E' dedicata ai dolci della cucina greca, la puntata di oggi dello Starbooks: e siccome è noto che quando si parla di dessert, oltre alla curva glicemica, si impenna anche quella dei contatti sui blog, vi segnalo subito le proposte di oggi, che ci vedono schierate in ranghi ridotti ma non per questo meno bellicosi, come si può facilmente capire da un semplice sguardo, qui sotto
1) Biscotti ripieni di mele e biscotti alle nocciole ripieni di anice di Patty (Andante con Gusto)
2) Tartufi alla carota di Ale (Ale Only Kitchen)
3) Halva al semolino di Cristina B. (Vissi di Cucina)
4) Kopenhagi, di MT (in attesa di una baklava che si decida a rendersi un po' più fotogenica)
La scelta di concentrarci sui dolci non è comunque dipesa dall'alto gradimento dei nostri lettori, quanto piuttosto dal desiderio di affrontare un tema poco noto, all'interno di una tradizione gastronomica che, in questo campo, si è dovuta arrangiare con quello che offriva la sua terra, tanto feconda di ingegni e di eroi, quanto povera di materie prime. Ma non è un caso che siano stati proprio i nostri antenati Greci a rivelarci fin dove possano arrivare le astuzie dell'intelligenza: e se, ahinoi, ancora non ci è pervenuto un "Odisseus Tips and Tricks", a farci restare a bocca aperta basta il sorprendentemente lungo elenco di ricette che Vefa Alexiadou ha raccolto sotto la voce "dessert": biscotti, torte, creme, pasticcini, pani dolci... nulla manca all'appello delle portate con cui si concludono i pasti o si festeggiano piccoli e grandi ricorrenze, ma tutto nasce dall' incontro di uno sparuto numero di materie prime (formaggio di capra, miele, frutta secca) che si combinano in mille forme e in mille modi, plasmati dalla versione domestica, ma non per questo meno apprezzabile, del solito genio ellenico.
Nella raccolta di Vefa Alexiadou, si è detto, i dolci sono davvero tanti, dai più famosi ai meno noti e quasi tutti nella versione più semplificata. Invoco gli esperti in materia a sostegno di una personale impressione- e cioè che si tratti di ricette estremamente semplici, quasi che, di fronte al bivio della complessità degli ingredienti e delle tecniche e quello dell'essenzialità degli uni e delle altre, si sia scelta quest'ultima strada e la si sia percorsa pure con decisione. Questo perchè il fine editoriale di Vefa's Kitchen è chiaro- e diventa chiarissmo, specie dopo che si è mangiato greco per una settimana. A dispetto delle sbandierate (e fondatissime) ambizioni di completezza e precisione storica, infatti, lo scopo di questo libro è anzitutto didattico: non "istruire", quindi, ma "insegnare", in una linea di coerenza, se non addirittura di continuità, con la fama che la sua autrice si è guadagnata sul campo, come divulgatrice per eccellenza delle tradizioni gastronomiche della sua terra.
In patria, Vefa Alexiadou è una sorta di icona della cucina greca: ha all'attivo una quindicina di libri (questo, è il 14esimo, ma è talmente prolifica che non mi sentirei di escludere che non ce ne sia già un altro in stampa) e da anni sveglia il popolo ellenico con un Morning Coffee da cui dispensa consigli, interviste, ricette. Ovviamente, ha una sua linea personale di casalinghi e, neanche a dirlo, con lei si sprecano i paragoni con altre signore, diventate imprenditrici della loro passione, da Delia Smith a Martha Stewart (a me ricorda Wilma De Angelis, per la serie "si fa quel che si può")
In effetti, oltre alla cofana bionda e allo sguardo da "a-me-non-sfugge-niente", con le sue "colleghe" la signora Alexiadou ha in comune la tenacia e la fiducia nei propri mezzi, senza le quali mai sarebbe riuscita ad imprimere una svolta alla sua vita e a farlo così bene: fino ai 45 anni, infatti, Vefa era un'impiegata in un'industria, che metteva a frutto la sua laurea in chimica nell'ambito professionale e cucinava per passione nella vita privata. A forza di sentirsi chiedere ricette, decise di pubblicare un suo libro e, in mancanza di editori sufficientemente illluminati (e anche qui, i paragoni si sprecherebbero), chiese un prestito e pubblicò a sue spese. Nella prima settimana, senza nessuna promozione se non il tam tam degli amici, il libro vendette ben 5000 copie e spianò la carriera di Vefa, come autrice su carta, prima, e come star televisiva poi.
Una carriera che, come dicevamo, ha sempre avuto come filo conduttore quello della coerenza, con una declinazione in parallelo di contenuti aderenti alla tradizione e al territorio e di ricette estremamente abbordabili e di sicura riuscita, che trova in questa ultima fatica il suo punto di ricapitolazione.Qui confluiscono anni e anni di studi e l'intelligenza di mettere il mezzo televisivo a servizio di un progetto collettivo, di tutela di una tradizione che la Alexiadou ha sempre percepito come un patrimonio di tutti e che in questo senso ha elevato l'onesto intento divulgativo delle sue opere e dei suoi programmi al rango di una vera e propria operazione culturale. Anzichè limitarsi ad apparire in video e a prestare la sua immagine e le sue ricette a questa o quell'azienda, Vefa ha sfruttato il mezzo televisivo per raccogliere le ricette di famiglia dei suoi ascoltatori e dei suoi lettori, inventandosi una gara settimanale e un premio- la pubblicazione della ricetta della settimana su una rivista. Ogni ricetta è stata sottoposta ad un vaglio attento, a comparazioni, a riscontri con la cucina del territorio e confrontata con il retaggio personale dell'autrice che, dopo anni di lavoro, ha finalmente consegnato alle stampe quello che per tutti è il degno erede della monumentale opera di Nikos Tselementes, che dal 1910 non aveva avuto rivali.
Vi immaginate cosa sarebbe successo in Italia, con una operazione del genere? Quante grida di "plagio" si sarebbero sollevate? Quanti quaderni di ricette sarebbero stati rinchiusi a marcire nei forzieri di casa, piuttosto che finire in un libro che non portava la firma di tutti i singoli contribuenti?
In Grecia, grazie al cielo, le cose sono andate diversamente: e se oggi abbiamo finalmente un testo completo, che sta diffondendo la vera cultura gastronomica di un Paese altrimenti ancorato a stereotipi monotoni e soprattutto male eseguiti, è proprio grazie alla coscienza collettiva di un popolo che ha scelto di collaborare, difendendo un'individualità popolare, ancor prima che personale, nel nome di un'identità culturale forte, nella quale ci si rispecchia e ci si riconosce, da secoli. Tutelare quel patrimonio, contribuire a diffonderlo nel mondo e a farlo in un modo corretto e intelligente significa anche tutelare se stessi e quei valori che hanno preso forma in una tradizione e che, passando di mano in mano, di generazione in generazione,vengono riattualizzati e resi vivi, anche da gesti semplici e quotidiani, come preparare un pane o un dolce secondo la ricetta della nonna.
Questo è il vero significato di questo libro,questo il vero messaggio culturale, questa l'ennesima, grande lezione che ci viene dal popolo greco che ci conferma, ancora una volta, quanto abbiamo ancora da imparare. Sempre da loro, anche in questo campo.
KOPENHAGI
Doppie scuse preliminari, l'una legata all'altra: le foto fanno schifo, intanto perchè le ho fatte io- e le ho fatte con la luce peggiore della giornata, nel punto peggio esposto della casa. Ma fino a ieri mattina ero decisa a non pubblicare questo dolce, perchè non mi aveva granchè soddisfatto. Nulla da dire sulla riuscita, dal punto di vista tecnico- a conferma della piena affidabilità dello Starbooks di questo mese. Ma il palato, era rimasto deluso. Tant'è che l'ho divisa in due e metà è finita in ufficio, il giorno dopo.
E lì, c'è stata la rivelazione.
Praticamente, un'altra torta.
Un'esplosione di sapori, un gusto rotondo, ben armonizzato, un equilibrio di consistenze perfetto, un mezzo tripudio, insomma, che mi ha convinto non solo a pubblicarla sul blog ma a farlo immediatamente, viste le richieste che si levavano dalle varie scrivanie, tutte sul tema di "dammi-la-ricetta-subito".
E quindi, pubbliche scuse anche alla signora Alexiadou, per aver dubitato della veridicità delle sue parole- e aver consegnato ai nostri lettori una foto così indegna, che davvero non rende la bontà di questa torta, non a caso pensata per un re- vale a dire quel Giorgio I di Grecia, nato proprio nella capitale danese. Da quel 1863 che è il suo anno di nascita ufficiale, questa torta si è diffusa un po' dappertutto, dalle cucine reali a quelle più povere ed oggi ognuno ha una propria versione, sulla cui originalità è pronto a giurare col sangue.
Vefa ne riporta una piuttosto semplificata, facilissima da realizzare con un'unica controindicazione; mai mangiarla appena uscita dal forno. Resistete un giorno intero- e sarete ampiamente ricompensati
Per uno stampo rotondo, del diametro di 25 cm (o uno quadrato, di 20 cm di lato circa)
Per la frolla
350 g di farina
1 cucchiaino di lievito
225 g di burro
70 g di zucchero
2 tuorli
2 cucchiai di brandy (facoltativo)
limone o vaniglia per profumare
preparare una pasta frolla e stenderla sul fondo di uno stampo imburrato. Bucherellare e cuocere in bianco a 200 gradi per 10-15 minuti
Nel frattempo, preparare il ripieno
Per il ripieno
200 g di mandorle tostate, spellate e tritate fini
4 uova
70 g di zucchero
mezzo cucchiaino di cannella in polvere
mezzo cucchiaino di chiodo di garofano in polvere
un cucchiaino di lievito
4 fogli di pasta fillo (alla Metro, reparto paste congelate)
burro per ungere
Montare le uova con lo zucchero, fino a quando sono spumose. Aggiungervi le mandorle finemente tritate, la cannella, il chiodo di garofano e il lievito e, con l'aiuto di una spatola, stendere il composto in modo uniforme sul fondo di pasta sfoglia.
Ritagliare 4 fogli di pasta fillo dello stesso diametro della tortiera, disporre il primo sul ripieno di mandorle e spennellarlo di burro fuso. Stendervi sopra il secondo, spennellarlo, procedere col terzo, spennellare anche quello e infine chiudere col quarto. Terminare con una spennellata di burro, fare dei tagli trasversali e infornare a 180 gradi per circa mezz'ora: quando la superficie della fillo è di colore dorato, è pronta.
Togliere dal forno, lasciar raffreddare e, nel frattempo, preparare lo sciroppo
300 g di zucchero fino, tipo Zefiro (basta frullare lo zucchero semolato per qualche secondo, a media velocitò: prima che diventi zucchero a velo, spegnete tutto!)
250 ml di acqua
il succo di mezzo limone filtrato.
Mettete tutti gli ingredienti in un casseruolino, meglio se senza fondo spesso e portateli a bollore su fiamma media. Fate bollire per 5 minuti e poi versare lo sciroppo su tutta la torta, in modo da annegarla completamente. Lasciar riposare e consumare il giorno dopo
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