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giovedì 8 settembre 2011

La Morte del Papa: una boiata pazzesca

Il Papa è, ovviamente, Albino Luciani, il Patriarca di Venezia assiso al soglio ponitificio nel  settembre del 1978 e rimasto in carica per soli trentatrè giorni, stroncato da una morte improvvisa che ha dato la stura ad una ridda di ipotesi più o meno fantasiose, tutte accomunate dal palese sospetto di un omicidio. D'altronde, gli scenari politici dell'Italia di quegli anni, con gli intrighi della P2 a sovrapporsi agli ultimi strascichi del terrorismo, scritti dalle mani sporche di una politica invischiata in losche connivenze, di cose nostre e altrui, servivano sul piatto d'argento ipotesi che, in altri contesti, sarebbero sembrate farneticazioni campate in aria: e tanto è bastato per alimentare un filone letterario di tipo complottista, a cui appartiene di diritto questo libro. Che è una delle robe più insulse che io abbia mai letto.

Sia chiaro: di fronte ad un titolo del genere, che non lascia dubbi sull'argomento trattato, e ad una copertina che pullula di recensioni di testate di altrettanto indubbio spessore critico ("Gente", su tutte), non posso che prendermela con me medesima, per aver ceduto ad un sì incauto acquisto. Il fatto è che fino ad oggi non avevo ancora preso un bidone dalla Neri Pozza e, chissà perchè, mi sono illusa che a dispetto delle previsioni, la casa editrice fosse andata nuovamente a segno. Invece, mi sono sbagliata-e pure di grosso.

Quel che è peggio, però, è che ho perseverato nell'errore. Avrei dovuto smettere all'inizio del secondo capitolo, quando ormai era chiaro che la narrazione non si sarebbe distaccata dai toni piatti e sciatti con cui era iniziata, al confronto dei quali la mia lista della spesa sembrava un film di Dario Argento; oppure poco dopo, di fronte all'infoltirsi di un papocchio di personaggi talmente grotteschi nella loro caricaturalità da rasentare il ridicolo, descritti con annotazioni marginali, più consone al canovaccio di uno sceneggiatore che ad un romanziere; oppure quando si scopre che la molla che innesta una serie indicibile di altrettanto indicibili efferratezze è l'urgenza di rientrare in possesso di un documento segretissimo, quale la lista degli appartenenti alla P2, divulgata urbi et orbi trent'anni fa e da allora talmente consunta dal'uso che non se la filerebbe neppure l'ultimo dei seguaci di Assange. Insomma, a farla breve, ogni pagina, ogni riga, ogni parola mi avrebbero fornito decine di motivi per desistere da una delle letture più imbarazzanti in cui mi sia imbattuta nella mia intensa vita di lettore, al confronto della quale Il Codice da Vinci si erge maestoso, come un capolavoro inimitabile e irraggiungibile.
Invece, sono andata avanti fino alla fine, esattamente come succede con i libri gialli di terz'ultima categoria, quando decidi di dare un senso alle due ore buttate al vento per scoprire se almeno hai indovinato l'assassino. In questo caso, però, il meccanismo che è scattato è stato ancora ppiù perverso: perchè la sfida con l'autore era tutta tesa a vedere fin dove fossero capaci di arrivare le sue trovate. Lungi da me la volontà di privarvi delle sorprese, ma qualsiasi ipotesi vi possa venire in mente, anche la più desolante o la più becera (anzi: soprattutto la più desolante e la più becera) state pur certi che la ritroverete poche pagine dopo, in un  crescendo (?) di invenzioni assurde e incapaci di reggere alla forza di qualsivoglia critica storica, per quanto lieve e superficiale.

In cauda venenum: azzarderei una malcelata ispirazione dal libro inchiesta di Yallop, In Nome di Dio, vista la pressochè totale aderenza delle tesi e del materiale. Con la non lieve differenza che fra le due opere intercorrono venticinque anni e un certo Dan Brown, ai cui demeriti si aggiunge quello di aver creato un sottobosco di suoi emuli, convinti che basti prendere una penna in mano per scrivere un romanzo e che basti gridare al complotto per scrivere un romanzo storico. In più, nel caso specifico, Rocha non ha dalla sua neppure la novità della materia, visto che si limita a mescolare una serie di eventi a cui non aggiunge nulla del poco o tanto che già si sappia. Tanto che, alla fine, l'unico vero interrogativo che soleva la lettura di questo libro è se ci si trovi di fronte ad un polpettone storico o a una minestra riscaldata: vale la pena di sobbarcarsi tre ore di lettura per azzardare una risposta? io dico proprio di no...
Alla prossima
Ale