Di quante rece avevo detto di essere rimasta indietro, qualche settimana fa? Venti? Venticinque? Bene, aggiungetecene una decina e potrete avere una vaga idea dello sgomento che mi prende ogni volta che mi accingo a scrivere di libri su questo blog. Fra l'altro, la prima persona a cui tornerebbe utile questo lavoro sono io: perchè leggo con una tale voracità che spesso e volentieri i testi scivolano lungo quel che resta della mia memoria, col risultato che, a volte, non mi ricordo nemmeno i titoli di ciò che ho letto, figuriamoci i contenuti e le impressioni. Quindi, non stupisce che nella lista dei buoni propositi di settembre ai primi posti ci sia l'imperativo categorico di segnare almeno due righe, ogni volta che leggo qualcosa- tanto meglio se sul blog, dove ho almeno un motore di ricerca ad occuparsi di trovare le cose. Epperò, se non faccio almeno un tentativo di smaltire qualche arretrato non mi dò pace: ragion per cui, comincio subito con un po' di rece ultraveloci delle ultime letture di questi mesi, partendo dai titoli che, nel bene e nel male, ricordo di più.
Diffenbaugh, Vanessa Il linguaggio segreto dei fiori: ok, sarò sincera: di questo libro non avevo scritto niente, qui sopra, ma lo avevo caldamente consigliato ai lettori della nius, “a caldo”, ancora sotto gli effetti dell'emozione suscitata da un romanzo che non avrei mai comprato, se non fosse stato per il prezzo stracciato a cui veniva venduto (cosa si diceva, ier, a proposito degli sconti?). Il motivo è presto detto: da anni diffido delle fanfare editoriali e l'unico modo per tirare dritto di fronte ad uno scaffale pieno di libri è una fascetta gialla piena di zeri e punti esclamativi sulla copertina di un romanzo. In più, da quel poco che avevo letto in giro, mi ero fatta l'idea che si trattasse di un mix fra La Solitudine dei Numeri Primi e la Maga delle Spezie, il che, nella mia classifica personale, è l'equivalente del “fra il marcio e la muffa”, tanto per ricorrere alla solita efficacia delle metafore. Invece, mi sono sbagliata-e pure alla stragrande. Ho letto una storia avvincente, raccontata con la sensibilità che solo chi ha vissuto determinate esperienze può avere, senza per questo venir meno alle esigenze che un romanzo impone, dalla caratterizzazione dei personaggi agli espedienti narrativi. Anche per questo motivo il tema trattato- il disagio dei bambini abbandonati – non ha l'impatto devastante che potrebbe avere se affidato ad una penna meno sensibile e meno accorta: la narrazione procede parallela, con un presente che, poco per volta, riaggiusta i cocci del passato, senza nulla concedere al sentimentalismo (fastidioso sempre, al limite del pornografico se riguarda i bambini). Va da sé che ci siano delle pecche, a cominciare dalla irreale facilità con cui tutto va a posto e per finire con uno stile non sempre adeguato alla materia trattata: ma, una volta arrivati alla fine del romanzo, si è così commossi e felici che si perdona tutto.
Marco Malvaldi. La Briscola in cinque: e si torna a parlar bene di Malvaldi, dopo le meritatissime lodi di Odore di Chiuso, grazie al quale ho scoperto un autore che ignoravo, fino a poco tempo fa. Come sia stato possibile, a me che sono una giallista della prima ora e ispeziono tutti i titoli della Sellerio, è cosa che mi sfugge, ma a cui ho intenzione di riparare, come dimostra la scelta di questo titolo, letto e divorato in un fiat. Dovrebbe essere l'opera prima dello scrittore e di sicuro è la prima della (finora) trilogia del Bar Lume, tre romanzi che hanno come protagonisiti un barista tanto svelto di mente quanto parco di parole e quattro pensionati, che trascorrono le loro giornate giocando a briscola ai tavolini del bar. Stavolta, a mettere in moto l'azione, è la scoperta del cadavere di una ragazza in un cassonetto dell'immondizia poco distante: il barista è casualmente coinvolto nell'indagine e finirà per trovarsi suo malgrado a vestire i panni dell'investigatore, sullo sfondo di una provincia che parla toscano e con i vecchietti a movimentare la narrazione, garantendo momenti di assoluta comicità e un paio d'ore di gradevolezza. I capolavori del giallo sono un'altra cosa, come pure i pastiche letterari: ma Malvaldi ha dalla sua l'originalità dell'idea e una buona padronanza dello stile, che si rivela specialmente nella gestione pressochè perfetta dei tempi comici: per cui, alla fine, non solo si legge ocn piacere, ma si ride pure. Il che, a parer mio, basta e avanza....
Erns Van Der Kwast, Mama Tandoori: "il ritratto tragicomico di una madre che, grazie al cielo, non è la tua" è stata la frase che mi ha indotto a prendere questo libro dallo scaffale della libreria e a metterlo nel carrello. Per poi pentirmi, pochi giorni dopo, quando ho iniziato a leggerlo. E' la storia- presumo autobiografica- di una donna indiana, la madre dello scrivente, che venuta in olanda come infermiera sposa un giovane medico di cui non è innamorata e con cui mette su famiglia. Dei tre figli, il primogenito ha un grave ritardo mentale e da quando entra in scena questo personaggio, tutta la trama è incentrata sul rapporto della donna con questo ragazzo. A differenza di quanto si potrebbe immaginare, però, l'autore sceglie la strada del comico per raccontarlo- commettendo un atto di presunzione bell'ebuono: perchè, a differenza di Malvaldi, Van Der Kwast non ha la piena padronanza delle tecniche narrative legate ad un genere così difficile come questo. E quindi, finisce per cadere nel patetico, in una generale impressione di fastidio. Anche perchè, in tutta onestà, la materia non si presta al genere prescelto, proprio per niente: sarebbe forse stato meglio percorrere la via più sottile dell'umorismo, con la riflessione a frenare il riso, oppure quellapiù sferzante della tragicommedia, cinica ed impietosa. Ma così non è stato e il risultato è un libro con troppe forzature per poter diventare una lettura piacevole. Evitabilissimo
A domani (?) con altri titoli
ale
A domani (?) con altri titoli
ale
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