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martedì 28 giugno 2016

Anche gli angeli mangiano fagioli...

fagioli2


Post datato 24 settembre 2012.
Lo riprendo ora, perche' oggi e' morto Bud Spencer e da quando vivo qui ogni occasione e' buona, per approfondire vuoti che non si colmeranno mai.

Che ci crediate o meno, a me il cinema non piace. I pochi film che guardo, li vedo in TV e sono sempre funzionali all'asse da stiro, oltre che rigorose "seconde scelte", dopo i vari Barnaby e Poirot a cui l'intera famiglia è debitrice di bucati stirati -e pure in tempo. Al cinema, invece, non vado da tempo immemorabile (l'ultima volta fu per Julia &Julie e, detto inter nos, me ne sarei potuta anche stare a casa). La spiegazione ufficiale è che il mio lavoro mi obbliga a sentir storie tutti i giorni. Sono il punto di partenza di ogni giornata, la trama su cui imbastisco tesi e controtesi, il mio puzzle quotidiano su cui spesso e volentieri mi scervello, dal lunedì al venerdì: le ascolto, le rielaboro, le studio, le interpreto e, infine, le riscrivo- e questo da quasi quattordici anni, senza interruzione. Andarmele a cercare anche nel tempo libero equivarrebbe a portarsi del lavoro a casa, anche nei fine settimana o alla sera: e visto che si son riposati anche ai piani alti- chioso abitualmente- avrò diritto anch'io a staccare un po', giusto?

Questa, dicevo, è la spiegazione ufficiale: la so a memoria, a dire il vero, perchè di tutte le scuse che ho dovuto cercare per motivare questo rifiuto, è quella che va sempre a segno. La gente si incuriosisce, quando sente parlare di fatti altrui e se faccio tanto di riuscire a portarli sul terreno confortante della mia professione, è fatta: gioco in casa, ho il conforto di copioni stracollaudati e non ho bisogno di confessare la vera ragione per cui non metto piede in una sala cinematografica da vent'anni. Pure precisi. 
Perchè prima dell'inverno del '92 io ci andavo, al cinema, e pure regolarmente. Avevo anche preso il vizio del mercoledì, quando i biglietti costavano meno e per un certo periodo pure quello del lunedì, con tanto di tesserino azzurro che certificava il vizio. Leggevo le recensioni sui giornali, sceglievo accuratamente fila e posto e controllavo tutti i titoli di coda, unico ma doveroso tributo a quel dietro le quinte che mi affascinava tanto quanto le sceneggiature e l'ambientazione. 
Ma poi ci fu Lanterne Rosse- e da allora, nulla fu più come prima. 
Che cosa mi fosse successo, durante la proiezione di quel film, è cosa che ricordo alla perfezione, nonostante i vent'anni trascorsi. Ero entrata pimpante, ero uscita distrutta, prostrata da un messaggio diverso da quello intenzionale ma che, evidentemente, aveva toccato le corde più fragili di quel groviglio di emozioni senza filtro che ero io allora. 
Tante volte ho pensato che dovrei rivederlo: mia madre me ne aveva procurato una videocassetta, ai tempi in cui riprodurre film non era così facile come oggi e non è escluso che nella cineteca di famiglia il dvd ci sia e in ogni caso procurarselo non sarebbe il problema. Mi incurioserebbe vedere se sono rimasta la stessa di allora (sotto sotto, tem di sì) o se, nel frattempo, qualcosa è cambiato. Ma rimando sempre, sospesa come sono fra il timore di dover riaprire antiche ferite o quello, altrettanto doloroso, di ritrovarmi con vent'anni di arretrati da smaltire ed una rinnovata passione da aggiungere all'elenco delle cose che non ho il tempo di coltivare come vorrei. E così, lascio perdere e mi drogo di campagne inglesi e cadaveri sparsi. 

La cosa strana è che io son circondata da cinefili: lo sono mio marito e mia figlia e non passa sera che mi abbandonino al mio libro per guardarsi un film su cui discuteranno il giorno dopo, sin dal primo caffé della mattina. E, prima ancora, lo erano stati mia nonna e mio padre.

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Mia nonna era del 1913 e aveva accolto l'avvento del cinema con l'entusiasmo ingenuo e fanciullesco della generazione che l'aveva preceduta: un po' come i primi spettatori della prima proiezione dei fratelli Lumiére, quelli che erano fuggiti dalla sala in preda al panico, convinti che il treno uscisse dallo schermo e li investisse tutti. Lei guardava i film senza alcun filtro, risucchiata dalla potenza del mezzo in modo tanto inesorabile quasi inevitabile e non c'era verso di staccarla dalla poltrona, ipnotizzata com'era dalla storia che si stava svolgendo sotto i suoi occhi e di cui lei era, a turno, ora la protagonista ora la spalla, con un interscambio di ruoli che, per noi che assistevamo in diretta alle trasformazioni, costituiva una sorta di spettacolo nello spettacolo, quasi sempre più imperdibile di quello vero. Quando era più vecchia ed io ero una ragazzina, aveva preso il vizio di interagire con la TV: messi da parte i freni inibitori che l'avevano trattenuta fino ad allora, protetta dalla privacy della sua camera o della famiglia, aveva preso l'abitudine di seguire un suo copione, che recitava accanto a quello degli attori. Ricordo con orrore il "prego, si accomodi, faccia come fosse a casa sua" rivolto al signor Ingalls che bussava alla porta della Casetta nella Prateria, accompagnato dalle movenze delle grandi occasioni, con lei in piedi davanti al televisore, il grembiule slacciato in fretta e messo via e il sorriso beato di chi, in quel momento, accantonava le preoccupazioni della realtà per proiettarsi nel conforto della finzione. 
Mia madre raccontava che, da giovane, era peggio: ai tempi, una signora non poteva andare al cinema da sola, pena l'irrimediabile rovina della propria reputazione. E siccome mio nonno non riusciva a tenere il passo della passione, lei  obbligava i figli ad accompagnarla. La prima sala cinematografica era alla periferia della città, per loro che provenivano da un piccolo paese, senza altri mezzi se non quelli forniti dalla natura: e delle caterve di pellicole viste in quegli anni, mia madre ricordava solo il mal di piedi. 
Mia nonna, per contro, li sapeva a memoria e tale era la passione che aveva imparato tutti i nomi degli attori, pure quelli di quel cinema americano così glorioso e prodigo di sogni a buon mercato. Le sue pronunce erano uno spasso, per me e mia sorella bambina: il bisnonno, somigliava a "clarche gabble", il nonno era tutto "ion vaine" e ogni volta che la sentivamo prender fiato e ansimare, in puro stile Spirit of saint Louis, ci affrettavamo a tranquillizzare gli astanti che "no, davvero, non le sta venendo un enfisema: sta solo cercando di dire Humprhey  Bogart"



Se mia nonna aveva gusti sofisticati, amante com'era della commedia americana e delle storie d'amore, mio papà si divertiva con i film d'azione. Di guerra, ovviamente, ma anche i grandi western del dopoguerra, le spy stories degli anni Ottanta e Novante e tutto quanto regalasse colpi di scena ed emozione, meglio ancora se accompagnati da colonne sonore degne di questo nome. The Blues Brothers, il magico Clint (sia da attore che da regista) e tutte le storie della seconda guerra mondiale, da I Cannoni di Navarone a Operazione Sottoveste sono stati il basso continuo delle serate al cinema con nostro padre. Ma, per quanti film si siano potuti condividere in tutti questi anni, nulla ha mai scalfito l'inossidabile primato degli spaghetti -western e della coppia più divertente, più scanzonata e, sotto sotto, mai veramente rinnegata di questo filone, vale a dire Bud Spencer e Terence Hill. 

Il titolo del post si riferisce all'unico film in cui Bud Spencer recitò con Giuliano Gemma- ed è manifestamente asservito alla ricetta scelta per rappresentare l'intero genere cinematografico. Ma i veri idoli della nostra infanzia erano loro due, Terence Hill e Bud Spencer , tanto che, mentre i nostri coetanei si arrovellavano a ricordare i sette re di Roma o le province della Lombardia, io e mia sorella facevamo a gara a chi diceva prima tutti i titoli dei loro film, da Lo chiamavano Trinità ai Due Superpiedi quasi piatti, l'ultimo che andammo a vedere tutti assieme: in quell'anno, uscì La Febbre del Sabato Sera, che oggi ritengo uno dei film peggiori che abbia mai visto ma che all'epoca fu una sorta di rito di passaggio, dall'infanzia all'adolescenza e che, assieme a tante altre cose, si portò via pure queste domeniche pomeriggio al cinema, con mamma e papà. 

Perchè era la domenica, in quegli anni, il giorno dedicato allo svago ed al riposo: il sabato libero era sconosciuto, al pari degli orari continuati, delle pause pranzo in ufficio o in palestra, della spesa a domicilio, ordinata da casa con un semplice clic. E neppure esistevano i centri commerciali o i negozi aperti nei giorni di festa: l'unica alternativa al cinema, in inverno, era il Genoa, che allora giocava di domenica e solo di domenica, una volta in casa e una fuori. Anche le auto si usavano una domenica sì e una no, a seconda di come finivano le targhe, in un'alternanza tranquillizzante che teneva a bada paure reali e riempiva le macchine altrui di bambini ed anziani, in slanci di solidarietà che oggi son solo ricordi venati di nostalgia. 
La stessa con cui ripenso a questi film, che definire parodistici è quanto di più sbagliato possa venire in mente: perchè se mai qualcosa mancò, a questo genere, fu proprio la spinta intellettuale, il fine dissacratorio, la vis polemica che contraddistingue le parodie tutte. Qui, ci si prendeva semplicemente a cazzotti, con una comicità tutta gestuale, capace però di ottenere le stesse finalità catartiche di rappresentazioni ben più ambiziose e di gran lunga più pregevoli: si rideva e ci si divertiva, e questo anche perché non c'erano incertezze, né di ruolo, né di trama: i buoni di qua, i cattivi di là e non facevi in tempo a prender posto che già sapevi come sarebbe finita, con Bud Spencer e Terence Hill che avrebbero fatto trionfare la giustizia, per l'ennesima volta, scampando ai pericoli che si presentavano via via e che, nel caso di Terence Hill, comprendevano anche gli sguardi languidi delle fanciulle del west: quello che davvero contava per noi bambine che adoravamo i suoi occhi azzurri e il suo sorriso da eterno ragazzino, era che rimanesse single ed incontaminato e mai scena fu accolta con maggiore sollievo che l'addio alle bellezze mormoniche, in Lo chiamavano Trinità. 

Come dicevo prima, con l'adolescenza smettemmo di andare al cinema al pomeriggio. O meglio, ci si andava, ma rigorosamente senza mamma e papà. E smettemmo anche di guardare questi film, che facevano parte di un passato da omettere, se non proprio da dimenticare, in quell'immagine di ragazze culturalmente impegnate che ci stavammo costruendo in quegli anni. Mio padre, invece, continuò a guardarli: non più al cinema, ma in televisione. Ogni volta che ne programmavano uno, non c'erano scuse per distoglierlo dal telecomando e dal divano. A forza di rivederli, ovviamente, li sapeva a memoria. E capitava sempre più spesso di sorprenderlo a sghignazzare, assai prima che cominciasse la scena, pregustando battute che ormai sapeva a memoria, ma che riuscivano ogni volta a strappargli una risata: noi lo sentivamo ridere e, di colpo, tutto tornava come allora, con me e mia sorella piccine, la mamma che chiudeva il negozio, la nonna e il suo eterno daffare e quel papà che era la nostra roccia, più bello di Terence Hill, più forte di Bud Spencer, il porto sicuro di tutte le tempeste della nostra vita.

Ovviamente, questa ricetta partecipa a Cinegustologia , il contest di Andante con Gusto, presumo fuori concorso perché il film non rientra in nessuna delle categorie prevista. Ma mi era impossibile non partecipare, per l'affetto che mi lega a quell'altra metà della mia mela che ogni giorno si rivela essere la Patty- e ancor più impossibile  non farlo con questo genere di film: perchè visto che ricominciare si deve, non posso non farlo da qui.


SALAMINI COI FAGIOLI

salamini

Come dicevo qui, i fagioli si intendono rigorosamente freschi secchi: vanno tenuti a mollo una notte e poi scolati, sciacquati e rimessi in abbondante acqua fredda, meglio se in una pentola di coccio, con aglio, salvia, sale e uno o due cucchiai di olio d'oliva. Il segreto per una buona cottura è farli sobbollire a lungo, a fuoco basso, fino a quando diventano teneri. A quel punto si scolano e si condiscono, come si preferisce. Più sotto, comunque, troverete altri consigli per una cottura perfetta. 

Per gli ingredienti, vado sempre ad occhio. Calcolo due salamini a testa per ogni commensale, ma vi assicuro che in casa mia ne mangerebbero anche tre, se non addirittura quattro. Lo stesso vale per i fagioli, che vanno pesati da cotti: indicativamente, son cento grammi per ciascuno, ma fra l'intingolo e tutto il resto, non stupitevi se vi verrà chiesto il bis. D'obbligo la puccetta, col pane. 

Preparazione
Affettate sottilmente la cipolla e fatela imbiondire in poco olio. 
Nel frattempo, in una padella antiaderente, senza altro grasso, fate saltare la pancetta, a fuoco vivo, per pochi minuti: appena avrà rilasciato il suo grasso, scolatela e aggiungetela alla cipolla. Unite poi la salvia (se vi piace, ma in Toscana  è un must) e i fagioli e faate insaporire per un minuto o due a fiamma vivace. Aggiungete la salsa di pomodoro, aggiustate di sale, abbassate la fiamma e fate cuocere, fino a quando il sugo inizierà ad addensarsi. 
Nel frattempo, incidete per lungo i salamini e adagiateli dalla parte incisa su una bistecchiera già calda: anche in questo caso, non utilizzate nessun grasso, che ci pensa già la carne a rilasciarne in abbondanza di suo. Lasciateli cuocere pochi minuti per parte e tirateli via quando sono bruniti fuori ma ancora al sangue: proseguiranno la cottura in padella, assieme al sugo e ai fagioli. 
Uniteli al resto degli ingredienti e fateli cuocere ancora per un minuto o due, badando a che il sugo non si restringa troppo. 
Portate in tavola la padella e servite, con una generosa spruzzata di pepe nero, macinato all'istante.

Note mie
Come dicevo prima, il punto di forza di questo piatto sono gli ingredienti, che devono essere freschi e di ottima qualità: il discorso vale ovviamente per la carne e i fagioli, ma include anche la salsa di pomodoro. Nelle ricette antiche, la si preparava al momento, direttamente nel soffritto di cipolla- e poi la si passava, prima di aggiungere i fagioli. Ora si tende a saltare questo passaggio, ma io dò per scontato che si usi una buona salsa, meglio se fatta in casa. 

Il segreto per la cottura dei fagioli è farli muovere il meno possibile, durante la sobbollitura: tenete la fiamma bassissima e non mescolate mai. Di solito si calcolano 5 parti di acqua per una parte di fagioli (100 g di fagioli, 500 di acqua), ma anche se non siete così rigorosi non importa: l'essenziale è che non li mettiate a cuocere in due dita di liquido, che si consumerebbe nei primi minuti. A questo proposito, meglio usare pentole dal fondo spesso: il coccio sarebbe l'ideale, ma anche un doppio o addirittura triplo fondo non sarebbero male. 

Se usate fagioli freschi, invece, non c'è bisogno dell'ammollo. Rendon meno di quelli secchi (una porzione, di solito, è 250 g con la buccia, contro gli 80-100 dei fagioli secchi, ovviamente senza buccia) e vogliono anche cuocere meno: cambiano quindi le proporzioni dell'acqua, di solito 1:4, ma vale sempre la solita regola: regolatevi a occhio per l'acqua e all'assaggio per i tempi di cottura: quando son teneri, son pronti (indicativamente, un'oretta, ma anche meno, dipende dalla qualità dei fagioli)

Faccio tutte le cotture separate, anche quella della pancetta, per evitare i grassi: un piatto dietetico non è -e alle calorie del maiale e dei fagioli vanno aggiunte anche quelle del pane, che senza la puccetta finale non è per niente la stessa cosa: per cui, laddove si può, si risparmia :-) In più, a titolo assolutamente personale, troppi grassi inquinano i sapori: quindi, cotture separate e insaporimento finale. 

Fate attenzione a che la salsa non si addensi troppo, quando unite i salamini: lasciatela piuttosto liquida prima (o meno densa, a seconda), portandola a cottura con l'aggiunta di un mestolino d'acqua: eviterete l'effetto mappazza.


ciao 
ale

lunedì 11 gennaio 2016

QUEL CHE RESTA DEL PORCO- SETTIMANA DEL MAIALE


miserevoli resti di un filetto di maiale alla senape con patate al forno

Sia  detto senza tema di smentita.
Se non fosse per il maiale, la sottoscritta non mangerebbe carne. 
Non ho detto che sarei vegetariana- e neppure pesciariana,come la mia amica Tamara. 
Dietro a una scelta del genere, c'è un concorso di motivazioni etiche che mi trovano d'accordo a metà, considerato che se di rispetto per gli esseri viventi si parla, allora bisogna rispettarli tutti e non solo alcuni, piante comprese.
Se pensate che le piante non soffrano, non avete visto le mie.
E neanche avete visto me, asfaltata dai sensi di colpa, che mi coccolo il prezzemolo ammosciato o il basilico rattrappito, affogandoli nell'acqua che mi son dimenticata di dar loro tutti i santi giorni- due volte al giorno, facendo fioretti a Madre Natura, che se sopravvivono, giuro che non lo faccio più.
Intendo dire: se dovesse applicare questo metro alla mia etica alimentare una come me, che battezza le aromatiche e intavola lunghe discussioni con la palma dell'ingresso, si nutrirebbe d'aria.
Non che questa non sia un 'ipotesi da scartare, sia chiaro, perchè i suoi vantaggi li ha. A me risolverebbe il problema del sovrappeso, per dire. 
E a mio marito, quello della moglie
"#Finalmentezitta"-  già me lo vedo, come epitaffio.
E comunque, tornando all'argomento, se non fosse per il maiale, bla bla bla.
Perchè a me, la carne non piace.
Ma il maiale...
Nemmeno. 
O meglio:non mi piace il maiale che sa di carne: non mi piace la coppa, non mi piace la spalla, non mi piacciono le interiora e, da quando sono qui, non mi piacciono le orecchie, neppure se fatte fritte e presentate sotto forma di chips.
Ma se parliamo di parti magre, come la lonza e il filetto, e soprattutto di salumi, allora il discorso cambia, e di brutto.
Io, una volta, mi son mangiata un salame intero, per dire.
E un'altra volta mezzo culatello.
Piccolo, ma sempre mezzo era.
E sorvolo sulle infinite notti passate a dire "non lo faccio più", attaccata alla canna del rubinetto, con una lingua simile a una millefoglie di carta vetro- o ai brufoli del giorno dopo,che se già erano esecrabili a 15 anni, figuratevi a 50. 
Ma tant'è.
Datemi un maiale-e me lo mangerò subito.
E non c'è blog che tenga....

Allora: lunedì 11 gennaio, II settimana del Calendario del Cibo Italiano AIFB, tutta dedicata a Sua Maestà il Maiale, rappresentato in tutta la sua maestosità da His Majestic Corrado Tumminelli. Il suo articolo è imperdibile, per cui lasciate perdere tutto quello che state facendo, compresa la lettura di queste pagine, per correre qui a bearvi di tutta la storia, ufficiale e ufficiosa, di uno dei grandi protagonisti della gastronomia italiana. 
Poi però tornate da queste parti :-)

considerata la passione, prevedo più contributi durante la settimana. Per cui li divido per due- e iniziamo con questi
Lonza al caramello salato con salsa all' arancia e zenzero
Arrosto di maiale al Calvados  con composta di  di mele e uva



 

venerdì 6 novembre 2009

filetto di maiale con salsa all' Earl Grey Tea




filetto di maiale all'earl grey


Giornata tipo della sottoscritta
ore 6.00 sveglia: mi alzo, metto su l'acqua per il tè e spedisco la ricetta ai fans
ore 6.15: sveglio la creatura, che deve alzarsi mezz'ora prima perché, tanto per cambiare, non ha fatto i compiti di latino
ore 6.20: la creatura si alza dal letto.
ore 6.23: la creatura apre gli occhi
ore 6.25: brucia il pentolino del tè
ore 6.30: la creatura dice che se prima non fa colazione, non le viene l'ispirazione per fare i copmpiti
ore 6.45: la creatura viene mandata sonoramente a quel paese, all'ennesima richiesta
di "ancora due biscotti"- nel frattempo, svuoto la lavastoviglie e sistemo il contenuto, "gratto" il pentolino, controllo se continuano i rantoli del marito moribondo ( ha 36.7 di "febbre") recupero il libro di latino e lo schiaffo direttamente sulla chiazza di latte della colazione della figlia
ore 7.15: i compiti di latino finiscono, assieme alla mia voce, e la creatura mi annuncia che, siccome è in ritardo, non può prendere l'autobus nemmeno oggi
ore 7.16: chiedo al marito se, mentre va in ufficio, può accompagnare la figlia a scuola, ma il marito mi informa che non è in condizione di muoversi, visto che stanotte ha tossito per due volte e si è soffiato il naso per tre-senza che io mi alzassi per soccorlerlo
ore 7.17: apro il ribinetto della doccia
ore 7. 19: esco dalla doccia, urlo alla creatura di sbrigarsi, mi vesto alla velocità della luce e mi imbatto nella figlia che, in pigiama, manda sms a tutto il mondo- perché è scattato il minuto in cui vodafone te li dà gratis e guai a non cogliere l'attimo
ore 7.25: riempio la lavastoviglie, rassetto la cucina,scopo per terra, bagno le piante
ore 7.28: la creatura esce dal bagno
ore 7.40: inizia l'attraversamento di mezza genova- l'ho voluta la scuola seria? e adesso pedalo...
ore 7.40: iniziano le lamentazioni della figlia per problemi di cuore
ore 7.59: la figlia mi annuncia che i problemi di cuore potrebbero finire se oggi alle 2 e mezza si trovasse all'altro capo della città " ma come faccio ad andarci, che c'è sciopero degli autobus??? mamma, ti prego, non deludermi anche tu!"
ore.8.20: rientro a casa e preparo le basi per il corso di cucina di stasera
ore. 9.30: pulisco la cucina
ore 9.50: inizio a stirare
ore 10. 25: chiama il Mega Professore che mi sollecita a consegnargli un lavoro, commisionato una settimana fa
ore 10.30: chiama la segretaria, che mi annuncia che il Mega Professore deve consegnare un lavoro da 6 mesi e abbiamo tutto bloccato
ore 10.31: brucio il copriasse comprato l'atro ieri
ore 10.33: accendo il pc. Il moribondo, accanto a me, mi dice affranto che sta aspettando un tè da due ore.
ore 10.40: torno al pc, per sentire le recriminazioni del moribondo , perché ieri sera gli ho impedito di andare allo stadio e "cosa mi importa se c'era un nubifragio e avevo la febbre" ( 36.8)
ore 10.41: spengo il pc
ore 10.43: metto su l'acqua per il pranzo ( soufflè di tagliolini)
al momento, devo ancora
1.scrivere almeno 5 pagine del lavoro
2. rassettare la stireria e trasformarla nell'aula per il corso di cucina
3.finire di scrivere le dispense del suddetto corso di cucina, impaginarle, stamparle e rilegarle
4. finire di preparare il pranzo
5. infornare il soufflè
6. correre a prendere la creatura che esce da scuola all'una
7, tornare a casa in venti minuti, prima che il soufflè si ammosci
8. pulire la cucina
9. portare la creatura all'appuntamento
1o. fare un salto in ufficio
11. comprare il castelmagno- senza il quale niente piatto forte del corso
12. tornare a prendere la cratura
13. farle fare i compiti
14. fare il corso di cucina
Tutto questo per dirvi che oggi sul blog non scrivo un bel niente, perché per farmi venire l'ispirazione, non ho tempo...


filetto di maiale all'earl grey

Filetto di maiale al tè al bergamotto
(da Sale e Pepe, Nov. 2009)
per 4 persone
800 g di filetto di maiale
un cucchiaino di tè al bergamotto
3 chiodi di garofano
120 g di prosciutto
un mazzetto di salvia
mezzo cucchiaino di fecola (anche uno)
2 dl di vino rosso
30 g di burro
sale e pepe

Scaldate mezzo bicchiere d'acqua con i chiodi di garofano e lasciate in infusione il tè per 3 minuti, quindi filtrate e unite il vin: versate il liquido sul filetto e lasciate marinare per 30 minuti. Sgocciolate la carne dalla marinata, tamponatela con la carta assorbente, salatela poco, pepatela e avvolgetela con le fette di prosciutto. Rosolate il filetto in un tegame con il burro, quindi trasferitelo nel forno a 170 gradi, unite la salvia e cuocetelo per altri 30 minuti, coprendo il recipiente con un foglio di alluminio. Intanto, stemperate la fecola con un po' di marinata, diluitela con il resto del liquido e fatela restringere nel tegame in cui avete rosolato il filetto. Servite l'arrosto con questo fondo
Buon Appetito
Alessandra


filetto di maiale con salsa al bergamotto

mercoledì 16 settembre 2009

Arrosto di maiale al Calvados con composta di mele e uva

lonza al ginepro con composte


Fra le migliaia di cose a cui sono allergica, ci sono i soprannomi: mentre per natura, tendo ad abbreviare tutto, detesto cordialmente i vari Puffy-Bibi-Cucca-Dado che in casa mia fanno tanto Famiglia Cristiana- e don Sciortino non c'entra: ve li ricordate gli Squallor (" sì Pierpaolo, va bene Pierpaolo...E chi è Pietro? Pietro è il cane di Fuffy).
Va da sè che una buona metà delle mie amiche celi sotto queste storture nomi bellissimi- anzi, più sono belli, più si nascondono, chissà come mai- e che l'intera popolazione delle amiche della creatura risponda solo se chiamata col soprannome. Creatura compresa, sia chiaro, tanto per non farci mancare nessuna delle abitudini che fanno storcere il naso a sua madre. Per le amiche, mia figlia è Charlie, ovviamente abbreviato in Cià. Perfetto, no? Una passa nove mesi a spulciare calendari, dizionari dei nomi e alberi genealogici, e a litigare col marito ( "A me piacerebbe chiamarla Greta" " Greta? Ma Greta è un nome da alta e bionda" " Eh, appunto... se somigliasse a me... " " Ah, giusto... Gretina") et similia, per poi restare lì con la cornetta del telefono in mano, nella drammatica consapevolezza che la tipa che sta chiedendo all'altro capo " C'è la Cià?" non è una oriunda della Manciuria che sta dicendo, nel suo dialetto " Buon giorno, signora, sono ...., potrei parlare con Carola, per favore?", ma una a caso delle amiche della creatura.
A dire la verità, sono in buona compagnia: una mia amica, il cui figlio ha la pelle scura, si è rassegnata a sentirselo chiamare "Cambogia", mentre mio cugino, che da piccolo aveva la testa grossa, aveva dato il suo contributo all'entusiasmo rivoluzionario di quei tempi, lasciandosi apostrofare dai compagni ( ovviamente, di classe) come "Mao Testung" trattenendosi dal prenderli a zuccate.
La migliore di tutte, però, era capitata al liceo, quando ci era toccato in sorte, come professoressa, un donnone di un quintale di peso, sorretto da due gambe sottili, sembre inguainata in camicioni sgargianti e con un bel rossetto rosso sulle labbra: vederla e associarla alla moglie di Gambadilegno per noi era stato tutt'uno, almeno fino a quando una delle nostre madri, cercandola per il colloquio, aveva insistito dicendo che lei no, non voleva parlare con l'insegnante XXX, perché suo figlio era stato chiarissmo: " vai a parlare con la Trudi", le aveva detto e lei, ovviamente, eseguiva.
Tutto 'sto ambaradan per parlarvi di un'altra cosa, che rimando al prossimo post, perché naturalmente ho esaurito tempo e spazio, visto che la ricetta di oggi è lunghissima da raccontare (ma facilissima da fare). Per cui, mentre aspettate con ansia la prossima puntata, ingannate l'attesa con questo...


ARROSTO DI MAIALE AL CALVADOS IN SALSA DI MELE ED UVA

lonza al ginepro con composte

Per 6 persone

800 g di lonza di maiale in un solo pezzo
1 mazzetto di erbe aromatiche ( mirto, rosmarino, salvia, dragoncello, prezzemolo)
2 dl di calvados ( o vino bianco secco)
3-4 bacche di ginepro
3 cucchiaini di olio EVO

per la salsa di mele
2 mele Granny Smith
2 dl di calvados ( o vino bianco)
2 cucchiaini di zucchero di canna
1 cipolla
1/2 cucchiaio di pepe di Cayenna ( o peperoncino)
1 pezzo da 1/2 cm di zenzero (o rafano, de gustibus)
1 cucchiaino di panna fresca ( ma anche meno: le due gocce che servono per legare la salsa, non di più)


per la salsa d'uva
200 g di uva nera
1 noce di burro
pepe verde fine
1 cucchiaino di aceto di lamponi
1 foglia di alloro
2 dl di vino rosso
1 stecca di cannella
3 chiodi di garofano ( meglio 2)


lonza al ginepro con composta

Private la lonza dei filamenti di grasso, salatela, pepatela e massaggiate per 5 minuti. Fatela rosolare in un padella, con due cucchiai di olio, su entrambi i lati. Disponete la carne in una pirofila leggermente unta e cuocetela in forno già caldo a 180 gradi, girandola a metà della cottura. Riunite 2 dl di sidro in una casseruola con le erbe aromatiche tritate grossolanamente e le bacche di ginepro e portate ad ebollizione. Versate il Calvados con le erbe sulla carne, coprite la pirofila con alluminio e proseguite la cottura per altri 20 minuti. Togliete l'alluminio e proseguite a cuocere per altri 15 minuti, bagnando la carne con il fondo di cottura. Tenete la carne in caldo e filtrate il fondo di cottura attraverso un colino a trama fine.

Preparare la salsa di mele: sbucciate le mele, eliminate il torsolo e tagliatele a fettine, nel senso della larghezza. Spellate la cipolla e affettatela sottilmente. Unite le mele in un pentolino con la cipolla, irrorate con il Calvados, spolverizzate con lo zucchero di canna, il pepe di Cayenna e portate ad ebollizione. Cuocete per 10 minuti, unite lo zenzero grattugiato e proseguite la cottura per 5minuti. Togliete dal fuoco. Unite la panna, mescolate, lasciate intiepidire.

Preparate la salsa all'uva: scaldate una noce di burro in un pentolino con l'aceto di lamponi, unite gli acini d'uva lavati e asciugati e rosolateli per qualche istante. Aggiungete il vino rosso, la cannella, i chiodi di garofano e l'alloro e cuocete per 15 minuti a fuoco medio basso. Togliete dal fuoco , eliminate l'alloro, i chiodi di garofano, la cannella, pepate e lasciate intiepidire.

Private l'arrosto dello spago e dsponetelo in un piatto da portata. Tagliate qualche fettina e irrorate con il fondo di cottura della carne. Servite accompagnando con le due salse a parte.

E' perfetto con i panini al latte al'uva e al rosmarino, prossimamente su questi schermi ( leggasi: dal forno della cucina ai forni delle bocche degli amici, nenache il tempo di fotografarli in movimento..).
Buon Appetito
Alessandra