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martedì 7 settembre 2021

BIENENSTICH - Torta al miele e mandorle


Ricetta dimenticata, assieme al blog (ma questa è ormai una costante), fra le tante preparate lo scorso anno, al tempo del lockdown. Mia figlia l'ha definita "una droga" e questa è la sola ragione per cui non solo non l'ho mai più rifatta, ma l'ho proprio rimossa dalla memoria. Ho sorriso, pochi minuti fa, mentre nelle note scrivevo come conservarla: noi ce la siamo davvero mangiata tutta, in un giorno e neppure posso invocare la complicità di vicini e/o amici, vista l'epoca della sua preparazione. 

Pochi cenni "storici": torta tedesca amatissima, considerata estiva anche se non ci sono ingredienti stagionali, dal curioso nome di "puntura di ape". Attualmente, la maggior parte delle versioni ha una torta, alla base, di solito una sponge o un pan di Spagna. Io ho scelto la versione più antica, con la base lievitata che, a parer mio, acuisce il contrasto con la dolcezza della copertura e non la rende stucchevole. Un'altra versione, più da pasticceria, la vuole con uno strato di crema pasticcera fra la base e il topping: è estremamente scenografica e l'avrò mangiata mille volte (mi verrebbe da dire che, ancor più della carne, la vista è debole), ma questa, a mio parere, è più buona.

La fonte è Classic German Baking, di Luisa Weiss, le modifiche sono, naturalmente, tutte mie. 

 BIENENSTICH 

da L. Weiss, Classic German Baking 


Attrezzatura: una teglia rettangolare di 23x 33 cm

Per la base 

200 g di farina all-purpose* più un extra per spolverare il piano di lavoro 

1 tsp di lievito secco**

50 g di zucchero 

3 cucchiai di latte intero

un pizzico di sale fino

1 uovo medio, a temperatura ambiente

50 g di burro pomata

* la all-purpose flour (o plain flour) è una farina più forte di quella che si usa per fare i dolci e ben più debole di quella che si usa per fare il pane. Un buon compromesso domestico è mischiare 2/3 della prima con 1/3 della seconda. 

** l'uso del lievito di birra fresco, all'estero, è praticamente inesistente. si usa l'instant yeast, cioè il lievito di birra secco che non ha bisogno di essere attivato in acqua. Lo versate direttamente sulla farina e procedete con la ricetta. Il tsp è l'equivalente di un cucchiaino da tè, pieno. A meno che non siate panificatori esperti, non riducete la quantità di lievito, perché l'impasto è molto grasso. 

per la copertura 

130 g di burro

100 g di zucchero

95 g di miele

3 cucchiai di panna fresca liquida

1 pizzico di sale

190 g di mandorle affettate, senza buccia 


Preparate la base 

- Mischiate nell'impastatrice la farina con il lievito e lo zucchero. Unite, in questo ordine, il latte, il sale e l'uovo, impastando a velocità media, fino all'incordatura. Dopodiché, aggiungete il burro morbido a pezzetti, inserendo il pezzetto successivo solo dopo che il precedente è stato incorporato. 

- Se non avete l'impastatrice, fate lo stesso a mano, in una terrina. Dopo l'ultima aggiunta del burro, versate l'impasto su un piano di lavoro leggermente infarinato e impastate a mano per una decina di minuti: l'impasto dovrà incordare perfettamente, risultando liscio ed elastico. 

- Mettetelo a lievitare fino al raddoppio in una terrina pulita, leggermente spolverata di farina e ben sigillata con pellicola trasparente da cucina.

- Mentre l'impasto lievita, imburrate la teglia e rivestitela con un foglio di carta da forno che sbordi da tutti i lati. Quando l'impasto è raddoppiato, sollevate il foglio, mettetelo sul piano di lavoro, versatevi sopra l'impasto e stendetelo con le dita sulla superficie del fondo della teglia. Vi ci vorrà un po' di tempo, perché la maglia glutinica che si è sviluppata con la lievitazione opporrà resistenza, facendo restringere l'impasto, ogni volta che tentate di "stirarlo". Invece di insistere, lasciatelo riposare pochi minuti, poi tornate all'attacco, fino a quando lo avrete ben steso sulla porzione di carta da forno che corrisponde al fondo della teglia. Dopodiché, sollevate di nuovo la carta da forno con l'impasto, mettetelo nello stampo e lasciate riposare per il tempo necessario a preparare la copertura 

Preparate la copertura

- Accendete il forno a 180°C, modalità statica 

- Fate sciogliere in un pentolino il burro con lo zucchero, il miele, la panna e il sale, mescolando: poi portate a bollore, a calore moderato. Abbassate la fiamma e fate sobbollire dai 3 ai 5 minuti, fino a quando il mix inizierà a scurire: deve diventare del colore di un caramello biondo. In questa fase, non perdetelo mai d'occhio e mescolate, di tanto in tanto. Versate le mandorle e, fuori dal fuoco, mescolate bene per incorporarle all'impasto.

- Rovesciate il tutto sulla base e distribuitelo uniformemente con una spatola. Infornate per 20-25 minuti o fino a quando la copertura avrà preso un bel colore di caramello e le mandorle inizieranno a scurire. 

- Sfornate e lasciate raffreddare per almeno 15 minuti, senza toccare il dolce. Poi, aiutandovi con la carta da forno che sborda dalla teglia, sollevatelo e fatelo raffreddare completamente, prima di tagliarlo in quadrati regolari. 

Anche se le ricette consigliano di consumare il dolce il giorno stesso, la Bienenstich si conserva bene in una scatola di latta, ermeticamente chiusa. Trattandosi però di un lievitato, meglio consumarlo nel giro di due giorni.


 





sabato 13 giugno 2020

MELANZANE ARROSTITE CON SALSA TARATOR ALLE MANDORLE



 Non so a voi, ma a me questo protrarsi del lockdown (qui a Singapore, Circuit Breakes, guai a chiamarlo in modo diverso) ha fatto scoprire il vero significato della parola "accidia". Che è cosa molto, ma molto, ma molto peggiore della pigrizia. 
La pigrizia ha un che di piacevole, è il crogiolarsi beato nel fare niente. 
L'accidia è la consunzione, lo svuotamento di ogni energia positiva, l'inane condizione di chi si lascia sopraffare dalla perdita di interesse, per tutto. 
Per farla breve, l'accidia è la sorella brutta della pigrizia. 
E me la sto beccando tutta quanta.
Pile di roba da stirare, cesto della biancheria sporca pieno, lavori di ogni genere iniziati e non finiti fanno da cornice a libri non aperti, programmi TV non visti, fiori che non colsi e amenità del genere. 
Anche la cucina, a dispetto di un blog per così dire risorto, risente eccome di questa fase accidiosa: non solo nell'andamento disordinato dei pasti (stasera, per esempio, sushi e formaggio, tanto per mettere d'accordo nel moto di orrore oriente e occidente): ma anche nella scarsa voglia di sperimentare ricette nuove. 
Non sono dell'umore di assumermi nessun rischio, mettiamola così. E anche se al giorno d'oggi le riviste sono molto più affidabili di un tempo e i libri sono quasi sempre una garanzia, persino la più remota ipotesi di fallimento mi fa rinunciare in partenza. 
Per fortuna, però, c'è Diana Henry, una prolifica autrice inglese, scoperta cinque anni fa con lo Starbooks, grazie a Mapi e da allora mai più abbandonata, sia perché fa un tipo di cucina che mi piace (è la versione femminile e semplificata di Ottolenghi, con molta più fantasia e in molto meno tempo), sia perché con lei so di andare sempre sul sicuro. 
Tanto che capita di vedere una ricetta, innamorarsene a prima vista e mettersi a prepararla subito dopo, senza nemmeno aver fatto un veloce sommario degli ingredienti. 
Ne mancavano due, alla fine, non così importanti (un peperoncino verde sostituito con del peperoncino in polvere Kashmiri e dell'aneto fresco, rimpiazzato con un po' di coriandolo): ma il punto di forza di questo piatto è la salsa, più simile alla nostra salsa di noci che al mediorientale Terator del quale per altro porta il nome. 
Mio marito si è leccato la ciotola, senza vergogna. E io pure....

MELANZANE ARROSTITE CON SALSA TARATOR ALLE MANDORLE 
(versione originale qui)


Per 4 persone

2 melanzane grandi o 4 piccole 
un po' di olio extravergine per spennellare
sale 

per il ripieno*
125 g di feta sbriciolata
175 g di yogurt greco, moto denso 

per la salsa tarator 
50 g di mandorle spellate 
un panino raffermo (o due fette di pan carré, senza la crosta)
4 cucchiai di latte
1 spicchio d'aglio, sbucciato
sale
85 ml di olio extravergine di oliva 

per la finitura
nella ricetta originale, anelli di peperoncino verde (meno piccante) e aneto fresco, nella mia una spolverata di Kashmiri chilli (un tipo di peperoncino indiano altrettanto poco piccante, dal retrogusto affumicato) e un po' di coriandolo.  

Procedimento

Accendete il forno a 200°C
Private il panino della crosta e mettetelo a bagno nel latte 

Lavate le melanzane, tagliatele in due per il lungo e disponetele su una teglia, meglio se rivestita di alluminio o di carta da forno (vi evita smoccolamenti al momento di lavare i piatti). Con un coltello affilato, incidete le melanzane trasversalmente, 3 tagli in un senso e 3 nell'altro, in modo da creare una specie di reticolato. Salate leggermente, spennellate con un po' d'olio e infornate fino a quando la pelle non sarà un po' raggrinzita e la polpa brunita. Calcolate dai 20 ai 30 minuti. 

Nel frattempo, preparate il ripieno e la salsa
- Per il ripieno, sbriciolate la feta con le mani in una ciotola e aggiungete tanto yogurt quanto serve ad avere una salsa densa.Salate leggermente e mettete in frigorifero. 
- Per la salsa, frullate le mandorle con l'aglio e il sale. Aggiungete poi il pane, ammollato e ben strizzato, frullate di nuovo e, senza mai smettere di frullare, unite l'olio a filo. Dovrete ottenere una specie di salsa montata, liscia e piuttosto densa, come quella che vedete nella foto. 

Sfornate le melanzane, lasciatele leggermente intiepidire e disponetele su un piatto da portata. 
Spalmate il ripieno sulla superficie (io l'ho messo dentro gli interstizi dei tagli e solo un velo sopra), nappate con la salsa Tarator e finite con il peperoncino e il coriandolo. 
Servite subito

Note mie 

Rispetto alla ricetta originale ho variato quanto segue 
- la cottura delle melanzane in forno: sono del partito di chi mette il sale prima di cuocerle, perché si amalgama meglio. I tempi di cottura per me sono troppo lunghi, in 45 minuti-1 ora il mio forno brucia tutto, ma qui vale sempre la solita solfa che i forni sono come i mariti, ognuno sa come trattare il proprio (finché non lo cambia)

- il ripieno: gli Inglesi vanno pazzi per due cose che a me non fanno propriamente impazzire, cioè il chorizo e, appunto, la feta. Stavolta ho seguito la ricetta ma se volete sostituire il formaggio con qualcosa di altro va benissimo. Ricotta e primo sale sono perfetti, con la sola avvertenza di aggiungere un elemento acido che, per me, è sempre la scorza di limone. 

- la salsa: è la sarsa de noxi di genovese memoria, con meno aglio e senza la maggiorana, quindi più delicato e gentile, ma l'ispirazione è quella e ve lo dico dal largo delle quintalate di pansoti che ormai sorreggono la mia spina dorsale. L'azzardo è abbinarlo in questo piatto e al solito la Henry vince, perché si tratta davvero di un matrimonio felice. 

- va consumato tiepido, magari come piatto forte di una cena vegetariana. Io l'ho abbinato ad una zuppa affumicata di lenticchie rosse e peperoni (da quando abitiamo qui, abbiamo preso l'abitudine delle zuppe come antipasto) e devo dire che, complice anche quel quintale di pane con cui mio marito ha attaccato gli avanzi della salsa, ci siamo alzati da tavola pieni e felici. 




 

mercoledì 20 giugno 2012

Lo Starbooks: la Torta Kopenagi (Copenhagen) da Vefa's Kitchen

copenaghi

E' dedicata ai dolci della cucina greca, la puntata di oggi dello Starbooks: e siccome è noto che quando si parla di dessert, oltre alla curva glicemica, si impenna anche quella dei contatti sui blog, vi segnalo subito le proposte di oggi, che ci vedono schierate in ranghi ridotti ma non per questo meno bellicosi, come si può facilmente capire da un semplice sguardo, qui sotto

1) Biscotti ripieni di mele e biscotti alle nocciole ripieni di anice di Patty (Andante con Gusto)
2) Tartufi alla carota di Ale (Ale Only Kitchen)
3) Halva al semolino di Cristina B. (Vissi di Cucina)
4) Kopenhagi, di MT (in attesa di una baklava che si decida a rendersi un po' più fotogenica)


La scelta di concentrarci sui dolci non è comunque dipesa dall'alto gradimento dei nostri lettori, quanto piuttosto dal desiderio di affrontare un tema poco noto, all'interno di una tradizione gastronomica che, in questo campo, si è dovuta arrangiare con quello che offriva la sua terra, tanto feconda di ingegni e di eroi, quanto povera di materie prime. Ma non è un caso che siano stati proprio i nostri antenati Greci a rivelarci fin dove possano arrivare le astuzie dell'intelligenza: e se, ahinoi, ancora non ci è pervenuto un "Odisseus Tips and Tricks", a farci restare a bocca aperta basta il sorprendentemente lungo elenco di ricette che Vefa Alexiadou ha raccolto sotto la voce "dessert": biscotti, torte, creme, pasticcini, pani dolci... nulla manca all'appello delle portate con cui si concludono i pasti o si festeggiano piccoli e grandi ricorrenze, ma tutto nasce dall' incontro di uno sparuto numero di materie prime (formaggio di capra, miele, frutta secca) che si combinano in mille forme e in mille modi, plasmati dalla versione domestica, ma non per questo meno apprezzabile, del solito genio ellenico. 

Nella raccolta di Vefa Alexiadou, si è detto, i dolci sono davvero tanti, dai più famosi ai meno noti e quasi tutti nella versione più semplificata. Invoco gli esperti in materia a sostegno di una personale impressione- e cioè che si tratti di ricette estremamente semplici, quasi che, di fronte al bivio della complessità degli ingredienti e delle tecniche e quello dell'essenzialità degli uni e delle altre, si sia scelta quest'ultima strada e la si sia percorsa pure con decisione.  Questo perchè il fine editoriale di Vefa's Kitchen è chiaro- e diventa chiarissmo, specie dopo che si è mangiato greco per una settimana. A dispetto delle sbandierate (e fondatissime) ambizioni di completezza e precisione storica, infatti, lo scopo di questo libro è anzitutto didattico:  non "istruire", quindi, ma "insegnare", in una linea di coerenza, se non addirittura di continuità, con la fama che la sua autrice si è guadagnata sul campo, come divulgatrice per eccellenza delle tradizioni gastronomiche della sua terra.



In patria, Vefa Alexiadou è una sorta di icona della cucina greca: ha all'attivo una quindicina di libri (questo, è il 14esimo, ma è talmente prolifica che non mi sentirei di escludere che non ce ne sia già un altro in stampa) e da anni sveglia il popolo ellenico con un Morning Coffee da cui dispensa consigli, interviste, ricette. Ovviamente, ha una sua linea personale di casalinghi e, neanche a dirlo, con lei si sprecano i paragoni con altre signore, diventate imprenditrici della loro passione, da Delia Smith a Martha Stewart (a me ricorda Wilma De Angelis, per la serie "si fa quel che si può")
In effetti, oltre alla cofana bionda e allo sguardo da "a-me-non-sfugge-niente", con le sue "colleghe" la signora Alexiadou ha in comune la tenacia e la fiducia nei propri mezzi, senza le quali mai sarebbe riuscita ad imprimere una svolta alla sua vita e a farlo così bene: fino ai 45 anni, infatti, Vefa era un'impiegata in un'industria, che metteva a frutto la sua laurea in chimica nell'ambito professionale e cucinava per passione nella vita privata. A forza di sentirsi chiedere ricette, decise di pubblicare un suo libro e, in mancanza di editori sufficientemente illluminati (e anche qui, i paragoni si sprecherebbero), chiese un prestito e pubblicò a sue spese. Nella prima settimana, senza nessuna promozione se non il tam tam degli amici, il libro vendette ben 5000 copie e spianò la carriera di Vefa, come autrice su carta, prima, e come star televisiva poi. 
Una carriera che, come dicevamo, ha sempre avuto come filo conduttore quello della coerenza, con una declinazione in parallelo di contenuti aderenti alla tradizione e al territorio e di ricette estremamente abbordabili e di sicura riuscita, che trova in questa ultima fatica il suo punto di ricapitolazione.Qui confluiscono anni e anni di studi e l'intelligenza di mettere il mezzo televisivo a servizio di un progetto collettivo, di tutela di una tradizione che la Alexiadou ha sempre percepito come un patrimonio di tutti e che in questo senso ha elevato l'onesto intento divulgativo delle sue opere e dei suoi programmi al rango di una vera e propria operazione culturale. Anzichè limitarsi ad apparire in video e a prestare la sua immagine e le sue ricette a questa o quell'azienda, Vefa ha sfruttato il mezzo televisivo per raccogliere le ricette di famiglia dei suoi ascoltatori e dei suoi lettori, inventandosi una gara settimanale e un premio- la pubblicazione della ricetta della settimana su una rivista. Ogni ricetta è stata sottoposta ad un vaglio attento, a comparazioni, a riscontri con la cucina del territorio e confrontata con il retaggio personale dell'autrice che, dopo anni di lavoro, ha finalmente consegnato alle stampe quello che per tutti è il degno erede della monumentale opera di Nikos Tselementes, che dal 1910 non aveva avuto rivali. 
Vi immaginate cosa sarebbe successo in Italia, con una operazione del genere? Quante grida di "plagio" si sarebbero sollevate? Quanti quaderni di ricette sarebbero stati rinchiusi a marcire nei forzieri di casa, piuttosto che finire in un libro che non portava la firma di tutti i singoli contribuenti?
In Grecia, grazie al cielo, le cose sono andate diversamente: e se oggi abbiamo finalmente un testo completo, che sta diffondendo la vera cultura gastronomica di un Paese altrimenti ancorato a stereotipi monotoni e soprattutto male eseguiti, è proprio grazie alla coscienza collettiva di un popolo che ha scelto di collaborare, difendendo un'individualità popolare, ancor prima che personale, nel nome di un'identità culturale forte, nella quale ci si rispecchia e ci si riconosce, da secoli. Tutelare quel patrimonio, contribuire a diffonderlo nel mondo e a farlo in un modo corretto e intelligente significa anche tutelare se stessi e quei valori che hanno preso forma in una tradizione e che, passando di mano in mano, di generazione in generazione,vengono riattualizzati e resi vivi, anche da gesti semplici e quotidiani, come preparare un pane o un dolce secondo la ricetta della nonna.
Questo è il vero significato di questo libro,questo il vero messaggio culturale, questa l'ennesima, grande lezione che ci viene dal popolo greco che ci conferma, ancora una volta, quanto abbiamo ancora da imparare. Sempre da loro, anche in questo campo.

KOPENHAGI

cop

Doppie scuse preliminari, l'una legata all'altra: le foto fanno schifo, intanto perchè le ho fatte io- e le ho fatte con la luce peggiore della giornata, nel punto peggio esposto della casa. Ma fino a ieri mattina ero decisa a non pubblicare questo dolce, perchè non mi aveva granchè soddisfatto. Nulla da dire sulla riuscita, dal punto di vista tecnico- a conferma della piena affidabilità dello Starbooks di questo mese. Ma il palato, era rimasto deluso. Tant'è che l'ho divisa in due e metà è finita in ufficio, il giorno dopo. 
E lì, c'è stata la rivelazione. 
Praticamente, un'altra torta. 
Un'esplosione di sapori, un gusto rotondo, ben armonizzato, un equilibrio di consistenze perfetto, un mezzo tripudio, insomma, che mi ha convinto non solo a pubblicarla sul blog ma a farlo immediatamente, viste le richieste che si levavano dalle varie scrivanie, tutte sul tema di "dammi-la-ricetta-subito". 
E quindi, pubbliche scuse anche alla signora Alexiadou, per aver dubitato della veridicità delle sue parole- e aver consegnato ai nostri lettori una foto così indegna, che davvero non rende la bontà di questa torta, non a caso pensata per un re- vale a dire  quel Giorgio I di Grecia, nato proprio nella capitale danese. Da quel 1863 che è il suo anno di nascita ufficiale, questa torta si è diffusa un po' dappertutto, dalle cucine reali a quelle più povere ed oggi ognuno ha una propria versione, sulla cui originalità è pronto a giurare col sangue. 
Vefa ne riporta una piuttosto semplificata, facilissima da realizzare con un'unica controindicazione; mai mangiarla appena uscita dal forno. Resistete un giorno intero- e sarete ampiamente ricompensati



Per uno stampo rotondo, del diametro di 25 cm (o uno quadrato, di 20 cm di lato circa)
Per la frolla
350 g di farina
1 cucchiaino di lievito
225 g di burro
70 g di zucchero
2 tuorli
2 cucchiai di brandy (facoltativo)
limone o vaniglia per profumare

preparare una pasta frolla e stenderla sul fondo di uno stampo imburrato. Bucherellare e cuocere in bianco a 200 gradi per 10-15 minuti

Nel frattempo, preparare il ripieno 

Per il ripieno
200 g di mandorle tostate, spellate e tritate fini
4 uova
70 g di zucchero
mezzo cucchiaino di cannella in polvere
mezzo cucchiaino di chiodo di garofano in polvere
un cucchiaino di lievito
4 fogli di pasta fillo (alla Metro, reparto paste congelate)
burro per ungere


Montare le uova con lo zucchero, fino a quando sono spumose. Aggiungervi le mandorle finemente tritate, la cannella, il chiodo di garofano e il lievito e, con l'aiuto di una spatola, stendere il composto in modo uniforme sul fondo di pasta sfoglia. 
Ritagliare 4 fogli di pasta fillo dello stesso diametro della tortiera, disporre il primo sul ripieno di mandorle e spennellarlo di burro fuso. Stendervi sopra il secondo, spennellarlo, procedere col terzo, spennellare anche quello e infine chiudere col quarto. Terminare con una spennellata di burro, fare dei tagli trasversali e infornare a 180 gradi per circa mezz'ora: quando la superficie della fillo è di colore dorato, è pronta. 
Togliere dal forno, lasciar raffreddare e, nel frattempo, preparare lo sciroppo

copenaghen

300 g di zucchero fino, tipo Zefiro (basta frullare lo zucchero semolato per qualche secondo, a media velocitò: prima che diventi zucchero a velo, spegnete tutto!)
250 ml di acqua
il succo di mezzo limone filtrato. 

Mettete tutti gli ingredienti in un casseruolino, meglio se senza fondo spesso e portateli a bollore su fiamma media. Fate bollire per 5 minuti e poi versare lo sciroppo su tutta la torta, in modo da annegarla completamente. Lasciar riposare e consumare il giorno dopo



martedì 11 maggio 2010

spatascio's day. di tutto, di più

di Alessandra

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Ora, io dico: passi sbagliare un piatto. Anzi, ci sta, eccome. Anzi due, dovessi fare un calcolo, son più quelli che ceffo che quelli che azzecco, specie se ho un'occasione da porca figura e l'ansia da prestazione è alle stelle.
Ma TRE su TRE, porca miseria- e per giunta nel fine settimana, quando riempio la dispensa di menuturistico- questo è inconcepibile. Ho un nervoso che sfiora l'isteria, anche perchè, per quanto mi sforzi, non riesco a dar la colpa a nessun altro che a me, la qual cosa, è risaputo, è quella che più mi manda in bestia.
Per farla breve, i fallimenti sono stati tre. Qui ne documento solo due, perchè l'oscenità del terzo trascende ogni limite del buon gusto, visto che ho avuto l'idea di preparare dei mini babà con l'impasto delle brioches. Ne sono venuti fuori 24 mostruosità, con un grosso rigonfiamento in punta, ammosciato di lato, che ha dato la stura a ogni tipo di asfaltamento della sottoscritta da parte del marito e della figlia, la cui perfidia ha superato ogni limite. Come se non lo avessi capito da sola, che non era stata propriamente una splendida idea...
Il resto, è tutto documentato qui sotto, dal soufflè che ho voluto a tutti i costi sformare e che poi ho ricompattato nello stampo, in stile "atterraggio UFO su Zigurrat" alla torta Mappazza che però, ad essere onesti, i colleghi hanno gradito. Almeno lì per lì...
Soufflè di Asparagina con cuore di capasanta e salsa al Martini Dry



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per 4 persone
4 capesante con il guscio
500 g di asparagina
80 ml di bechamelle
20 g di scalogno
20 g di porro
30 g di burro
1 uovo
80 ml di panna da cucina
1/3 di bicchiere di Martini Dry
20 ml olio EVO
2 rametti di acetosella
sale
pepe nero

Pulire gli asparagi, stufarli in padella con burro e scalogno tritato fine, sale e pepe finchè son teneri (io aggiungo anche un mestolo di brodo: che sia stato per questo?????). Fate intiepidire la bechamella e unite il tuorlo. Montate l'albume a neve ben ferma (l'ho fatto alla fine, perchè secondo me sarebbe smontato: che sia stato per questo???)frullate l'asparagina, unitela alla bechamelle ormai tiepida e unite l'albume, mescolando bene. Aprire le capesante, sbollentare brevemente i coralli e tenerli da parte (io ho usato quelle senza guscio: che sia stato per questo?). Distribuite un poco di composto negli stampi

Far rosolare in padella nell'olio per 2-3 minuti il porro finemente tritato, irrorate col Martini, salate, pepate e fate evaporare l'alcool. Quando la salsa si sarà addensata, unite la panna e mescolate per 2-3 minuti. Togliete dal fuoco, frullate tutto e aggiungete l'acetosella, tritata finemente. Sformate i soufflè nei piatti individuali, aggiungete la salsa, due punte di asparagina e disponete un corallo di capesanta sopra ogni souffle

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Torta di mandorle alla crema d'arancia


per 8 persone
300 g id farina
300 g di mandorle sgusciate
220 g di zucchero semolato
150 g di burro
150 g di fecola
5 uova
2 cucchiai di rum
2 cucchiaini di lievito
1 arancia

per la farciture
150 g di burro
100 g di mascarpone
70 g di zucchero semolato
2 arance e mezzo, biologiche
1 bicchierino di rum
2 cucchiai di zucchero a velo


prospettiva dall'alto....

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dal vero


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e, atrocità delle atrocità, pure di taglio...

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Ora devo preparare la torta di compleanno della creatura che, more solito, festeggia a strati. Mi sa che mi ci vuole un pensamento collettivo....
un moscissimo ciao
ale


sabato 13 marzo 2010

salsa bianca alle mandorle- e un problema


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Problema

I Gennaro's possiedono tre macchine e decidono di venderle tutte e tre, per comprarne altre tre Considerato che, nelle more dell'acquisto, nessuno regala loro altre autovetture, nè decidono di adottarle, come è possibile che le Gennaro's cars ora siano 4???

Vi dò tempo fino a lunedì.


SALSA BIANCA ALLE MANDORLE
(ricetta presa da qui)






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Ufficialmente, questa ricetta non dovrebbe aver nulla a che fare con le "nostre" salse di noci e salse di pinoli: le mandorle non appartengono alla tradizione ligure e la fonte è un libro (da sbavamento) che non lascia spazio a fraintendimenti di alcun genere: una produzione tutta francese, con un titolo inglese.
C'è da dire, però, che gli ingredienti sono pressocchè gli stessi, tanto che ieri, dopo averla accompagnata ad un pesce delicato e dopo essercela mangiata direttamente dal barattolo, abbiamo condito con gli avanzi un bel piatto di troffie.
Per cui, io copio alla lettera, aggiungo le mie modifiche e lascio a voi l'ardua sentenza: fermo restando che, quando una cosa è buona, non c'è albero genealogico che tenga...

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150 g di mollica di pane
2 spicchi d'aglio (uno solo- e già si sentiva)
150 g di mandorle (un po' di più, ma dipende dalle mandorle: le mie non erano granchè)
6 cucchiai di olio d'oliva
2 cucchiai di aceto di Xeres (non l'ho messo, ma solo perchè me lo son proprio dimenticato...e dire che ce l'ho, porca miseria...)
sale e pepe

Ammollare la mollica in 300 ml di acqua (ho messo il latte, stessa quantità), per 30 minuti
Frullatela con l'aglio sbucciato, le mandorle, l'aceto e l'olio d'oliva. Salate e pepate

E' assolutamente perfetta col pesce, tipo spigola, branzino o trota, anche salmonata. Un po' diversa dalla solita maionese, molto più incisiva e raffinata. Promossa a pieni voti, insomma.

Buon fine settimana
Ale




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