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giovedì 14 maggio 2020

CARROT CAKE DI CASA MIA (PRIMA E DOPO)




La ricetta che segue è quella di una Carrot Cake che voleva assomigliare alle Carrot Cake inglesi e che, udite udite, è pure meglio. Mi era stata data dalla mamma di una compagna di sventura, ai tempi delle vacanze studio in Inghilterra, dopo che avevo scoperto che la Carrot Cake d'Oltremanica non aveva niente a che vedere con la Torta di Carote che mi rifiutavo di mangiare a casa (chiedo venia, non mi è mai piaciuta). 
Da allora, è stato tutto un fare e rifare, sempre con grande successo, anche da parte di palati fini o morigerati o tutti e due, pronti a fare bis e ter di questa bontà. 
Negli anni, ho eliminato l'icing glass, un po' perché ho cambiato gusti (succede: prima sarei vissuta do dolci, ora no) e molto perché è difficile da gestire, se non si ha intenzione di consumare la torta nel giro di un giorno o due. In tutti i casi, anche la ricetta originale (che accludo) era una piacevole sorpresa, essendo poco dolce (sorvolo sulla voce "grassi"). 
Naturalmente, è facilissima e velocissima- altrimenti, che ricetta inglese sarebbe? 




INGREDIENTI

Per uno stampo quadrato da 20x20 cm o uno stampo da Bundt cake da un litro

250 g di zucchero (io ora uso il light brown sugar)
175 ml di olio vegetale (un ottimo olio di semi o un extravergine delicato)
3 uova medie
5/6 carote grattugiate (mixer o grattugia con i fori sottili)
375 g di farina
1/2 cucchiaino di sale
1 cucchiaino e 1/3 di bicarbonato di soda*
1 cucchiaino e 1/3 di cannella 

* ogni volta che una ricetta prevede bicarbonato di soda, se posso uso una farina autolievitante, come ho fatto anche questa volta 

PROCEDIMENTO

Lavate le carote, raschiatele (io uso un pelapatate) e tagliate via le estremità- Tagliatele a tocchetti e tritatele quasi in poltiglia con il mixer, altrimenti grattugiatele

Se usate il mixer: aggiungete alle carote lo zucchero e l'olio e azionate il mixer per qualche secondo. Unite poi le uova, precedentemente sgusciate in un piattino e leggermente sbattute e azionate di nuovo, per una ventina di secondi. In ultimo, la farina con le polveri. Azionate il mixer fino a quando tutti gli ingredienti saranno incorporati (ricordatevi di recuperare i residui di impasto ai bordi della ciotola, con una spatola), poi versate il tutto nello stampo, precedentemente imburrato e infarinato e cuocete a 160°C per 1 ora circa. 

Se usate le fruste elettriche o lavorate a mano (anche meglio delle fruste): 
Mischiate lo zucchero con l'olio, in una ciotola molto grande
Sgusciate le uova in un piattino e sbattetele leggermente
Mescolate la farina al sale, alla cannella, al bicarbonato. 
Dopodiché versate le carote nella ciotola con l'olio e lo zucchero e amalgamatele bene. Aggiungete poi le uova e, quando queste saranno bene incorporate, unite le polveri, setacciandole sul resto degli ingredienti. Incorporatele fino ad ottenere un composto liscio e piuttosto liquido che verserete nello stampo, procedendo come sopra. 

LA COTTURA 

Forno statico, a 160°C, per circa un'ora. 
Dopo 45 minuti, fate la prova dello stuzzicadenti: deve uscire umido, ma senza rimasugli di impasto attorno. 
Una volta sfornata, lasciate intiepidire la torta per una decina di minuti, poi sformatela direttamente sul piatto da portata. 
Se volete ricoprirla con il frosting, lasciatela raffreddare completamente. 


DECORAZIONE

La tradizione vuole un Cream Cheese Frosting che, devo dire, per la mia generazione che ha speso il suo metabolismo migliore nel periodo a.C. (ante Cupcakes), era ciò per cui si sceglieva la Carrot Cake al banco dei dolci. Adesso, come vi dicevo, l'ho eliminata ma se volete indulgere la ricetta che segue è l'accessorio originale. 

250 g di formaggio morbido, tipo Philadelphia, a temperatura ambiente
100 g di burro a temperatura ambiente (cioè morbido, non molle)
70 g di zucchero a velo
1 cucchiaino di estratto di vaniglia

Setacciate lo zucchero a velo. 
Tagliate il burro a dadini e mettetelo in una ciotola. 
Con le fruste elettriche, montate il burro e, appena si compatta in una massa unica, aggiungete il formaggio cremoso, sempre montando e, in ultimo, lo zucchero a velo e la vaniglia. 
Mettete il frosting in una tasca da pasticcere o spatolatela direttamente sulla superficie della torta. 

COME SERVIRLA

Assolutamente NON tiepida e NON con creme varie: il frosting assolve già alla sua funzione e, se la preparate senza, è sufficientemente umida da non aver bisogno di altro. E' la classica torta "da merenda", perfetta quindi nel pomeriggio, con un tè, una tisana o un caffè, ma non si disdegna neppure a colazione, se siete del partito del dolce. 












venerdì 3 aprile 2015

HOT CROSS FUDGE


Sono stata una bambina a cui la carne non piaceva. 
A dirla così, non sembra diagnosi da traumi infantili. 
A viverla, quarant'anni fa, era una specie di incubo. La "carne" era ancora il simbolo del benessere, economico e fisico. Non avere la fettina tutti i giorni e l'arrosto la domenica era cosa che veniva guardata con sospetto e l'unica alternativa all'agire scellerato (NON MANGIANO MAI LA CARNE!!!) era una non meglio definita zona di povertà che, se mitigava gli accenti (non mangiano mai la carne), non riduceva di un centimetro le distanze fra noi e loro.
Mia nonna, reduce da due guerre e da due dopoguerra, aveva salutato il boom economico in macelleria. Non solo preparava carne tutti i santi giorni, ma era anche arrivata ai punti di fare i ravioli, tutti i santi giorni, per nascondercela in pietanze più saporite e propinarcela così. In più, curava tutto con quella: "è perchè non mangi carne" era la diagnosi che immancabilmente seguiva a qualsiasi magagna infantile, dalla varicella alla verruca sotto il pollicione, passando per i lividi da bicicletta e i raffreddori della primavera.
Nel mentre, io escogitavo tutte le possibili scappatoie: non so quanti animali ho nutrito, quanti panini ho scambiato (odiavo pure il prosciutto cotto,altro must della mia infanzia), quante lacrime ho sparso, su quelle fettine che riducevo a coriandoli, per riuscire a mandarle giù,ma invano: ho dovuto aspettare l'emancipazione, per poter dire definitivamente addio alla parte più odiosa della mia educazione alimentare - e questo senza mai essere sfiorata dall'idea di diventare vegetariana: mettetemi di fronte a un piatto di salumi "da uomini duri" e vedete come mi riconcilio col mondo animale. Ma il resto, proprio no.
Tutta 'sta pappardella per dire che a me la Quaresima piace. E il Venerdì Santo, gastronomicamente parlando, mi ha turbato molto di meno che la Pasqua con l'agnello.
Il che non mi esime dal ricordare che, per i cattolici come la sottoscritta, la ricetta che segue non è propriamente indicata per la commemorazione di oggi. E non conta, che abbia la croce sopra...



ovvero,un fudge fatto come si deve, al gusto di hot cross buns, panini pasquali speziati e arricchiti da uvette, contraddistinti da una specie di punto croce sulla loro sommità. Ormai, gli Inglesi si sbizzarriscono anche su questi, con versioni alle mele, al cioccolato, con spezie esotiche, senza uova e senza burro e nel novero delle eresie, ci sta anche ridurlo a fudge, come hanno fatto Kitty Hope e Mark Greenwood, con un must della Pasqua 2015, che non potevamo non diffondere da qui....

per 24 pezzi circa
500 g di zucchero semolato
300 ml di panna frescaliquida
50 g di burro, a cubetti
100 g di scorzette di arancia candite
100 g di uvetta
1/2 cucchiaino di cannella
1/4 di cucchiaino di chiodi di garofano macinati
1/4 di cucchiaino di noce moscata
1/2 cucchiaino di all spices (pimento o pepe giamaicano)
la scorza grattugiata di mezza arancia non trattata
la scorza grattugiata di mezzo limone non trattato
 
per la glassa
100 g di zucchero a velo setacciato
il succo di mezza arancia, filtrato

olio o burro per ungere la teglia

una teglia quadrata di 22cm di lato
un termometro da zucchero 

La ricetta che segue  è quella del fudge come si faceva una volta, cioè cuocendo lo zucchero a lungo, sul fornello. L'unica nota dolente è il tempo, perché per il resto si tratta di una preparazione facile e con un risultato finale che vi ripagherà di qualsiasi fatica. 
Il termometro è indispensabile. 

Per prima cosa, preparate la teglia: ungetela bene, poi rivestitela di carta da forno, in modo che aderisca bene al fondo e ai lati. Cercate di stenderla, senza che faccia grinze, perchè queste  poi rimarranno sul fudge. 

Prendete una casseruola dal fondo spesso e versatevi lo zucchero, la panna e il burro. Scaldate a fiamma media, mescolando bene in modo da amalgamare tutti gli ingredienti fra di loro: portate a bollore, poi abbassate la fiamma e fate bollire sempre mescolando per almeno 20 minuti: dovete portare il composto alla temperatura di 118°C. 
Misuratela al centro della pentola, senza mai toccare il fondo, e con frequenza sempre maggiore, a mano a mano che aumentano i tempi di cottura. NON TOCCATE MAI con le dita il composto:se lo fate cuocere a fiamma bassa, non dovrebbero esserci schizzi di sorta: lavorate comunque ad una certa distanza, con le stesse precauzioni utilizzate per fare il caramello. 
Leccare il cucchiaio è sommamente vietato, sempre-e in questo caso, di più.
 
Appena raggiunti i 118°C, togliete il fudge dal fuoco e unite gli altri ingredienti. 
Potete variare sull'uvetta e sui canditi: in casa mia, per esempio, non piacciono nè l'una nè gli altri e quindi ho messo 150 g di mirtilli rossi e basta. Sono meno ricchi, ma a noi sono piaciuti così. Invece, le spezie e soprattutto le scorze di agrumi andrebbero lasciate inalterate. L'All Spice non è sempre facilissimo da reperire ma non è più così irraggiungibile come un tempo:magari, se invece di dire All Spice chiedete "pepe di Giamaica" o "Pimento" potete avere più probabilità di essere soddisfatti. 
 
 

Dopodiché, mescolate ininterrottamente il fudge per almeno 15 minuti, con un cucchiaio di legno:questa procedura serve  per farlo raffreddare senza che si indurisca troppo. Alla fine, vedrete che si staccherà da solo dal bordo della casseruola:a questo punto,trasferitelo nella teglia, livellatelo bene con il dorso di un cucchiaio di alluminio o con una spatola o con un coltello a lama larga (meglio inumidirlo leggermente, se il fudge dovesse essere troppo denso) e mettete in frigo per un'ora. 

Preparate la glassa, con lo zucchero a velo e il succo d'arancia: per me, il succo di mezza arancia è una dose esagerata. Ho aggiunto liquido poco alla volta,mescolando bene, fino ad ottenere la consistenza che vedete nella foto: a dir tanto,due cucchiai. Mettete la glassa in una siringa, con bocchetta liscia

Togliete il fudge dalla teglia, sollevando la carta da forno. Tagliatelo a cubi regolari e, con lasiringa, formate su ciascuno una croce di glassa. Lasciate asciugare completamente, a temperatura ambiente.

In teoria, dovrebbero durare parecchio,almeno una settimana, meglio se in un contenitore ermetico nel frigorifero. In pratica, si mangiano molto più volentieri di quanto si immagini. Li ho già preparati tre volte, in un mese, e continuo a ricevere insistenti richieste perchè li faccia di nuovo.

Da qui, la pubblicazione della ricetta, che sa tanto di "e fateveli un po' da voi" :-)
Ma a Pasqua, si chiama "condivisione"

Buone Feste a tutti
Ale

mercoledì 18 marzo 2015

DORSET WIGGS, PER CHI LO FA PER DAVVERO.


Il post che aveva inaugurato la mia carriera sul web era stato una dichiarazione d'amore nei confronti della cucina inglese. 

Era l'inizio del  2009, Nigella & Jamie eran roba da satellitari di nicchia, i libri che impazzavano erano le traduzioni dal francese di Guido Tommasi e Bibliotheca Culinaria e io avevo dovuto quasi chiedere scusa, per quello che stavo per confessare- e cioè, che quella che generazioni di Italiani avevano mandato giù, a Londra, fra pub fumosi e fish&chips unti e bisunti, nulla aveva a che fare con quello di cui io stavo per tessere le lodi. 

Prevedibilmente, ero stata sommersa da un coro di buuuh. 

Era quanto di più prevedibile potessi aspettarmi: e così, anziché scoraggiarmi, avevo recuperato motivazioni per proseguire in quella che,allora, mi sembrava una ragionevole risposta al "che ci faccio qui?" che un giorno sì e uno pure scandiva le mie riflessioni sul ruolo del cibo nel web. 
Parlerò di cucina d'oltremanica, mi son detta. 

Quella con cui sono stata cresciuta, per scelta di una madre colta e curiosa, capace di coniugare una carriera avveniristica per quei tempi con una passione altrettanto fuori moda per lamentalità di quei tempi, per cui trascorrere il proprio tempo libero ai fornelli era condannarsi ad una schiavitù atavica, da cui ci si doveva liberare. 

Quella che abbiamo coltivato, in 50 anni di condivisione senza filtri, scappando a Londra in ogni momento libero e raccogliendo libri usati, ricette antiche, testimonianze orali che poi venivano trascritte e provate e confrontate, in una ricerca inesorabile, gustosa e divertente, che è stata uno dei pochi punti fermi di questa vita errabonda. 

Quella che ho raccontato per qualche anno sull'altro blog, assieme a tranci di vita veramente vissuta, ignara com'ero dei meccanismi che regolano un mondo in cui, in molti casi, la metà delle cose si inventa e l'altra metà, vivaddio, la si copia

Da allora, sono passati otto anni e non c'è blog che non parli di cucina inglese.
E a parte alcune voci, che lo fanno con competenza, serietà e quel velo di ironia che suggella i loro contenuti come realmente originali, il resto è un pianto. 

"orange jam"
"made home"
"l'ora del te"
la maizena nel lemon curd
gli shortbread senza farina di riso, ma con lo stampino
gli hot cross buns con la croce di glassa reale
e gli scones, colpevoli solo di essere fotogenici e per questo maltrattati, dissacrati, violentati dall'armata del "sotto lo scatto, niente"-con buona pace di chi nulla riconosce dei sapori del'infanzia, in queste pallottole di pasta compatta,rigorosamente "hand home"


Mi permettete di ricominciare?


Il Dorset  è un angolo di paradiso, dolcemente appoggiato fra il Devon e il Wiltshire, noto per aver dato i natali ad una tale concentrazione di celebrità  da ritener d'obbligo un approfondimento, se non proprio sui quadri astrali, quanto meno sulla dieta: cosa diamine avranno mangiato,da piccoli, Thomas Hardy,P.D.James, John Le Carré e Douglas Adams, tanto per citare i più famosi, per diventare quello che son diventati?
Di sicuro gli wiggs, dei morbidi panini la cui età è dichiarata dal tipo di spezie presenti: chiodi di garofano, noce moscata e macis ci riportano infatti all'età dei Tudor e degli Stuart che potrebbe ragionevolmente essere il periodo dell'inizio della loro diffusione. quello che è certo è che soddisfecero presto i gusti di tutti, tanto da essere trasversali ai pasti dell'intera giornata: perfetti a colazione, leggermente tostati e cosparsi di burro e marmellata, ma ottimi anche per accompagnare l'ultima birra della giornata. 
A proposito di birra: pare che il loro luogo di nascita sia da collocarsi nei dintorni di una birreria, perchè venivano prodotti con il primo strato della fermentazione di questa bevanda, utilizzato ovviamente come agente lievitante. Anzi,è assai probabile che la presenza delle spezie sia stata necessaria per mitigarne il sapore, altrimenti troppo forte e, in certi casi, troppo acido. 

Una precisazione doverosa: la marmellata che vedete nella foto non è di fragole, ma di ribes rosso. Mi è servita per bieche esigenze fotografiche, ma l'accostamento non ci è piaciuto, proprio perchè la sua acidità fa a  pugni con le spezie: molto meglio la classica marmellata di fragole o quella di arance. 

Per 12 pezzi

500 g di farina 
(o la manitoba già in commercio o una farina forte tagliata con farina debole, al 50%- in altre parole, 250 g di farina debole, 250% di farina forte)
150 ml di latte intero, a temperatura ambiente
150 ml  di acqua leggermente intiepidita
75 g  di burro molto morbido
dai 10 ai 25g di lievito di  birra fresco (dai 2 ai 7 g circa di lievito di birra secco)*
la punta di un cucchiaino di noce moscata,grattugiata
la puntadi un cucchiaino di chiodi di garofano, pestati finemente
la punta di un cucchiaino di macis, pestato finemente 
1 cucchiaino di sale

Prima considerazione: la quantità di lievito è variabile, perchè come ormai tutti sanno, basta allungare i tempi di lievitazione per ottenere gli stessi risultati, anzi: minore è la quantità di lievito, maggiore sarà la durata del prodotto (il giorno dopo,soo ancora mordibi) e gli effetti benefici sulla vostra salute, per chi ci crede. 
L'importante è che consideriate questa variabile,prima di accingervi a prepararli- e di non mandarmi accidenti se, per l'ora del tè, avete ancora un impasto senza nessun accenno di lievitazione. Mettetevici prima- e il resto è fatto. 

Seconda considerazione:la quantità di liquido è sempre approssimativa: dipende dal tipo di farina, da quanto assorbe etc. 
Il mio consiglio è di provare sempre a inserirla tutta, perché più l'impasto è idratato e meglio reagisce, sia alla lievitazione che alla cottura: partite con metà dose, aggiungete il resto poco alla volta, anche goccia a goccia, attendendo che l'impasto lo abbia bene assorbito, prima di unire il resto, ma, se possibile,  non datevi per vinti. Non alla prima difficoltà, intendo. 

Setacciate la farina sulla spianatoia, unite il lievito,le spezie e tutta l'acqua tiepida e iniziate ad impastare, aggiungendo il latte poco alla volta, come descritto sopra,e il sale. Quando avrete ottenuto un composto liscio, uniforme e che si staccherà dalle mani, mettetelo alievitare in una terrina, leggermente infarinata e coperta con un foglio di pellicola trasparente, per un'ora circa. 
Dopodichè, trasferite l'impasto sulla spianatoia e aggiungete il burro, morbidissimo e a tocchetti,poco alla volta, impastando sempre in modo da incorporarlo bene al resto. continuate ad impastare per altri dieci minuti, dopo che avrete aggiunto tutto il burro, fino a quando la pasta sarà elastica: tendetene un velo fra le dita: dovrà essere trasparente e non rompersi. 

Se usate l'impastatrice, fate incordare, sulla frusta a gancio. 

Lasciate lievitare fino al raddoppio, poi sgonfiatel'impasto e ricavate 12 panini, del diametro di 3 cm. Disponeteli su due teglie rivestite di cartadaforno, ben distanziati fradi loro e lasciateli riposare per 40 minuti

Nel frattempo, accendete il forno, modalità statica, a 200°C. 
infornate per 15 minuti, coprendo se è il caso la superficie, per non farla scurire troppo. 

Si consumano tiepidi oppure aperti in due e fatti tostare. 
Si conservano fino al giorno successivo, se chiusi ermeticamente in un sacchetto per alimenti e conservati in frigo, altrimenti in freezer fino a due mesi.


lunedì 16 marzo 2015

MTC N. 45: HOMITY PIE E.... INCROCIAMO LE DITA....


Il gesto scaramantico è dovuto al fatto che pare-parrebbe-potrebbe essere-non sia mai che- mi sia tornata la voglia di cucinare. 
Detta così, sembra roba da poco. 
In realtà, ha un che di epocale, almeno per la sottoscritta. 
Che è da quasi tre anni che, sotto questo fronte, aveva smesso. 

E' strana, la maniera in cui si reagisce alle tegolate della vita.

Strana, se si arriva all'alba dei cinquant'anni convinti di conoscersi un po'-e invece si trova a fare i conti con una parte di sé che evidentemente era sfuggita a sguardi introspettivi, psicologie da salotto e meditazioni da "che ci faccio qui". 

Strana se, in quindici anni di un lavoro che ti espone alle brutture del mondo, la vera risorsa per recuperare energie e fiducia è stato mettere le mani in pasta, alla sera, e condividere al mattino, in banchetti improvvisati sul tavolo dell'ufficio che per tutti avevano un significato ben più profondo che riempirsi lo stomaco, per iniziare.

Strana, se si pensa che per me, la cucina, è un amore antico, difeso con le unghie quando ancora non andava di moda, coltivato in una intimità che aveva un che di segreto, quella che, anche in questa vita virtuale così sfacciata, così volgare,  mi ha sempre trattenuto dal pubblicare certe ricette, gelosa custode di un mondo di affetti e di complicità che la condivisione avrebbe contaminato e corrotto. 

Eppure, è andata così. 
Quasi tre anni, all'insegna del "tutto spento". 
E due aggettivi soli - "percossa, inaridita"- che mi venivano in mente, quando mi chiedevo che fine avesse fatto questa passione. 

Ora, son quasi due mesi che vivo da mia mamma. 
Io-mammete e tu, dove il "tu" è collettivo  e sta per la creatura e il gatto. 
Mia madre aveva una casa pensata per due e abitata da sola, io avevo una casa pensata per tre, al numero tre, all'interno tre- e che in tre settimane è stata smantellata, impacchettata e riposta in un appartamento che difficilmente sarà qualcosa di più che un magazzino di lusso. 

Nessuno dell'entourage si capacita di come possa durare, questa situazione.
Io lo so- e ovviamente non lo dico. 
Ma mi godo questa lenta rinascita alla vita, che ha nel ritorno della voglia di cucinare il sintomo più gratificante, intenso e confortante che potessi individuare. 
E chissà che non si ritorni anche al blog....



Sempre in questo filo rosso di affetti e robe melense che per oggi basta, c'è l'mtchallenge di questo mese che, per gran parte di noi, ha un significato speciale. Tanto speciale che ho finalmente recuperato una ricetta che circolava da un po', fra i miei appunti, e che ci riporta dritti dritti all'Inghilterra della seconda guerra mondiale, in piena epoca di razionamento e di ristrettezze alimentari. 
Credo che sia noto a tutti il patriottismo che accomunò le donne britanniche, a qualsiasi ceto appartenessero: di fronte alla minaccia della libertà della loro Nazione, del loro Re, dei loro cari, esse cercarono di rendersi utili in ogni modo, affrontando ogni tipo di disagio e di pericolo e scegliendo quei ruoli minori, tanto  lontani dalle ribalte e dai beau geste, quanto capaci di sostenere un intero popolo, con il conforto delle cure e del cibo.
Il Women's Land Army fu fra questi: un'organizzazione nata durante la Grande Guerra e replicata poi al tempo del secondo conflitto mondiale, che ricollocò le donne nei campi che gli uomini, chiamati al fronte, dovevano abbandonare. Se l'Inghilterra continuò a fornire nutrimento al suo popolo fu principalmente grazie a queste Land Girls che dalle città vennero mandate nelle campagne e che, lungi dal farsi infiacchire dal lavoro della terra, trovavano poi anche il modo di inventare ricette appetitose, col poco che restava. 
Fra queste, la Homity Pie, una torta a base di patate,porri e cipolle, di cui ovviamente non esiste una codificazione, nè delle dosi e neppure degli ingredienti. La zona di provenienza sono le Midlands, terre di grandi formaggi-e difatti, il cheddar  è presente, in tutte le versioni. Ma sul resto, ognuno dice la sua: c'è chi aggiunge una mela, chi abbonda nella panna, chi la colora con gli spinaci, insomma: le variazioni non si contano.
Quella che ho scelto io, è la più "basica" di tutte. 
"povera",mi verrebbe da dire, perchè ogni ingrediente è davvero al minimo delle sue potenzialità: ma proprio per questo, ciascuno concorre al meglio alla propria finzione: la cremosità dei porri sostituisce l'assenza delle uova; le patate, sostentano e sostengono; le cipolle, danno sapore; la panna,è solo un cucchiaio, il cheddar una grattugiata, meglio se in superficie, mischiato al pangrattato, per una crosta che inganna all'apparenza,ma non tradisce, nella sostanza. 
Ne è risultata una gran torta, che ci siamo spazzolate in un fiat- e che ora condivido qui...



per la base
io ho usato la brisée della sfida, che poi è la brisèe di Roux, ma la ricetta originale prevede una classica shortcrust pastry, preparata con 100 g di farina debole, 50 g di farina integrale,75 gi di burro, 1 cucchiaio di acqua fredda e un cucchiaino di sale. Oggi ci si aggiunge anche un tuorlo, ma all'epoca no. 

per il ripieno
350 g di patate
200 g di cipolle
1 porro (parte bianca e anche verde, almeno finchè è tenera)
1 cucchiaio di panna (ci vorrebbe quella cremosa, che noi non abbiamo: io ho usato la panna acida e secondo me ci stava benissimo: se non la gradite, due cucchiai di panna fresca, meglio se raccolti nella parte più densa)
1 spicchi d'aglio
150 g di Cheddar (sostituito con della scamorza),grattugiato
tre-quattro rametti di timo fresco
un bel ciuffo di prezzemolo
1 spicchio d'aglio
olio extravergine (ricetta originale, burro)
aggiunta mia: un cucchiaino di senape all'antica, quella coi semini (non è in nessuna ricetta, ma variante per variante, mettiamoci anche questa)
per spolverare
3 cucchiai di pangrattato
1 cucchiaio di cheddar grattugiato (io Parmigiano Reggiano)
una spolverata di pepe

Preparate la sfoglia, impastando velocemente tutti gli ingredienti.Fate un panetto e lasciatelo riposare in frigo,da un'ora a una notte. Poi stendetelo sottile,col mattarello, e rivestite uno stampo rotondo, di 20 cm di diametro.

Sbucciate le patate,sciacquatele sotto l'acqua corrente, asciugatele, tagliatele a tocchetti e fatele cuocere in acqua fredda, leggermente salata:calcolatecirca 5minuti dal bollore: devono rimanere sode,senza disfarsi.
Nel frattempo,mondate le cipolle e il porro, lavateli bene (attenzione al porro, la terra si annida dappertutto)e affettateli finemente.
Prendete una padella larga e versatevi un giro d'olio: appena è caldo, fatevi dorare lo spicchio d'aglio (non sbucciatelo,se preferite un sapore meno intenso); unite poi le patate, le cipolle e il porro, salate, fate saltare per qualche minuto, poi abbassate lafiamma e portate a cottura, aiutandovi con uno o due mestoli di acqua calda: alla fine, gli ortaggi dovranno essere morbidi e cremosi. 
Lasciateli intiepidire, poi metteteli in una terrina, assieme al prezzemolo tritato, allefoglioline di timo, alla panna, al formaggio grattugiato, e alla senape. Mescolate bene e aggiustate di sale e pepe
Versate il ripieno nel guscio di sfoglia (non occorre nessuna cottura in bianco, perchè il ripieno è solo umido) e spolveratelo con un mix di pangrattato,Parmigiano Reggiano grattugiato di fresco e pepe: infornate a 200°C,modalità statica per circa mezz'ora, o fino a quando la superficie risulterà dorata. 
Lasciate raffreddare 10 minuti nello stampo, poi sformate e servite. 
una bontà.
Ah, dimenticavo: 

Con questa ricetta NON partecipo all'MTC n. 46 :-)

giovedì 19 febbraio 2015

UNA TIRA L'ALTRA... LE JAFFA CAKES!


Ai tempi del Catechismo per la prima Comunione, ero finita fuori dall'aula per aver risposto che dai tre figli di Noè erano nate le seguenti discendenze: da Sem, i Semiti, da Cam i Camiti e da Jafet le arance (e i pompelmi). 
Fosse ora, qualcuno avrebbe riso. 
Ai tempi, ero rimasta lì da sola, a stramaledire la mia educazione nella terra di mezzo, per cui le arance di papà erano le Tarocco e quelle della mamma le Sevilla, mentre le Jaffa mettevano tutti d'accordo, non troppo amare, non troppo rosse, non troppo succose- e forse neanche troppo buone, visto che poi sparirono dalle nostre tavole e chissà per quanto tempo non le avrei più ricordate se, giusto poche sere fa, non mi fossi imbattuta nella solita pessima traduzione dall'inglese all'italiano, in cui l'incauta traduttrice fa mangiare alla protagonista "una merendina della Jaffa"
"Ma son le Jaffa cakes!" - ho pensato. 
E il resto, è qui...



dicesi Jaffa cake quella roba tossica venduta in due versioni (all'arancia, quella antica e allafragola, quella moderna) sugli scaffali della LIDL, al reparto "Dà dipendenza"- e se qualcuno di voi ha mai ceduto all'impulso di metterne una scatola nel carrello, sa di che cosa sto parlando. 
sono tortine di pan di spagna, nappate con uno strato di marmellata (all'arancia, quella antica, alla fragola, quella moderna) e poi giù cioccolato, come se piovesse, inventate sul finire degli anni Venti dal signor Mc Vities e destinate ad avere enorme successo nel Regno Unito. 
Da noi, sono arrivate ma non spopolano- ed è un peccato, perchè oltre ad essere ottime, sono anche da porca figura: facilissime da preparare, perfette per essere regalate o per accompagnare un té o un caffé di un certo tono. 
Una ricetta codificata non esiste, ma se fate questa avrete un prodotto pressoché identico a quello che si compra, con la non lieve differenza che voi sapete che cosa ci avete messo- e quindi, potete computare con maniacale esattezza quante calorie ingurgitate ad ogni morso. 
A questo proposito: è con infinito rammarico che vi annuncio che non c'è traccia di burro, in questa ricetta. solo uova, zucchero e farina nella base, frutta e cioccolato fondente nella copertura. 
d'altronde, siamo o non siamo entrati in quaresima? :-)



Per 16 jaffa cakes

2 uova fresche, medie, a temperatura ambiente
50 g di farina debole, setacciata
50 g di zucchero semolato

75 g di marmellata di arance
75 g di marmellata di fragole

250 g di cioccolato fondente al 70% di cacao


La base è un Pan di Spagna: sbattete le uova in un'ampia terrina, con le fruste elettriche, prima da sole, poi con lo zucchero. calcolate almeno 10 minuti, nel corso dei quali all'inizio sembrerà che non succeda niente, perchè la quantità di zucchero è poca. Ma non disperate, perchè nel giro di una decina di minuti avrete una massa ariosa e ferma. Controllate che il colore sia giallo pallido, quasi bianco e che il composto "scriva", cioè lasci delle tracce, se fatto colare da un cucchiaio sulla superficie.
Aggiungete la farina setacciandola un'altra volta, direttamente sul composto:incorporatela piano piano, con un cucchiaio,mescolando dall'alto verso il basso
Per la cotturausate uno stampo da cupcakes (diametro 4 cm, altezza 2 cm) oppure da muffins, con l'avvertenza, in questo caso, di riempirlo per un terzo, al massimo. 
Sarebbe meglio rivestire il fondo con dei dischetti di carta da forno, per poter sformare le tortine senza intoppi. Io ho usato uno stampo in silicone da cupcakes e non ci sono stati problemi di sorta. 
infornate a 180°C, modalità statica, per dieci minuti. 
Aprite il forno dopo questo tempo e controllate la cottura: se sono dorate in superficie e compatte al tatto, ci siamo. 
Sfornate, lasciate raffreddare qualche minuto, poi sformate e fate raffreddare del tutto. 

Nel frattempo, sciogliete le marmellate, in due casseruolini, a fiamma bassa e mescolando sempre. Adagiatene un cucchiaio sulla superficie delle tortine, uno per ciascuna:alla fine, dovrete ottenere 8 tortine all'arancia e 8 alla fragola. 
Lasciate di nuovo raffreddare. 

Sciogliete il cioccolato a bagnomaria e poi colatelo con un cucchiaio sulle tortine
Per non sporcare la cucina, fate così: rivestite la leccarda del forno con due fogli di alluminio, posizionatevi sopra una griglia (io ho usato quella del microonde, visto che tutti i miei attrezzi sono impacchettati nelle more del trasloco) e sistemate su di essa le tortine. Poi colate il cioccolato fuso, cercando di rivestire bene la loro superficie: raccogliete subito quello che cade sulla stagnola e spalmatelo sulle Jaffa cakes, fino ad averle ricoperte tutte. 



Lasciate indurire il cioccolato a temperatura ambiente, senza preoccuparvi di ripulire:quando il cioccolato si sarà solidificato, staccate delicatamente le tortine dalla griglia, sistematele su un vassoio, eliminate i fogli di alluminio con i residui di cioccolato e mettete su il caffé, che è la miglior scusa per poter assaggiare subito queste delizie. 

Dopodiché, liberatevene al più presto: io le ho mandate alla riunione delle volontarie del museo, che è un'altra cosa molto British che fa mia madre. Sono state graditissime, han pure chiesto se le vendevo (ve l'ho detto, no', che sono British?)e, quel che più conta, sono riuscita a mangiarne solo sei. 
E non fatemi pensare a quelle due che si stan sentendo sole, di là in cucina...

mercoledì 8 febbraio 2012

Lo Starbooks di Febbraio: Michel Roux, Uova - e le mini Scotch Eggs, per cominciare

uova

Ab Ovo, d'altronde, a ricordare le antiche successioni delle portate, dove questo versatile ed insostituibile ingrediente era solito aprire il menu. E dall'uovo cominiciamo anche noi, dedicando lo Starbooks di febbraio alla celebre monografia che vede l'ancor più celebre Michel Roux cimentarsi con le principali preparazioni a base di tuorli ed albumi, svelando tutti i segreti dell'uno e dell'altro.

Di Michel Roux abbiamo parlato a lungo, da queste pagine, ai tempi di Frolla&Sfoglia- libro consultatissimo et amatissimo dalla scrivente, che annovera, fra i numerosi pregi, anche l'accessibilità delle sue preparazioni. A fronte della professione di chef e del firmamento di stelle Michelin che orbita attorno al suo capo, Roux non dimentica di avere di fronte un pubblico di casalinghe più o meno disperate e più o meno esperte di arte culinaria: e così, le prende per mano e le accompagna lungo i sentieri sempre meno impervi di una cucina fatta di tecniche che appaiono se non proprio semplicissime, quanto meno non così ostiche come sarebbero potute sembrare, ad una prima occhiata. Il bello è che, qualsiasi spiegazione affronti, Roux lo fa con la stessa serietà e lo stesso scrupolo, sia che vi sveli i segreti del patè en croute, siache sciorini i tempi di cottura di un perfetto uovo sodo. In sè, può sembrare un dettaglio marginale: nella pratica, invece, non lo è ed anzi è la spia che fa dell'autore un insegnante vero, convinto com'è che le grandi costruzioni non si inizino dal tetto, ma abbiano bisogno di fondamenta stabili per reggere nel tempo. In cucina come altrove si chiamano "basi" e Roux , a differenza di suoi colleghi altrettanto blasonati (tanto per non fare nomi, Ducasse), le dà.
Il libro non  è propriamente una novità editoriale,visto che è uscito sul mercato inglese nel 2005: ciò che è recente è l'edizione italiana, per i tipi della Guido Tommasi ed è anche per questo che abbiamo indirizzato su questo titolo la nostra scelta. Tuttavia, dal confronto fra le due edizioni sono emersi alcuni errori di traduzione che ci hanno francamente lasciate perplesse, considerata la destinazione di quest'opera che non è un romanzo,ma un manuale di cucina. Un conto è far fare colazione alla  nostra eroina con una panna leggera, che in Italia non troverete mai, un altro è indicarla come ingrediente base di una ricetta. " Paese che vai, Supermercato che trovi" può non essere un proverbio noto a tutti. Ma da chi traduce libri di cucina, ci aspettiamo che lo si conosca e anche bene.

Per questo motivo,considerata anche la notevole differenza di prezzo, il nostro consiglio è di puntare all'acquisto dell'edizione inglese: qui c'è l'edizione in brossura

e qui quella con la copertina rigida

se però con l'inglese proprio non andate d'accordo, eccovi la versione italiana
Finite le premesse, due informazioni veloci su che cosa faremo, con le 4+1 dello Starbooks per testare al meglio questo libro. Dopo luuuunghe e fruttuose discussioni, abbiamo deciso di mantenerci anche noi fedeli allo spirito del volume, rispettando la struttura a temi e l'impianto didattico. Per cui,  questa settimana parleremo di uova sode, nei tre vari gradi di cottura, sperimentando ricette su questo tema; mercoledì prossimo, di uova fritte, frittate ed omelettes; e l'ultimo appuntamento sarà dedicato alle salse e alle creme.
Eccovi dunque il programma di oggi
Su Menuturistico, parleremo della cottura delle uova e delle Scotch Eggs; su Vissi d'Arte...e di Cucina, Cristina B. preparerà gli Sformatini di Parmigiano e Fontina; su Andante con Gusto Patti è pronta con le  uova in camicia e spinaci; su Insalata Mista, ancora uova in camicia,questa volta su tortine di cipolle e infine dalla AleOnlyKitchen arrivano le  uova di gallinella barzotte su polpa di granchio & julienne di sedano rapa. A parte la panchinara di lusso (tranquilli, arriverà...con quello che le diamo d'ingaggio...) schieriamo subito tutta la squadra di queste ardimentose e irriducibili amiche, che hanno deciso di accompagnarci nella non facile avventura dello Starbooks. E' grazie a loro se abbiamo tutti l'opportunità di verificare in modo completo la attendibilità di un manuale di cucina, nell'ottica di acquisti sempre meno avventati e sempre più consapevoli- ed è a loro che va il nostro grazie. 

LaCottura delle Uova- Le Uova bollite (à la coque-bazzotte- sode)


uova

Un'Ave Maria per l'uovo alla coque, 3 per quello barzotto, 10 per quello sodo-dicevano le nostre nonne, capaci come nessuna di adattare le pratiche di fede alle incombenze domestiche. Non so a che velocità pregasse la nonna di Roux, ma di sicuro era quella giusta, perchè i suoi tempi corrispondono a tre cotture assolutamente perfette...

per l'uovo à la coque: "Appena l'acqua comincia a bollire contate 60 secondi per un uovo medio; se preferite l'albume un po' più duro ma il tuorlo liquido, cuocete per altri 30 secondi. Per un albume ancora più duro con il tuorlo che comincia a rapprendersi, contate altri 30 secondi (1 minuto e mezzo in tutto)". 

per le uova barzotte: 3 minuti, a partire dal bollore

per le uova sode: 6 minuti, sempre a partire dal bollore

MINI SCOTCH EGGS

Liberi di non crederci, ma con tutte le permanenze scozzesi che ho sulle spalle, non ho mai nè assaggiato nè visto uno di questi  scotch egg. In compenso, mi gingillavo da un po' con l'idea di prepararli, specie da quando avevo visto questa ricetta che usa le uova di quaglia al posto di quelle di gallina: chissà perchè, mi parevano l'ideale per un buffet. 
Col senno di poi (e 18 scotch eggs equamente ripartite fra gli stomaci di marito e figlia, assatanati), dico di no: in primis, perchè son troppo buone e il rischio è di doverne preparare in quantità industriale per accontentare tutti, riducendovi voi ad un ammasso puzzolente di fritto e relegate in cucina, con gli ospiti che reclamano assiepati sulla porta; poi perchè non vengono così piccole come pensavo: per quanto sottile sia lo strato di carne che le riveste, sono comunque polpette con dentro un uovo sodo, quindi "ce n'è, di roba". Infine, perchè se tanto vale servirle come antipasto o secondo piatto (e vi assicuro che vale), allora ha più senso usare le uova di gallina, che oltretutto  costano sensibilmente di meno. Ma se siete in vena di stupire con effetti speciali, armatevi di pazienza e procedete con questa: non ve ne pentirete..
Scotch eggs con uova di quaglia

8 uova di quaglia
300 g di filetto o spalla di maiale, finemente macinata
2 cucchiaini di prezzemolo ed erba cipollina
un pizzico di pepe di caienna
sale e pepe
100 g di mollica di pane
farina
2 cucchiai di latte
1 albume e 2 uova per la panatura (ne servono meno)
300 ml di olio per friggere (io uso sempre l'EVO, stavolta ho usato l'olio di semi di mais)

Per il procedimento, vado veloce perchè è semplicissimo
Far bollire le uova di quaglia per 3- 4 minuti, lasciarle raffreddare sotto l'acqua corrente, sbucciarle. 
Tritare finemente la carne (io ho usato il Bimby), condirla con sale, pepe, pepe di Cayenna, prezzemolo, erba cipollina e albume . Preparare delle polpettine, all'interno delle quali sistemare  l'uovo di quaglia, ricoprendolo bene. Passare le polpette nella farina leggermente salata, poi nell'uovo sbattuto e poi nel pangrattato. Far friggere in abbondante olio a 180 gradi, per un minuto e mezzo- due minuti, fino a quando le scotch eggs si presentano belle dorate.