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martedì 28 giugno 2016

Anche gli angeli mangiano fagioli...

fagioli2


Post datato 24 settembre 2012.
Lo riprendo ora, perche' oggi e' morto Bud Spencer e da quando vivo qui ogni occasione e' buona, per approfondire vuoti che non si colmeranno mai.

Che ci crediate o meno, a me il cinema non piace. I pochi film che guardo, li vedo in TV e sono sempre funzionali all'asse da stiro, oltre che rigorose "seconde scelte", dopo i vari Barnaby e Poirot a cui l'intera famiglia è debitrice di bucati stirati -e pure in tempo. Al cinema, invece, non vado da tempo immemorabile (l'ultima volta fu per Julia &Julie e, detto inter nos, me ne sarei potuta anche stare a casa). La spiegazione ufficiale è che il mio lavoro mi obbliga a sentir storie tutti i giorni. Sono il punto di partenza di ogni giornata, la trama su cui imbastisco tesi e controtesi, il mio puzzle quotidiano su cui spesso e volentieri mi scervello, dal lunedì al venerdì: le ascolto, le rielaboro, le studio, le interpreto e, infine, le riscrivo- e questo da quasi quattordici anni, senza interruzione. Andarmele a cercare anche nel tempo libero equivarrebbe a portarsi del lavoro a casa, anche nei fine settimana o alla sera: e visto che si son riposati anche ai piani alti- chioso abitualmente- avrò diritto anch'io a staccare un po', giusto?

Questa, dicevo, è la spiegazione ufficiale: la so a memoria, a dire il vero, perchè di tutte le scuse che ho dovuto cercare per motivare questo rifiuto, è quella che va sempre a segno. La gente si incuriosisce, quando sente parlare di fatti altrui e se faccio tanto di riuscire a portarli sul terreno confortante della mia professione, è fatta: gioco in casa, ho il conforto di copioni stracollaudati e non ho bisogno di confessare la vera ragione per cui non metto piede in una sala cinematografica da vent'anni. Pure precisi. 
Perchè prima dell'inverno del '92 io ci andavo, al cinema, e pure regolarmente. Avevo anche preso il vizio del mercoledì, quando i biglietti costavano meno e per un certo periodo pure quello del lunedì, con tanto di tesserino azzurro che certificava il vizio. Leggevo le recensioni sui giornali, sceglievo accuratamente fila e posto e controllavo tutti i titoli di coda, unico ma doveroso tributo a quel dietro le quinte che mi affascinava tanto quanto le sceneggiature e l'ambientazione. 
Ma poi ci fu Lanterne Rosse- e da allora, nulla fu più come prima. 
Che cosa mi fosse successo, durante la proiezione di quel film, è cosa che ricordo alla perfezione, nonostante i vent'anni trascorsi. Ero entrata pimpante, ero uscita distrutta, prostrata da un messaggio diverso da quello intenzionale ma che, evidentemente, aveva toccato le corde più fragili di quel groviglio di emozioni senza filtro che ero io allora. 
Tante volte ho pensato che dovrei rivederlo: mia madre me ne aveva procurato una videocassetta, ai tempi in cui riprodurre film non era così facile come oggi e non è escluso che nella cineteca di famiglia il dvd ci sia e in ogni caso procurarselo non sarebbe il problema. Mi incurioserebbe vedere se sono rimasta la stessa di allora (sotto sotto, tem di sì) o se, nel frattempo, qualcosa è cambiato. Ma rimando sempre, sospesa come sono fra il timore di dover riaprire antiche ferite o quello, altrettanto doloroso, di ritrovarmi con vent'anni di arretrati da smaltire ed una rinnovata passione da aggiungere all'elenco delle cose che non ho il tempo di coltivare come vorrei. E così, lascio perdere e mi drogo di campagne inglesi e cadaveri sparsi. 

La cosa strana è che io son circondata da cinefili: lo sono mio marito e mia figlia e non passa sera che mi abbandonino al mio libro per guardarsi un film su cui discuteranno il giorno dopo, sin dal primo caffé della mattina. E, prima ancora, lo erano stati mia nonna e mio padre.

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Mia nonna era del 1913 e aveva accolto l'avvento del cinema con l'entusiasmo ingenuo e fanciullesco della generazione che l'aveva preceduta: un po' come i primi spettatori della prima proiezione dei fratelli Lumiére, quelli che erano fuggiti dalla sala in preda al panico, convinti che il treno uscisse dallo schermo e li investisse tutti. Lei guardava i film senza alcun filtro, risucchiata dalla potenza del mezzo in modo tanto inesorabile quasi inevitabile e non c'era verso di staccarla dalla poltrona, ipnotizzata com'era dalla storia che si stava svolgendo sotto i suoi occhi e di cui lei era, a turno, ora la protagonista ora la spalla, con un interscambio di ruoli che, per noi che assistevamo in diretta alle trasformazioni, costituiva una sorta di spettacolo nello spettacolo, quasi sempre più imperdibile di quello vero. Quando era più vecchia ed io ero una ragazzina, aveva preso il vizio di interagire con la TV: messi da parte i freni inibitori che l'avevano trattenuta fino ad allora, protetta dalla privacy della sua camera o della famiglia, aveva preso l'abitudine di seguire un suo copione, che recitava accanto a quello degli attori. Ricordo con orrore il "prego, si accomodi, faccia come fosse a casa sua" rivolto al signor Ingalls che bussava alla porta della Casetta nella Prateria, accompagnato dalle movenze delle grandi occasioni, con lei in piedi davanti al televisore, il grembiule slacciato in fretta e messo via e il sorriso beato di chi, in quel momento, accantonava le preoccupazioni della realtà per proiettarsi nel conforto della finzione. 
Mia madre raccontava che, da giovane, era peggio: ai tempi, una signora non poteva andare al cinema da sola, pena l'irrimediabile rovina della propria reputazione. E siccome mio nonno non riusciva a tenere il passo della passione, lei  obbligava i figli ad accompagnarla. La prima sala cinematografica era alla periferia della città, per loro che provenivano da un piccolo paese, senza altri mezzi se non quelli forniti dalla natura: e delle caterve di pellicole viste in quegli anni, mia madre ricordava solo il mal di piedi. 
Mia nonna, per contro, li sapeva a memoria e tale era la passione che aveva imparato tutti i nomi degli attori, pure quelli di quel cinema americano così glorioso e prodigo di sogni a buon mercato. Le sue pronunce erano uno spasso, per me e mia sorella bambina: il bisnonno, somigliava a "clarche gabble", il nonno era tutto "ion vaine" e ogni volta che la sentivamo prender fiato e ansimare, in puro stile Spirit of saint Louis, ci affrettavamo a tranquillizzare gli astanti che "no, davvero, non le sta venendo un enfisema: sta solo cercando di dire Humprhey  Bogart"



Se mia nonna aveva gusti sofisticati, amante com'era della commedia americana e delle storie d'amore, mio papà si divertiva con i film d'azione. Di guerra, ovviamente, ma anche i grandi western del dopoguerra, le spy stories degli anni Ottanta e Novante e tutto quanto regalasse colpi di scena ed emozione, meglio ancora se accompagnati da colonne sonore degne di questo nome. The Blues Brothers, il magico Clint (sia da attore che da regista) e tutte le storie della seconda guerra mondiale, da I Cannoni di Navarone a Operazione Sottoveste sono stati il basso continuo delle serate al cinema con nostro padre. Ma, per quanti film si siano potuti condividere in tutti questi anni, nulla ha mai scalfito l'inossidabile primato degli spaghetti -western e della coppia più divertente, più scanzonata e, sotto sotto, mai veramente rinnegata di questo filone, vale a dire Bud Spencer e Terence Hill. 

Il titolo del post si riferisce all'unico film in cui Bud Spencer recitò con Giuliano Gemma- ed è manifestamente asservito alla ricetta scelta per rappresentare l'intero genere cinematografico. Ma i veri idoli della nostra infanzia erano loro due, Terence Hill e Bud Spencer , tanto che, mentre i nostri coetanei si arrovellavano a ricordare i sette re di Roma o le province della Lombardia, io e mia sorella facevamo a gara a chi diceva prima tutti i titoli dei loro film, da Lo chiamavano Trinità ai Due Superpiedi quasi piatti, l'ultimo che andammo a vedere tutti assieme: in quell'anno, uscì La Febbre del Sabato Sera, che oggi ritengo uno dei film peggiori che abbia mai visto ma che all'epoca fu una sorta di rito di passaggio, dall'infanzia all'adolescenza e che, assieme a tante altre cose, si portò via pure queste domeniche pomeriggio al cinema, con mamma e papà. 

Perchè era la domenica, in quegli anni, il giorno dedicato allo svago ed al riposo: il sabato libero era sconosciuto, al pari degli orari continuati, delle pause pranzo in ufficio o in palestra, della spesa a domicilio, ordinata da casa con un semplice clic. E neppure esistevano i centri commerciali o i negozi aperti nei giorni di festa: l'unica alternativa al cinema, in inverno, era il Genoa, che allora giocava di domenica e solo di domenica, una volta in casa e una fuori. Anche le auto si usavano una domenica sì e una no, a seconda di come finivano le targhe, in un'alternanza tranquillizzante che teneva a bada paure reali e riempiva le macchine altrui di bambini ed anziani, in slanci di solidarietà che oggi son solo ricordi venati di nostalgia. 
La stessa con cui ripenso a questi film, che definire parodistici è quanto di più sbagliato possa venire in mente: perchè se mai qualcosa mancò, a questo genere, fu proprio la spinta intellettuale, il fine dissacratorio, la vis polemica che contraddistingue le parodie tutte. Qui, ci si prendeva semplicemente a cazzotti, con una comicità tutta gestuale, capace però di ottenere le stesse finalità catartiche di rappresentazioni ben più ambiziose e di gran lunga più pregevoli: si rideva e ci si divertiva, e questo anche perché non c'erano incertezze, né di ruolo, né di trama: i buoni di qua, i cattivi di là e non facevi in tempo a prender posto che già sapevi come sarebbe finita, con Bud Spencer e Terence Hill che avrebbero fatto trionfare la giustizia, per l'ennesima volta, scampando ai pericoli che si presentavano via via e che, nel caso di Terence Hill, comprendevano anche gli sguardi languidi delle fanciulle del west: quello che davvero contava per noi bambine che adoravamo i suoi occhi azzurri e il suo sorriso da eterno ragazzino, era che rimanesse single ed incontaminato e mai scena fu accolta con maggiore sollievo che l'addio alle bellezze mormoniche, in Lo chiamavano Trinità. 

Come dicevo prima, con l'adolescenza smettemmo di andare al cinema al pomeriggio. O meglio, ci si andava, ma rigorosamente senza mamma e papà. E smettemmo anche di guardare questi film, che facevano parte di un passato da omettere, se non proprio da dimenticare, in quell'immagine di ragazze culturalmente impegnate che ci stavammo costruendo in quegli anni. Mio padre, invece, continuò a guardarli: non più al cinema, ma in televisione. Ogni volta che ne programmavano uno, non c'erano scuse per distoglierlo dal telecomando e dal divano. A forza di rivederli, ovviamente, li sapeva a memoria. E capitava sempre più spesso di sorprenderlo a sghignazzare, assai prima che cominciasse la scena, pregustando battute che ormai sapeva a memoria, ma che riuscivano ogni volta a strappargli una risata: noi lo sentivamo ridere e, di colpo, tutto tornava come allora, con me e mia sorella piccine, la mamma che chiudeva il negozio, la nonna e il suo eterno daffare e quel papà che era la nostra roccia, più bello di Terence Hill, più forte di Bud Spencer, il porto sicuro di tutte le tempeste della nostra vita.

Ovviamente, questa ricetta partecipa a Cinegustologia , il contest di Andante con Gusto, presumo fuori concorso perché il film non rientra in nessuna delle categorie prevista. Ma mi era impossibile non partecipare, per l'affetto che mi lega a quell'altra metà della mia mela che ogni giorno si rivela essere la Patty- e ancor più impossibile  non farlo con questo genere di film: perchè visto che ricominciare si deve, non posso non farlo da qui.


SALAMINI COI FAGIOLI

salamini

Come dicevo qui, i fagioli si intendono rigorosamente freschi secchi: vanno tenuti a mollo una notte e poi scolati, sciacquati e rimessi in abbondante acqua fredda, meglio se in una pentola di coccio, con aglio, salvia, sale e uno o due cucchiai di olio d'oliva. Il segreto per una buona cottura è farli sobbollire a lungo, a fuoco basso, fino a quando diventano teneri. A quel punto si scolano e si condiscono, come si preferisce. Più sotto, comunque, troverete altri consigli per una cottura perfetta. 

Per gli ingredienti, vado sempre ad occhio. Calcolo due salamini a testa per ogni commensale, ma vi assicuro che in casa mia ne mangerebbero anche tre, se non addirittura quattro. Lo stesso vale per i fagioli, che vanno pesati da cotti: indicativamente, son cento grammi per ciascuno, ma fra l'intingolo e tutto il resto, non stupitevi se vi verrà chiesto il bis. D'obbligo la puccetta, col pane. 

Preparazione
Affettate sottilmente la cipolla e fatela imbiondire in poco olio. 
Nel frattempo, in una padella antiaderente, senza altro grasso, fate saltare la pancetta, a fuoco vivo, per pochi minuti: appena avrà rilasciato il suo grasso, scolatela e aggiungetela alla cipolla. Unite poi la salvia (se vi piace, ma in Toscana  è un must) e i fagioli e faate insaporire per un minuto o due a fiamma vivace. Aggiungete la salsa di pomodoro, aggiustate di sale, abbassate la fiamma e fate cuocere, fino a quando il sugo inizierà ad addensarsi. 
Nel frattempo, incidete per lungo i salamini e adagiateli dalla parte incisa su una bistecchiera già calda: anche in questo caso, non utilizzate nessun grasso, che ci pensa già la carne a rilasciarne in abbondanza di suo. Lasciateli cuocere pochi minuti per parte e tirateli via quando sono bruniti fuori ma ancora al sangue: proseguiranno la cottura in padella, assieme al sugo e ai fagioli. 
Uniteli al resto degli ingredienti e fateli cuocere ancora per un minuto o due, badando a che il sugo non si restringa troppo. 
Portate in tavola la padella e servite, con una generosa spruzzata di pepe nero, macinato all'istante.

Note mie
Come dicevo prima, il punto di forza di questo piatto sono gli ingredienti, che devono essere freschi e di ottima qualità: il discorso vale ovviamente per la carne e i fagioli, ma include anche la salsa di pomodoro. Nelle ricette antiche, la si preparava al momento, direttamente nel soffritto di cipolla- e poi la si passava, prima di aggiungere i fagioli. Ora si tende a saltare questo passaggio, ma io dò per scontato che si usi una buona salsa, meglio se fatta in casa. 

Il segreto per la cottura dei fagioli è farli muovere il meno possibile, durante la sobbollitura: tenete la fiamma bassissima e non mescolate mai. Di solito si calcolano 5 parti di acqua per una parte di fagioli (100 g di fagioli, 500 di acqua), ma anche se non siete così rigorosi non importa: l'essenziale è che non li mettiate a cuocere in due dita di liquido, che si consumerebbe nei primi minuti. A questo proposito, meglio usare pentole dal fondo spesso: il coccio sarebbe l'ideale, ma anche un doppio o addirittura triplo fondo non sarebbero male. 

Se usate fagioli freschi, invece, non c'è bisogno dell'ammollo. Rendon meno di quelli secchi (una porzione, di solito, è 250 g con la buccia, contro gli 80-100 dei fagioli secchi, ovviamente senza buccia) e vogliono anche cuocere meno: cambiano quindi le proporzioni dell'acqua, di solito 1:4, ma vale sempre la solita regola: regolatevi a occhio per l'acqua e all'assaggio per i tempi di cottura: quando son teneri, son pronti (indicativamente, un'oretta, ma anche meno, dipende dalla qualità dei fagioli)

Faccio tutte le cotture separate, anche quella della pancetta, per evitare i grassi: un piatto dietetico non è -e alle calorie del maiale e dei fagioli vanno aggiunte anche quelle del pane, che senza la puccetta finale non è per niente la stessa cosa: per cui, laddove si può, si risparmia :-) In più, a titolo assolutamente personale, troppi grassi inquinano i sapori: quindi, cotture separate e insaporimento finale. 

Fate attenzione a che la salsa non si addensi troppo, quando unite i salamini: lasciatela piuttosto liquida prima (o meno densa, a seconda), portandola a cottura con l'aggiunta di un mestolino d'acqua: eviterete l'effetto mappazza.


ciao 
ale

venerdì 12 settembre 2014

LONZA AL CARAMELLO SALATO CON SALSA ALL'ARANCIA E ZENZERO


Stamattina corro, molto più di quanto sia successo  in passato. 
E la "colpa", stavolta, è del gatto. 
Perchè nell'era Ante Winnie, il mio unico tempo buono, per farmi un caffè come si deve (all'americana, lunghissimo), sfogliarmi i blog di cucina, tenere due relazioni virtuali su Facebook e, naturalmente, aggiornare le pagine dove scrivo era compreso all'incirca fra le sei e le sette del mattino: dopo, c'era il risveglio dei membri della famiglia e altre due colazioni, la Vestizione dell'Ingegnere, il rosario di ohm di fronte alle crisi della creatura (ma sono isteriche già appena alzate, le adolescenti femmine- oppure solo io ho tutte le fortune?) e quel che restava era "tempo rubato ai doveri familiari". 
Ma prima, c'era il "tempo mio". 
Ora, invece, c'è il "tempo di Sir Winston". 
Considerato che, strategicamente (per gli altri due) si è deciso di lasciargli la stireria come camera da letto
"Veramente, sarebbe anche il mio studio, la stireria", ho avanzato, in modalità "nessuno tocchi Cenerentola"
"E da quando, lavori da casa?" è stata la risposta corale. 

Per farla breve, non faccio in tempo ad aprire la porta che vengo travolta da un gomitolo nero che miagola e graffia e che, ultimamente, si accende pure. 
Non "fa le fusa"
Questo, vale per l'universo mondo degli altri gatti. 
Il nostro, sembra un frullino, in modalità turbo. 
All'inizio, credevo di avere problemi di stomaco, per dire. 
Poi, ho pensato che li avesse il gatto. 
Di stomaco, di schiena, di collo, di zampe: di tutto, insomma, visto che non c'è parte del suo corpo che non vibri come un indicatoredi terremoto, in corso di scossa. 
E ditemi voi, come faccio a lasciarlo andare, a dirgli di giocare da solo che devo scrivere le ricette sul blog, portandomi dietro i sensi di colpa per tutto il giorno, che già mi tocca lasciarlo quando vado in ufficio.. come faccio, me lo dite?
Ah, ovviamente, la versione ufficiale NON è che mi sto Svanpeltizzando.
La versione ufficiale è che un gatto che fa le fusa come se non ci fosse un domani serve per il rassodamento cosce. 
Che non sia mai che mi rammollisca...


LONZA AL CARAMELLO SALATO CON SALSA ALL'ARANCIA E ZENZERO

Altro cavallo di battaglia, di una facilità estrema: praticamente, fa tutto da sola, cottura, caramellatura e porca figura- e non solo per onore di rima. Non credo di averla mai pubblicata, anche se c'è chi lo ha fatto per me, anni fa (ci sarebbe pure la Parodi, che ho scoperto che le ha fatte tutte, le ricette col trucco che sto pubblicando, dai tagliolini al limone a questa qui e in questa non ha neppure cambiato una virgola, tanto per partire già con l'ego sottodimensionato, di prima mattina :-)): in ogni caso, non sto dicendo bugie: basta mettere in pentola la carne e lasciare che avvenga la magia...

800 g di lonza
1600 ml di acqua fredda
3 cucchiai di zucchero di canna
un cucchiaino raso di sale fino
sale grosso

per la salsa all'arancia e zenzero

versione for dummies
1 arancia non trattata, scorza e succo
una spruzzata di Gran Mariner (facoltativo)
la punta di un cucchiaino da caffè di zenzero 

versione porca figura
2 cucchiai di zucchero di canna 2 cucchiai di fondo di cottura della carne
1 cucchiaino da caffé di zenzero
il succo filtrato di un'arancia
2 cucchiai di Gran Marnier
1 cucchiaio raso di farina di riso
sale
scorza di arancia non trattata


Prendete una casseruola piuttosto ampia, che contenga la lonza per intero: versate sul fondo lo zucchero, accendete il fuoco  a fiamma bassa  e fate caramellare: quando lo zucchero ha preso il colore di un caramello biondo, sistemate nella pentola la lonza e copritela con tutta l'acqua, fredda. Aggiungete il sale fino e portate a bollore, a fiamma media. Poi abbassate il fuoco, coprite e proseguite la cottura fino a quando l'acqua si sarà quasi completamente ridotta e la carne sarà avvolta da un velo di caramello. 

Se optate per la salsa for dummies, togliete la lonza dalla pentola e tenetela in caldo, meglio se protetta da un foglio di alluminio. Deglassate il fondo di cottura con il succo di arancia, sfumate con il Gran Marnier e aggiungete lo zenzero. Aggiustate di sale. Fate ridurre per un minuto, poi filtrate e servite, cosparso dauna bella grattugiata di scorza d'arancia

Se invece decidete di preparare la salsa all'arancia "vera", dovete procedere durante la cottura della carne, nelle fasi finali: appena il liquido di cottura inizia ad addensarsi in un caramello vischioso, prelevatene una piccola quantità (all'incirca, due cucchiai): versatelo in una padella, assieme al succo d'arancia e allo zenzero, mescolate e fate cuocere per un minuto. Sfumate con il Grand Marnier e, in ultimo, fate addensare con la frina di riso: in una tazzina da caffè, fate sciogliere la farina di riso in un cucchiaino di salsa (o di succo d'arancia): mescolate bene, aggiungete il composto al resto,abbassate la fiamma e fate addensare. 

Cospargete il pezzo di carne con un pizzico di sale grosso e accompagnate con la salsa al caramello all'arancia. 


 Esiste una versione ancora più semplice, che esclude la caramellatura iniziale. Mettete la lonza nella pentola, coprite con acqua e zucchero e lasciate lì. Il caramello che si formerà alla fine sarà un po' meno avvolgente, ma il risultato è counque assicurato.

  • La vera difficoltà di questo piatto è il forte rischio che la carne resti stopposa. Se la preparate e la servite immediatamente, nessun problema. Se la lasciate riposare, invece, son più le volte che si servono suole che quelle in cui si portano in tavola fette sugose. L'unico modo per arginarlo è calcolare i tempi: di solito, ci vuole un'ora e mezza di cottura, anche se l'unica variabile è il peso della carne: ma il pregio è che si cuoce da sé. Quindi, anche se avete ospiti, programmate tutto in modo che il secondo sia pronto poco prima di servirlo (o, meglio ancora, poco dopo: mica si aspetta solo il soufflé...): sentirete che bontà. 

  • Le dosi sono ovviamente variabili, ma la proporzione fra acqua e carne è invariata: l'acqua deve sempre essere il doppio del peso della carne.
  • Non toccate niente in cottura: dopo aver preparato il caramello, facendo semplicemente sciogliere lo zucchero sul fuoco a fiamma bassa, mettete nella pentola la carne e l'acqua e il sale, coprite e abbassate la fiamma. Potete anche controllare dopo un'ora, per dire: l'unic differenza che constaterete sarà la riduzione del liquido e la progressiva coloritura della carne. Il che significa che va bene cosi
  • Nessuna rosolatura preliminare, nessuna reazione di Maillard: propriamente, è un lesso. 
  • Per il caramello, versate lo zucchero sul fondo della padella, in modo da ricoprire quest'ultimo con uno strato uniforme. Mettete sul fuoco, fate scaldare: appena lo zucchero inizierà a sciogliersi, inclinate la padella delicatamente verso di voi e ruotatela, in modo che lo zucchero caldo entri in contatto con quello non ancora sciolto, evitando però di mescolare. Appena il caramello è biondo, unite la carne e l'acqua: fate attenzione a non farlo scurire: vi porterete dietro un retrogusto amaro, impossibile da eliminare.  
  • La preparazione della salsa è rapidissima: lavorate velocemente, perché, come dicevo prima, la carne non deve aspettare. Non ci sono difficiltà particolari e mi sembra di aver descritto tutti i passaggi. Due cose solamente: 
  • la prima è che è sempre necessario filtrare: non serve chissà che cosa, un colino a maglie fitte va benissimo: l'essenziale è che portiate in tavola una salsa liscia e vellutata. Il resto, non è contemplato. 
  • la seconda è che la farina di riso è un addensante che lucida, molto più del'amido di mais o della fecola (che personalmente uso poco, perchè di questa sento il gusto): fatela sciogliere in una tazzina con poco liquido, se non volete che raggrumi appena entra a contatto con la salsa e lasciate addensare a fiamma bassa. 
  • Lo zenzero è quello in polvere, l'arancia è rigorosamente non trattata. 






giovedì 17 dicembre 2009

congelare il soufflè? ..si può, si può..




soufflè funghi


giochino.
Siete una food blogger della categoria "more or less" e dovete sorbettarvi un'ora di coda al check in.
A cosa pensate?
1. alle ultime disposizioni testamentarie, in caso di incidente aereo (aria preoccupata)
2. alle ultime disposizioni testamentarie del marito, in caso di incidente aereo (aria preoccupatissima, dopo quello che gli avete fatto spendere- v. niusletter)
3. alla pila di roba da stirare che vi aspetta a casa (l'incidente aereo è l'ultima speranza)
4. ai punti 1-2-3 più a quello che ti hanno detto la Mapi, la Alma, la Sandra, la Stefania & Co sulle inalterate proprietà di montaggio degli albumi congelati.

Avete indovinato?
E allora, beccatevi il premio...

soufflè funghi


In pratica, ho congelato un soufflè. Da crudo, naturalmente, ma con gli albumi già montati dentro. Prima che s'alzino su illustri chimici-fisici-guru del soufflè- e tutto quanto fa "lo famo serio", a dire che così non va, vi dico subito che di sicuro ho violato tutto ciò che di scientifico è stato detto in materia, da Archimede in poi.
Però, stasera ci siamo mangiati il soufflè, a fronte dei miei soliti venti minuti per preparare la cena. E alla fine le uniche cose che c'erano da lavare erano le posate e i ramequin.
Il che mi ha insegnato due cose:
1. la scienza in cucina è cosa buona e giusta- e se sta fuori dalla mia, lo è ancora di più.
2. la prossima volta, lo faccio nei cuki.

SOUFFLE' DI FUNGHI

soufflè ai funghi


Due o tre regole base:
1. la bechamelle deve essere densissima: anni fa, partivo dalla classica "50-50-50" (in grammi burro e farina, in dl il latte) e mescolavo a fiamma bassissima fin quando non si era indurita per bene. Ora, sono molto più drastica e ho ridotto il latte a 350 ml.
2. i tuorli vanno incorporati uno per volta, aggiungendo il successivo dopo che si è bene amalgamato al precedente.
3. non so se esista una regola per quando aggiungere gli altri ingredienti: io di solito metto prima le uova e poi tutto il resto
4. gli albumi vanno montati a neve fermissima e aggiunti senza mescolarli all'impasto: io "giro" la terrina e, se fate anche voi come me, avete capito quello che intendo. Comunque sia, "dal basso verso l'alto" va bene.
5. il ramequin va imburrato fino in cima, anche se l'impasto da soufflè non deve superare i 2/3 del contenitore
6. cottura: a forno caldo, ma basso: infornate a 150/160, meglio se statico, e lasciatelo lì. Deve gonfiare lentamente e l'unico modo è a bassa temperatura. Se lo infornaste a 200 gradi, per esempio, si alzerebbe subito, ma brucerebbe altrettanto presto in superficie, e dentro resterebbe molliccio e inconsistente. Calcolate anche una mezz'ora per gli stampi piccoli e fino all'ora per quello grande. Importantissimo: non aprire il forno, almeno nei primi venti minuti di cottura. Se non lo aprite del tutto, è meglio
7. potete farlo cuocere anche a bagnomaria: in tal caso, ci vuole un po' di più. Quello in foto, è stato cotto così: bagnomaria, 160 gradi, mezz'ora.

Il suofflè della foto è stato immortalato dopo almeno 5 minuti dall'uscita dal forno (ma anche di più), oltretutto con uno sbalzo termico pazzesco, perché avevo tenuto la portafinestra aperta per un po' (ogni tanto, stedno, sapete come'è). Se il vostro senso estetico regge al duro colpo, vi faccio vedere una foto più "vera", ma meno scenografica, degli stessi soufflè (stesso congelamento, stesso impasto, stessa tipologia di cottura), tanto per rendervi conto di quanto gonfino

soufflè

L'impasto base parte da mezzo litro di bechamelle a cui si aggiungono 3 tuorli grandi o 4 medi, una manciata di formaggio grattugiato (parmigiano o gruviera), sale, pepe e poi gli albumi montati a neve. Qui ho aggiunto in alcuni un po' di funghi e prezzemolo (prima fatti andare in padella, in poco olio aromatizzato con uno spicchio d'aglio e poi tritati grossolanamente) in altri più formaggio (avevo un po' di avanzi in frigo: emmenthaler, taleggio e parmigiano)

Buon Appetito
Ale


lunedì 7 dicembre 2009

Quel fottuto (bian)coniglio... ce lo facciamo alla senape????




coniglio alla senape



Domande???


CONIGLIO ALLA SENAPE
(La Cucina Irlandese- Anne Wilson)

coniglio alla senape

2 conigli
2 cucchiai di farina bianca
pepe macinato
60 g di burro
2 cipolle tritate
2 spicchi d'aglio sbucciati
3 fette di pancetta senza cotenna (va bene anche quella a cubetti)
1 tazza e mezza di brodo di pollo
1 cucchiaino di senape piccante
2 cucchiai di prezzemolo tritato
1/4 di tazza di panna da cucina (50 ml)

1. con un trinciapolli, tagliate entrambi i conigli in 6 parti, quindi eliminate le frattaglie. Spolverizzate le porzioni con la farina condita col pepe e conservate la farina che non avrete utilizzato.
2. in una pentola, sciogliete il burro finché schiumerà, aggiungete le cipolle e lasciate cuocere per 5 minuti. Unite l'aglio e la pancetta e fate cuocere per altri 5 minuti. Levate le cipolle, l'aglio e la pancetta dalla padella.
3. Mettete nella padella le porzioni di coniglio e rosolatele su ogni lato. Abbassate la fiamma, aggiungete metà del brodo, la senape e il prezzemolo. Unite le cipolle cotte, l'aglio e la pancetta. Trasferite il composto in una pentola più grande, aggiungete il resto del brodo, coprite e lasciate cuocere a fuoco lento, finché il coniglio sarà tenero.
Amalgamate la farina messa da parte con un po' di panna e formate un impasto al quale aggiungerete, mescolando, la panna rimasta. Aggiungete il composto agli ingredienti nella pentola e mescolate. Portate ad ebollizione, abbassate la fiamma e lasciate cuocere per 2 minuti. Servite subito


coniglio alla senape

sabato 28 novembre 2009

Stufato di manzo alla Guinness




stufato di manzo alla guinnes



Sono stata in Irlanda vent'anni fa e da allora mi porto dietro il ricordo di un Paese commovente. Erano commoventi i dolci profili delle sue colline, i rosa dell'erica che spiccavano all'improvviso, il verde declinato in ogni sfumatura, gli specchi trasparenti dei suoi laghi, le ombre lunghe dei suoi castelli. Era commovente la dignità di un popolo allora ridotto in povertà, l'attaccamento profondo alle loro radici, la lezione di civiltà che impartiva difendendo ogni giorno, con orgoglio e fierezza, una libertà che costava fatica e sacrificio, ma che non sarebbe mai stata in vendita, per nessuno. Ed erano commoventi i suoi dolci, il profumo del burro degli scones, le sorprese nascoste sotto la crosta dei pudding, il pratie che ti si scioglieva in bocca, nel caldo delle sale da te.

L'unica nota stonata di una vacanza altrimenti perfetta fu un incontro ravvicinato e nefasto della sottoscritta con due irlandesi, sicuramente ubriachi e ancor più sicuramente rimbambiti, che mi confusero, in circostanze diverse e in luoghi lontani, con la Kelly Mc Gillis. Quella di Top Gun, per capirci, che all'epoca si vedeva su tutti i manifesti, in tailleur mimetico e make up da marines. Uno dei due tipi mi chiese l'autografo, l'altro mi rincorse per Grafton Street dichiarandomi che aveva visto tutti i miei film e che da allora popolavo tutti i suoi sogni, naturalmente erotici.
Prima che si scatenino gli ormoni della parte maschile dei lettori di MT, anticipo subito che io, della Kelly Mc Gillis, non ho assolutamente niente. Non il fisico, non il taglio del viso, non il naso, non il sorriso, nada de nada, insomma. Se fossi in vena di ironia, vi direi che, al massimo, mi avrebbero potuto confondere con la figlia di Fantozzi, ma siccome oggi non è giornata, vado oltre col racconto ( e se qualcuno si azzarda a dire che forse assomiglierei di più alla signorina Silvani, se non fosse che lei è bella magra, vi depenno dai venticinque lettori e non vi parlo più finché campo)
L'unico particolare che avrebbe, al limite, potuto dare adito a qualche vago sospetto potevano essere i capelli, che allora erano biondi e mossi: con la non lieve differenza che la Mc Gillis aveva riccioli che trasudavano di parrucchiere da tutti i pori, mentre i miei erano il risultato delle continue docce a cui l'Irish weather ci sottoponeva ogni giorno. Comunque sia, gli episodi si sarebbero arginati lì, se non fosse stato per quei deficienti degli amici di allora, che spero leggano questo blog, quel tanto che basta per rinverdire l'eco di tutti gli improperi che tirai loro dietro in quelle due settimane: i quali, non trovando sufficiente soddisfazione nel verde delle colline e nel blu dei laghetti (e neppure nei fiumi di Guinness e di Irish Coffee) ebbero la bella pensata di farmi passare davvero per la KellyMc Gillis, additandomi a tutti i passanti o inginocchiandosi ai miei piedi nel bel mezzo della strada. Il risultato fu che mi rovinarono completamente la vacanza, un po' per l'ansia di essere abbracciata e baciata ogni volta da perfetti sconosciuti da cui tentavo di difendermi e un po' per il timore che la Mc Gillis , quella vera mi denunciasse per oltraggio alla sua immagine- accusa dalla quale, ahimè, non ci sarebbe stata nessuna possibilità di difesa.


stufato di manzo all guinnes
Per ovvi motivi, negli anni avevo rimosso l'episodio, che invece mi è tornato in mente, l'altra sera, mentre preparavo questo stufato alla Guinnes, tratto da un delizioso libretto sulla cucina irlandese. E saranno stati i fumi dell'alcool, oppure i morsi della fame, oppure, più banalmente, il doppio degli anni che avevo allora ma, rivangando quei ricordi, ho cominciato a ridere come una scema, rivedendo le mie fughe, i baci spalmati sulle guance ogni secondo più rosse, gli amici piegati in due dalle risate. E, chissà perché, loro non mi sembravano più così deficienti, né io così incavolata, né i fans così inopportuni, né la vacanza così rovinata. Vedevo solo un gruppo di giovani scanzonati, pronti a godersi la vita con allegria, ignari dei problemi che li aspettavano dietro l'angolo- tutti, nessuno escluso. Ho spento il gas con un groppo in gola, gli occhi ludici dalle lacrime e tanta, tanta nostalgia nel cuore. L'Irlanda, ve l'ho detto, è un Paese che commuove, anche dopo vent'anni.


STUFATO DI MANZO ALLA GUINNESS

stufato di manzo alla guinnes
da Anne Wilson, Cucina Irlandese

per 4- 6 persone
1 kg di spezzatino di manzo
2 cucchiai di olio
2 grosse cipolle sminuzzate
2 spicchi d'aglio schiacciati
1/2 tazza di farina bianca
1 tazza di brodo di manzo
1 tazza di Guinness
2 grosse carote a fettine
2 foglie di alloro
1 ciuffo di timo fresco macinato
prezzemolo tritato per guarnire
facoltativo: 1/2 tazza di prugne secche snocciolate e tagliate a meta*

Riscaldate l'olio in un'ampia casseruola e fatevi dorare le cipolle. Aggiungete l'aglio e lasciate cuocere per un minuto. Estraete dalla padella e asciugate su carta assorbente
Nello stesso olio, aggiungete lo spezzatino e fatelo rosolare bene da tutti i lati, a fuoco alto. Abbassate la fiamma e, mescolando, aggiungetevi la farina.
Incorporate il brodo, amalgamando bene fino ad ottenere una salsa densa e liscia. Aggiungere la Guinnes e mescolate finché il composto comincerà a bollire. Aggiungete le cipolle, l'aglio e le carote, le erbe e il pepe e mescolate di nuovo.
Lasciar cuocere a fuoco basso per 1ora e mezza, mescolando ogni tanto per evitare che si attacchi. Nel caso, aggiungere un mestolo di brodo.
Togliete il coperchio l'ultima mezz'ora, per fare addensare la salsa
Servite spolverizzato di abbondante prezzemolo

* l'aggiunta delle prugne serve per moderare il gusto amaro della Guinnes, Vanno aggiunte solo durante gli ultimi 30 minuti di cottura
Buon Appetito
Alessandra

giovedì 19 novembre 2009

Cosciotto di Agnello alla fornaia




agnello alla fornaia


Oggi devo chiedervi un favore
Prima che iniziate a leggere questo post
Prendete una sedia
Mettetevi comodi
I piedi appoggiati sul pavimento
Le mani strette sui braccioli
Pensate a qualcosa di positivo
Respirate lentamente
Perchè
Sto per rivelarvi
Il Grande Battutone del marito
Riferito alla mia infinita bontà
Che mi induce
Ogni volta ogni due settimane
A vincere la mia avversione per la carne di agnello
E a prepararlo per soddisfare
I barbari appetiti suoi e della creatura
Per cui
Se siete pronti
Nuntio vobis
Urbi et Orbi
Che ieri è stato
........................
.......................
.......................
L'AGNUS DAY

E su questa, parto con la ricetta, sempre che abbiate deciso di proseguire- con la lettura e con la frequentazione di questo blog...

Baker's style Legs Lamb

agnello alla fornaia

Piatto di origine francese, deve il suo nome al fatto che, anticamente, lo si faceva cuocere dal fornaio

per 4 persone
1 cosciotto di agnello di 1,2 kg
600 g di patate tagliate a spicchi
100 g di strutto fresco
2 cipolle di media grandezza, tagliate a fette
rosmarino
sale e pepe abbondante

Condite il cosciotto con sale fino ed abbondante pepe nero, macinato al momento. Ungetelo uniformemente di strutto e ponetelo in una pirofila con il grasso rimasto. Passatelo quindi in forno a calore vivo, roslandolo bene da ogni lato (240 gradi).
Abbassate a 180 e, dopo mezz'ora, aggiungete le patate e le cipolle, precedentemente condite con sale e pepe e terminate la cottura in forno, bagnando spesso con il condimento la carne e le verdure.
Per tradizione, si dovrebe servire nello stesso recipiente di cottura

Le nostre modifiche:
  • niente strutto: solo olio ( altro strappo alla regola: di solito, se si vuole sostituire lo strutto, almeno un po' di burro bisognerebbe metterlo, ma NOI NO)
  • il rito dell'unzione è durato molto, ma molto di più di quanto si possa evincere dalla ricetta: all'incirca, tutti gli Assiri ( leggasi: la creatura stava ripetendo storia)
  • anche se la ricetta non lo dice, ho praticato tre o quattro tagli trasversali, dove ho infilato il rosmarino e, ad abundantiam, anche un po' di timo
  • la cottura può avvenite in due modi: o quello segnalato dalla ricetta, più rapido (un'ora e mezza, circa) o quello adottato da noi di recente, a fuoco più basso e senza rosolatura (160 gradi, dalle 2 ore e mezza alle 3 ore e mezza). Il primo vantaggio della cottura lenta è che uno se lo può anche dimenticare, l' agnello nel forno, che intanto non succede niente- e non è neppure così indispensabile bagnarlo. Il secondo è che, a nostro parere, queste temperatura fanno sì che la carne rilasci i suoi succhi in modo meno traumatico e anche senza il conforto della scienza, vi posso dire per esperienza che, cotti in questo modo, i pezzi grossi di carne sono molto più teneri e sugosi.
  • per quanto riguarda il fondo di cottura, non è detto che sia "ottimo e abbondante": dipende dalla qualità dell'agnello. Se non ce ne dovesse essere a sufficienza, di solito si dovrebbe bagnare la carne con del brodo. Noi, stavolta, a tre quarti della cottura, abbiamo irrorato con una generosa spruzzata di brandy e la trasgressione si è rivelata vincente, anche perché il pezzo d'agnello non era roba per signorine, tutt'altro: fino all'assaggio, sono rimasta nel dubbio che si trattasse di una capra...
  • P.S. ho eliminato le cipolle, questa volta, perché mia figlia non le mangia. Superfluo dire che con le cipolle è migliore
Buon Appetito
Alessandra



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venerdì 6 novembre 2009

filetto di maiale con salsa all' Earl Grey Tea




filetto di maiale all'earl grey


Giornata tipo della sottoscritta
ore 6.00 sveglia: mi alzo, metto su l'acqua per il tè e spedisco la ricetta ai fans
ore 6.15: sveglio la creatura, che deve alzarsi mezz'ora prima perché, tanto per cambiare, non ha fatto i compiti di latino
ore 6.20: la creatura si alza dal letto.
ore 6.23: la creatura apre gli occhi
ore 6.25: brucia il pentolino del tè
ore 6.30: la creatura dice che se prima non fa colazione, non le viene l'ispirazione per fare i copmpiti
ore 6.45: la creatura viene mandata sonoramente a quel paese, all'ennesima richiesta
di "ancora due biscotti"- nel frattempo, svuoto la lavastoviglie e sistemo il contenuto, "gratto" il pentolino, controllo se continuano i rantoli del marito moribondo ( ha 36.7 di "febbre") recupero il libro di latino e lo schiaffo direttamente sulla chiazza di latte della colazione della figlia
ore 7.15: i compiti di latino finiscono, assieme alla mia voce, e la creatura mi annuncia che, siccome è in ritardo, non può prendere l'autobus nemmeno oggi
ore 7.16: chiedo al marito se, mentre va in ufficio, può accompagnare la figlia a scuola, ma il marito mi informa che non è in condizione di muoversi, visto che stanotte ha tossito per due volte e si è soffiato il naso per tre-senza che io mi alzassi per soccorlerlo
ore 7.17: apro il ribinetto della doccia
ore 7. 19: esco dalla doccia, urlo alla creatura di sbrigarsi, mi vesto alla velocità della luce e mi imbatto nella figlia che, in pigiama, manda sms a tutto il mondo- perché è scattato il minuto in cui vodafone te li dà gratis e guai a non cogliere l'attimo
ore 7.25: riempio la lavastoviglie, rassetto la cucina,scopo per terra, bagno le piante
ore 7.28: la creatura esce dal bagno
ore 7.40: inizia l'attraversamento di mezza genova- l'ho voluta la scuola seria? e adesso pedalo...
ore 7.40: iniziano le lamentazioni della figlia per problemi di cuore
ore 7.59: la figlia mi annuncia che i problemi di cuore potrebbero finire se oggi alle 2 e mezza si trovasse all'altro capo della città " ma come faccio ad andarci, che c'è sciopero degli autobus??? mamma, ti prego, non deludermi anche tu!"
ore.8.20: rientro a casa e preparo le basi per il corso di cucina di stasera
ore. 9.30: pulisco la cucina
ore 9.50: inizio a stirare
ore 10. 25: chiama il Mega Professore che mi sollecita a consegnargli un lavoro, commisionato una settimana fa
ore 10.30: chiama la segretaria, che mi annuncia che il Mega Professore deve consegnare un lavoro da 6 mesi e abbiamo tutto bloccato
ore 10.31: brucio il copriasse comprato l'atro ieri
ore 10.33: accendo il pc. Il moribondo, accanto a me, mi dice affranto che sta aspettando un tè da due ore.
ore 10.40: torno al pc, per sentire le recriminazioni del moribondo , perché ieri sera gli ho impedito di andare allo stadio e "cosa mi importa se c'era un nubifragio e avevo la febbre" ( 36.8)
ore 10.41: spengo il pc
ore 10.43: metto su l'acqua per il pranzo ( soufflè di tagliolini)
al momento, devo ancora
1.scrivere almeno 5 pagine del lavoro
2. rassettare la stireria e trasformarla nell'aula per il corso di cucina
3.finire di scrivere le dispense del suddetto corso di cucina, impaginarle, stamparle e rilegarle
4. finire di preparare il pranzo
5. infornare il soufflè
6. correre a prendere la creatura che esce da scuola all'una
7, tornare a casa in venti minuti, prima che il soufflè si ammosci
8. pulire la cucina
9. portare la creatura all'appuntamento
1o. fare un salto in ufficio
11. comprare il castelmagno- senza il quale niente piatto forte del corso
12. tornare a prendere la cratura
13. farle fare i compiti
14. fare il corso di cucina
Tutto questo per dirvi che oggi sul blog non scrivo un bel niente, perché per farmi venire l'ispirazione, non ho tempo...


filetto di maiale all'earl grey

Filetto di maiale al tè al bergamotto
(da Sale e Pepe, Nov. 2009)
per 4 persone
800 g di filetto di maiale
un cucchiaino di tè al bergamotto
3 chiodi di garofano
120 g di prosciutto
un mazzetto di salvia
mezzo cucchiaino di fecola (anche uno)
2 dl di vino rosso
30 g di burro
sale e pepe

Scaldate mezzo bicchiere d'acqua con i chiodi di garofano e lasciate in infusione il tè per 3 minuti, quindi filtrate e unite il vin: versate il liquido sul filetto e lasciate marinare per 30 minuti. Sgocciolate la carne dalla marinata, tamponatela con la carta assorbente, salatela poco, pepatela e avvolgetela con le fette di prosciutto. Rosolate il filetto in un tegame con il burro, quindi trasferitelo nel forno a 170 gradi, unite la salvia e cuocetelo per altri 30 minuti, coprendo il recipiente con un foglio di alluminio. Intanto, stemperate la fecola con un po' di marinata, diluitela con il resto del liquido e fatela restringere nel tegame in cui avete rosolato il filetto. Servite l'arrosto con questo fondo
Buon Appetito
Alessandra


filetto di maiale con salsa al bergamotto

giovedì 22 ottobre 2009

roast beef ai tre pepi con salsa al vino




roastbeef ai tre pepi con salsa al vino


Tre domandine, veloci veloci:
1. perché il freddo deve arrivare così all'improvviso e così tutto assieme?
2. perché quando viene freddo tutti si coprono tranne mia figlia, che saluta ogni autunno con un bel febbrone?
3. e perché io, che ormai so che ciò si verifica puntualmente ogni anno, mi riempio di impegni e scadenze proprio la settimana del freddo e dell'influenza della creatura?
Mentre vi scervellate, eccovi una ricetta strepitosa, antica e collaudatissima, facile da fare, di grande effetto, una di quelle robe, insomma, che verrebbe da chiedervi come mai siete ancora lì a cercare le risposta ( che tanto non la sapete...) e non vi siete già precipitati ai fornelli...

ROAST BEEF AI TRE PEPI CON SALSA AL VINO ROSSO
( da un vecchio numero di ATavola)

roast beef ai tre pepi

Ingredienti per 6-8 persone
1,250 kg di polpa di manzo per roast beef
1 cucchiaino di pepe nero
1 cucchiaino di pepe verde
1 cucchiaino di pepe rosa
300 g di burro ( ridotti brutalmente a 100)
3 cucchiai di farina
2 cucchiai di zucchero
100 g di senape
per la salsa
1 bicchiere di brodo
2 cucchiai di vino rosso ( io ho aumentato a mezzo bicchiere abbondante, sennò si sente troppo il brodo)
1 cucchiaino di Worcestersauce
1 cucchiaino di fecola
sale e pepe

Preparazione
Raccogliete in un mortaio i tre pepi e pestateli finemente: stavolta, ho usato il frullatore, ma se usate il batticarne o il pestello del mortaio l'effetto è molto più scenografico, perché il pepe non si polverizza e si vedono i tre colori diversi.
Mettete il pepe così ridotto in una ciotola e aggiungetevi la senape, la farina, lo zucchero e il burro. . Mescolate il tutto con cura e spalmatelo sulla superficie della varne, massaggiando bene.
Mettere la carne in una teglia e farla cuocere: 200 gradi per 20 min, 170 per altri 15. Estraetela dal forno e fatela intiepidire coperta di un foglio di alluminio
Preparate la salsa:
in un pentolino, scaldate il brodo, il vino e la worchester sauce; stemperate la fecola in un cucchiaio di questo liquido ed aggiungetela al resto. Fate addensare a fiamma bassa, per pochi minuti. Aggiustare di sale ed eventualmente di pepe
Affettare la carne e nappare con la salsa

Alcuni consigli:
  • questa è una ricetta che, se fossi in voi, proverei la prima volta e terrei poi in serbo per le grandi occasioni. E' talmente facile che la potrebbe preparare anche un bambino ( non a caso, l'ho riesumata dal quaderno degli esperimenti dei primi tempi del matrimonio), ma in compenso andrebbe archiviata sotto la voce "porca figura" da tanto scenografico è l'effetto. Intendo dire, che se volete pensare per tempo a Natale, questa potrebbe essere un'ottima soluzione
  • il pepe: non meno dei tre cucchiaini indicati, meglio se pestato a mano. Stavolta, non trovavo nè il batticarne nè il mortaio e mi sono arrangiata col frullatore, per cui il sapore è rimasto lo stesso, ma l'aspetto no: immaginatevi un roast beef rosato, avvolto in una crosta "crunchy" di pepe colorato e con una salsa rosso pieno lì vicino...
  • come sempre, quando si tratta di pezzi di carne interi, è fondamentale il massaggio: mettetevi comode, telefonate ad un'amica, sentite la lezione della figlia, qualsiasi cosa (tranne leggere: vi si ungono tutte le pagine) e massaggiate a lungo il pezzo di carne con il composto di burro e pepe, cercando di farlo penetrare bene nelle fibre.
  • per la carne, non ho usato sale, nonostante non cuocia nel brodo: la crosta di burro è molto saporita di suo e la salsa ha un sapore ben deciso, quindi, il sale altererebbe solo l'equilibrio dei sapori.
  • la cottura è quella indicata, fatte le debite proporzioni: meno la carne pesa, più si riducono i tempi, e viceversa: con un pezzo da 800 g come il nostro, ho fatto un 12-13 minuti a 200 gradi e altrettanti a 170 ( qui è meno aggressiva, la temperatura, per cui se anche lo lasciate un minuto o due di più non succede niente: l'importante, è regolarsi bene nella prima fase)
  • altra cosa fondamentale, per il roast beef, è il riposo: lo avvolgete subito in carta stagnola (in questa preparazione qui, va bene coprirlo, perché altrimenti rischiate che la crosta di pepe vi rimanga attaccata al foglio) e lo lasciate lì 5 minuti, in modo che liberi bene i suoi succhi. Se non ci fosse la crosticina, vi direi anche di aiutarvi con un peso in questa operazione, ma in questo caso basta così.
  • la salsa: qui sono intervenuta pesantemente sulle dosi originali, perché a mio parere il sapore del brodo era nettamente prevalente sul resto, Quindi, ho aumentato la quantità di vino. E' una salsa molto più leggera di quella tradizionale ( quella che parte da un roux e che prevede lo scalogno e cotture diverse) ma, udite udite, mio marito l'ha subito messa in cima alla lista di tutte le altre salse al vino che siano mai uscite da qui. Calcolate anche che è di una facilità impressionante e ultra rapida. Dura anche qualche giorno nel frigo e potete benissimo prepararla in anticipo. Basta scaldarla un po' prima di servire- e il gioco è fatto. Superfluo aggiungere che dovete usare un buon vino- rosso e corposo.
  • Mai come in questa ricetta, arrosto e salsa vanno a braccetto: nel senso che, da solo, l'arrosto è buono, ma niente di più, Con la salsa, acquista quel "tocco" particolare, che lo rende unico
Buon Appetito
Alessandra







venerdì 25 settembre 2009

frittata di...asparagi di mare!!!!!




asparagi di mare

Quando ero molto piccola, mia mamma aveva una libreria in centro, tutta dedicata ai libri per bambini. Era un'idea pioneristica, per quei tempi e per questa città, e difatti si esaurì in breve tempo, fagocitata da costi e da impegni insostenibili e penso che mia madre debba ancora rimarginare del tutto la ferita, visto che ne ha sempre parlato pochissimo. L'unica cosa che però ripeteva di continuo, ogni volta che ci si imbatteva nell'argomento, era che lei si era letta tutti i libri che aveva in negozio, da cima a fondo, e questo non perché fosse particolarmente incline alla letteratura per l'infanzia, ma perché era fermamente convinta che la professionalità di un libraio passasse attraverso la conoscenza dei libri- e più estesa e approfondita era, meglio avrebbe svolto il suo lavoro.
Queste parole mi sono tornate in mente ieri, mentre ingannavo un'attesa di quasi due ore nel nuovo megastore di Feltrinelli, aperto qualche giorno fa fra squilli di trombe e suoni di fanfare e che, al di là dei proclami, mi ha lasciato intristita: un'accozzaglia di cose-libri, dischi, dvd, bar, self service, spazi lettura, chaiselong, sezione casalinghi, cartoleria, smemo & smoleskine- spersonalizzata in spazi freddi, dove il rosso -feltrinelli mal si sposa nell'acido di certi verdi e certi viola che farà tanto tendenza, ma che a me, proprio, mette voglia di scappare. Anche i commessi, che pure sono quelli di sempre, sembravano tanti alieni, occupati com'erano a descrivere il funzionamento del bar, a elencare i colori delle nuove matite bio, a riordinare dvd e tutto quanto serve a far dimenticare un catalogo di libri scarno nella quantità, obsoleto nella selezione, banale nelle proposte: superfluo dire che nessuno, lì dentro, parlasse di libri o sapesse darti un consiglio su un titolo: " il terminale è bloccato" , era il ritornello di quel pomeriggio e poco importa se il libro che cercavo era poi in vetrina fra le novità: nessuno ha saputo dirmi niente, all'interno, e quando me ne sono accorta, ero già fuori, con l'umore sotto i piedi e zero voglia di tornare lì dentro.

asparagi di mare


Per tirarmi su, sono andata in pescheria ( e prima che qualcuno obietti che non è tanto normale, vi ricordo per par condicio che voi siete lettori di questo blog: il che, se è un ottimo tramite per diventare amici, non depone certo a favore del vostro equilibrio psichico...): sono andata in pescheria, dicevo, a trovare la mia pescivendola preferita- una tipa tutta spiritata, scorbutica e simpatica, che nel lessico familiare si è guadagnata l'ambito soprannome di Florence, dalla inimitabile domestica dei Jefferson ( ve li ricordate? ce li stiamo riguardando su Sky, e ridiamo come vent'anni fa). Al pari di Florence, infatti, la tipa non sente ragioni e fa sempre e solo quello che vuole lei: hai meditato per ore su un menu, tutto imbastito intorno a degli involtini di sogliola? Bene, cambia tutto, perché se Florence ha deciso che quel giorno lì le sogliole non sono buone, non te le vende. Vuoi risolvere un pranzo veloce con un trancio di filetto di tonno? Passa in rosticceria, perché "il tonno glielo hai già dato ieri, a tua figlia, troppo le fa male" E anche quando ti impunti sulle orate, perché quelle son belle, senti, son figlia di pescatore, le vedo lontano un miglio che van bene, perché non me le vuoi vendere, ti risponde con un serafico "perché domani sono più fresche e costano la metà" che ti riduce subito al silenzio.

asparagi di mare

La cosa strana è che la Florence lavora in un supermercato e quindi in teoria non rende certo un bel servizio ai suoi capi: tant'è che ogni volta che mi avvicino al banco del pesce, temo sempre che le abbiano dato il benservito. Invece, non solo la trovo puntualmente, ma pare anche che si becchi dei premi produzione da favola, proprio per questa sua competenza: perchè i clienti si fidano, le chiedono consiglio, tornano e, udite udite, comprano molto più di prima.
Il che conferma la mia teoria- e cioè che in questo mondo di centri commerciali, mega store e commessi impagliati, quando si trova una persona che sa fare il suo lavoro e vuol bene al suo cliente, non la si lascia più, anche se è ruvida e brusca come la Florence. E anche se, invece del pesce, ti rifila tre etti di strane robine verdi " che se si chiamano asparagi di mare, secondo te, di che cosa sapranno?" e ti ci aggiunge pure un ricettina, buon peso " che anche se te di pesce non te ne accapisci, mi sei simpatica lo stesso..."

FRITTATA SOTTILE DI ASPARAGI DI MARE

asparagi di mare

200 g di asparagi di mare
5 uova
75 g di emmenthaler grattugiato
poco sale
olio EVO

Pulire benissimo gli asparagi di mare, avendo cura di togliere il gambo a tutti, sciacquarli sotto l'acqua corrente e farli cuocere in acqua bollente non salata per una quindicina di minuti. Sono pronti quando sono teneri.
Sbattete le uova in una fondina, come per fare un'omelette, aggiungetevi il formaggio grattugiato, gli asparagi di mare scolati bene e lasciati un po' intiepidire e mescolate il tutto. Aggiungete una piccola presa di sale ed assaggiate: se vi sembra insipido, aggiungetene ancora un po', ma non troppo, perché gli "asparagi" sono già salati di loro.
Prendete una padella, ungetela d'olio, versatevi il composto di uova ed asparagi e fate rapprendere, come per una frittata. Quando è quasi completamente rappresa, giratela e finite di cuocere. Si mangia tiepida, accompagnata da soncino o da un'insalata di pomodori freschi.
Buon Appetito
Alessandra



mercoledì 16 settembre 2009

Arrosto di maiale al Calvados con composta di mele e uva

lonza al ginepro con composte


Fra le migliaia di cose a cui sono allergica, ci sono i soprannomi: mentre per natura, tendo ad abbreviare tutto, detesto cordialmente i vari Puffy-Bibi-Cucca-Dado che in casa mia fanno tanto Famiglia Cristiana- e don Sciortino non c'entra: ve li ricordate gli Squallor (" sì Pierpaolo, va bene Pierpaolo...E chi è Pietro? Pietro è il cane di Fuffy).
Va da sè che una buona metà delle mie amiche celi sotto queste storture nomi bellissimi- anzi, più sono belli, più si nascondono, chissà come mai- e che l'intera popolazione delle amiche della creatura risponda solo se chiamata col soprannome. Creatura compresa, sia chiaro, tanto per non farci mancare nessuna delle abitudini che fanno storcere il naso a sua madre. Per le amiche, mia figlia è Charlie, ovviamente abbreviato in Cià. Perfetto, no? Una passa nove mesi a spulciare calendari, dizionari dei nomi e alberi genealogici, e a litigare col marito ( "A me piacerebbe chiamarla Greta" " Greta? Ma Greta è un nome da alta e bionda" " Eh, appunto... se somigliasse a me... " " Ah, giusto... Gretina") et similia, per poi restare lì con la cornetta del telefono in mano, nella drammatica consapevolezza che la tipa che sta chiedendo all'altro capo " C'è la Cià?" non è una oriunda della Manciuria che sta dicendo, nel suo dialetto " Buon giorno, signora, sono ...., potrei parlare con Carola, per favore?", ma una a caso delle amiche della creatura.
A dire la verità, sono in buona compagnia: una mia amica, il cui figlio ha la pelle scura, si è rassegnata a sentirselo chiamare "Cambogia", mentre mio cugino, che da piccolo aveva la testa grossa, aveva dato il suo contributo all'entusiasmo rivoluzionario di quei tempi, lasciandosi apostrofare dai compagni ( ovviamente, di classe) come "Mao Testung" trattenendosi dal prenderli a zuccate.
La migliore di tutte, però, era capitata al liceo, quando ci era toccato in sorte, come professoressa, un donnone di un quintale di peso, sorretto da due gambe sottili, sembre inguainata in camicioni sgargianti e con un bel rossetto rosso sulle labbra: vederla e associarla alla moglie di Gambadilegno per noi era stato tutt'uno, almeno fino a quando una delle nostre madri, cercandola per il colloquio, aveva insistito dicendo che lei no, non voleva parlare con l'insegnante XXX, perché suo figlio era stato chiarissmo: " vai a parlare con la Trudi", le aveva detto e lei, ovviamente, eseguiva.
Tutto 'sto ambaradan per parlarvi di un'altra cosa, che rimando al prossimo post, perché naturalmente ho esaurito tempo e spazio, visto che la ricetta di oggi è lunghissima da raccontare (ma facilissima da fare). Per cui, mentre aspettate con ansia la prossima puntata, ingannate l'attesa con questo...


ARROSTO DI MAIALE AL CALVADOS IN SALSA DI MELE ED UVA

lonza al ginepro con composte

Per 6 persone

800 g di lonza di maiale in un solo pezzo
1 mazzetto di erbe aromatiche ( mirto, rosmarino, salvia, dragoncello, prezzemolo)
2 dl di calvados ( o vino bianco secco)
3-4 bacche di ginepro
3 cucchiaini di olio EVO

per la salsa di mele
2 mele Granny Smith
2 dl di calvados ( o vino bianco)
2 cucchiaini di zucchero di canna
1 cipolla
1/2 cucchiaio di pepe di Cayenna ( o peperoncino)
1 pezzo da 1/2 cm di zenzero (o rafano, de gustibus)
1 cucchiaino di panna fresca ( ma anche meno: le due gocce che servono per legare la salsa, non di più)


per la salsa d'uva
200 g di uva nera
1 noce di burro
pepe verde fine
1 cucchiaino di aceto di lamponi
1 foglia di alloro
2 dl di vino rosso
1 stecca di cannella
3 chiodi di garofano ( meglio 2)


lonza al ginepro con composta

Private la lonza dei filamenti di grasso, salatela, pepatela e massaggiate per 5 minuti. Fatela rosolare in un padella, con due cucchiai di olio, su entrambi i lati. Disponete la carne in una pirofila leggermente unta e cuocetela in forno già caldo a 180 gradi, girandola a metà della cottura. Riunite 2 dl di sidro in una casseruola con le erbe aromatiche tritate grossolanamente e le bacche di ginepro e portate ad ebollizione. Versate il Calvados con le erbe sulla carne, coprite la pirofila con alluminio e proseguite la cottura per altri 20 minuti. Togliete l'alluminio e proseguite a cuocere per altri 15 minuti, bagnando la carne con il fondo di cottura. Tenete la carne in caldo e filtrate il fondo di cottura attraverso un colino a trama fine.

Preparare la salsa di mele: sbucciate le mele, eliminate il torsolo e tagliatele a fettine, nel senso della larghezza. Spellate la cipolla e affettatela sottilmente. Unite le mele in un pentolino con la cipolla, irrorate con il Calvados, spolverizzate con lo zucchero di canna, il pepe di Cayenna e portate ad ebollizione. Cuocete per 10 minuti, unite lo zenzero grattugiato e proseguite la cottura per 5minuti. Togliete dal fuoco. Unite la panna, mescolate, lasciate intiepidire.

Preparate la salsa all'uva: scaldate una noce di burro in un pentolino con l'aceto di lamponi, unite gli acini d'uva lavati e asciugati e rosolateli per qualche istante. Aggiungete il vino rosso, la cannella, i chiodi di garofano e l'alloro e cuocete per 15 minuti a fuoco medio basso. Togliete dal fuoco , eliminate l'alloro, i chiodi di garofano, la cannella, pepate e lasciate intiepidire.

Private l'arrosto dello spago e dsponetelo in un piatto da portata. Tagliate qualche fettina e irrorate con il fondo di cottura della carne. Servite accompagnando con le due salse a parte.

E' perfetto con i panini al latte al'uva e al rosmarino, prossimamente su questi schermi ( leggasi: dal forno della cucina ai forni delle bocche degli amici, nenache il tempo di fotografarli in movimento..).
Buon Appetito
Alessandra

giovedì 10 settembre 2009

Variazioni di pesce spada- in crosta di zenzero e semi di papavero e in guazzetto alla ligure


di Alessandra

E' un post sottotono, e me ne scuso, mentre i motori degli ultimi canadair della giornata si spengono in lontananza e l'odor di bruciato entra dalla finestre semichiuse. In bocca e nel cuore un gusto amaro, di quelli che non vorresti mai sentire e che rimarranno invece per molto tempo, ogni volta che alzeremo gli occhi sul nostro verde, che non c'è più, e sulle nostre montagne che hanno cambiato forma e colore, corrose e distrutte dalla cieca violenza del fuoco. L'assenza di vittime umane compensa in parte il dolore per il disastro ambientale che si è perpetrato sotto gli occhi di una città attonita e impotente, ma non per questo lo attenua. Domani, certo, sarà un altro giorno- ma per molto tempo ancora sarà la tristezza a scandire le pagine del calendario, una dopo l'altra, nel ricordo dell'inferno di queste troppe ore, nel desolante spettacolo dalle nostre finestre, e nella rabbia sorda di chi vive questo scempio come l'ennesima ferita ad una città che da troppo tempo è offesa nel suo patrimonio, nella sua cultura e nei suoi valori e per la quale, per questo, si soffre ancora di più.


Variazioni di pesce spada- in crosta di semi di papavero e zenzero e in guazzetto di patate alla ligure

Collage di Picnik


...ovvero un bel "due per uno", che di questi tempi di forni ancora spenti e voglia di cucinare ancora in rodaggio non è poco. E' che stamattina mi son fatta tentare da un bel trancio di pesce spada (ora che anche george clooney è andato, intendo...) e quando è arrivato il momento di cucinare, mi sono accorta che, come al solito, ne avevo comprato troppo. Il freezer è pieno di mirtilli, il pesce di due giorni non mi piace e allora mi son dovuta industriare con quello che c'era. Il "fuori programma" è a destra- ed è superfluo che aggiunga che è quello che ci è piaciuto di più. La ricetta studiata, invece, è l'altra, su cui il marito ha trovato da ridire per quanto riguarda la cottura- fosse per lui, direttamente sulla piastra. E, sempre se fosse per lui, senza semi di papavero. E anche lo zenzero, non è che ci dica granchè.. se assolviamo il pesce spada è già tanto, insomma.
In ogni caso, son due "signore" preparazioni, che hanno come punto di forza la rapidità e richiedono però come condizione imprescindibile un'ottima materia prima, perché sono tutte mirate ad esaltare il protagonista, con cotture veloci, quasi senza grassi. Entrambe sono tratte dall'ultimo acquisto, La cucina ligure di mare di Valeria Melucci Newton Compton editore, comprato ieri in autogrill al ritorno dall'isola del giglio, uno scrigno di ricette preziose, a cui mi sa che attingerò a piene mani per un po'.
Intanto, gustatevi le prime due...


Pesce spada in crosta di semi di papavero e zenzero


pesce spada in crosta di papavero e zenzero


per 4 persone
4 fette di pesce spada fresco, di circa 200 g l'una
semi di papavero,
radice di zenzero
olio EVO
insalatina per accompagnare

Grattugiate un pezzetto di radice di zenzero e mescolatela con un cucchiaio di semi di papavero. Cospargete le fette di pesce col sale eimpanatele con il misto di semi di papavero e radice di zenzero. Disponete le fette in una pirofila leggermente unta d'olio, e infornate a 180 gradi, per 10 minuti, non di più. Servite su un letto di insalata di stagione

Guazzetto di pesce spada con pomodorini e olive taggiasche su patate dorate

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per 10 persone
1m5 kg di pesce spada
700 g di patate
300 gr di pomodorini
200 ml di olio EVO
100 g di olive taggiasche
100 ml di vino bianco secco
2 spicchi d'aglio
1 mazzetto di prezzemolo
rosmarino
origano
sale

Pulire il trancio di pesce, eliminando la pelle e la spina centrale e tagliatelo a dadini. Mondate le patate, tagliatele a fettine sottili e friggetele in olio d'oliva. Scoltatele e fatele asciugare su un foglio di carta assorbente. Fate soffriggere l'aglio intero nell'olio, con il rametto di rosmarino, unite lo spada, fate rosolare per qualche minuto e sfumate col vino- Spellate i pomodori, privateli della pelle e dei semi e tagliateli a dadini, quindi uniteli al pesce e portate a termine la cottura unendo all'ultimo le olive, una spolverata di origano, e regolando di sale. Disponete sui piatti le patate a raggiera e sistemate il pesce al centro, guarnendo con una spolverata di prezzemolo.
buon appetito
alessandra

lunedì 17 agosto 2009

terrina di peperoni con cuore di treccia

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Se non fosse che mi vergogno per l'aulicità del paragone, scomoderei Orazio e il carpe diem. Perché la particolarità di questa ricetta sta tutta nel cuore morbido, assicurato da una treccia di mozzarella che fonde cremosa nel piatto, al primo taglio della forchetta. Ma che, al pari di tutti i formaggi cotti, dopo un po' si rapprende in una massa gialliccia e filamentosa che, se salva ancora qualcosina sul fronte del gusto, perde ogni attrattiva su quello della presentazione. Quindi, ai soliti tempi di esposizione a cui ci condanna ogni obiettivo fotografico che si rispetti, in questo caso bisogna aggiungere l'esatta combinazione fra il raffreddamento dello sformato (che se è troppo caldo, si spatascia) e quello della fusione della mozzarella, su cui credo che Einstein avrebbe deciso di dedicare il resto delle sue ricerche, se non fossero sopraggiunti altri impegni, un tantino più urgenti. Ma siccome qui Einstein ci fa un baffo, sono partiti i calcoli combinati, al nanosecondo, ovviamente, perché in casa mia si fa tutto col calibro, anche e specialmente la frantumazione delle scatole della sottoscritta. E quando finalmente era tutto pronto, macchina fotografica da una parte, set dall'altra, sguard fissi sull'orologio della cucina ( che è fermo da quando abbiamo traslocato, ma è un dettaglio superfluo), proprio allo scattare dell'attimo, è squillato il telefono. Con la suocera all'altro capo, che si informava delle sorti della terrina, visto che la ricetta proviene dai suoi archivi e non sia mai che la nuora avesse sbagliato qualche cosa e già che ci siamo te ne dò un'altra, che è un po' lunga ma ne vale la pena, aspetta che la cerco, l'avevo messa qui, ecco, mettiti comoda che detto.
Devo proseguire, o il finale lo sapete già?
E se, tanto per cambiare, vale la regola della seconda che ho detto, usate la vosta immaginazione anche per "vedere" il filo di mozzarella colante, dalla foto qui sotto, fatta all'unico esemplare superstite, il mattino dopo. Perché alla sera, qualcosa mi ha suggerito che sarebbe stato meglio non insistere con le foto e mettere subito in tavola...

TERRINA DI PEPERONI CON CUORE DI TRECCIA

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per 4 persone
6 peperoni rossi; mezzo peperone giallo; mezzo peperone verde; una treccia di mozzarella; 2 cucchiai di pangrattato; 2 cucchiai di parmigiano grattugiato; uno spicchio d'aglio; olio EVO; 2 uova; sale e pepe

Disponete i peperoni rossi in una teglia con un dito d'acqua e fateli cuocere in forno già caldo a 200 gradi, girandoli spesso, finchè la pelle tenderà a staccarsi. Toglieteli dal forno, chiudete per qualche minuto in un sacchetto per alimenti; quindi spellateli, puliteli, divideteli in falde e salateli. in alternativa, potete anche gligliarli, eliminando sempre la pelle.
Disponete le falde di due peperoni spellate e, se necessario, tagliate a pezzi su misura, in una terrina della capacità di circa un litro, rivestito di carta da forno bagnata e strizzata (io ho usato gli stampi monoporzione da plum cake e ho leggermente sovrapposto le falde, quando non sono riuscita a tagliarle su misura). Intanto, saltate in na padella i peperoni rossi rimasti, tagliati a pezzetti, con l'aglio e un filo d'olio. Farli raffreddare, frullarli bene al mixer con le uova, il pan grattato, il parmigiano reggiano, sale e pepe.
Formate, con il composto ottenuto, uno strato all'interno dello stampo da terrina disponete al centro la treccia di mozzarella intera e coprite con la crema di peperoni rimasta. Cuocete la terrina in forno già caldo a 180 gradi percirca 25 minuti. Lasciatela riposare per qualche minuto e servitela, tagliata a fette, con i peperoni gialli e verdi tagliati a julienne

Avendo usato le monoporzioni, ho ridotto i tempi di cottura, ma non di tanto: una ventina di minuti, non di meno. Di solito, cuocio a bagno maria, ma stavolta, per non crepare di caldo, mi sono fidata della ricetta e ho fatto bene, perché il composto è cresciuto bele ed è rimasto molto umido all'interno - grazie anche alla mozzarella, che ha fatto il suo dovere ;-)
Naturalmente anzichè la treccia, ho usato le treccine di fiordilatte.
Ottimo secondo, molto estivo, estremamente versatile negli abbinamenti ( ci sta bene un po' tutto, dal pomodoro alla melanzana): da rifare, al più presto
Alessandra

lunedì 1 giugno 2009

filetto di scorfano caramellato con ratatouille allo zenzero

di Alessandra

ratatouille

Mettiamola così: siccome ho imparato, negli anni, che è meglio tacere quando si è furenti, soprattutto se si soffre, come me, della sindrome dei cinque minuti, per cui in 300 secondi netti ti giochi tutto quello che hai accumulato con fatica sul fronte dei rapporti personali e professionali, in 30 lunghi anni, darò prova di grande saggezza applicando lo stesso principio anche alla tastiera del computer. Per cui, nessun diario, nessun resoconto, nessuna riflessione, niente di niente, insomma: neanche la ricetta mielosa che avevo in mente, soppiantata da una tutta diversa, in cui l'agrodolce domina fra i sapori e il coltello fra gli attrezzi.

Che però è servita, oltre che a rimediare una cena in tempi in cui, normalmente, si sarebbe finiti a caffellatte e biscotti, anche a recuperare un consolante lieto fine- e cioè che la sottoscritta, pur essendo dotata di tutti i difetti del mondo, dal sommo all'infimo grado, è però completamente priva di istinto omicida. O, quanto meno, riesce a tenerlo sotto controllo, se ci sono a portata di mano delle verdure....

Ratatouille allo zenzero e filetto di scorfano caramellato

filetto caramellato


per 4 persone
4 filetti di scorfano
un'arancia- scorza e succo
il succo di un'arancia
50 ml di salsa di soia
zucchero di canna
olio EVO

per la ratatouille
1 cipolla
1 costa di sedano
1 peperone giallo
1 melanzana
4 pomodori maturi
basilico fresco
zenzero fresco
olio EVO
sale



Pulire bene tutte le verdure. Affettare la cipolla e tagliare a tocchetti il sedano e farli soffriggere in 4 cucchiai di olio , in una larga padella, a fuoco medio. Aggiungere poi i peperoni tagliati a pezzetti, salare, fare insaporire e cuocere qualche minuto, a recipiente scoperto, mescolando di tanto in tanto. Finire con la melanzana, anch'essa a cubetti. Mescolare, abbassare la fiamma, coprire e far cuocere per una decina di minuti. Dopodiché, aggiungere i pomodori, tagliati a tocchetti e privati dell'acqua e dei semi. Mescolare bene, aggiustare di sale e cospargere le verdure con una bella grattugiata di zenzero. Proseguire la cottura, a recipiente coperto, per altri dieci minuti, non di più: le verdure devono essere cotte, ma croccanti. Spegnere il fuoco, scoperchiare, lasciar riposare qualche minuto e servire, dopo aver aggiunto qualche foglia di basilico fresco, sminuzzata con le mani.

per lo scorfano
grattugiare la buccia dell'arancia e metterla da parte. Spremerne il succo ed aggiungere la stessa quantità d'acqua, più un terzo della quantità complessiva di zucchero di canna. Versare il tutto in un casseruolino dal fondo spesso e, a fiamma bassa, sorvegliando con attenzione, far bollire finché non riduce della metà. A quel punto aggiungere la salsa di soia, mescolare bene, far ridurre ancora un poco e tenere da parte.
Cuocere i filetti dal lato della pelle in padella, con poco olio, irrorandoli con il succo dell'altra arancia, finché non sono cotti.
Salare e servire con qualche goccia di salsa caramellata allo zenzero e la scorza d'arancia grattugiata.