, prossimo a difendere un altro giovane, che sconta come unica pena quella di essere nato nero e che, per questo, viene ingiustamente accusato del peccato più turpe. Insieme a Tom Robinson, Atticus Finch difende il mondo a cui ha votato la sua vita e in cui si ostina a credere, che è quello della legge e della pratica della giustizia, unico baluardo a tutela del valore dell'uguaglianza, della parità dei diritti, del rispetto di quella dignità che, ancor prima che uomini, ci rende persone; difende una scala di valori irrinunciabili ed immutabili, sempre pronti a risorgere dalle ceneri delle loro sconfitte, linfe vitali di un imperativo etico che è l'altro filo che si intreccia nella storia delle brutture dell'umanità e che le rende per questo più sopportabili, meno disumane: e, infine, difende i suoi figli, dalle conseguenze di una storia troppo difficile da capire, troppo grande da sopportare, troppo amara da digerire. Ma li difende alla Atticus Finch, senza nasconderli dalla realtà, ma dando loro le uniche armi con cui valga la pena di combattere , ben diverse dalla carabina con cui stende, al primo colpo, il cane rabbioso che terrorizza il quartiere, sintetizzate dal precetto che ripete alla sua bambina, la sera, tenendola sulle ginocchia: impara a metterti nei panni degli altri.
In questo senso, Il Buio Oltre la Siepe è uno dei più alti inni alla tolleranza che siano mai stati scritti: perchè celebra una tolleranza che parla il linguaggio della comprensione- e non della compassione; della sussidiarietà- e non della solidarietà; della simpatia- e non della pazienza. E' la matrice comune del nostro essere uomini e donne, l'unica arma contro un destino che ci capita in sorte senza che ci siano meriti o colpe a determinarne il corso, facile alleato dei pregiudizi, dell'ignoranza, della cattiveria. Ed è, in ultima analisi, la risorsa inestinguibile che ci spinge ad andare avanti, a rialzarsi, da vinti, a ripartire, da sconfitti, sapendo che l'unica ricompensa sarà una coscienza pulita, una faccia che si riconosce, ogni mattina e ogni sera, un "si alzi, miss Louise: sta passando suo padre", struggente e toccante tributo a chi ancora non si arrende ed ancora ci crede.
La ricetta di oggi è un omaggio a Calpurnia,la governante nera che si prende cura di Jem e Scout, i figli di Atticus, dopo la morte della loro madre. Anche se nel libro ci sono molte figure femminili, è Cal quella a cui sono rimasta più affezionata: perchè è colei che arriva dove non giunge l'amore infinito del papà di due bambini senza mamma, con un accudimento ruvido e buono che è fatto di silenzi e di rimbrotti, di gesti affettuosi e di lavate di capo, di salopettes da rammendare e lacrime da asciugare- e di "vai piano con quella melassa" che, nei miei ricordi di bambina, è sempre stato il modo più immediato, più quotidiano e più sincero di voler dire al proprio figlio "ti voglio bene".
Qui la ricetta, della Dani
PS. non volevo scriverlo, ma tant'è. Se mia madre, mia sorella e qualche amico di vecchia data passa da qui, avrà i fazzoletti in mano. Perchè Il Buio oltre la Siepe è davvero il libro su cui ho modellato tutta la mia vita, il mio basso continuo, l'ispiratore, spesso involontario, di tutte le mie scelte, non ultima quella di una professione esercitata senza filtri e senza risparmio di tempo e di energie. Prima di oggi, era una specie di segreto, svelato a pochi, in confidenza. E se non ci fossero state le Donne (St)raordinarie, che per quante idee avessi, mi riportavano sempre qui, avrei glissato anche stavolta. Ma ogni volta che me lo sono lasciato scappare, ogni volta che ho sussurrato che se mai ho un testo di formazione, è proprio questo, tutti mi hanno risposto che ci avrebbero giurato. E, vi assicuro, per me non c'è mai stato complimento più grande.
Nessun commento:
Posta un commento