Quando avevo l'età di mia figlia, ero la più grande esperta vivente di porcate alimentari.
Ero in grado, senza battere ciglio, di sciorinarvi tutta la mappa dei Mc
Donald's d'Europa, con tanto di declamazioni dei menu e di degustazioni
comparate dei Mc Nuggets e dei milk shake alla fragola; potevo dirvi
quanti anelli di cipolla erano contenuti nelle diverse porzioni di onion
rings del Burger King, quale fosse l'orario migliore per un Buddy Meal
al KFC e se fossimo stati in confidenza vi avrei anche mostrato le prove
della conoscenza sul campo, dalla collezione delle sorprese degli
Ovetti Kinder e del Mulino Bianco fino alle confezioni da 24, unte e
rigorosamente vuote, dei Dunkin Donuts. Se poi aveste fatto trapelare
qualche segnale di complicità, di sicuro saremmo passati allo scambio
dei segreti più inconfessabili, elencati in ordine cronologico nel solo
vero kamasutra che abbia mai avuto diritto di cittadinanza in camera
mia- e cioè, il "come mangi la Girella" "da dove inizi con il Buondì
motta" fino all'apoteosi dei sensi delle rotelle di liquerizia Haribo
che, vista l'importanza rivestita nella formazione gastronomica della
sottoscritta, meriterebbero un trattato a parte.
Per la legge della compensazione, che funziona sempre perfettamente
quando si abbina alla vista lunga della sfortuna mia figlia che ha ora
l'età che avevo allora è una sacerdotessa dell'healthy food.
Capisco Medea, per dire.
La fregatura maggiore non sta nè nella tristezza della spesa, nè nel
costante sfracellamento di maroni a cui sono sottoposta, da un anno a
questa parte,a botte di "queste non sono proteine", "questo è ZUCCHERO,
MAMMA, TI RENDI CONTO CHE QUESTO E' ZUCCHEROOOO!!!!", quanto piuttosto
nel fatto che il sostegno di mia figlia venga meno, nel momento del
bisogno.
Perchè, in questi ultimi anni, quelli in cui la Natura fa a noi donne il
dono di ingrassare ad ogni respiro, ho dovuto di necessità tagliare di
netto, alla voce porcate.
Avrei preferito farlo alla voce "respiro", ovviamente, ma non è stato possibile.
Il sacrificio ha assunto poi proporzioni epiche da quando abito qui,
nella sublimazione del regno delle porcherie: ogni giro al supermercato è
un condensato delle fatiche di Ercole, con tutte le collezioni di Oreo
che, come le teste dell'Idra di Lerna, spuntano dagli scaffali, assieme
ai pomi d'oro dei Ferrero Rocher (gli Asiatici ci impazziscono, più che
per la Nutella - e vai di serie limitate) e alle cinture, non di
Ippolita ma di ogni più inverosimile prodotto che ha tutto, ma proprio
tutto, per rendersi irresistibile ai miei occhi, colore radioattivo
compreso.
E' qui che entrerebbe in gioco mia figlia: perchè quello che non posso
comprare per me, posso ovviamente comprarlo per lei. E una volta in
casa, chi andrebbe a disquisire su sottigliezze e dettagli, riguardo a
chi ha effettivamente fatto fuori i kit kat al pandan, per dire?
Di conseguenza, quando ho dovuto scegliere (sottolineo "ho dovuto") una
ricetta per questo Starbook, ero parecchio affranta. Il palato fine di
mio marito si sarebbe ritirato sdegnato (gli Oreo, a lui, stanno come
l'acqua santa al diavolo, con la differenza che quelli sono ripieni e
adesso anche al cappuccino, al lampone, al burro salato e sarà meglio
che torni in argomento, va'), di mia figlia, neanche a parlarne, gli
amici miei son quasi tutti via- e gli altri partiranno dopo me e
insomma, già mi vedevo da sola, di fronte all'impresa immane di
resistere a una montagna di calorie sotto forma di una torta a 4 strati.
E invece...
E invece è andata che la creatura ha fatto il lemon curd e già che c'era
pure col burro e già che c'era si è leccata la pentola e già che c'era
ha assaggiato un Golden Oreo new ediscion e già che c'era "ne assaggio
una fetta" e già che c'era.."se non finisci la tua, ci penso io"
Che, sia chiaro, io l'avrei anche finita da sola, la mia.
Ma già che c'era...
ricetta
QUI, allo Starbooks